Le luci giallastre del porto illuminano a malapena il vicolo angusto, lame di luce che fanno brillare il selciato umido. Angoli bui nascondono casse di pesce buttate alla rinfusa, amori felini contrattati tra miagolii e ruggiti sordi, rifiuti materiali ed umani che trovano rifugio nelle ombre della notte. Da qui si sente lo sciabordare dell’acqua contro le chiglie pesanti dei pescherecci addormentati, l’incessante tinnire metallico del sartiame mosso dal vento della sera. Rumori indistinti arrivano a tratti dalle locande, laggiù al porto, una canzone di marinai stonata, cantata da voci incerte di ubriachi. Ogni tanto, in questi vicoli segreti, si compie una vendetta, un uomo cade riverso con un coltello piantato nella pancia, un debito di gioco e’ vendicato. Come quella volta che tocco’ a Costa, il maltese. Lo trovarono riverso in una pozza di sangue, le budella fuori della pancia, un gatto che leccava furtivo quegli avanzi di umanita’. Lo scacciasti tu, quell’empio animale, con un calcio. Perche’ eri li’ anche quella sera, come tutte altre le sere della tua vita. Nascosto nell’ombra, acquattato dietro una vecchia botte che puzza di olio marcio. Come tutte le sere, da anni. Anche questa sera sei li’, in quell’angolo buio, una striscia di luce che ti sfiora, attento a non farti vedere. Ah, si’, l’altra sera ti e’ andata proprio male. Manuel ti ha visto quando e’ uscito, tu provasti a fuggire, ma lui, quel mostro, un gigante abituato a lanciare l’arpione contro i veloci pescispada, ti ha raggiunto in un attimo. Ti ricordi come ti apostrofava? Porco, schifoso guardone, ti levo io la voglia di curiosare, maledetto deforme. E tu, in lacrime, che lo implori. Ti prego, Manuel, ti prego… e lui, invece, senza pieta’, ubriaco di vino e di sesso, si sfoga, scarica la sua violenza gratuita sulla miseria del tuo corpo. Chiunque avrebbe capito la lezione, al posto tuo… ma tu no, tu insisti. Tu vuoi sapere, controllare. Tu sorvegli lei. Lei che non ti ha mai degnato di uno sguardo, lei che passa altera tra i vicoli del porto, tra i fischi dei pescatori, qualcuno piu’ audace (non manca mai) che la affianca, prova a baciarla, lei si scosta rabbiosa con un gesto d’ira, urla qualche parola in quel suo dialetto portoghese incomprensibile. Il maschio spavaldo le molla uno schiaffo sulle natiche, ridendo, e torna a scherzare coi suoi amici, paga da bere a tutti con una risata malvagia. Esmeralda. Bellissima, tanti anni fa. Bella, anche oggi. Una bellezza che e’ sfiorita, negli anni, qui al porto.Esmeralda, abbracciata da tante braccia, concupita da tanti occhi, violata mille e mille volte, fin da bambina. Anche stasera sei li’, come tutte le altre sere della tua vita. Pronto, dietro quella finestrella chiusa da ruste sbarre di ferro, i vetri spaccati dai quali entra in casa qualsiasi rifiuto, acqua di pioggia o fetore. Dio non si ricorda piu’ di questi angoli di mondo, qui al porto non c’e’ posto per gli angeli. E finalmente, ecco la luce che si accende fioca. La voce di lei, bassa e irrochita dalle sigarette, riempie vibrando la stanza. Ti sporgi, vuoi vederla bene, non perderti neanche un dettaglio. Lei e’ con un uomo, come tutte le sere. Sempre uno diverso. La senti armeggiare per un po’ in cucina, non la vedi, ma la senti. Riconosci anche il suo silenzio, ormai. L’uomo si e’ seduto su una sedia. E’ grosso, tozzo, con addosso un liso giaccone di spesso feltro blu. Deve essere uno di quei cileni che sono ormeggiati alla fonda, fuori della bocca di porto. Una immensa nave scura venuta da lontano. Marinai che hanno passato mesi e mesi a bordo, da soli, senza vedere una sola donna. E questo cileno, come si chiamerà… Carlos, Miguel, Pablo… come tutti gli altri, tutti quegli indistinti che si avvicendano su quella frusta sedia di legno, questo cileno che appena e’ arrivato in porto ha chiesto, si e’ informato, dov’e’ che si puo’… una donna, una qualsiasi va bene. Esmeralda. Sempre lei, pronta per soddisfare i piaceri passeggeri di mille uomini. Eccola che torna. Ha una bacinella in mano, un asciugamani. Dice qualcosa all’uomo, qualcosa che non capisci ma sai cos’e’. Lui, goffo, si sfila il giaccone, lo butta indietro sul tavolo. Si sfila il pesante maglione mostrando il torace possente e i bicipiti immensi. Lei gli fa un solo cenno con gli occhi, e lui sgancia la cintura e si cala i pantaloni. Lei gli abbassa le mutande, gli prende in mano il sesso semirigido, comincia a bagnarlo con l’acqua della bacinella per pulirlo. Lo strofina con l’asciugamano, lo asciuga. Quel trattamento ha eccitato il poderoso cileno, il suo membro adesso e’ eretto e sobbalza vibrando nell’aria. Lei non dice una parola, lui mormora delle frasi