Come ogni sabato andavo a trovare mio nonno, ormai ottantenne, ed ogni volta mi raccontava una storia di quando era giovane. Ogni volta che raccontava in lui si svegliava il suo spirito giovanile. Questa settimana, appena giunto, notai nei suoi occhi una certa felicità. Mi chiamò e mi disse che ormai ero grande e che era ora che io e lui parlassimo di sesso e tal proposito mi voleva raccontare una storia realmente accaduta a lui quando ancora giovane ed era in questura a Roma e cominciò: – Per quanto la mia avventura ti può sembrare piuttosto una favola, devi credermi, non si tratta di favola. – Ti crediamo – gli dissi con evidente intenzione d’incensarlo. Fosse un altro non gli crederei; ma tu non sei tipo da raccontare fandonie. – Ti ringrazio – rispose mio nonno con orgoglio – Io, come puoi comprendere, non ero nato per fare il contadino; ma quando la sfortuna ti perseguita bisogna adattarsi a tutto. Io, come ben sai, sono nativo di Napoli ed a vent’anni prestavo già servizio presso la questura centrale di Roma. A quell’epoca, non mai per offendere nessuno, ero veramente un bel giovanotto e fui prescelto per fare servizio a palazzo reale. A palazzo reale se non sono bei giovanotti, non ce li mandano. Entrando in quel luogo, ti sembra di entrare nella dimora incantata delle fate: sfarzo e lusso dappertutto. Però non bisogna meravigliarsi di nulla altrimenti se ne accorgono e il giorno dopo non ti fanno più ritornare. In quel luogo si vedono e si sentono di tutti i colori e di tutti i sapori, ma occorre non avere né occhi per vedere e né orecchi per sentire. Come si mangia, si beve e si gozzoviglia in quel luogo non ha riscontro in nessun’altra parte del mondo. . Le orge dei tabarins, dei moulins rouges e di tutti i ritrovi internazionali di alto livello, impallidiscono rispetto alle orge a cui si assiste li dentro. La notte si fa giorno e il giorno notte e con la roba che si butta via e si spreca potrebbe vivere mezza Italia. Ma non è tutto! Le principesse, le dame di corte e tutte le altre titolate che vi frequentano, dato che i loro mariti e i loro amanti sono quasi tutti rammolliti e impotenti dai lunghi stravizi che fan parte del loro tenore di vita fin dall’infanzia, quando durante le orge i fumi di Bacco incominciano ad annebbiare la mente e la libidine insoddisfatta le tormenta e le fa diventare col fiato grosso, lasciano i saloni ove l’orgia ferve più forte e si mettono a gironzolare come trasognate per le stanze solitarie Il primo giovanotto di servizio che capita tra i piedi gli fanno segno di seguirle e si fanno accompagnare nei loro gabinetti particolari. Dopo spenta la libidine e i fumi di Bacco, si pentono, hanno ti! more dello scandalo ed il povero cristo quando meno se lo aspetta si vede arrivare un colpo di pistola alla tempia da un servo fidato di palazzo che finge di trovarsi a passare per caso lì vicino. Fanno trovare la pistola per terra vicino al cadavere e subito spargono la voce che si è suicidato per delusione amorosa. E’ questa la verità. Se non ci vuoi credere, per me fa lo stesso. Io però, fin dal primo giorno, subodorai l’intrigo e decisi di stare in guardia. Una notte mentre mi trovavo al mio posto di servizio apparve in fondo al grande corridoio una dama giovanissima coperta da un tenuo velo sotto cui si vedevano muoversi le forme snelle e ben tornite. Veniva avanti dondolandosi con un lunghissimo bocchino fra i denti e gli occhi socchiusi. Quando mi fu vicina, mi squadrò da capo a piedi e poi soddisfatta mi soffiò una boccata di fumo in faccia. Un odore di tabacco dolce, di liquore soave e di profumo delizioso si sparse intorno a me. Mi disse quasi biascicando le parole: “Vieni, accompagnami”. Io pensai: “Ci siamo!”, ma non potei fare a meno di non seguirla. Attraversammo vari saloni e corridoi e giungemmo davanti ad una porta dorata. Aperse, entrò e mi fece segno colla testa di entrare anch’io. Rinchiuse a chiave. La stanza era piuttosto piccola, ma tutta splendente di ori e pietre preziose. Si avvicinò ad un piccolo bar, prese una bottiglia di vero cognàc e me la porse dicendo: “Bevi, è tutta per te!” ed andò a sdraiarsi su un grande divano. Io ero indeciso se bere o no e lei replicò autoritaria: “Bevi e non fare il delicato”. Io pensai che ormai era inutile rifiutarmi di obbedire e bevvi tre bicchieri tutto di un fiato. Lei disse: “Cosi mi piaci! Offri anche a me!”