Capitolo 1 – La mia ragazza e il vecchio porcoNon so… alla memoria riaffiorano ogni tanto vaghi ricordi così saldamente ancorati alle emozioni in quel momento provate…Si perché le emozioni, tra le tante altre cose, sono anche un potente strumento per far riaffiorare alla mente ricordi altrimenti irraggiungibili.E più le emozioni sono intense più facilmente ricordiamo i fatti ad esse intrinsecamente connesse.Beh io fino a qualche anno fa potevo dire che le emozioni più forti me le aveva procurate il sesso.In effetti anche oggi il sesso rappresenta per me uno dei più potenti strumenti di gratificazione.Ma ora che l’età ha frenato l’impulsività e con l’esperienza ho scoperto altre forme di gratificazione più sublimi e più durature nel tempo il bisogno di gratificazione è molto mitigato.E pensare che durante la mia adolescenza ne ho combinate di cotte e di crude pur di strappare a chiunque un segno di approvazione.In altri termini ho fatto dell’esibizionismo il mio meccanismo di procacciamento di gratificazione.Così, ad esempio, la mia moto doveva essere bella, potente e invidiata dagli amici.E va da sé che la mia donna doveva essere come la mia moto: bella, appariscente e desiderata.Non so perché, forse semplicemente perché siamo tutti diversi, ma a me piaceva immaginare la mia fidanzata tra le braccia di un uomo molto più grande di lei.L’idea di vederla desiderata e concupita da un vecchio porco mi procurava dei turbamenti inverosimili.Fatto sta che all’età di 24 anni incontrai una ragazza che, sentii a pelle fin dal primo incontro, mi avrebbe aiutato a realizzare le mie fantasie erotiche covate per anni.Nel corso di sei anni, tanto durò la nostra relazione, lei passò dalla totale castità ad una irrefrenabile libidine che la portava a giacere tra le braccia degli uomini maturi che le ronzavano sempre intorno come mosconi sul miele.Stando di fianco a Lucia sembrava che il mondo fosse popolato quasi esclusivamente da vecchi maiali.Se a bordo di un mezzo pubblico eravamo seduti trovavamo chi le guardava le gambe, se eravamo in piedi trovavamo chi le si appoggiava contro il sedere o le faceva la mano morta. Nei negozi trovavamo commessi pronti ad allungare le mani. Per non parlare di colleghi di lavoro, medici, preti e via così.Ogni volta che ci succedeva qualcosa di “piccante”, anche se era sempre meno di ciò che intimamente desideravo, io provavo un piacere immenso.Non nascondo che ad ogni occasione ho sempre cercato di favorire gli eventi ma, come recita il detto: “per fare le cose bisogna essere in due”, devo ammettere che anche Lucia ha fatto la sua parte.In fondo resterò sempre convinto che Lucia, nonostante abbia sempre recitato la parte della vittima, in tutti questi giochi abbia provato una vena di piacere profondo. Tanto da farle superare il sottile senso di colpa che la portava ad accogliere le mie richieste da un lato per compiacermi e dall’altro per punirsi. In questi brevi racconti, vi narrerò le vicende che hanno segnato la nostra gioventù. Per ragioni di privacy ho dovuto cambiare riferimenti a persone e luoghi reali con nomi di fantasia.Capitolo 2 – La primissima volta in fiera vendendo hamburgerQuando conobbi Lucia, nel dicembre del 1984 io avevo 24 anni e lei 20. La mia prima fantasia in merito al terzo uomo era nata ben prima, praticamente gemella del mio sviluppo sessuale, all’età di quattordici anni.Ma con Lucia, questa mia fantasia ha avuto modo di crescere e farsi conoscere nei minimi particolari.E pensare che, per causa/colpa della mentalità mostruosamente bigotta e coercitiva della madre, Lucia all’inizio era non solo era intenzionata ad arrivare vergine al matrimonio ma addirittura non aveva ancora