L’avventura iniziò nel pomeriggio di cinque anni fa, mentre stavo nel mio ufficio al quarto piano di una sonnolenta città di provincia del Nord-Est. Stavo concludendo una relazione per trattare la vendita di una società per azioni veneta ad un gruppo brianzolo. Un lavoretto che avrebbe portato alle casse del mio ufficio il 5% della cifra sottoscritta nella transazione. Fu mentre mi godevo l’idea di staccare una fattura decisamente interessante, che squillò il telefono. “Dimmi Cristina.” – risposi alla mia segretaria. “C’è la sua amica Annie al telefono.” Amica? Tutte le Annie che conoscevo erano amiche: l’avvocato, la titolare di un’agenzia di pubblicità, la moglie di un mio cliente, ed altre ancora. Forse questa Annie aveva solo un tono più amichevole delle altre. Presi la linea. “Marco?” Era la titolare dell’agenzia di pubblicità. E il suo tono era amichevole. “Ciao Annie! Tutto bene?” “Benone, grazie. Senti.” “Dimmi.” “Cosa fai stasera?” Finsi di guardare l’agenda. “Niente di importante.” – mentii. – “O comunque nulla che non possa essere rinviato.” “Hai voglia di venirmi a trovare?” “Sempre.” – sorrisi. Annie è molto bella. Bionda, capelli lunghi e fluenti, occhi castani, visino rotondo, labbra perfette, misure proporzionate, formosa e solida, vitino sottile, tacchi a spillo portati da dio adatti ad una donna alta centosessantasette centimetri e dotata di due gambe lisce e perfette. Annie aveva avuto una storia con me, breve ma intensa. Una storia che era nata con passione quando lei aveva vent’anni ed io trenta, finita poi senza drammi anche se francamente io di tanto in tanto cerco regolarmente di montarla, perché il mio desiderio per lei affiorava e scompariva con la regolarità di un fiume carsico. Però lei non era più stata a letto con me da quando si era innamorata dell’uomo giusto che, se non erravo, adesso era anche suo marito. Sapevo quindi che, come altre volte, anche quella sera, novanta su cento, mi avrebbe parlato di lavoro. Ma Annie valeva questo e altro. “Vieni da me alle 21? Puoi?” Questo era insolito. Quando usciva con me era per lavoro, o perché era sola o perché il suo uomo era in viaggio. Suo marito sapeva che tra me e lei c’era stata una storia e che ogni tanto ci incontravamo, ma non era geloso perché sapeva anche che da quando si erano messi insieme lei non era più stata con un altro. “Dopocena?” – le chiesi più con una certa meraviglia che per avere conferma. – “Dove vuoi che andiamo? “Restiamo a casa, se non ti dispiace.” “No, certo che non mi dispiace.” “A dopo allora.” “Ciao.” Chiamai la segretaria. “Cristina, per favore disdici l’appuntamento di questa sera con il commendatore. Digli che ho una riunione che mi occuperà fino a mezzanotte e che devo tenere il cellulare spento.” “OK.” Ripresi in mano la tastiera per concludere la stesura della relazione, ma con poca concentrazione. Per scaramanzia non volli pensare che Annie avrebbe scopato con me, oltretutto che a casa sua mi sembrava poco probabile. Tuttavia, la cosa mi stava intrigando più del necessario. Alle ventuno di quella sera, quando il mio orologio segnava esattamente le nove, suonai il campanello di Annie. Avevo portato un mazzo di garofani rossi, ma non ero sicuro di aver fatto bene. Avvicinando l’orecchio alla porta sentii un sacco di rumori quelli tipicamente generati da una donna che si è accorta di essere in ritardo. Quindi tutto a posto, pensai soddisfatto, e attesi con pazienza. Quando mi aprì, indossava un accappatoio morbidissimo di spugna bianca con il marchio verde ricamato sul petto dell’Hotel de Russie di Roma. Capelli biondi al momento raccolti, occhi e labbra sorridenti, lineamenti dolci e perfetti. Mi chinai a baciarla sulla guancia. “Wow!” – esclamai. – “Hai un profumo di pesca