Mi svegliai presto, verso le sei del mattino. Avevo dormito profondamente e senza sogni. Il ricordo di quanto accaduto la sera prima al cinema mi provocò un’erezione immediata. Dora dormiva accanto a me, apparentemente tranquilla. Non me la sentii di svegliarla. Andai in bagno. Mi masturbai lentamente. In piedi davanti al lavandino, con gli occhi chiusi, le immagini delle violenze subite da mia moglie che scorrevano. Sborrai con violenza. Gli schizzi arrivarono al di là del lavandino, sulle piastrelle del muro. La pulsione sessuale diminuì. Il mio lato oscuro si rilassò. Sapevo che era una condizione temporanea e che presto sarebbe ritornato padrone delle mie azioni. Ma nel frattempo sarei riuscito a parlare con Dora, mantenendo un certo equilibrio. Dopo essermi lavato e aver ripulito il bagno, tornai in camera. Lei dormiva ancora. Mi sdraiai accanto a lei. Mentre le accarezzavo i capelli, la chiamai. Dolcemente. Bastarono pochi tentativi. Aprì gli occhi e mi chiese. – Che ore sono? – Le risposi. – Quasi le sette. – Si rannicchiò contro il mio corpo, abbracciandomi. Cominciò a piangere, piano piano. Le alzai il mento, per guardarla negli occhi. Poi la baciai. Rispose al mio bacio, stringendomi forte con le braccia. Povera piccola. Se avesse saputo che il responsabile di tutte le violenze subite ero io, non mi avrebbe potuto perdonare. Né comprendere. E, in fondo, nemmeno io capivo. Sapevo che qualcosa di maligno stava lentamente crescendo dentro di me. Una personalità che si manifestava sempre più frequentemente e che mi faceva compiere azioni perverse e spregevoli. Soddisfavo i miei desideri sessuali, realizzando le mie fantasie. E la vittima predestinata di queste nefandezze era mia moglie Dora. Il mio amore. Il mio angelo. Forse dovevo farmi aiutare da un analista. O forse bastava trovare un’alternativa. Certo! Se avessi usato un’altra donna non avrei più coinvolto Dora. Ma come potevo liberarla dal ricatto dei suoi due colleghi di lavoro? Non riuscii a trovare una possibile soluzione. Ma, nell’immediato, non mi importava. Decisi di convincerla ad allontanarsi dalla città. Lei si sarebbe sottratta al ricatto, almeno temporaneamente, rendendosi irreperibile. Io, sarei stato libero di agire. Mi informai sulle sue condizioni. – Come stai? Come ti senti? – Smise di piangere. Si rannicchiò sul letto, usando il cuscino come appoggio. Mi spiegò. – Ora meglio. Vedi, non è tanto per le violenze subite o perché mi hanno usata come un oggetto. La cosa più dolorosa è non avere una via di uscita. In altre occasioni, quando mi sono trovata in situazioni al limite della sopportazione, sapevo, però, che sarebbe arrivata la fine. Che saremmo tornati alla nostra vita. E che potevamo scegliere quando e come rituffarci in un’altra avventura. Ora non è più così. Sono quei due bastardi a decidere per noi. E questo mi rende tutto insopportabile. Non riesco più a pensare al sesso come a un piacere. Tutto è diventato un incubo. Mi spiace. Soprattutto per noi due. Non ho dimenticato che, quando siamo usciti ieri sera, ti avevo promesso che al rientro avremmo fatto l’amore. Ma devo confessarti che non mi sento più nelle condizioni di farlo, se non mi libero da questa schiavitù. – La rassicurai. – Non ti preoccupare. E’ un blocco più che naturale. Ma ho pensato a come cercare la via di uscita. – Si animò. – E come? Dimmelo, dimmelo, ti prego! – Descrissi la mia idea. Almeno per la parte che potevo raccontarle. – Ti allontanerai dalla città con una scusa ufficiale. Andrai al sud dai tuoi parenti. Convincerai i tuoi ad accompagnarti. Non ci vorrà molto. Basterà dire a tua madre che ci sono dei problemi tra di noi e che ti vuoi allontanare da me per un po’. Diventerà immediatamente tua complice. So di non esserle mai andato a genio del tutto. E la versione ufficiale, per i tuoi colleghi, sarà che hai avuto un grave problema famigliare. Un lutto, per esempio. Cominceremo, così, a guadagnare tempo. Poi, eventualmente, parlerò con Aldo per farmi aiutare a trovare una soluzione definitiva. – Quest’ultima affermazione la convinse che la mia idea fosse perfetta. Il potente capo dei vigilantes ci aveva già tolto dai guai in precedenza. Dora aderì con entusiasmo. – Sono contenta che hai deciso di chiedergli di intervenire. Lui saprà consigliarci se non, addirittura, liberarci dai due ricattatori. Sei un mito. Sai sempre essere lucido e pronto. Ti amo. – E mi baciò di nuovo. Poi, aggiunse. – Per quanto riguarda i miei, hai ragione. Basterà poco. Ma chi avviserà i