baciato un maschio in vita sua. Il fatto peggiore risiedeva, però, nella sua cieca fedeltà alla volontà della madre, pazza scatenata.Così la sua sessualità, che premeva vivacemente per potersi esprimere con me, ne risultava repressa. E la miscela “voglio ma non posso perché non devo” che si andava creando, era altamente esplosiva.Peraltro il fatto si rifletteva su di me che mi caricavo di desiderio ad ogni rifiuto. Pensate che il primo bacio “alla francese” lo ricevetti dopo ben tre mesi che stavamo insieme.Ricordo molto bene quel giorno: fu lo stesso giorno in cui in conseguenza di un preciso comportamento di Lucia si scatenò in me il desiderio di vederla tra le braccia di un altro uomo. All’epoca Lucia faceva danza classica e, naturalmente, seguiva i miei stessi corsi in università. Per arrotondare aveva trovato un lavoro in fiera in uno stand che vendeva panini e bevande.Quella mattina, era domenica, mentre stava andando in fiera mi telefonò come sempre per darmi il buongiorno.”…..Ho una cosa da dirti, però spero non ti arrabbierai! Ieri il capo mi ha detto che se oggi mi fossi messa la minigonna lui mi avrebbe spostato dal bancone alla cassa.”Un fulmine mi colpì a ciel sereno: Lucia così casta e pura, così casa e chiesa, Lucia della messa ogni domenica e spesso anche durante la settimana, che frequentava i Gruppi di preghiera della Comunità di Vita Cristiana dai Gesuiti, Lucia del “non te la do fino al matrimonio” decideva di passare da troia agli occhi di un vecchio maiale in cambio di una facilitazione sul posto di lavoro?Un fulmine mi passò attraverso assumendo forme opposte.Prima fu rabbia perché mi sentii preso in giro: tanti no a me e poi il primo che passa ti fa dire di sì?Poi fu profondo turbamento perché il suo comportamento realizzava la mia fantasia sessuale più recondita e che covavo ormai da dieci anni.”Come sei vestita?” le chiesi con voce alterata”Ho messo la minigonna azzurra, i collant neri, il body nero e le ballerine”Erano mesi che insistevo per vedere Lucia vestita così sexy.E lei, oggi, per un altro, con la minigonna di velluto a forma di calice rovesciato che seduta in cassa le avrebbe messo in mostra tutte le gambe e il body che, essendo aderentissimo avrebbe risaltato abbondantemente la quarta misura del seno, era un bocconcino terribilmente prelibato. Dalla descrizione sembrava vestita come la Barbie.”E poi ho sciolto i capelli”.Quella frase aveva un significato ben preciso: Lucia aveva dei bellissimi capelli neri, lunghi e ricci che teneva sempre legati e qualche giorno prima le avevo detto che i capelli sciolti la rendevano più affascinante…Ero arrabbiato ed eccitato allo stesso tempo.”Mi vieni a prendere quando finisco che poi andiamo a Messa insieme?”Ecco la consolazione: faccio la troia ma poi ce n’è anche per te.Ma la frase non era ancora finita.Mancava il colpo di grazia: “però non posso entrare in chiesa in minigonna perciò mi devo cambiare quando ho finito di lavorare”La rabbia aumentò ma non potevo permettermi di esprimerla pena l’interruzione di quel piacere che nascosto dietro la rabbia traeva alimento dagli eventi correnti.Così mi lamentai limitandomi ad insistere per raggiungerla allo stand prima che finisse di lavorare, cioè prima che si cambiasse, perché volevo scoprire a tutti costi come il vecchio porco aveva avuto modo di osservarla.Alla fine decisi di andare direttamente la mattina per trascorrere lì tutto il giorno in fiera in modo da essere sempre in zona.Speravo di carpire qualche immagine eccitante tra Lucia e il suo capo.Quando arrivai allo stand Lucia era, come promesso dal capo, in cassa. La passai ai raggi X per misurare tutti i centimetri di pelle che il suo abbigliamento