Eravamo sicuri che lo avremmo preso nel sonno. La soffiata era stata di quelle considerate attendibili al cento per cento ed era da più di tre giorni che stagnavamo intorno la cascina, in attesa di irrompere dentro. Per tutto il tempo avevamo tenuto sotto controllo l’edificio e, malgrado non si fosse mai visto nessuno, eravamo certi che stesse lì. Due ore prima, se pur in modo labile, le spie acustiche piazzate intorno le finestre avevano captato musica proveniente dal primo piano. Così avevamo deciso di agire e quella notte avevamo sfondato contemporaneamente porte e finestre del pianterreno, correndo all’impazzata da una stanza all’altra con le armi in pugno, pronti ad agguantarlo. Invece, avevamo trovato solo la sua donna, una giovane con gli occhi sbarrati dal terrore per la sorpresa. Dopo avere perlustrato tutta la casa in cerca di nascondigli segreti, avevamo fatto ritorno alle nostre jeep portandoci appresso la donna. Ci sentivamo sconfitti e incazzati neri. Alle tre entravamo nella nostra base. Ora stavamo nella sala grande, uno stanzone enorme dove generalmente passavamo le giornate seduti alle nostre scrivanie, tutti intorno alla ragazza. Era stato Giacomo a comandare il gioco sin dall’inizio. Le si era messo di fronte, squadrandola dalla testa ai piedi senza proferirle parola per un periodo che era sembrato interminabile. La giovane tremava come una foglia. Non riusciva a mantenere lo sguardo sugli occhi feroci del mio compagno ed alla fine era scoppiata in un singhiozzo convulso. “Finiscila! …Zitta!!” Le aveva urlato. “Basta!” Un ceffone in pieno viso l’aveva zittita. Giacomo si era girato verso di noi parlandoci con i gesti; eravamo tutti d’accordo. Forse, lei ci avrebbe condotto dal suo uomo! “Se non farai storie non ti faremo del male. Non è te che vogliamo. Capito?” Rimanendo ad un passo da lei, le aveva rivolto la domanda fingendo una gentilezza che non aveva. La giovane aveva calato il capo, forse rassicurata da quel tono di voce. “Come ti chiami?” “Loredana” “Sei la donna del Calletti?” Era rimasta titubante. Guardava Giacomo indecisa. “Allora?” Il solo gesto di schiaffeggiarla nuovamente le aveva dato la forza di rispondere immediatamente. “Sono la sua ragazza. Non stiamo insieme da molto tempo.” Doveva essere vero. Solo un paio di mesi fa i nostri informatori ci avevano riferito che il Calletti era stato visto in una discoteca insieme ad una ragazza bruna e che, da come la trattava, sembrava facessero coppia. In quel momento l’avevo davanti ed avevo provato sgomento per lei. Una bella ragazza senza dubbio. Alta e snella al punto giusto con una carnagione ambrata e le curve ben modellate. Capivo il Calletti e, per un attimo, avevo provato invidia per lui al pensiero che l’avesse potuta trombare, dopo averla ammaliata col suo fascino di latin lover vissuto. Ora era lì, in jeans, maglietta e golf, circondata da brutti ceffi per un motivo che, quasi sicuramente, non poteva comprendere. “Lui dov’è?” “Non lo so.” Giacomo si era girato verso di noi. Aveva allargato le braccia a mo’ di rassegnazione. Poi le aveva parlato pacatamente. “Loredana noi non abbiamo nulla contro di te, non vogliamo farti del male, ma tu ci devi aiutare.” Una breve pausa le aveva dato il modo di assimilare bene quel che le era stato detto. “Quando lo hai visto l’ultima volta?” Silenzio. “OK! Dimmi almeno quanti anni hai?” Lei lo aveva guardato stupefatta. Era una domanda stupida. “Ventiquattr Ventiquattro” “Hai detto che state assieme da poco. Da quanto?” “da Febbraio”. Gli informatori avevano colto nel segno. “e sei andata a vivere subito con lui?”. Di nuovo silenzio. “In questo periodo lo hai visto insieme ad altri uomini? Chi?”, ma la ragazza non apriva bocca. “Ha ricevuto telefonate? Sai dove abitano i suoi amici?”