addosso che mi viene voglia di mangiarti!” “Non sono sola.” – mi bisbigliò all’orecchio. Mi irrigidii immediatamente. “Devo andarmene?” “No.” – rispose con un filo di voce. – “Devi fingere di pensare che io sia sola.” “E’ il tuo uomo?” – chiesi piano. “Sì. Vuole vederci insieme. Tutto a posto. Fai come se non ci fosse.” La guardai scettico e interrogativo. “Vuole ucciderci, vero?” “Non dire stronzate e fai come se non ci fosse.” “Sei impazzita.” “Per favore…” “Annie…” “Ti prego…” “Ok, ok, va bene…” – sussurrai entrando. Tanto, ormai mi avrebbe ucciso comunque dal momento stesso che avevo suonato alla porta. Mi fece strada e mi accompagnò in salotto. Poi andò in cucina per tornare con un vaso di cristallo pieno d’acqua. Vi mise dentro i garofani. “Faccio in un baleno.” – disse poi ad alta voce, sparendo nello spogliatoio. Mi domandai se avevo alternative allo stare al gioco, quali implicazioni ci sarebbero state, che cosa avrei dovuto fare… Chissà, forse non mi avrebbe ucciso, si sarebbe limitato a storpiarmi. Decisi di andarmene e mi alzai. Annie mi venne incontro con un bellissimo vestito di seta color nocciola con pois bianchi. “Grazie dei garofani. A me i fiori piacciono tantissimo.” Mi fece riaccomodare nel divano, passò ad accendere lo stereo, andò a prendere una bottiglia di champagne e due coppe, poi abbassò le luci, accese un candelabro e si mise a sedere vicino a me. Era chiaro che ormai non me ne sarei più andato. Non vivo comunque. Brindammo sfrontatamente all’amore e al sesso e bevemmo una lunga sorsata di Taitinger gelato. “Ti ho preparato un programmino interessante.” – mi disse poi ad alta voce appoggiando il bicchiere. – “Tu te ne starai qui seduto, io vado nello spogliatoio e mi cambio con indumenti sempre più succinti, poi ogni volta vengo qui a farti la sfilatina erotica. Che ne dici di questo spogliarello in passerella?” “Fantastico!” – risposi ad alta voce in modo che sentisse anche il suo uomo. Era chiaro che lui stava nello spogliatoio ed io incominciavo a rassegnarmi all’idea che lui balzasse fuori da un momento all’altro. Alla fin dei conti ne avrebbe valso la pena. Tuttavia, la coppa di champagne aveva fatto il suo subdolo lavoro, perché ora si stava intrigando tutto in modo davvero imprevisto. Vera o falsa che fosse la presenza del suo uomo, mi stava facendo eccitare anzitempo. Chapeau! alla mia cara Annie… Sparì di là ed io rimasi con la musica e con la mia seconda coppa di champagne. Ne masticai una lunga sorsata facendo frizzare le bollicine in bocca e mi accomodai meglio nel morbido divano. Quando la musica raggiunse il momento migliore, lei uscì dallo spogliatoio. Indossava una microgonna bianca aderente con una maglietta nera di pizzo. Le sue cosce erano magnificamente abbronzate e perfettamente lisce. Io avevo sempre amato accarezzargliele e desiderai di farlo anche adesso. Ma stavolta non avrei potuto farlo. Mi si avvicinò a passo di danza muovendo, come le indossatrici, le anche prima delle gambe mettendo un piede davanti all’altro. Sembrava una dea. Alzai gli occhi e vidi che la maglietta metteva in risalto seni e capezzoli, anche se la profonda scollatura scopriva solamente la schiena. Quando si girò, infatti, potei avere conferma che non portava reggiseno. Si abbassò flettendo le ginocchia, mi si fece intorno e si rialzò, il tutto con dei movimenti studiati e calibrati in modo che io potessi vedere tutto ciò che portava sotto. Sentii l’erezione farsi strada dandomi una piacevole sensazione di potere. Me lo sistemai con una mano cercando di non farmi vedere da lei. “Se vuoi accarezzarmi, fallo pure…” – disse con calore e senza preoccuparsi che qualcun altro la sentisse. Non me lo feci dire due volte ed io con la massima innaturalezza le misi una