succinto le lasciava scoperto. Poi cominciai a tempestarla di domande in merito al comportamento del capo ma non ricordo esattamente che risposte ottenni. Ricordo che a un certo punto della giornata Lucia era tornata al bancone. Lo spazio tra il banco e la parete alle spalle era scarso e due persone in fila non ci stavano. Così mentre Lucia, per parlare con me che stavo più in basso sull’altro lato del bancone, si era protesa in avanti mettendo il culo per aria, il suo capo continuava a passarle dietro strusciandosi pesantemente contro.Ma ad un certo punto, mentre il capo le passava alle spalle, si fermò appiccicando il suo membro al sedere di Lucia.Io restai impietrito ed eccitato ad osservare la scena. Lucia mi parlava piegata a novanta gradi come se niente fosse e invece aveva un vecchio porco alle spalle che le appoggiava con vigore il suo membro presumibilmente in erezione.Quell’immagine si fissò violentemente nella mia mente.Quando finì il suo turno di lavoro e andò in magazzino per cambiarsi la accompagnai iniziando la mia filippica in merito all’accaduto. Le feci una scenata di gelosia. Lei mi concesse un bacio, il primo, per placarmi. Ma il gesto volgare di pulirsi la bocca passandosi contro il dorso della mano peggiorò la situazione.Iniziò un’accesa discussione sull’ingiustizia nei riguardi miei che venivo trattato meno di uno sconosciuto. Io mi scaldai, la salutai e la mollai sul tram scendendo al volo ad una fermata poco prima che le porte si richiudessero.Tornai a casa e mi masturbai ripensando a quanto avevo visto qualche ora prima allo stand in fiera.Capitolo 3 – Il secondo passo: con il padre spiritualeDopo l’episodio della fiera passarono molti mesi. Mesi piacevoli ma a volte difficili: se il rapporto tra me e Lucia non era semplice ancor meno lo era con tutta la sua famiglia alla quale mi ero ritrovato sposato prima ancora di intrecciare una relazione sentimentale con lei.Erano curiosi, invasivi, intrusivi e fin qui niente di male ma erano bigotti fino al profondo e giudicavano. Su quella famiglia il giudizio divino, per intercessione materna, incombeva come una spada di Damocle sul capo di ogni componente della famiglia e io, novello affiliato, avevo il posto d’onore sotto al cappio di una forca che pendeva minaccioso.Ma non tutto il male arriva per nuocere.Lucia era una bomba sexy innescata e pronta ad esplodere proprio grazie a sua madre che, nella sua follia, da un lato passava il tempo a metterla in guardia contro i peccati del sesso, roba per vecchi maiali diceva, dall’altro la “educava” ad essere femmina iscrivendola ad una scuola di danza classica fin dall’età di sei anni, cucendole lei stessa maglioni, gonne e camicie (era molto brava, devo dire) che mettevano in risalto il suo corpo da ballerina: alta, slanciata, collo lungo, spalle morbide, seno prorompente, vita stretta, ombelico da neonato, fianchi modellati, gamba lunga, piede da geisha.Già allora aveva una predilezione naturale (ma anche qui c’era lo zampino materno: GRAZIE, MAMMA DI LUCIA!) per i tacchi alti e la biancheria intima raffinata.Una sera ci fu il saggio di danza di Lucia in occorrenza della fine del corso.Sua madre aveva voluto che Lucia studiasse danza in una delle più altisonanti scuole di ballo milanesi. Era il suo modo di sentirsi importante. Uno dei tanti errori che fanno i genitori: mandare i figli avanti per la propria strada dimenticando che i figli ne hanno già una personale da seguire.Dicevo, la sera del suo saggio di danza, Lucia si vestì in tono con l’occasione e quindi elegante.Ma cosa vuol dire elegante è da spiegare ricordando che parliamo di una ragazzina di vent’anni o poco più.Truccatissima, sotto ad un vestito