. Niente! Giacomo l’aveva guardata severamente, poi si era voltato verso di noi, raggiungendoci con due passi. “Questa non intende aiutarci.” aveva bisbigliato, “vediamo di impressionarla.” Eravamo tutti d’accordo. Loredana tremava per la paura. Una settimana prima Paolo le aveva telefonato (era da tanto che non si faceva sentire), dicendole di recarsi alla cascina; lui l’avrebbe raggiunta da lì a pochi giorni. Felice, si era preparata il borsone, raccontando in famiglia una storia di amiche in crisi. Aveva preso la sua vecchia auto ed era partita a razzo. La prima volta Paolo l’aveva condotta in quella cascina, un luogo incantevole dove avevano provato la gioia di avvinghiarsi come due lucertoloni per tutto il tempo. Era sicura che sarebbe stato nuovamente così. Invece, lui l’aveva chiamata al telefonino ogni giorno, scusandosi perché avrebbe ritardato il suo arrivo (motivi di lavoro, le diceva); chiedendole, però, di rimanere ad attenderlo. “Penso che potrò arrivare domani, dopodomani al massimo. Si è visto nessuno?” le diceva ogni volta. “Ti aspetto, amore. No, nessuno.” Quella notte era stata svegliata dal trambusto. Aveva pensato ai ladri ed era pronta ad andare a chiudersi dentro il bagno, sperando che se ne andassero presto (tanto non c’era nulla di valore in quella casa), quando due colossi, vestiti con tute nere ed incappucciati, avevano fatto irruzione nella sua stanza, puntandole i mitra addosso e urlandole a squarciagola. Era rimasta paralizzata dal terrore e, quando l’avevano presa per le braccia portandola fuori dalla casa e facendola salire sulla jeep non aveva fatto alcuna resistenza. Ora volevano sapere da lei di Paolo. Dov’era? Con chi? Ma lo avrebbe voluto sapere anche lei. Chi era l’uomo con cui aveva provato momenti incantevoli in quei mesi? Perché questi uomini lo cercavano? Vide l’uomo dirigersi verso di lei fermarsi ad un passo dal suo viso. “Allora Loredana, mi rispondi?” Sconfortata, aveva scosso la testa. “Io non so nulla.” “Lo vedremo.” Per un attimo aveva incrociato gli occhi dell’uomo, neri come il carbone e freddi come il ghiaccio. “Togliti il maglione!” Non voleva! Avrebbe voluto urlare. Chiudere gli occhi e, riaprendoli, non avere più quei mostri davanti a sé. Vide il braccio dell’uomo distendersi di lato, pronto a schiaffeggiarla nuovamente. Allora, si era tolto l’indumento. Era stata invasa subito da brividi di freddo; quella stanza era una ghiacciaia, pensò. “Brava.” Lo aveva visto, appagato, allontanarsi tornando verso il gruppo. Erano rimasti così per almeno dieci minuti, nel silenzio più assoluto, con lei al centro della stanza che cercava di riscaldarsi stringendosi le braccia al petto e gli uomini a tre, quattro metri di distanza. Poi quello era tornato. “Dov’è Calletti?” “Veramente, non lo so.” Lo aveva visto spazientito. “Sarà.” Si era girato verso il gruppo “ma qualcuno l’ha perquisita?” Silenzio. L’uomo si era inginocchiato ai suoi piedi, poggiando le mani sulla caviglia destra. Con mosse decise era risalito sulla stoffa dei jeans, lungo il polpaccio, sino al ginocchio. Lentamente, aveva ripetuto l’operazione con l’altra gamba, ma non si era fermato, proseguendo lungo la coscia, sino ad insinuarle il dorso della mano sinistra sull’inguine. Lì si era soffermato più a lungo, lasciando che la ragazza percepisse la pressione. Si era rialzato. “Togliti la maglietta!” Ancora una volta, la resistenza della giovane era stata vinta con la sola minaccia di nuove percosse. Rossa in viso per doversi spogliare dinanzi a quegli sconosciuti, Loredana si era sfilata la t-shirt, esibendo un reggiseno da ginnastica grigio chiaro. L’uomo chiamato Giacomo lo aveva indicato distendo il braccio verso di lei, “levalo!” L’aveva lasciata nuovamente sola al centro della stanza, urlandole di tenere le braccia incrociate dietro la schiena e di non muoversi da quella posizione se non voleva conoscere il sapore dei suoi colpi. Era rimasta così per altri dieci minuti abbondanti, con il seno in balia degli sguardi freddi di quegli uomini. A quel punto, le era sembrato che non sapessero cosa fare