La lettura del romanzo “Il nome della Rosa” aveva generato in me una autentica passione per tutto ciò che è medievale. Stimolata da questo testo e da altri che in seguito avevo letto sullo stesso argomento, decisi di fare un viaggio in Francia. Durante una settimana di vacanza avrei visitato le principali abbazie e cattedrali medievali di quel paese. Prima d’allora avevo intrapreso numerosi altri viaggi all’estero, mai da sola però, ma sempre in compagnia di ragazze o ragazzi. Quella volta decisi che sarei partita con la sola compagnia del mio Wolkswagen California. Paray le Monial, piccola cittadina nel Dipartimento di Saone-et-Loire, meta di popolari pellegrinaggi, fu la prima città che visitai all’inizio del mio viaggio nel cuore della Francia, il mattino seguente alle prime luci dell’alba ero in viaggio verso Cluny. Da sempre avevo associato la presenza di religiosi con le abbazie e i chiostri, ma dopo due giorni di visite nei monasteri non avevo visto traccia né di frati né di monaci. Presa com’ero dalla passione per la storia e la religione, avevo rifiutato ogni contatto con altri turisti, dedicando ogni attenzione all’arte e alla storia di cui erano impregnati quei luoghi. Fu straordinario visitare Bourges e la sua cattedrale, restai incantata nel contemplare le vetrate caratterizzate da frammenti di lastre di vetro, variamente colorate, dalle calde tonalità rosse e blu, fissati l’un l’altro con piombo in modo da formare disegni e motivi ornamentali che componevano un insieme d’incomparabile bellezza. Fin da bambina ero affascinata dalla religione e dai religiosi. Da entrambi avrei voluto trovare una risposta agli interrogativi della mia esistenza. Durante il mio peregrinare avevo preferito lasciare in valigia gonne e abiti scollacciati e trasparenti. Giravo con indosso i jeans e una camicetta con maniche arrotolate ai gomiti. Erano già trascorsi quattro giorni dalla partenza dall’Italia. Mi restavano da visitare la cattedrale di Chartres e sulla strada del ritorno quella di Nevers. La giornata estiva era uggiosa. La pioggia fine ed insistente aveva preso a cadere fin dal primo mattino senza interruzione. Il clima era quello del tardo autunno, anche se eravamo in piena estate. Lasciai il campeggio Comunale di Chartres e m’incamminai verso il centro della città. Su un promontorio che domina tutta la vallata era ben visibile la cattedrale di Notre Dame. Per ripararmi dal freddo avevo indossato un maglione pesante e un ombrello mi riparava dalla pioggia. Alla vista di quel capolavoro di arte Gotica ne rimasi così estasiata da sentirmi male. Accadde mentre mi trovavo all’interno nella navata centrale. Stavo con il capo rivolto all’insù ad osservare i due rosoni del transetto e quello sulla facciata, quando mi prese un capogiro. L’eccezionale bellezza di quel luogo aveva provocato in me un tale stato d’eccitazione che persi i sensi. Quando ripresi conoscenza mi ritrovai sdraiata per terra col capo parzialmente sollevato che appoggiava sulle cosce di un uomo. Dalla tunica che indossava era chiaro che si trattava di un ecclesiastico. Per facilitarmi il risveglio, l’uomo mi accarezzava il viso dandomi dei leggeri buffetti sulla guancia. Da quella posizione, accovacciata sul suo grembo, potevo sentire il gonfiore del suo membro. Più seguitava ad accarezzarmi, più aumentava di volume l’affare che teneva fra le cosce. L’uomo mi sollevò di peso con le sue possenti braccia e mi strinse forte al petto, dopodiché prese la direzione del recinto del coro che si trovava nella parte posteriore della cattedrale. A quell’ora il posto era poco frequentato da turisti e fedeli, forse per questa ragione era venuto soltanto lui in mio soccorso. Scese una ampia scalinata fino a raggiungere un luogo semibuio che presumevo essere la cripta della cattedrale. Poco dopo mi trovai sdraiata sul freddo pavimento del sotterraneo con lui accanto. Non mi ero ancora completamente ripresa, ma considerai che il fresco della cripta avrebbe contribuito a farmi stare meglio. L’uomo, con molta discrezione, fece scivolare la mano sul mio seno. Probabilmente era sua intenzione ascoltarmi i battiti del cuore e sincerarsi sul mio stato di salute, pensai, molto ingenuamente, ma non fu così. Il contatto con la sua mano invece di calmarmi mi provocò un inconsueto desiderio sessuale. Fin da