di seta nero con uno spacco sul fianco sino a metà coscia, Lucia indossava una guêpière color carne (quei bustini di pizzo con abbinato il reggicalze) un paio di calze velate, i tacchi alti (non aveva ancora fatto esperienza con i tacchi a spillo) e un comune paio di mutandine.Io per l’occasione mi ero vestito in giacca, camicia e cravatta. Devo dire che ero proprio un figurino.Finito lo spettacolo e usciti dalla scuola, Lucia, sua madre e il resto della famiglia (cioè un padre succube e due fratelli buoni, per carità, ma viziati e rompicoglioni) si diressero verso la macchina. Io li accompagnai e arrivati all’auto, aspettandomi di essere invitato a proseguire la sera con Lucia mi sentii rispondere con un bel “beh, grazie della compagnia , ciao!”.Mi mollarono lì e se ne andarono a cena senza di me!Mi rendo conto che a tenermi vicino a Lucia non era l’amore che credevo di provare per lei, ma era il fortissimo desiderio di concupirla e vederla concupita.Ma fino a quel momento Lucia era molto più disponibile con un estraneo che con me.Fu proprio quel giorno che si ripeté quanto già accaduto in fiera.Avevo detto che Lucia frequentava un gruppo di preghiera coordinato da un prete, suo padre spirituale. Un uomo sulla cinquantina, molto elegante, distinto e anche affascinante. Da bravo gesuita era anche freddo e calcolatore.Quel pomeriggio Lucia, che all’epoca abitava a Monza, aveva proprio l’incontro col gruppo che si teneva vicino alla scuola di danza. Non avrebbe avuto tempo per tornare a casa a cambiarsi (di giorno Lucia era sempre in jeans e scarpe da ginnastica) quindi le parve logico e normale chiedere al padre gesuita di trattenersi nel suo ufficio dopo la fine dell’incontro per darle modo di indossare l’abito col quale aveva deciso di vestirsi per quella serata in un ambiente “chic”.A parte che dovendo sostenere un saggio, quei vestiti, uscita dallo studio del prete, se li sarebbe subito tolti negli spogliatoi della palestra per indossare il tutù e poi non poteva cambiarsi direttamente nello spogliatoio della palestra anziché nello studio di un prete che , tra l’altro, secondo me aveva pure la faccia da maiale?Naturalmente il copione fu il medesimo della volta precedente: mi telefonò in giornata per anticiparmi le sue intenzioni in merito e io con un fuoco che mi divampava dentro salendomi sino ai capelli mi infuriai non sopportando quelle che all’epoca, ai miei occhi, apparivano come delle ipocrite contraddizioni.Ecco spiegato perché io, ribelle e reazionario, quella sera accettai di vestirmi in giacca e cravatta e di entrare in un posto pieno di vecchie carampane con la puzza sotto al naso. Anche questa volta avevo deciso di seguire Lucia per poterla ammirare in abiti provocanti che amplificavano la sua abbondante e maliziosa sensualità.Volevo pure questa volta vedere anch’io ciò che il prete avrebbe visto.Il giorno successivo, quando finalmente riuscimmo a restare soli la bombardai di domande sugli avvenimenti del giorno precedente con specifico riferimento allo studio del gesuita.Mi feci ripetere più volte il racconto alla ricerca di nuovi particolari.Probabilmente più che una conversazione fu un’interrogatorio. Ma non fu certo la mia ragione a condurlo perché ciò che mi raccontò fu talmente sconvolgente che quasi provai un orgasmo senza nemmeno toccarmi. E in quelle condizioni, col cuore che batteva forte e il membro che pulsava, riuscivo solo a chiedere “e poi? e poi?”Ancora non lo sapevo ma quella dinamica sarebbe diventata frequente nel nostro rapporto. Lucia andava, faceva e poi veniva a raccontarmi l’accaduto.Quella fu la prima volta che pronunciai la frase magica “Allora come è andata?” tramite la quale per