La luce del giorno appena spuntato filtra dalle persiane socchiuse, rischiara abiti sparsi tra sedia e pavimento. Tra tre ore l’eurostar lo riporterà a Milano. E’ sul bordo del letto. Marina si è raggomitolata di traverso sotto le coperte. Roberto sente provocante il profumo della sua femminilità. Le intravede un sorriso lieve sul viso addormentato, ha il respiro regolare, la mano appoggiata sul proprio sesso: non si è staccata da lì, dopo che l’onda di piena l’ha sollevata insieme a lui, lo ha baciato, ha chiuso gli occhi, paga di un amore che pensa di non meritare. Alcune ora prima, Marina si era levata in piedi sul letto, si era girata per guardarlo in viso. Roberto impugnava il pene. “Sei bella. Abbassati ora, dai. Vieni sopra di lui…”. Marina si era lasciata guidare, si era chinata, sentiva la punta pronta a premere su di lei. “Rilassati ora”. Il pene, in un attimo, le era dentro, come mai lo aveva sentito. La vedeva stringersi le labbra per non urlare, ma lasciava uscire un mugolio, misto a metà tra sofferenza e piacere. La metteva sempre a proprio agio. Con colpi di reni, la stava penetrando, la faceva sussultare, sentiva le mani di lei aggrapparsi al suo petto, mentre il pene le entrava e le usciva dal corpo. Gemeva, sotto quei movimenti, sempre più forsennati, gli piaceva vederla godere, la stava sentendo venire sopra di lui. Marina si era morsa ancora le labbra, non voleva fare troppo rumore, temeva di urlare e farsi sentire. Il corpo di lei si era gettato in avanti, gli aveva buttato le braccia al collo, il respiro da affannoso si rilassava, gli baciava le labbra. Roberto sentiva i muscoli della vagina stringersi sul pene, come una mano che si contrae. Allora, le era venuto dentro, aveva esploso il proprio amore, un’onda copiosa l’aveva inondato, strappandole un altro mugolio. Erano rimasti così, abbracciati. Il sesso di lui dentro Marina, stretto, senza riuscire a rilassarsi, per non sa quanto tempo. Poi, Marina si era tolta da lì, lo aveva baciato ancora, si era distesa accanto, la mano allungata a toccare quel sesso di lui, ancora eretto, tutto lucido e intriso del loro piacere. Il tempo scorre. La sigaretta sta per ridursi a cicca. Roberto ama quel contatto, adora quella mano che gli fa sussultare di emozione il sesso ogniqualvolta si poggia là, per lunghe carezze. Sono carezze che aspetta con ansia, quasi a liberare una voglia di lei, ormai divenuta irrefrenabile. Sono mesi che si amano a Bologna. Ogni volta in un hotel diverso. Sono nella camera di lei. Astoria Hotel. Non molto distante dalla Stazione Centrale. Marina trova scuse di lavoro per allontanarsi da casa e raggiungere in auto Bologna, pernottando in hotel. Se anche venisse controllata, nessuno potrebbe mai mettere in relazione i loro nomi, avendo sempre loro la precauzione di prendere camere in piani distinti, arrivare con orari distanti, fingersi due sconosciuti, i cui sguardi si incrociano a malapena quando si incontrano nella sala da colazione. La passione divampa altrove, fuori da occhiate indiscrete, all’interno dell’auto di lei, tra le stanze d’albergo, nelle sale buie del Fellini, dove i due si abbandonano a un sentimento d’amore, che Marina non vuole ancora sentire, limitandosi a un profondo volersi bene e al desiderio di lui. Roberto l’ama. Ama il suo corpo, di cui ora inizia a conoscere ogni difetto. Ama quelle imperfezioni che l’età di lei evidenzia. Troppi gli anni, a sentire lei. Non gliene importa nulla, le replica invano. Lui ama quelle rughe che lambisce con i polpastrelli delle dita. Ama quei seni grossi: adora sprofondarvi il viso in mezzo, sentirla mugolare appena le sugge i capezzoli, già ritti e induriti ancora prima che vi accosti le labbra. Ama quella vulva che si bagna al primo contatto, dentro la quale si sente completo, un abbraccio caldo che lui riempie di intenso amore. Un amore irrefrenabile. “Mi fai impazzire… Oh, mi stai facendo impazzire”, la sente strillare, come una bambina, quando vi passa la propria lingua. “E’ mia! La voglio gustare…”. Le proprie dita a sfiorare le labbra della vulva, il clitoride già gonfio da mettere in bocca e giocherellarci con le labbra, poi il medio destro a penetrarla, in un crescendo di dentro e fuori, tra i gemiti e gli affanni a orchestrare la musicalità di dito e