A me piacciono le storie vere, ma questa è una storia quasi vera, perché non sempre i nostri desideri s’incontrano con la realtà. “Come splendidi corpi di defunti sempreverdi pianti e sepolti dentro un mausoleo la testa fra le rose, coi gelsomini ai piedi — tali a noi sembrano i desideri che passarono senza avverarsi mai; e non uno che trovasse la sua notte di voluttà o un suo mattino lieto.” Constantinos Kavafis Conobbi Alessandra nella mia città – quale non ha importanza -, dove lei si trovava in ferie. Alessandra aveva gli occhi grandi, da cerbiatta ed il naso all’insù. Soprattutto aveva un magnifico paio di gambe: solide, perfettamente disegnate, gambe da ballerina, e le gambe – come dice una vecchia canzone – a me piacciono di più. Il culo, pure quello era ben fatto: rotondo, sporgente, come tutti i culi belli. Aveva pure le tette grosse – irresistibile -. Infine era ‘scoppiata’: non solo nel senso di libera da legami – ed era questo che m’interessava -, ma – come dopo avrei scoperto – in preda a neurosi da matrimonio. Decisi perciò ch’era degna d’ogni mia attenzione, laddove lo scopo delle attenzioni medesime era appunto ed esclusivamente lo ‘scopo’. Per farla breve, l’equivoco (grosso equivoco) sugli scopi reciproci – si veda l’anzidetta neurosi da matrimonio – m’indusse a trasferirmi a Milano, presso di lei. La decisione non fu però immediata. Dopo che lei fu tornata a casa, colsi la prima occasione per andarla a trovare. Arrivai a Milano nel primo pomeriggio di una calda giornata di settembre e, naturalmente, appena fummo soli a casa sua, ci provai. La prima volta ci masturbammo reciprocamente. Non badai al fatto che, contrariamente alla maggioranza delle donne, quando sono al culmine dell’eccitazione, non chiese d’essere penetrata. Alessandra, com’ella stessa dichiarava, era infatti ‘clitoridea’: non riusciva a raggiungere l’orgasmo con la sola penetrazione, ma, durante il coito, aveva bisogno di una costante, intensa stimolazione del clitoride: un vero stress. Un po’ per evitare lo stress ed un po’ perché ho una specie di fissazione, mi dedicavo molto al sesso orale, nel senso del cunnilingus. Non che ch’ella rifiutasse la fellatio, ma lo faceva più per debito di reciprocità che per piacer suo. Il suo era un lavoro meccanico, privo di trasporto, di un minimo di passione. Mi diceva: “Avvertimi quando stai venendo.” Una sapiente fellatrice riesce a sentire l’approssimarsi dell’orgasmo maschile – credo -. Ad una sapiente fellatrice non fa schifo ricevere lo sperma in bocca – salvo poi sputarlo subito dopo -. Non le dissi mai che la sua era una vana preoccupazione: difficilmente sarebbe mai riuscita a farmi venire in quel modo. Non saprò mai cos’avrebbe fatto, se l’avessi avvisata. Il cunnilingus era dunque la costante dei nostri rapporti. La fica di Alessandra era una bella fica. Leccargliela era veramente un piacere. Era bello leccarla e toccarla; con quel suo monte di venere paffuto come una pagnottina e le labbra carnose e tenere. Amavo sentire la testa stretta fra le sue bellissime cosce, solide e vellutate. Io a quel tempo stavo cercando un lavoro a Milano e così leggevo annunci; preparavo curricula; facevo il casalingo e pensavo molto al sesso. Una sera Alessandra, appena tornata dal lavoro, ricevette una telefonata e se ne stava seduta sul divano a parlare con un’amica. Mi venne il desiderio di leccargliela. Tutto il giorno avevo pensato a lei ed a quello che avremmo fatto al suo ritorno. Mi piaceva l’idea di farla godere mentre era assorta nelle sue chiacchiere; di farla godere suo malgrado; di costringerla a dissimulare il suo piacere con la sua interlocutrice. Ho sempre trovato altamente erotico fare sesso con una donna vestita. Ero soprattutto curioso di sentire l’odore della sua fica, dopo un’intera giornata fuori di casa e senza un bidè a portata di mano. Sono fissato col cunnilingus perché m’eccitano straordinariamente gli odori che si formano nell’area perineale di una donna. Ho letto sul Dizionario dell’Erotismo che questa cosa si chiama osfresiolagnia. Amo la melange di sudore, secrezioni vaginali, forse qualche traccia d’urina e chissà cos’altro che connota olfattivamente l’inguine femminile. Le sollevai la gonna e poggiai il naso all’attaccatura delle cosce. Sentii un odore forte, greve, deliziosamente dolciastro, ‘stagionato’; odore di fica non lavata dal mattino, odore di femmina. Alessandra cercò di scansarmi, ma non ci fu verso. Le strappai le mutande, divaricai a forza le cosce e m’immersi in quella fonte di delizie. La mia iniziativa l’aveva colta di sorpresa, anche infastidita, magari, per via della telefonata; perché consapevole di non essere – come si dice – fresca come una rosa, o perché probabilmente una donna colta e romantica (o forse una donna tout court) come lei avrebbe desiderato qualche tenerezza, un approccio più sofisticato a quell’inattesa aggressione. Continuai a leccare, con lei che sembrava in preda alle convulsioni e, mentre le succhiavo il clitoride come una ventosa, e mi deliziavo del suo odore, mi tornò alla mente un fumetto porno che mi aveva eccitato e divertito – una signora, dopo aver convinto un giovanotto a leccargliela, diceva:”…quando non sentirai più l’odore l’avrai leccata tutta.” – ed io mi chiedevo se sarei riuscito a fare altrettanto. Per risparmiarmi lo ‘stress’ non cercai dopo di fare l’amore con lei, ma le suggerii di farmi una sega. Farsi masturbare da un’altra persona è sempre una ‘fatica’, ma quella volta ero così eccitato che sarebbe bastato il suo sguardo per farmi venire. Ricordo ancora la sua mano stretta intorno al mio pene, tutta coperta di sperma. Quella sera mi sembrò di avere raggiunto il massimo della tensione erotica con Alessandra; anzi le proposi di rifarlo tutte le sere, al suo ritorno, a condizione ch’ella mi offrisse ogni volta una fica altrettanto fragrante. Alessandra però — come tutte le persone del nostro ambiente e soprattutto le donne — era stata abituata a guardare con sospetto tutti gli odori corporali, considerandoli senz’altro manifestazione olfattiva di una scarsa igiene personale o, peggio, di una malattia. Ai suoi occhi c’era perciò qualcosa d’insopportabilmente morboso nel mio esplicito desiderio d’annusare quella che per lei era solo una vulva non lavata. Inoltre, era risentita con me perché quell’episodio l’aveva resa consapevole della sua fica — seppure suo malgrado — puzzolente; fatto per lei assai sgradevole. D’allora in poi dovetti accontentarmi di leccare la sua fica lavata e senza odore. La lasciai un mese dopo, perché non sopportavo più lei e non sopportavo più Milano.
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