con lei e che stavano tentando di metterle una paura del diavolo. Si era rincuorata un po’ perché quell’uomo la minacciava ogni volta di picchiarla, ma non lo aveva fatto più. Sarebbe stato meglio assecondarlo. Eccolo che riveniva. “Ciao Loredana.” Era deciso. Gli occhi profondi. “Non abbiamo molto tempo ancora…” le aveva poggiato una mano fredda sul fianco sinistro, facendola trasalire. Non le trasmetteva nessuna sensazione. Si vedeva che in lui non c’era nessuna emozione lasciva, era solo glaciale. “Vuoi dirci dove si nasconde?” Tremando aveva risposto ancora una volta di non sapere nulla di Paolo. L’uomo l’aveva osservata penetrandole gli occhi con un’espressione crudele. “Te la sei voluta, ragazza. Togliti questi stracci!” L’indecisione della giovane era stata vinta col solo spostamento della mano fredda verso l’alto. Loredana aveva sentito la pelle graffiata dalle unghia dell’uomo, sino a giungere all’attaccatura del seno. Con le lacrime che le scorrevano silenziose lungo le guance, si era slacciata i jeans, lasciando che fosse l’uomo a sfilarglieli dalle gambe, dopo che, chino ai suoi piedi, le aveva tolto le scarpe da ginnastica ed i calzini. Era rimasta con le sole mutandine. L’uomo si era rialzato, portando con sé un coltello che teneva infilato sotto lo stivale. Alla vista, la giovane era trasalita. La lama le era sembrata lunghissima ed affilata da un lato, tutto seghettato. Giacomo glielo aveva posto dinanzi gli occhi senza spiccicare una parola. Poi, poggiandolo sulla sua pelle di piatto, lo aveva lasciato scorrere dalla guancia verso il basso, passando dal collo lungo il solco del seno in modo che i denti della lama sfiorassero una mammella senza ferirla, per scendere subito sul ventre piatto della donna, insinuandosi sotto l’indumento, parallelo alla coscia. Loredana aveva strabuzzato gli occhi per il terrore quando aveva sentito la lama girarsi di novanta gradi. Che le voleva fare? L’uomo le aveva letto il terrore negli occhi. “Non tormentarti signorina. Non ti faccio male…. non ancora!” Con un colpo secco della mano che impugnava l’arma, le aveva stracciato le mutandine, rimanendo a guardarla con un ghigno animalesco. “Per l’ultima volta, vuoi parlare?” “Io … io non so nulla. Vi…” “SIGNORE!! QUANDO TI RIVOLGI A ME, DEVI DIRE SIGNORE. INTESI!” Loredana era atterrita. Non l’avrebbero lasciata andare facilmente, di certo non sino a quando non avesse dato loro le informazioni che le chiedevano. E lei non poteva fornirgliele!! “Si signore..” aveva balbettato. A quel punto due uomini, tra quelli che sino ad allora erano rimasti ad osservare in silenzio, le si erano avvicinati prendendole ognuno un polso e tirandola con modi bruschi uno da un lato, uno dall’altro. Altri si erano mossi, incominciando a spostare i mobili e le sedie. Sembrava che ognuno di loro sapesse esattamente cosa fare e che nessuno fosse interessato alla sua nudità, passandole accanto senza degnarla di un’occhiata. Si era ritrovata spinta su una panca particolarmente larga. I due l’avevano obbligata a sedersi, intanto che le legavano le braccia dietro la schiena. Nel mentre, si era fatto nuovamente silenzio. La giovane era rimasta interdetta. Aveva visto intorno a sé gli uomini disporsi a semicerchio ed avrebbe voluto convincerli a lasciarla andare ma la paura le aveva asciugato la lingua. Vide Giacomo avvicinarsi. “Sei ancora in tempo, Loredana. Dicci quello che vogliamo sapere e finisce tutto.” L’uomo non aveva atteso molto. Sapeva che la ragazza non avrebbe detto nulla, non senza un aiuto che la convincesse a collaborare. Così, le aveva preso una mammella dal basso, stringendola delicatamente tra le dita, mentre avvicinava il viso a pochi centimetri da quello della donna. In quel modo le aveva impedito di scorgere quel che teneva nell’altra mano, poi l’aveva vista trasalire. Si era allontanato quel tanto che bastava mentre le prime lacrime iniziavano a segnare il viso della