Nella sera in cui rientrava definitivamente in città, Francesco compiva trent’anni. Faceva caldo, ma c’era una discreta brezza marina e il traffico gli sembrava di minuto in minuto sempre più insopportabile. Aveva passato gli ultimi quindici anni in Spagna, a Fuentevejuna, dai parenti di suo padre, aveva studiato e lavorato tra Madrid e Siviglia, era stato spesso, se non felice, almeno spensierato e aveva maturato la decisione di tornare in Italia, nella città che era stata di sua madre. Il taxi, che lo portava nella casa che Francesco aveva preparato per sé nei mesi precedenti, avanzava a fatica tra ingorghi indisciplinatissimi ed irritanti. Francesco avrebbe voluto possedere la pistola dell’oblio, quella cosa che ti permette di far svanire all’istante l’automobilista cafone cancellandolo dal consesso umano come se non fosse mai esistito.Per quindici anni esatti della sua vita Francesco aveva vissuto a Napoli. Per quindici anni aveva desiderato andare via da Napoli. Per quindici anni aveva odiato il traffico, l’insofferenza verso le regole, la sporcizia. Per quindici anni aveva desiderato un mondo che non aveva mai vissuto, qualcosa che avesse giardini pubblici, autobus, nettezza urbana. Una città vivibile.Il tassista lo depose sotto casa, lo aiutò a scaricare le ultime valigie, pretese, senza ottenerla, una mancia opzionale. Per tutto il viaggio, lo aveva trattato come un turista. Francesco aveva perduto il suo accento, ma non aveva acquisito la cadenza spagnola. Lo tradiva a volte la costruzione poco italiana delle frasi, l’uso sottilmente inappropriato di certi vocaboli che in spagnolo sarebbe suonati adatti, ma che in italiano suonavano esotici.La segreteria telefonica funzionava già. Dentro c’erano dei messaggi di benvenuto di amici, quelli che erano sopravvissuti alla lontananza con le sole visite estive e occasionali. I suoi vecchi compagni di interail. Silvia lo invitava a una festa per l’indomani, ma dimenticava di fargli gli auguri di compleanno. Era la prima volta. La festa era in una villa ai piedi del Vesuvio. Fiaccole silenziose illuminavano il cammino verso il buffet attraverso il giardino -un agrumeto profumatissimo- . Silvia era passato a prenderlo mezz’ora prima, non si vedevano da un paio di anni, Francesco l’aveva trovata un po’ invecchiata. Attraversavano il giardino guidati dal brusio della festa e dalle luci tenui. Francesco si chiedeva cosa pensasse Silvia di lui -era invecchiato? Aveva trent’anni ormai…-. Silvia era più grande. Aveva tre o quattro anni in più. Erano cresciuti praticamente insieme, avevano giocato e si erano pestati da piccoli, finché lei non aveva cominciato a diventare adolescente e si era dimenticata di lui. Poi, negli anni della Spagna, erano ricominciate delle telefonate puntuali e premurose, da sorella maggiore. Silvia era stata una presenza rara ma costante nella sua vita, aveva accolto le sue confessioni di adolescente e poi di giovane uomo, i suoi dubbi, le sue scelte. Non era per caso che l’aveva invitato lì, nella sua prima sera a Napoli. Era una specie di silenzioso bentornato, qualcosa come un rito beneaugurale.Francesco pensò che Silvia era un po’ invecchiata, ma probabilmente più interessante. I capelli biondo cenere, piuttosto mossi, le labbra piene, un fisico un po’ abbondante ma piacevole. Una volta l’aveva spiata nel bagno dal buco della serratura (aveva una dozzina d’anni, non di più).Si erano trovati nella zona del giardino dove c’era la festa vera e propria. Faceva caldo. A tratti folate di vento rinfrescavano l’aria. In lontananza il Vesuvio spadroneggiava sull’orizzonte. Silvia lo riempiva di feste, gli chiedeva dei suoi ultimi due anni, delle donne, del lavoro. Era visibilmente contenta di vederlo. Francesco era tornato a Napoli per lavorare come correttore presso una casa editrice. In realtà la sua mansione ufficiale era di traduttore e revisore per lo spagnolo. Di fatto avrebbe corretto bozze. Nel tempo libero avrebbe lavorato