ragazzina avevo covato il desiderio di fare all’amore dentro una chiesa, quella poteva essere l’occasione giusta per realizzare la mia fantasia e decisi di non lasciarmela scappare assecondandolo nel suo compito, poco importava se nemmeno avevo visto il viso del mio salvatore. Nell’oscurità del luogo ne scrutavo i lineamenti, sembrava abbastanza giovane, dimostrava sulla trentina di anni o giù di lì. Presi la mano che teneva appoggiata sul mio seno e la portai sotto la cinghia dei miei jeans, mi ero preparata ad un suo rifiuto che però non arrivò. La sua mano s’incuneò sotto l’elastico delle mutandine fino a raggiungere i lunghi peli arricciati del pube che prese a stendere con un certo fervore. Ho sempre goduto nel sentire le dita di un uomo che penetrano fra i mie peli, dolce preludio ai successivi piaceri. Il prelato prese ad esplorare il terreno intorno la fica. Si sentiva sicuro in quel luogo a lui molto famigliare. Lo assecondavo fingendo d’essere ancora svenuta, anche era chiaro che non lo ero affatto. La mano andò ad adagiarsi sullo sfintere del mio culetto. Il contatto mi fece ribollire ed ebbi un breve sussulto. Impaurito ritirò la mano. Lo fermai in tempo, premendo con dita sul suo braccio. Rassicurato dal mio intervento, infilò nuovamente le dita soffermandosi sulle grandi labbra e il clitoride. Un vero puttaniere quel prelato! Sapeva bene dove indugiare! La fica era così bagnata che prese ad impiastrarmi i peli con il mio umore. Ad un tratto si alzò. Si avvicinò alla porta da dove eravamo entrati e serrò l’uscio con un chiavistello, poi venne verso di me. Avevo riaperto gli occhi e guardavo la volta della cripta. Lo spazio attorno a me era illuminato dalla luce dei ceri posizionati dinanzi alle statue di alcuni santi. Le pareti erano decorate con affreschi che raffiguravano scene evangeliche. Dopo avermi tolto dai piedi le Adidas, mi sfilò jeans e mutandine, mi divaricò le cosce intrufolandosi con le ginocchia nello spazio fra le ginocchia. Le mani scivolarono sotto il tessuto del maglione e afferrarono i miei seni nudi. Quel figlio di troia ci sapeva fare. L’avevo capito subito, fin dalle prime carezza. Mi circuiva, senza fretta, accrescendo il mio e il suo desiderio sessuale. Quelle mani che con tanto amore distribuivano l’estrema unzione sapevano anche dare piacere, soprattutto al mio corpo. Stavo con gli occhi chiusi e il capo reclinato sulla spalla, mi sollevò il mento e iniziò a liberarmi di camicia e maglione. Ero senza reggiseno e la vista dei seni gli procurò, per sicuro, un certo turbamento. Ci si tuffò sopra con la bocca ed iniziò a succhiare i capezzoli come un lattante. Ai suoi morsi facevo corrispondere sussulti di piacere. Lo guardai in viso. I capelli, neri, abbastanza corti, gli ricadevano sulla fronte a frangia. Gli occhi azzurri, contrastavano col colore dei suoi capelli. Il viso leggermente scavato e lugubre, evidenziava una bocca ben modellata. Ai miei occhi appariva bellissimo, specie con indosso il saio marrone che però si tolse di dosso. Sotto la veste era come i giovani della sua età: indossava jeans e maglietta. In poco tempo ci ritrovammo nudi entrambi. Era di carnagione scura, cosa abbastanza inusuale per la gente di quelle parti. Magari era solo abbronzato, pensai. I pettorali erano ricoperti da un abbondante strato di peli scuri, come le gambe. Non ci scambiammo una sola parola, comunicavamo con l’appetito dei nostri corpi che si cercavano per soddisfare il piacere della carne. La cappella luccicava alla luce riflessa delle candele. Non era un cazzo molto casto il suo. Appariva ben scappellato, segno evidente che lo teneva in piena attività. Il religioso stava inginocchiato fra le mie gambe. Istintivamente gli afferrai l’uccello e presi ad accarezzarlo. Dopo averlo inumidito con un poco di saliva cominciai a menarlo. Godeva nel farsi masturbare. Lo avevo intuito dall’espressione del viso che accompagnava i movimenti della mia mano con celestiali languori. Allargò le gambe mettendosi con le ginocchia ai lati del mio torace, all’altezza delle mammelle. Prese a sputare saliva nell’incavo che separa i miei seni e v’infilò dentro il cazzo. L’uccello scorreva senza alcun attrito, facilitato nei movimenti dalla saliva che spruzzavo sulla cappella ogni volta che mi si avvicinava alla bocca. Rantolavo di