Quel giorno Janine non era andata a lavorare. Si era data malata, perché la sera aveva uno spettacolo extra in una famosa discoteca e la direttrice del teatro non le avrebbe consentito di andarvi se lei non le avesse dato la regolare percentuale che spetta all’agente dell’artista. Così, per tenersi tutto l’ingaggio aveva preferito darsi ammalata. Il caso volle che quella sera nella discoteca in questione capitasse Mario, una “testa di legno” del teatro dove lavorava Janine. Sessant’anni passati tra imbrogli e traffici di ogni tipo e l’aria da vecchio gangster da far west, Mario non aveva mai avuto gran simpatia per Janine. Quando voleva essere gentile la definiva “troia montata”, figuriamoci quando non voleva. Vedendolo tra il pubblico la zoccola impallidì. Pensò che Lolly, questo il nome della direttrice, avesse mangiato la foglia e lo avesse inviato a controllare. Così non era, ma poco importa. Fatto sta che il pubblico era talmente numeroso che non ebbe neanche modo di avvicinarlo durante la sua esibizione. Né poté farlo dopo visto che era attesa da due uomini, padre e figlio, che per la modica cifra di un milione e mezzo se l’erano aggiudicata per il resto della notte. (Per la cronaca: se la sbatterono alla grande, irrorandola di sborra tre volte ciascuno, e alla fine ebbero anche la soddisfazione di sentirla squittire che s’era divertita ed era disponibile a ripetere l’esperienza). Il giorno dopo la mignottona andò al teatro temendo che Mario avesse parlato e questo potesse costarle il lavoro o quantomeno una bella multa. Arrivando lo trovò proprio sull’ingresso. – Ciao, Mario – disse, sfoderando il più falso dei sorrisi. – Ciao – rispose lui guardandola divertito. – Hai detto qualcosa a Lolly? – Non è ancora arrivata. – Glielo dirai?- Certo. Perché non dovrei?- Ti prego, non lo fare – gli disse cercando di assumere un’aria dolce.In quel mentre si vide Lolly sbucare in fondo al viale, così Janine si affrettò ad entrare dicendogli che ne avrebbero riparlato dopo lo spettacolo. Durante il suo numero non riuscì a distogliere lo sguardo da Mario, che a sua volta la guardava con un beffardo sorriso sotto i baffi. Quindi poco prima che lei finisse di esibirsi, lui uscì dalla sala e andò ad aspettarla in camerino. Quando lei rientrò, con addosso solo le scarpe e un cinturino nero attorno alla vita, fu molto sorpresa di trovarlo lì. – Che fai qua?- Non avevi detto che dovevamo parlare dopo lo spettacolo?- Sì, ma non qui. Di fuori. Dai!- Invece voglio parlarne qui. Così dicendo abbassò la lampo e tirò fuori un cazzo già abbastanza in tiro.- E adesso, se non vuoi essere licenziata, inginocchiati e datti da fare! – le ordinò.Janine chiuse a chiave la porta del camerino ed eseguì. Conosceva assai bene quel genere di situazioni per sapere che non aveva altra scelta. Aveva da poco cominciato a pompare che bussarono alla porta: “Janine, apri, sono Marta!”. Mario, che in quel momento le teneva il cazzo in gola comprimendole la testa contro il suo corpo, fu lesto a rispondere: “Ha la bocca piena, non può parlare!”. La ragazza dietro la porta ebbe un attimo di stupore, poi compresa la situazione, si allontanò con una leggera risata.Appena poté respirare la bocchinara sbottò: – Perché le hai detto cosi? Adesso andrà a dirlo a tutti. – E allora? Hai succhiato il cazzo a mezza Roma… che ti vergogni a succhiare il mio? – Ma mica devono saperlo tutti.- Guarda, scema, che appena hai finito sarò comunque io a raccontarlo a tutti. Ci mancherebbe che mi faccio scappare un’occasione simile!- E se ti chiedono perché, che gli dici? Che mi hai pagata?- Sì, figurati! Mo’ davo i soldi a una come te. Gli dico semplicemente che dovevi guadagnarti un favore, punto e basta. Così dicendo le sbatté nuovamente l’attrezzo in bocca e lo tirò fuori solo dopo averle fatto ingoiare fino all’ultimo una grandiosa sborrata, come non gli veniva da anni. Uscendo, prima ancora che lei si rialzasse, le ringhiò un “ciao, zoccola” e corse a vantarsi della sua “impresa”.Per tutto il pomeriggio Janine non uscì dal teatro.
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