ad un romanzo che aveva cominciato a scrivere e che sperava di pubblicare. Napoli si risvegliava, in quel periodo, c’era un discreto fermento culturale, c’era gente che pensava e che faceva pensare e in qualche modo Francesco aveva sentito il bisogno di essere lì. Sentiva di dover cogliere il momento. Silvia lo ascoltava parlare delle sue velleità letterarie con atteggiamento protettivo. Era stata lei a procurargli quel lavoro.Accanto a loro passò un uomo piuttosto alto, ben vestito, dall’aria vaga e distratta. Silvia prese Francesco per il polso e sorrise:· Ti faccio una confessione piccante -Conoscevano piuttosto bene le rispettive vite sentimentali.- E’ quello che hai lasciato? – chiese Francesco.- No – sorrise maliziosa – E’ quello che sto cercando… — Mi hai portato qui per farti da complice in un abbordaggio !? — Perché, io non l’ho mai fatto per te? -Naturalmente l’aveva fatto. In qualche estate in Spagna o in giro per l’Europa. Aveva anche finto di essere sua sorella, qualche volta, per non scoraggiare eventuali pretendenti. Cominciò un lento.- Andiamo a ballare – fece lei.Mentre ballavano gli disse chi era. Era arrivato da poco come lettore in università, nel dipartimento in cui Silvia era ricercatrice. Si chiamava Davide. Non si erano scambiati mai ancora nemmeno un buongiorno, ma questo significava poco. La tattica di Silvia consisteva nell’osservare per qualche tempo l’oggetto del suo desiderio e poi calare all’improvviso nella sua vita, inesorabile e a volte dolorosa. – Tu dici che posso ancora essere interessante per uno così? – chiese lei.- Effettivamente sei piuttosto invecchiata e messa male – rise Francesco. Silvia lo colpì con una ginocchiata impercettibile alla vista, ma molto meno ai genitali.- Stronza – bisbigliò lui.Lei gli dette un piccolo bacio di scuse sulla guancia. – Approfitti di me – disse.- Lo farei volentieri – rise di nuovo lui – ma per te non esisto — Scherzi, non fosse che ti considero quasi un fratello… — Ma se hai anche dimenticato che ho fatto trent’anni -Lei smise di ballare.- Dio mio! Ieri era il tuo compleanno! E sono trent’anni…! E’ colpa di quell’uomo che mi ha rincretinito. Mi perdonerai? -Lui scosse la testa:- Mai! — Troverò il modo di farmi perdonare, vedrai. Prima di sera. – gli dette un altro bacio sulla guancia – Auguri per ieri -Il fantomatico Davide passò di nuovo accanto a loro e Francesco ebbe modo di guardarlo con più attenzione. Silvia fece qualche commento sulle sue piacevolezze estetiche. A Francesco non parve particolarmente eccezionale, ma era comunque una persona che non passava inosservata. A volte, Francesco temeva di essere poco obbiettivo nel giudicare gli uomini di Silvia. Provava una sottile gelosia nei confronti di quella donna un po’ più grande, che era stata adolescente quando lui era bambino e donna quando era adolescente. Sempre un po’ il suo sogno segreto, al punto che se gli avessero chiesto di dire se Silvia fosse una bella donna o meno non avrebbe saputo rispondere. Era Silvia e basta. Qualcosa che aveva la consuetudine degli anni. Qualcosa di più vicino a un simbolo che a una donna.Al passaggio di Davide, Silvia scomparve. Francesco si ritrovò solo. Cominciò a vagare un po’ spaesato per la festa, godendosi la brezza che si andava rinforzando, un paio di drink preparati con discreta sapienza, un paio di fugaci visioni di belle donne… Trovò qualcuno con cui chiacchierare per un po’, poi cominciò a sentire la stanchezza della giornata precedente. Verso mezzanotte si sentì toccare su una spalla. Si voltò. Silvia lo guardava raggiante.- La tua missione è andata bene? – chiese lui.