anni avrei aperto le danze.”Uffaa, ma cosa vuoi sapere?””Voglio sapere cosa hai fatto ieri pomeriggio alla fine dell’incontro.””Ma te l’ho già detto, no? mi sono cambiata e sono andata alla scuola di danza””Ho capito, ma raccontami un po’ di particolari. Quando gli altri hanno salutato e se ne sono andati tu cosa hai fatto? e padre B. dov’era?””Siamo usciti dalla stanza delle riunioni tutti insieme. Padre B. mi ha detto che cominciava a incamminarsi verso il suo studio e io ho risposto che prendevo lo zaino e lo avrei raggiunto….””E poi?””E poi sono entrata, ho appoggiato la borsa per terra e mi sono seduta sulla seggiola davanti alla sua scrivania…”ad ogni frase si interrompeva come un vecchio carillon a molla che dopo ogni manciata di note abbisogna di ricarica.”E poi?” girai la manovella”E poi mi ha detto che se volevo cambiarmi potevo farlo subito così dopo avremmo potuto parlare un po’ con tranquillità””Così gli ho chiesto se potevo andare in bagno ma lui mi ha risposto che non ce ne era bisogno e che potevo cambiarmi lì che tanto lui doveva fare una telefonata””Cosa? ma non ci credo””Te lo giuro””Che pezzo di m… ma io gli spacco la faccia. E tu non l’hai mandato a fanc…?””Ma sei scemo? ma che linguaggio scurrile usi! è un prete! mica un maiale come te!”Incredibile! io che l’ho a malapena baciata, che ancora non ho avuto l’onore di affondare mie mani nei suoi seni generosi senza ricevere in cambio una sberla sono un maiale. Invece un vecchio porco che se la gode mentre fa lo spogliarello no! chissà cosa faceva nel frattempo con la mano che non reggeva la cornetta, vero?Eppure questa rabbia era ancora una volta accompagnata da un immenso piacere che mi toglieva il fiato, mi strozzava la voce, mi dava un aspetto ebete, mi faceva tremare e mi procurava un gran desiderio di eiaculare.”Ma allora ti sei cambiata nel suo studio?” chiesi in fil di voce”Certo, cosa dovevo fare, se no?””Ma ti sei cambiata anche il reggiseno?” sembrava che le parole anziché uscire mi entrassero in bocca tanto poco fiatavo”Ma sei scemo? certo che no. La guêpière me la ero già messa questa mattina.Mentre padre B. tornava alla sua scrivania io mi sono slacciata le scarpe e quando si è girato verso il telefono mi sono alzata e mi sono sfilata i pantaloni e la camicetta””E lui non ti guardava?””Non so, mi ero girata di spalle”Che rabbia mi facevano le sue risposte: tu ti spogli davanti a un estraneo e nemmeno controlli se sbircia?”Ah, e poi?” mi limitai a dire”Poi mi sono seduta di nuovo e mi sono infilata le calze””Ah allora da seduta vedevi se ti guardava oppure no””Beh, a un certo punto ho alzato gli occhi mentre mi stavo allacciando la calza””E lui ti stava guardando””Si, ma distrattamente, mentre parlava al telefono. Ogni tanto si girava verso la finestra poi riportava lo sguardo verso di me e infine mi guardava negli occhi e mi sorrideva. Poi mi sono infilata le scarpe, mi sono aggiustata le calze e..””come ha fatto ad aggiustarti le calze?””Uffa ma che noia. Mi sono alzata dalla poltrona, mi sono chinata in avanti,..””ma eri di spalle o di faccia?””Nooo, ero di profilo, così con la coda dell’occhio ho visto che mi guardava, va bene?””Si, si, scusa, stavo solo domandando. E poi?”E poi mi sono infilata il vestito, ho messo tutto in borsa, mi sono truccata, ho messo gli orecchini e, visto che nel frattempo padre B. aveva finito di telefonare, sono andata a sedermi davanti alla scrivania e lui mi ha fatto i complimenti per il vestito. Abbiamo chiacchierato un po’ e poi me ne sono andata alla scuola.”Era pazzesco. Mi sembrava di essere al palo della tortura. Mi rifugiai in un bagno a masturbarmi.
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