piacere, mentre avrei desiderato ingoiare l’uccello, che in quella posizione, ahimè mi era negato. L’uomo, all’apice dell’eccitazione, si rimise in piedi. M’invitò ad inginocchiarmi e assaporare l’uccello con la bocca. Se si trattava di fare un pompino il frate era cascato bene. Li so fare in cento modi diversi, da gran puttana. Per non accelerare il suo piacere non mi aiutai con le mani. Decisi che lo avrei fatto sborrare a colpi di punta di lingua. Mi piace leccare le palle, lo faccio con tutti gli uomini prima di succhiargli l’uccello. Iniziai a trastullargli le palle con la lingua. Le succhiavo una alla volta, inglobandole nella bocca come se fossero mandarini. Lo scroto si arricciò fino a compattarsi. Con la lingua presi a salire lungo i cocorpi cavernosi fino alla cappella. Il colore era diventato di un rosso intenso e pulsava dal momento che stava accumulando sangue nelle sue arterie. Affondai le labbra in quella dolce prelibatezza . Presi a succhiarlo così intensamente che quasi mi mancò il respiro. Se la fica era infiammata di piacere, il suo cazzo non era da meno. Lo percepivo nel momento in cui gli sfioravo con la punta della lingua l’ilo uretrale. In quel caso lo sentivo tremare in tutto il corpo. Lui si ritraeva per il troppo piacere. Aumentai i movimenti della bocca secernendo più saliva. Lui avrebbe voluto che rallentassi l’azione in modo da prolungare il già intenso piacere. Io invece lo incalzavo, succhiandolo come un’indemoniata. Iniziò a tremare da capo a piedi. Tirò indietro il bacino e il cazzo fuoriuscì dalla mia bocca sborrandomi in pieno viso. Con la mano ingurgitai di nuovo il cazzo. Le successive sborrate penetrarono direttamente nella mia gola. Di quel seme non ne andò persa una sola goccia. Stavo ancora leccando le tracce di sborra depositate ai lati della mia bocca, quando mi fece inginocchiare alla pecorina. Infilò il cazzo ancora umido di sperma nella fica e iniziò a pomparmi. Quella non era una delle mie posizioni preferite. Quel giorno però, forse per colpa dell’atmosfera che si respirava nella cripta o forse per le dimensioni del cazzo, incominciai a urlare di piacere. Le pareti della fica presero a contrarsi sull’uccello. Le mie natiche entrarono in simbiosi con la sua verga assecondandolo i suoi spostamenti. Eccitato dal mio stato confusionale accelerò i movimenti. Ebbi un orgasmo vaginale talmente profondo che ebbi l’impressione che stesse per bruciarmi il cervello. Lui venne ricadendomi tutto tremante sulla mia schiena. Ebbe appena il tempo di sfilarsi. Sborrò, riversandomi dell’altro sperma sul culo. Restammo in quella posizione per alcuni interminabili secondi, poi si sollevò. Tolsi dalla borsetta una confezione di fazzoletti di carta e gliene porsi un paio, dopodiché mi asciugai il fondoschiena dalle scorie del suo seme. In pochi minuti ci rivestimmo entrambi. Indossai jeans, camicetta e maglione. Lui, indossò il saio. Prima d’andarsene mi diede un tenero bacio sulla piega delle labbra. Da una tasca del saio tolse un cartoncino colorato che all’istante mi sembrò essere un “santino” e me lo mise in una mano. – Au revoir mademoiselle. Fu l’unica parola che pronunciò durante il tempo in cui eravamo stati insieme. Andò verso la porta della cripta, tolse il catenaccio e scomparve dirigendosi verso recinto del coro. . La pioggia era cessata. Appena fuori dalla cattedrale presi la strada del campeggio. L’intensità del rapporto sessuale mi aveva provocato una certa sete. Decisi d’entrare in una caffetteria per farmi una birra. Nel locale erano presenti pochi avventori. Mi accomodai al bancone e ordinai una Corona. Stavo sorseggiando la bevanda quando mi soffermai a guardare alcuni avventori che attorno ad un tavolo discutevano animatamente. Con grande stupore vidi fra loro l’uomo che poc’anzi avevo conosciuto nella cattedrale. Il camice lunghissimo, di colore marrone chiaro che nella penombra della cripta avevo scambiato per un saio, era un lungo camice da lavoro. Aveva sì, una croce rossa disegnata sul cuore, ma restava sempre un camice da lavoro! Sorpresa da quella scoperta, andai ad aprire la borsetta. Fra i documenti c’era il “santino”. Su un lato era raffigurata l’immagine di una croce di legno. L’altro lato riportava una scritta: Alain Darriere- Pompes Funèbres.
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