miei colleghi? – La mia mente perversa stava già preparando la trama dei prossimi avvenimenti. Le risposi. – Lo farò io. Sarà più credibile. Gli dirò che è successo tutto molto in fretta. Che i tuoi genitori non ti hanno lasciato alternativa. – Annuì. Continuai. – Ma devi darti da fare. Se vogliamo essere credibili, dovrai essere sparita prima della tarda mattinata. – Si alzò e prese il telefono. Era molto determinata. – Chiamo subito i miei e li avviso. Se, come penso, mio padre cercherà di prendere tempo, convincerò mia madre a partire in fretta. Le dirò che voglio essere fuori di casa e non rintracciabile prima che tu possa tornare. Non le sembrerà vero di potersi intromettere tra di noi. Ma è il minore dei mali, in questo momento. – Mentre componeva il numero, mi alzai e andai a fare una doccia. Mi sentivo nuovamente padrone del gioco. E i dettagli delle prossime mosse si delineavano nella mia mente con chiarezza, senza alcun problema. Quando ritornai in camera, Dora, efficiente come sempre, si era già vestita e stava preparando la valigia. Mi spiegò. – E’ andato tutto a meraviglia. I miei verranno a prendermi tra un paio d’ore. Ho ancora nelle orecchie i “te l’avevo detto” di mia madre. Rimedieremo, vero? – La strinsi a me. Ero convinto che al suo ritorno tutto sarebbe stato sistemato. Mi sentivo onnipotente. Sorridendo, dissi. – Renderemo credibile questa commedia con un ultimo sacrificio. Non ci sentiremo fino a che non avrò sistemato tutto. Ti chiamerò solo per chiederti di tornare a casa. Dirai che mi sono pentito e che vuoi ritornare a vivere con me. Sarà meraviglioso. – Dora stava per protestare, ma con un bacio appassionato le spensi ogni remora. La sua intelligenza le fece capire che non bisognava correre rischi. Tutti dovevano vedere una situazione coerente e credibile. Solo così il piano avrebbe funzionato. Mi staccai da lei. Mi preparai. La strinsi forte e la baciai di nuovo. Mentre uscivo dalla porta di casa si mise a piangere. In fondo era una donna. Non poteva essere perfetta. Giunto in ufficio telefonai subito a Sergio. Chiesi di lui al centralino. Rispose con voce neutra. – Si? – Usai un tono serio, ma morbido. Da complice. – Sono il marito di Dora. – Si fece sospettoso. – Cosa vuoi? – Spiegai in maniera sintetica. – Volevo avvisarti che Dora è dovuta partire d’urgenza, questa mattina, per accompagnare i suoi. Non le hanno lasciato alcuna alternativa. Si tratta di un grave lutto e mia moglie non poteva rifiutarsi di accompagnarli. – Il tono diventò minaccioso. – Mi sa che è venuto il momento di darvi una lezione. Non riesco a credere ad una sola parola del tuo discorso. – Cominciai a giocare il mio gioco. Gli dissi. – E’ la verità. E comunque ho intenzione di farvi una proposta molto interessante. Credo che vi convenga valutare la cosa, prima di prendere una decisione. – Si incuriosì. – Cosa vuoi dire? – Ero sicuro di me. Feci una pausa studiata. Poi lo provocai. – Ho una ragazzina interessante per le mani. Ha circa ventanni e potrei dividerla con voi, in attesa del ritorno di Dora. – Rimase in silenzio. Compresi che l’offerta lo allettava già dal tono della risposta. – Ti richiamo io. Dammi il tuo numero. – Gli dettai il mio numero di ufficio. Riappesi. Passarono pochi minuti. Segno che la cosa gli interessava parecchio. Questa volta fu Roberto a parlare. – Ciao, cornutone. Ti stiamo chiamando da un viva voce, così possiamo ascoltarti e parlarti tutti e due. Sergio mi ha raccontato la palla del morto in famiglia. Non penserai di farci fessi, vero? – Mi controllai. Roberto era veramente uno stronzo. Li provocai. – Capisco. Quindi la proposta che ho fatto a Sergio non vi interessa? – Rispose immediatamente, dimostrando che avevo colpito nel segno. – Certo che ci interessa. Non ti sarai offeso? – Decisi di infierire. – Se pensate che voglia tirarvi una fregatura, lasciamo perdere. La partenza improvvisa di mia moglie è un problema anche per me. Non dimenticate che sono stato io a darvi la possibilità di ricattarla affinché le insegnaste ad essere sottomessa. Ma anche perché volevo assistere e godere come è successo al cinema. La ragazzina è giovane ed ha bisogno di insegnanti come voi. – Sapevo che a questo punto avrebbero dimenticato la faccenda di Dora. Almeno per il momento. Ragionavo come loro. Ed era troppo allettante la mia offerta. Fu Sergio a parlare. – Non so cosa diavolo tu abbia in mente. Ma facciamo così. Puoi portare la ragazza stasera alle undici alla stazione della metropolitana vicino a casa