- Non del tutto. E’ ancora presto per dirlo – rispose lei – Ma ho il tuo regalo di compleanno -Francesco sorrise:- Una sorpresa? -Lei non rispose. Gli fece cenno di seguirla nella villa e lui la seguì incuriosito. Dentro era molto bello. Lei lo portò in un labirinto di stanze che sembrava conoscere bene. Erano tutte affrescate e ben conservate. Una sognante penombra dominava, l’unica luce proveniva del giardino esterno, illuminato con le fiaccole. Francesco era sempre più curioso. Cominciava a pensare che la dimenticanza di Silvia fosse stata una finzione, un modo per sorprenderlo. Arrivati alla fine di un corridoio lei aprì una porta, prese Francesco per mano e lo portò dentro con sé. Nel buio.… – Qui dentro c’è il tuo regalo – disse lei.Francesco si guardò intorno, ma non riusciva a distinguere nulla. La stanza era completamente buia.- Posso accendere la luce? – chiese.- Non credo che tu ne abbia bisogno. Conosci bene il tuo regalo… -(No, non poteva crederci).-… Da quasi trent’anni…-Le dita di lei si posarono sulle sue labbra e luì trasalì. Gli sembrava una fantasia proibita. Sentì le labbra di Silvia posarsi sulle sue (gli sembrarono incredibilmente morbide), sentì la lingua di lei cercare la sua e poi la sua mano scendere delicatamente sul suo corpo fino a scivolargli sui pantaloni, a cercare il pene e a sfiorarlo per sentirne l’eccitazione. La strinse tra le braccia e lei si svincolò:- E’ solo il tuo regalo di compleanno, ricorda. -Lui la tirò a sé e stavolta la strinse in modo che non potesse sfuggirgli.- D’altra parte non avevo altro sotto mano – continuò lei sorridendo. Gli parlava sulla bocca, ma senza toccargli le labbra. Gli sfiorava il cazzo con la mano e poi lo lasciava all’improvviso.- Vuol dire che se è un regalo posso fare di te quello che voglio…- disse lui.- E cosa vuoi? – Lui la spinse contro la parete e le sbatté violentemente il cazzo tra le gambe. Le posò le braccia sotto il sedere e la sollevò di qualche centimetro. Lei gli avvolse le gambe intorno alla schiena e si strofinò contro di lui.- Sei sicuro che è già questo quello che vuoi? Non sprecare desideri… -Continuò a parlargli sulla bocca, ma stavolta lui fu più rapido. Raggiunse le sue labbra prima che lei potesse ritrarsi. Cercò avidamente le labbra di lei e poi la lingua di lei e la baciò con foga, stringendola tra le braccia, cercando di tenerla ancora sollevata da terra. Questa volta lei lo accettò, ricambiò i suoi baci mentre gli accarezzava il collo e la schiena, mentre si strofinava contro il cazzo ormai di pietra.- Fammi scendere – gli sussurrò.- Perché? – – Per consegnarti quella parte di regalo che non hai ancora il coraggio di chiedere -Lui la lasciò libera. Lei lo baciò sul collo e poi sul petto, mentre gli sbottonava piano la camicia, continuando a parlagli, a sussurrargli piano:- Dimmi solo quante volte lo hai sognato. Quante volte te lo sei toccato pensando a me -Lui le posò una mano sulla testa e la accompagnò verso il basso, mentre lei trovava finalmente i pantaloni, si inginocchiava ai suoi piedi e gli tirava giù, con lentezza esasperante la cerniera. Alla fine a lui sembrò di scoppiare. Le prese la testa con una mano e tirò fuori il cazzo con l’altra. Glielo spinse in bocca come se da questo dipendesse la sua vita e cominciò a scoparla riempendole la bocca., cercando di immaginare quelle labbra che nel buio non vedeva strette intorno al suo cazzo che sembrava scoppiare. Dopo il primo assalto le permise di rallentare. Lei lo lasciò uscire un po’ e prese a leccarlo per tutta la lunghezza, mentre gli accarezzava le palle con le mani, mentre leggermente dischiudeva le labbra per accogliere solo la punta nella sua bocca e carezzarla con la lingua.- Parlami ogni tanto – le chiese – mi sembra impossibile che sia tu, qui nel buio — Dovresti lasciarmi la bocca libera per parlare – rise lei -Te la senti? -Appena disse questo riprese il suo cazzo in bocca, fino in fondo, quasi a ingoiarlo, godendo del potere che aveva su di lui in quel momento. Quando si accorse di stare per venire, Francesco la tirò su verso di sé, le sollevò il vestito e tirò giù i suoi slip, cercò con il solco della fica e lo infilò dentro, senza preamboli. Lei si strinse a lui per sentirlo più dentro, persero l’equilibrio e caddero a terra, senza smettere neanche per un istante, mentre lei gli si aggrappava con tutte le sue forze e lui cercava di raggiungerla dove non poteva essere raggiunta.Vennero quasi insieme, mentre lui la aiutava toccandole il clitoride con le dita e contemporaneamente scopandola col cazzo dentro di lei.Restarono stesi a terra ancora per un po’, immobili, scambiandosi qualche silenzioso bacio a fior di pelle, finché lei non si mosse. Si alzò e si rivestì alla meno peggio.