. Mentre le porgevo il bicchiere, mi fissò negli occhi e disse: “Sei un ottimo stallone! Hai mai assistito alla monta cavallina? No? E’ uno spettacolo veramente edificante. Io vado spesso in una mia tenuta per assistervi e qualche volta nella tenuta reale di Persano. Ti piaccio?” E si tolse il tenue velo che la copriva. “Siete bellissima e mi piacete moltissimo!” Feci io. “Ma avrei paura di guastarvi se dovessi toccarvi colle mie rozze mani. “Sei uno sciocco! A noi donne non piacciono gli uomini delicati e gentili. A noi piacciono gli uomini rudi e virili e vogliamo essere prese con impeto dalla nuca come fanno gli stalloni colle giumente. Sai chi sono io?” “No! Non ho la fortuna di conoscere il vostro illustre nome!” “Meglio cosi! Ma che aspetti? Avvicinati, saltami addosso! Dai prova di essere veramente un ottimo stallone”. Non vidi più, anche perché il cognàc incominciava a fare i suoi effetti. In quel momento non pensai più al colpo di pistola alla tempia che poteva aspettarmi poi. Buttai via gli abiti borghesi, perché a palazzo reale si fa servizio in abiti borghesi. Avevo davanti una fata, circa 35 anni, capelli neri, un seno,sarà stata una terza, dritto e una fica molto pelosa. Mi butto con la testa in mezzo alle sue gambe e comincio a leccare come un forsennato. Lei gemeva e si inarcava tenendomi la faccia incollata alla sua fica Quando finalmente mi lasciò la testa mi avvicinai con la bocca al magnifico sedere e mi preparai la strada inumidendo il buchetto della Signora con la lingua, picchiettando dolcemente poi sempre più insistentemente, fino a che l’area non fu completamente inumidita e rilassata, poi aiutato dalla Signora che si era messa a pecorina e con le mani teneva allargate le natiche iniziai ritmicamente ed energicamente a penetrare la Signora con il mio turgido membro. Ogni colpo veniva sentito integralmente dalla Signora che aiutata dalla spinta si sentiva penetrare fino in pancia e nel frattempo messa carponi con la mano destra si masturbava. Sentendomi prossimo a venire, rimasi qualche momento a guardare la Signora lo prendeva. Aumentò il ritmo costringendomi a farlo anch’io e dopo quattro, cinque colpi ben assestati le svuotai nell’intestino tutto il mio piacere tenuto dentro da due mesi di astinenza. Si buttò sul letto a pancia in giù, ma solo un attimo perché subito si girò e si avventò con la bocca sul mio cazzo ancora sporco di sborra. In meno che non si dica lo avevo ancora duro e la Signora rimettendosi ancora a pecorina mi disse: “Scopami come il cavallo fa con la sua giumenta, ma questa volta nella fica. Voglio la monta cavallina”. Ormai non capivo più niente presi il cazzo in mano e gli sbattei furiosamente nella fica. Non so per quanto tempo la stantuffi. Ad un certo punto la bella giumenta impallidì, si mise a gemere e cadde in deliquio. Sembrava una morta. Non sembra vero, ma il piacere intenso ha dei punti di contatto colla morte. Quando riaperse gli occhi, disse: “Non avevo provato mai un’ebbrezza voluttuosa come questa! Adesso puoi andare!” “Ora mi scacci via? E’ vero allora quando si afferma che voi donne di puro sangue siete crudeli e capricciose. Ma io non andrò via se prima non ti darò la prova che sono davvero un ottimo stallone!”, e nello spazio di poche ore la presi altre cinque volte dalla nuca come preferiva lei. Bei tempi! Vorrei avere oggi la forza di allora! Uscii dalla stanza colla testa vuota e gli occhi sognanti. Non potevo credere a ciò che mi era accaduto. Ma, ahimè! Quando mi ritrovai solo al mio posto di servizio, mi rammentai del colpo di pistola alla tempia e rabbrividii. Rimasi sempre all’erta pronto a prevenire ogni mossa sospetta; ma per fortuna non vidi avvicinarsi nessuno fino all’ora del cambio. Rientrato in caserma, marcai visita e mi rifiutai di ritornare di servizio a palazzo reale. Sentivo nelle vene il veleno voluttuoso istillatomi dalla bella dama, ma l’orrore di vedermi steso per terra con un foro alla tempia, annullava ogni voluttà che ancora avrei potuto provare. E poi ero sicuro che se quella donna mi avesse rivisto di nuovo, avrebbe finto di non riconoscermi.
Aggiungi ai Preferiti