lingua. Ama il suo modo di ragionare, la concretezza di un’età che ormai sembra abbia poco da domandare alla vita, mentre lui vuole farla sognare, stringerla a sé, portarla laddove certe emozioni lei non ha mai avuto modo di provare. Non si è mai sentito l’amante. Non riesce a vedersi in quel ruolo. Sa che Marina ha una propria vita e che lui deve farsene una propria. Hanno discusso a lungo. Marina sta accettando la loro relazione solo perché sa che lui non dovrà costruirvi nulla intorno. Due esseri che si cercano e si desiderano, al di là di ogni altra cosa. Altro non potrà esserci. Un amore disperatamente loro. “Devi cercartene un’altra, una che ti ami, che sia per te quello che io non posso essere… Prometti che lo farai. Promettimelo…”. “Sì, lo prometto”. Si era ritrovato poi ad abbracciarla quel pomeriggio nell’auto di lei: si era rannicchiata fra le proprie braccia, la sentiva tremare, lei scuoteva la testa, sfiorandogli con i capelli la guancia. Quando aveva sentito una lacrima scivolargli sul dorso della mano, aveva capito che stava piangendo, nel silenzio di quella loro promessa. “Sono qua…”. “Sì, non mi lasciare, ma prometti…”. Aveva ripreso a piangere, fra i singhiozzi. Lui continuava a desiderarla anche in quel pianto, il desiderio di prenderla per sentirsi profondamente vicino a quella rinuncia, ma rispettava quella determinazione, quel non voler vivere finalmente un amore che solo ora lei scopriva nel pieno della sua passione. La teneva stretta, le accarezzava i capelli, ascoltava, in un silenzio solo loro, quel suo pianto. Già, ha promesso… Eppure, si sente completo insieme a lei, in un armonico abbraccio tra essenza, corpo e sensi. Nei loro fugaci incontri si dissolve la loro differenza d’età, sono essenze che si compenetrano, corpi che si penetrano, sensi che si appagano. Marina si ritrova ragazzina tra le sue braccia, scopre una felicità che la fa piangere a ogni loro intimo godimento. In quegli abbracci, in quegli orgasmi, sa che gli appartiene. Ancora non riesce a crederci. Quanto l’aveva cercata dopo quel prendersi nella toilette della discoteca. Qualcosa era rimasto dentro di lui. Non riusciva a scordare la propria passione con cui l’aveva presa, un bisogno disperato di amare quel corpo, di sentirlo suo, di penetrarla con una voglia animalesca. Era ritornato ogni fine settimana in quel locale bolognese, Pachito Club, vicino alla Galleria Reno, per ritrovarla. Allora non sapeva che non era di Bologna come lui. Tornava appositamente a Bologna. Entrava nel locale, con in cuore la speranza. Le ore scorrevano con il suo sguardo fisso all’ingresso, bicchiere semipieno, per far compagnia a un’inquietudine ormai divenuta insopportabile. Aspettava, da un momento all’altro, la figura di quella signora comparire per abbagliarlo, percepire i battiti impazziti del proprio cuore, il gonfiarsi del proprio sesso. Roberto aveva avuto altre donne, prima di ritrovarla. A loro si era dato più per il bisogno di sfogare l’inquietudine che per un’esigenza d’amore. Le penetrava con intensità, certo; non poteva negare il piacere che gli procuravano, ma per lui erano corpi, bocche, vagine che soddisfacevano il proprio pene e che fotteva con la precauzione del preservativo, per tenere per sé l’unione di corpo e anima che aveva provato amando lei, la misteriosa signora di quella notte in discoteca. Spesso il giorno dopo, qualcuna di loro lo cercava, ma Roberto, con freddezza, liquidava ogni eventuale coinvolgimento: non era riuscito a provare quel sentimento misto a eccitazione, con cui l’aveva amata. Poi, un sabato l’aveva rivista là. Il cuore era impazzito, il sesso era già eretto, pronto a venire senza nessun contatto. Era di nuovo sola. Vestiva un golfino bianco, la gonna bianca e nera, un poco lunga e svasata, calze nere e coprenti, stivali neri con tacchi altissimi ma fini. Una collana fine d’oro bianco con piccola croce di brillanti si intravedeva da sotto il golfino. All’anulare sinistro brillava uno smeraldo. Roberto si avvicinò, lei lo riconobbe. “Ciao”. Lei sorrise. Si sedette nel divanetto vicino a lei. Sentì gli occhi di lei fissi su di lui. Osservavano i suoi movimenti. Forse attendevano che lui parlasse. Sentì il respiro di lei, ora sempre più vicino. Come per incanto, come se da tempo si fossero dati appuntamento là, sentì di dovere posare le proprie labbra su quelle di lei. Le sentì corrispondere al suo impulso. Lasciò che la propria lingua scivolasse sul collo di lei, che giocherellasse con il lobo dell’orecchio sinistro; lasciò che la mano sfiorasse le sue gambe, ne sentisse il fremito. “Mi sei mancata”, le sussurrò. “Dici? Non può essere… Non ti conosco nemmeno, non mi conosci… Oh, che mi stai facendo… Chi sei?”