ragazza,mostrandole l’oggetto appena passato sul capezzolo. “E’ solo una spazzola. Una comunissima spazzola per le scarpe, dalle setole di acciaio, però. Fa male, vero?” Come a volerle dare una riprova, aveva stretto l’altro capezzolo tra pollice e indice, lasciando che la spazzola vi passasse sopra una, due, tre volte. Aveva ripetuto l’operazione alternando i movimenti a destra e a sinistra sul seno della ragazza. Lei si dibatteva, gli chiedeva di smettere ma, alle domande, continuava a rispondere di non sapere dove fosse il suo uomo, né chi fossero i suoi amici. “Ok, ragazza! Allora andiamo avanti. Vediamo chi l’avrà vinta alla fine?!” Le aveva ringhiato. Questa volta le aveva fatto osservare con attenzione quel che teneva in mano, leggendo il panico nei suoi occhi. Poi, con una mossa fulminea aveva fatto scattare la molla della piccola trappola per topi sul seno già martoriato, accertandosi con uno strattone che il capezzolo vi fosse rimasto intrappolato. “Noi non abbiamo fretta. Sta a te decidere quando smettere.” Le aveva sussurrato in orecchio mentre le tappava la bocca con la mano. “.. e non voglio sentire la tua voce se non per rispondere alle mie domande. Ti faccio sentire quel che ti capita se non lo fai!!” Loredana avrebbe voluto urlare a più non posso, ma la mano le aveva stretto la bocca togliendole il respiro. Il movimento dell’uomo era durato una frazione di secondo ma il dolore le si ripercuoteva ancora per tutto il corpo. Cosa le aveva fatto? Come?? L’aveva martoriata con qualcosa al centro delle gambe, ma cosa era stato? Ecco che glielo stava mostrando. Una molletta!! Una semplice molletta fermacarte!! Giacomo ci provava gusto a mostrarle quegli oggetti così semplici, costruiti per le comodità degli uomini e, all’occorrenza, utili per altri scopi come quello appena provato. Le aveva poggiato la pinzetta sul naso, stringendoci dentro le narici in modo lieve. “DOV’È CALLETTI??” L’urlo l’aveva stordita, poi un nuovo dolore lancinante aveva avuto il sopravvento. L’aguzzino le aveva preso tra le dita di una mano le grandi labbra lasciando che la molletta, con uno scatto, vi si chiudesse istantaneamente sopra. “Ve la lascio.” Si era allontanato e lei aveva incominciato ad urlare mentre altri uomini la prendevano di peso, sollevandola dalla panca per spingerla verso una delle pareti della stanza. Lì le avevano slegato i lacci che le stringevano le braccia dietro la schiena, solo per agganciarle i polsi ad una barra fissata sul muro. In quel modo la giovane toccava la superficie del pavimento con le sole punte dei piedi. Uno degli individui si era accertato che la piccola tagliola fosse ancora al suo posto. Poi ne aveva aggiunta una nuova sull’altro capezzolo ed aveva sostituito la molla in basso con due pinze da cui penzolavano due catene. L’aveva presa per i capelli tirandoli bruscamente indietro. “Il gioco si fa duro se non parli. Questo lo avrai capito, no?”. Lei continuava a scuotere la testa. “Testarda!! Te la sei voluta!” Un attimo dopo le mammelle, già tormentate dalle trappole, erano state strette da due pinze caricabatteria per auto. In basso, qualcuno aveva agganciato alle catenelle un sacchetto pieno di sabbia, facendo sì che le grandi labbra rimanessero mostruosamente allungate verso il pavimento. Gli uomini andavano avanti da quasi un’ora e iniziavano ad essere scoraggiati. Sapevano che stavano provocando del dolore alla ragazza e che, con ogni probabilità, non avrebbe mai dimenticato quell’esperienza, ma stavano agendo in modo da non lasciarle ferite indelebili. Loro non erano dei criminali o degli aguzzini, anche se le mostravano il contrario. Dovevano prendere quell’uomo a tutti i costi!! E lei, magari nell’inconscio, poteva essere a conoscenza di qualcosa utile allo scopo. Di certo non lo stava coprendo, non avrebbe retto sino a quel punto, ma poteva sapere….. Giacomo si era rivolto agli altri. “Cosa ci rimane?” “Questa roba, tenente. Non