mano dietro la coscia destra, per salire poi con la carezza fin sotto alla minigonna. Lei portò il peso sull’altra gamba in modo che potessi risalire il gluteo gustandone l’elasticità. Il tanga che portava sembrava un piacevole invito per le mie dita. Che pezzo di figliola… Le guardai il viso e la vidi soddisfatta dell’effetto che sapeva di farmi, eccitandosi anche lei della mia mano. Mi accarezzò la guancia, poi si girò e se ne tornò nello spogliatoio, mentre la seguivo con lo sguardo domandandomi come ne sarebbe uscita tra un po’. Ci vollero tre o quattro minuti prima che venisse fuori, stavolta con addosso della biancheria nera. Mutandine e reggiseno, calze e reggicalze, indossando un paio di pantofole con tacco alto e fiocco anteriore. Le mutandine erano un po’ più coprenti del tanga che portava sotto la minigonna, dando alla scena un raffinato erotismo di classe. Si portò a me, fece un paio di giri su se stessa, mi si girò di schiena e mentre le guardavo il culo lei si piegò elegantemente in avanti fino a toccarsi la punta dei piedi. Fantastica. Volevo saltarle addosso e montarla di brutto senza strapparle le mutandine. Ma lei sgusciò dalle mie voglie tornando nello spogliatoio con maliziosi movimenti. Quando dallo stereo uscirono le note del Bolero di Ravel in versione elettronica, vidi uscire la mia amica che indossava solo un perizoma di cuoio nero stile sadomaso. I seni erano scoperti, mentre due mollette di legno le stringevano i capezzoli tenendoli collegati con una catenella dorata. Le sue mani erano legate dietro la schiena con un’altra catenella e tenute in tensione verso l’alto grazie ad un anello del collare attraverso il quale era stata fatta passare la catenella. La cosa si faceva più interessante, anche perché in bocca teneva un frustino da cavallo pure nero. Era una stupenda cavalluccia ed io ero il cavaliere per il quale era stata preparata, lo scudiero, lo stalliere, il fantino, il signore assoluto. Si portò a me, si inginocchiò, mi porse il frustino e io lo tolsi dalle sue labbra. Con quello le accarezzai il seno tenendola per la catenella e poi, quando la lasciai, si alzò e si girò di schiena porgendomi le natiche. Mi diede uno sguardo di complicità girando un attimo la testa verso di me. Allora le sfiorai le natiche con la parte finale del frustino e mi divertii come il gatto col topo facendole desiderare la frusta fino ad implorarmi. D’improvviso le diedi una scudisciatina che la colse di sorpresa facendole sfuggire un “Ah!”. Sobbalzò un attimo sbattendo i tacchi per terra e facendo vibrare elasticamente i suoi stupendi glutei. Attirato dal loro movimento elastico diedi un mordone lasciandovi il segno della mia dentatura. Poi le scaricai ancora un paio di frustate incrociate più decise, quindi la lasciai tornare nello spogliatoio. Mi rannicchiai sul divano attendendo con trepidazione il suo ritorno. Stavolta uscì con un solo microtanghino, una cravattina a farfalla al collo e un paio di sandalini con tacco, il tutto dello stesso colore argentato. Mi soffermai a studiare il tanghino minimale che copriva appena appena il sesso, mentre due cordine argentate proseguivano verso l’alto risalendo le pieghe inguinali fino a fare il giro attorno alla vita sopra il sedere. Le tette mostravano orgogliosamente la loro terza misura e mi domandai se avrei potuto morderla anche lì, ma lei si girò per mostrarmi il culo, la cosa che sapeva mi piacesse di più. Lo guardai estasiato, accorgendomi però che nessun cordino risaliva dal mezzo delle natiche per raggiungere il girovita del tanghino. Mi stavo giusto chiedendo come faceva quel triangolino di stoffa argentata restare così aderente al sesso senza un sostegno posteriore, quando lei mi venne in aiuto intrecciando le braccia