- Ti aspetto fuori – disse – Ma dammi un po’ di vantaggio, non mi va che ci vedano uscire insieme da una stanza buia — Chissà cosa penserebbero – sorrise lui.- Buon Compleanno -Quando Silvia uscì, Francesco si concesse ancora qualche secondo di riposo, più per riprendersi dalla sorpresa che dalla fatica. Si asciugò con un fazzoletto e si ricompose in silenzio, guardandosi intorno.Poi vide l’ombra muoversi in fondo alla stanza. Trasalì spaventato, per un attimo, reso suggestionabile dall’ondata di emozioni che aveva provato sino a quel momento. Si rintanò immobile nell’angolo in cui avevano fatto l’amore e cercò di guardare meglio nell’ombra. La cosa si mosse di nuovo. Era una figura seduta su una poltrona in fondo alla stanza ed era sempre stata là.- Chi c’è? – disse Francesco.L’ombra non rispose. Francesco cercò con gli occhi la porta, furioso con se stesso per essersi lasciato spaventare come un bambino. Poi l’ombra parlò:- Vieni avanti -Era una voce di donna.Senza sapere perché Francesco fece un passo avanti.- Vieni fin qui – ripeté la voce.Un’età indefinibile. Un tono pacato e pieno di autorevolezza. Una voce suadente e ferma.Francesco fece ancora qualche passo verso la poltrona sulla quale era seduta la donna.- Inginocchiati qui davanti – disse la voce.Senza sapere perché Francesco si inginocchiò ai suoi piedi. Come ipnotizzato. Affascinato dal controllo che quella voce emanava. Esorcizzando l’infantile paura che aveva provato qualche attimo prima nell’unico modo possibile: accettando il potere di quella voce. Si inginocchiò ai piedi della poltrona e pronunciò delle parole che gli suonarono strane e contemporaneamente naturali:- Sì, Signora — Bravo, mio schiavo. Mi piace che tu sia obbediente -Si sentiva soggiogato e prigioniero e contemporaneamente felice e sollevato e terribilmente eccitato all’idea di essere lo schivo di quella donna senza volto. Accostò la fronte verso il pavimento e cercò con le labbra i suoi piedi. Lei lo aiutò. Le porse un piede inguainato in una scarpa da sera e lasciò che lui glielo baciasse. Poi, gli posò un piede sulla testa e lo costrinse a chinarsi a baciare anche l’altro. Era la prima volta nella sua vita e Francesco lo fece con voluttà.Lei si sporse verso di lui. Gli prese la testa tra le mani e si sollevò il vestito fino a scoprirsi tutte le gambe ed il bacino. Lui le baciò le gambe (portava un paio di calze autoreggenti), lei gli schiacciò la testa sulla fica, ripetendo il gesto che lui aveva fatto con Silvia poco prima. Lui affondò tra le labbra morbide come se fosse stato l’unico desiderio della sua vita, come se non avesse mai aspettato altro e riconobbe definitivamente il controllo di quella donna su se stesso, per tutta la vita, in ogni istante della sua vita. Le affondò le lingua tra le labbra della fica e gli sembrò che niente potesse essere più eccitante, mentre sentiva le parole di lei, nell’ombra:- Non avrai mai il permesso di guardarmi in faccia, schiavo. Sarai mio in ogni momento io lo desideri e farò di te ciò che voglio. Mi chiamerai Signora o Padrone ed ogni tuo errore sarà punito. Accetti, schiavo? -Mugolò in qualche modo il suo assenso e lei lo schiacciò ancora di più con la faccia sul suo sesso, finché non venne. Poi gli ordinò di uscire e tornare immediatamente a casa. Gli fece scrivere il suo numero di telefono su un foglietto che lasciò accanto alla poltrona.Fu il suo primo giorno.(Scrivetemi cosa ne pensate. Volete che questo racconto venga continuato?inombra@hotmail.com)
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