vorrei essere al suo posto.” Un uomo gli aveva indicato tutto il materiale accatastato in un angolo della stanza. “Ok! Procediamo, ma se c’è un accenno di svenimento interrompiamo e continuiamo solo dopo che si è ripresa. Vai tu, Artemio.” L’uomo chiamato aveva preso da terra delle tenaglie e si era recato vicino la donna, liberandole il seno dalle trappole e dalle pinze per auto. “Mi fa male…. per piacere staccati quei cosi… mi brucia…” L’aveva guardata negli occhi e solo per un attimo gli era passato per la mente che avrebbe voluto accontentarla. Anche lui, come tutti, avrebbe voluto che il gioco finisse subito ma…. Le aveva fatto vedere l’utensile che teneva in mano, ridendole malignamente. “smetterò solo quando ti deciderai a dirci quello che vogliamo sentire..” Una mano era corsa a tapparle la bocca (non avrebbe potuto farlo sentendo le sue urla) mentre l’attrezzo si stringeva su un capezzolo. Il polso aveva incominciato a ruotare leggermente a destra ed a sinistra, poi la mano tirava indietro l’utensile tendendo oscenamente il bottone di carne. L’uomo aveva smesso solo per dedicarsi al capezzolo vicino e, quando sembrava avesse finito di tormentarla, per scendere in mezzo alle gambe. Con due movimenti bruschi aveva strappato le pinze che reggevano il sacchetto di sabbia e subito aveva incominciato a stringere la tenaglia prima a destra e poi a sinistra. Continuava a muovere la mano in quel gioco sadico senza, però, perdere di vista per un solo istante il volto della ragazza. Non avrebbe retto ancora per molto! In silenzio, aveva smesso per tornare dagli altri. “Niente da fare. Magari non sa nulla veramente.” Le avevano dato quindici minuti di tregua, poi era stato il turno di un nuovo tentativo. Uno degli uomini le si era avvicinato, inginocchiandosi vicino le gambe. Subito, l’aveva infilzata con un siluro metallico che nulla avrebbe avuto di diverso da un comune vibratore se non fosse stato appena riscaldato sul fuoco. Non al punto da crearle ustioni interne ma comunque sufficiente a farla urlare dal dolore e per la paura. L’uomo aveva interrotto quel tormento per dedicarsi al foro posteriore, causando nuove urla. “BASTA!” L’urlo del tenente era stato come un tuono. “Proviamole tutte. Vediamo se deve spuntarla questa idiota!!” Era esagitato, non stava più in sé. Ma era il loro comandante e gli uomini dovevano eseguire l’ordine. Loredana si era ritrovata imbavagliata, con pinze e trappole per topi strette intorno ai capezzoli e sulle mammelle. In basso, qualcuno le aveva infilato il bastone di una scopa che, partendo dal pavimento, le dava la sensazione di essere penetrata sino in gola. L’ano era martoriato da un cilindro con delle protuberanze appuntite, mentre tenaglie e spilli le tormentavano la pelle, dai polpacci, ai glutei, alle braccia. Doveva farli smettere!!! Doveva!! Gli uomini l’avevano vista dimenarsi come un’ossessa e, credendo che fosse una reazione ai loro sforzi, li intensificarono, poi uno di loro aveva deciso di toglierle il bavaglio…. “Luciano….. Luciano Cozzuolo… sta in paese … in piazza. Ho conosciuto Paolo a casa sua…. Erano molto amici anche se poi ….” Non aveva avuto il tempo di finire. Gli uomini erano schizzati via in un solo istante. Stava per uscire anche l’ultimo quando si era girato guardandola. Era tornato indietro, liberandola dalle corde e da tutti gli strumenti ancora appesi alla sua pelle. “Grazie! e … scusaci…. Ora vestiti…” Dieci minuti dopo la facevano scendere dalla jeep a due chilometri dal paese. Strisciando i piedi si era incamminata ed era ancora lontano dalle case quando aveva visto i fari delle macchine tornare verso di lei. Lo aveva riconosciuto! Paolo era in mezzo a due uomini mascherati. Lo avevano preso!! Solo una settimana dopo avrebbe saputo che era rimasto vittima di uno scontro tra bande rivali. Era un criminale e lei non lo aveva mai saputo!!
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