dietro la schiena per poi piegarsi voluttuosamente in avanti di quel tanto che bastava per mettermi in mostra la fessura del sedere. Allargò un po’ anche le gambe tenendole elegantemente tese, così potei vedere il trucco erotico del costume indossato dalla mia amica. Il cordino posteriore scompariva nell’ano di Annie. Mi si girò per sussurrarmi nell’orecchio qualcosa. “Ti piace?” – domandò soddisfatta. – “L’estremità inferiore del triangolino ha una pallina da golf che va inserita nel sedere. E’ così che sta aderente. Se vuoi verificare, prova ad estrarla. Fai attenzione però a non toglierla del tutto…” Tornò a mettersi in posizione per consentirmi di osservarle la fessura del culo. Fantastico! Una cordina elastica uguale a quella del girovita entrava nel suo culo. Mi avvicinai ancora con le dita tra le natiche e le presi il cordino. Poi lo tirai un po’ verso di me, gustandomi il senso di fastidio che sapevo di provocarle in quel momento, dato che le vidi contrarre il muscolo dello sfintere. Lei sapeva di eccitarmi da morire e mi lasciò giocare per un po’. Io mi divertivo tirare in fuori e poi mollare, accorgendomi che in quella maniera la stavo masturbando analmente in maniera sopraffina. Allora diedi un certo ritmo fino a farle seguire le mie mosse. Iniziò ad ansimare, ed ogni volta che mollavo lasciando ritornare la pallina nel suo alloggiamento, lei muggiva sempre più forte. Allora mi portai con la bocca tra le sue natiche per afferrare l’elastichino con i denti e proseguii così la mia azione erotica. Mani, naso, denti, lingua e cordino… Una miscela formidabile. “Ah! Ahhh!” – urlò infine. – “Vengo, sì vengooo!” Non aveva mentito, perché il triangolino d’argento si era bagnato. Le reazioni all’orgasmo che ebbe in quella posizione non le dimenticherò mai, perché era come se mi stesse offrendo il culo in mille maniere, scuotendo tutto il corpo che ruotava intorno al suo buco del culo in orgasmo. Quando le cedettero le gambe si allontanò da me per portarsi a passo veloce nello spogliatoio. Stavolta passò più tempo e decisi di cambiare CD mettendo della musica Old English. Quando uscì era completamente nuda, scalza, i capelli sciolti indietro fin sotto alle spalle. Andò a sedersi sulla sedia di alcantara, si mise comoda, allargò le gambe e accavallò una coscia sul bracciolo. “Sei perfettamente liscia.” – le dissi avvicinandomi, accarezzandola con l’esterno delle dita. – “Come hai fatto a raderti così perfettamente? Sembri una bambola di celluloide…” “Ceretta.” “Dio mio!” – mi sfuggì, pensando al dolore che doveva aver dovuto provare. Ma l’effetto era davvero straordinario. “Mangiamela, ti prego.” – implorò lei. E, lo giuro, liscia com’era non chiedevo di meglio. Mi misi in ginocchio davanti a lei. Per un attimo pensai al suo uomo che ci stava spiando dallo spogliatoio, ma poi appoggiai la mia bocca al suo sesso indifferente a tutto e tutti. Passai decine di volte le labbra su quella dolcissima e calda umidità, provando la sensazione di succhiare un’ostrica. Poi cercai di infilare la lingua nella vulva il più profondo possibile, muovendomi con i denti come se la volessi mangiare. Ogni tanto la sfilavo per morderla con forza fermandomi solo quando potevo far troppo male. Ricordavo che questo le piaceva da morire. “Ah! Ahhh!” – riprese a godere, ed io intensificai la mia attività perché mi piaceva sentirla gemere in crescendo. Quando venne dovette abbassare la coscia portandola sopra al mio collo per fermarmi. Diedi dei baci esterni e mi sfilai da quella piacevole stretta. Dopo aver ripreso il fiato si alzò, si inginocchiò e si mise a carponi appoggiando la testa sulla sedia. “Vuoi mettermi qualcosa nel culo?” – disse semplicemente. Conosceva i miei gusti ed era chiaro che non era il pene