. “Questa musica mi disturba, ora. Voglio parlarti. Non qua. Ti va fuori?”. “Sì, certo… Ho bisogno di respirare un po’”. Roberto la prese per mano e la condusse fuori, lei gli indicò dove teneva l’auto. “Allora, facciamo un giro”, le propose. “Sì, con piacere…”. Marina lo fece accomodare, poi fece il giro dell’auto per salire, lui le aprì lo sportello, la vide sorridere, sentì due fitte forti: una al cuore, che stava pulsando all’impazzata; l’altra al pube, dove il sesso era eccitatissimo, si agitava, un puledro che scalpitava per tornare allo stato brado e qua correre su vaste pianure sino a vedersi scoppiare per la frenesia. Marina mise in moto, l’auto si allontanò. “Dove andiamo?”, gli chiese. “Dove nessuno potrà trovarci”. “Va bene”. Lei teneva la mano sul cambio, lui ne scrutava i movimenti, allungò la propria mano per accarezzare il braccio di lei, la sentì trasalire. Poi, come se lei sapesse quello che ora sarebbe accaduto, come se tra loro fosse scattato qualcosa e non occorrevano molte parole, le strinse il polso e lo spostò dal cambio sul suo pube; poi lo fece scivolare per farle sentire, da sopra i jeans, come il proprio sesso pulsava e desiderasse essere accolto dalle sue mani. A un certo punto, Marina dovette fermarsi. Cominciava a essere presa dall’ansia e temeva di perdere ogni controllo di sé. Trovarono una via buia e appartata. Roberto, con quella mano di lei appoggiata sul proprio ginocchio, slacciò i bottoni dei jeans, spostò lo slip e lo tirò fuori. “Che stai facendo?”. “Ho voglia di te, vedi? Già eretto, già pronto. Io lo tocco qua, senza paura, di fronte a te”. “Matto… sei matto…”. “Guardalo, invece. Vero che vuoi che io continui? Dillo che lo vuoi!”. “Sì… lo voglio! Continua, dai! Oddio… cosa sto dicendo!”. “Sst! Guardalo come sta provando piacere per te… Ha voglia di venire ora”. “Sì, fallo venire, ti prego!”. “Voglio venire sulle tue mani. Dammele!”. Marina congiunse le mani e sentì la cappella che sfiorava il palmo. Roberto passò l’altro braccio dietro il capo di lei, l’avvicinò a sé, la baciò ripetutamente, mentre il proprio sesso godeva nelle mani di lei. “Che ore sono?”. Marina apre gli occhi, muovendo la mano per tastare se il pene ha sempre voglia di lei. Lo sente sussultare al suo contatto. “Ancora tre ore”. “Di già’?”. “Non pensarci. Dedicati a lui”. “Sì”. Si china per accoglierlo tra le labbra, lo infila in bocca, Roberto sente la lingua come lo assapora, lei gli butta un’occhiata per scorgere un sussulto nel suo viso, poi apre le labbra, lui sente il suo respiro, lei gira intorno al pene con la lingua, scivola bramosa dalla cappella, al glande, ai testicoli e ritorna su, leccando lentamente. Gira obliquamente la testa e finge di dargli un morso, i suoi denti con delicatezza si posano sulla carne di lui. Lo bagna ancora con la lingua, altra saliva che le dita spargono intorno. “Sì, oh sì! dai, amore, ti sento…”. “Ti piace così?”. “Tanto… Oh, mi fai venire”. “Mi piace sentirlo dentro la mia bocca”. Torna a prenderlo tra le labbra. Lui sente un’onda pronta a straripare. Il ritmo della mano di lei e della lingua gli procurano intenso piacere, quell’onda sale, fatica a trattenerla, lo toglie all’improvviso dalla bocca di lei, lo afferra nella mano destra, la distende sul letto, le divarica le cosce, allarga con le dita sinistra le labbra della vulva e poi, sotto i gemiti di lei, la penetra con desiderio, muovendolo dentro, con i testicoli a sbattere sulla vulva, uno sbattimento di passione, sin quando non le viene dentro, strappandole altri mugolii. Poi, sfinito, si butta sul corpo di lei, il proprio viso a toccarle la guancia, la mano di lei ad accarezzargli il capo. Sente le labbra baciargli il lobo dell’orecchio sinistro, poi la guancia, per posarsi sulla propria bocca e chiudersi in quel loro irrefrenabile amore.
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