in spagnolo. E tu, schiacciato dietro la finestra dalla quale traspare la luce giallastra della lampadina a piattello, guardi, senza poter dire nulla. E cosa potresti dire? Cosa fare, per salvare Esmeralda da quel bruto? Ma non lo sai neanche che lei non vuole essere salvata. Il cileno paghera’ bene, stasera. Marinai in franchigia, appena scesi dalla nave, le tasche piene di soldi di un ingaggio pagato sui moli di Montalban, mesi fa… non ha speso un solo escudo in mare, non si e’ giocato ai dadi neanche un centesimo, pregustando il momento in cui sarebbe sceso a terra. Questo momento. Sapeva che nel porto ci sarebbe stata una Esmeralda ad aspettarlo, ce n’e’ sempre una. E paghera’, stasera, per averla. Lei infila con la destrezza dell’abitudine un sottile budello sul fallo rosseggiante del cileno. Poi si butta all’indietro sul materasso. Allarga le gambe, si solleva la gonna. Il cileno non fa complimenti, non e’ abituato a farne. Si accomoda fra quelle cosce spalancate, penetra rapidamente e senza indugi il ventre di Esmeralda, della tua Esmeralda. Lei lo guarda in faccia, forse le viene un po’ da ridere. Forse lui ha fatto una qualche espressione ridicola, quel mostro di muscoli. Non si e’ neanche tolto dal capo il berretto di lana nera. Pompa con vigore, spingendo il suo sesso in profondita’ nel ventre di Esmeralda. Lei guarda verso la parete accanto al letto, adesso. Fissa una crepa nel muro, muove lo sguardo, la sua attenzione sembra concentrarsi sulla angusta finestra dai vetri sfondati per la quale la tiepida aria della sera le reca lo sciacquare dei canali, il canto sconnesso di un pescatore brillo, lo scricchiolare dei fianchi di due barche mal ormeggiate. Il bordo slabbrato di uno dei vetri pare ricordarle il becco adunco di un meraviglioso uccello tropicale che aveva veduto scaricare giorni prima da una grande nave di ritorno dalle Indie. Non ti vede, tu badi bene di nasconderti, ti ritrai non appena la vedi alzare la testa verso la finestra. Il cileno adesso ansima, la sua sara’ una festa di breve durata, sta gia’ bofonchiando qualcosa. Esmeralda si muove un po’ sotto di lui, per quanto puo’, forse prova a fingere un godimento che non ricorda di aver provato da anni, forse lui la paghera’ un po’ di piu’ se lei lo fa divertire, se lei riesce a dagli l’illusione che questo corpo malandato di femmina sia qualcosa piu’ di un povero pezzo di carne dalla vita ormai spenta, abbandonato a se’ stesso tra i vicoli del porto. Ecco, e’ finita finalmente. Tu tiri un sospiro di sollievo. Il cileno si alza e si risistema lesto i pantaloni. Un uomo non si fa sorprendere con le braghe calate. Si ricompone in fretta. Lei si rialza dal letto, lenta e spossata, pare dolorante ma non lo e’. E solo ubriaca di noia, spleen, dolore di vita. Lei si avvolge in una vestaglia scolorita, se ne torna in cucina, strascinando le ciabatte sul pavimento.Lui si rimette il giaccone, deposita una manciata di denaro sul tavolo. Lei e’ alle sue spalle che aspetta. Prende al volo i soldi, uno sguardo rapido per controllare, poi lo fissa in viso. Il cileno la guarda, di rimando, Si caccia una mano in tasca e butta altri due pezzi di carta sul tavolo, che Esmeralda raccatta lesta e furtiva come un gatto affamato. Lo vedi salire gli scalini, mentre lei si chiude nel gabinetto. Eccolo, e’ fuori. Tu esci dalla penombra, gli fai incontro. Sei impazzito? Vuoi che ti massacri di botte, come fece Manuel l’altra sera? Lui barcolla nel vicolo e neanche ti vede, anzi no, adesso ti ha visto, si volta. E ride. Senti la sua risata grassa e violenta rimbombare per tutto il vicolo. Senti il sangue salirti agli occhi. Ah, se solo potessi…. cane maledetto!… Lui ti si avvicina, mormora qualcosa. Hola, nano loco, que pasa chiquito? Tu lo fissi senza saper cosa replicare. Si infila di nuovo una mano in tasca, ti allunga un po’ di denaro. Ti ha fatto l’elemosina, a te che stavi li’ per vigilare su di lei, per controllare che nulla di male accadesse alla tua Esmeralda. Maledetto di nuovo! Porco cileno!… Ma lui gia’ se ne e’ andato, la sua figura di bonario gigante ebete si perde nella nebbia leggera che sale a quest’ora dal porto, laggiu’ in fondo al vicolo male illuminato. E tu, adesso, non hai piu’ nulla da fare qui, stasera. La donna della tua vita si e’ coricata fra quelle lenzuola umide di sale, ha spento tutte le luci. Senti una lacrima che preme per uscire, ma tu sei forte, la sai trattenere, il tuo amore e’ eccezionale e forte per sopportare tutto questo. Non hai piu’ nulla da fare qui, scuoti il tuo corpo di nano deforme, e ti incammini barcollando verso la locanda, povero Quasimodo.
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