che voleva. Si riferiva alla candela accesa che stava nel candelabro sul tavolino. Presi la candela, la bagnai infilandomela in bocca, quindi le passai una slenguazzata sul buco del culo. Gliela appoggiai e poi, verificata la strada d’accesso, gliela alloggiai ruotandola nel culo. Entrò scivolando facilmente. Guardai attonito quel capolavoro di candelabro vivente e la suggestione generata da quella fiammella romantica. Lei girò il viso per guardare che aspetto aveva, quindi si rivolse a me. “Ora abbassati i pantaloni e mettiti a sedere tu.” – mi disse con femminilità. – “Ti faccio venire sulle mie tonsille.” Si tolse dalla sedia e rimase carponi per via della candela accesa e di quello che si accingeva a fare. In un attimo avevo abbassato la zip e sfilato il pene. Ero seduto e il mio uccello restava lì da solo ad attendere di essere accolto nelle fauci di Annie. Restò a carponi e si avvicinò fino a farmi sentire l’alito del respiro sul glande, altro particolare che mi piace da morire. Il rapporto tra la donna e il cazzo, nel pompino, è del tutto impersonale. La donna se la fa solo col pene, tu non esisti; si trastulla il sesso, se lo gusta tra le labbra, se lo morde, se lo stringe tra lingua e palato godendosi l’ingrossamento che provoca e alla fine si inebria delle pulsazioni che scuotono il cazzo quando viene. Per questo io gradisco sentire che la donna è viva, e l’alito è una delle cose che ti dà questa sensazione. Guardai Annie che si gustava golosamente il tutto, apprezzai il surrealismo della fiammella che vibrava nel suo posteriore, mi gratificai con l’idea che il suo uomo ci stesse guardando dalla fessura della porta socchiusa dello spogliatoio. Probabilmente si stava masturbando, almeno così mi augurai. Che bello essere il consapevole oggetto del desiderio di Annie e del suo uomo. Una coppia trasgressiva, dove lui si eccitava ad esporre la sua donna e lei si eccitava ad eccitare lui eccitando me. Alla fin dei conti, pensai, la mia era solamente una presenza funzionale al loro desiderio. Il pompino altro non era che una masturbazione assistita fatta a me per eccitare i due marito e moglie. Dopo queste osservazioni, realistiche quanto pragmatiche, mi disposi affinché Annie con tutta passività me lo lavorasse fino a farmi toccare il cielo con un dito. Con dolcezza ed esperienza abbassò il prepuzio, quindi se lo infilò in bocca tra la lingua e il palato. Con questi fece pressione, quindi iniziò a succhiare e a farselo scorrere aumentando progressivamente il movimento di andirivieni con la testa. In pochi secondi mi sentii vicino all’orgasmo. “Vengo! Oddio vengo!” – urlai d’abitudine. Ogni volta mi pare di esplodere… Allora lei lo ingoiò fino a portarsi tutto il pene in bocca in modo che le palle appoggiassero al mento e il glande andasse oltre l’ugola. Per un attimo temetti che quel contatto le provocasse un conato di vomito, ma invece lei riuscì a muovere la lingua e dare così il sollucchero finale al mio orgasmo. Ricevette a fiotti lo sperma che il mio sesso riversava generosamente, come aveva promesso lei, tra le tonsille. Mi parve che il pene volesse aprirsi come una banana e urlai dalle sensazioni meravigliose che provavo. Era tutto finito. Lei mi baciò ancora pene palle e dintorni, poi si alzò sussurrandomi all’orecchio di lasciarla sola, di andarmene. Sparì nello spogliatoio lasciandomi quell’ultimo ricordo di candela accesa sodomizzante che la faceva assomigliare ad una meravigliosa lucciola umana. Feci dei profondi respiri, mi rivestii ed uscii richiudendo la porta senza fare rumore. Ora Annie e il suo uomo potevano scatenare l’eccitazione che si erano caricati tramite mio, premio che si erano di gran lunga meritati.
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