tua? – Avevo in mente un piano preciso. Risposi con sicurezza. – Certo. – Sergio continuò. – Dovrà indossare una gonna corta e una camicetta elasticizzata. Calzettoni sportivi e scarpe da ginnastica, nient’altro. Né mutandine, né reggiseno. Così vedremo se, come dici, ce l’hai per le mani, o è solo una grossa palla. Noi saremo lì ma resteremo a distanza. Quando arriverà il treno giusto, ti faremo un cenno. Salirete sull’ultimo vagone. All’interno dovrete dividervi e sedervi il più distante possibile. Se tutto andrà secondo copione ci divertiremo, vedrai. – E riappesero. Tutto era andato secondo le mie previsioni. Adesso dovevo procurarmi la materia prima. Chiesi al mio capo di potermi assentare per una settimana. Gli spiegai che avevo problemi famigliari molto seri. Avvisai la mia segretaria e tornai a casa. Come previsto Dora se ne era già andata. Mi aveva lasciato un biglietto sul tavolo. Lo lessi. Diceva che mi amava profondamente. Che aveva fiducia in me. E che al suo ritorno sarebbe ridiventata la mia schiava, pronta a soddisfare i miei desideri. Ma che dovevamo evitare di trovarci ancora in quelle situazioni difficili e pericolose. Piegai il biglietto e sorrisi. Sapevo che le situazioni al limite erano diventate una droga per me. Che costringere una donna a sottostare alle perversioni di altri uomini mi permetteva di soddisfare i miei istinti peggiori. Ero malato, forse. Ma non avevo alcuna intenzione di guarire. Seduto in poltrona, cominciai a sentire il mio uccello indurirsi. Il solo pensiero di Elisabetta, posseduta da uomini a lei sconosciuti, mi faceva impazzire. Chiusi gli occhi e cominciai a masturbarmi, ricordandomi come, quando me l’ero goduta al supermercato, si fosse dimostrata piacevolmente disponibile e sottomessa. Vittima di un padre rigido e severo, era ricattata dal suo datore di lavoro, un tale che lei chiamava “signor Egidio”. La immaginai inginocchiata ai piedi del suo attuale padrone, mentre lo serviva con la bocca. Lui la teneva per i capelli e, al momento dell’orgasmo, le sfilava il cazzo indirizzando gli schizzi di seme sul candido viso di lei. Sborrai ricordando i suoi occhi da cerbiatta riconoscente. Sì, era proprio una piccola puttana che godeva a subire l’attenzione, anche perversa, degli uomini. Proprio la vittima ideale per le fantasie estreme dei due colleghi di mia moglie. Chissà cosa avevano in mente per la serata. Non vedevo l’ora di scoprirlo. Mi lavai e mi vestii. Poi, presi il biglietto su cui Elisabetta aveva annotato il nome del negozio dove lavorava e uscii. L’avrei trovata nel pomeriggio. Ma volevo parlare con questo Egidio in sua assenza. Entrai nel negozio di oreficeria una mezzora prima che chiudessero per il pranzo. Fingendomi interessato alla merce, attrassi l’attenzione del titolare, un uomo alto, sui sessanta. Era vestito in modo elegante. Abiti costosi e firmati. Calvo, abbronzato, dal fisico abbondante. Si avvicinò – Desidera? – Lo colpii a bruciapelo. – Lei è certamente il signor Egidio. Sono un amico di Elisabetta. Per la precisione il suo confidente. E so molte cose di lei, caro signore. – Lo vidi impallidire. Si girò di scatto per verificare la posizione della signora di mezza età che si trovava nel retro. Fu preso da un leggero tremore. Delle piccole gocce di sudore si materializzarono sulla sua fronte. Mi pregò, sottovoce – La prego, aspetti un momento. Tra poco mia moglie se ne andrà a casa e potremo parlare liberamente. – Annuii. Mi allontanai da lui e continuai ad osservare la merce esposta. Soprattutto quella di maggior valore. Lo vidi, intanto, andare nel retro e parlare con la donna. Poi lei si alzò e, salutandomi, uscì dal negozio. Egidio si avvicinò alla porta di ingresso e osservò sua moglie che, dopo aver attraversato la strada, entrò nel portone di fronte. Poi, bloccò la porta, espose il cartello “chiuso” e parlò. – La ringrazio per la sua cortesia. Venga, accomodiamoci nel retro. Ho detto a mia moglie che devo trattare con lei un acquisto in forma riservata. Potremo parlare con tranquillità, senza essere disturbati. – Lo seguii e ci accomodammo nel retro. Era un piccolo ufficio dotato di un tavolo in legno pregiato e delle poltroncine d’epoca molto comode. L’orefice, continuando a tremare e a sudare, mi disse. – Cosa vuole? – Non c’era bisogno di preamboli. L’uomo aveva troppo da perdere. Da ricattatore diventava ricattato. Succede. Io ne sapevo qualcosa. Dettai le condizioni. – Da oggi in poi dovrà chiedere a me il permesso di usare Elisabetta. Sono io il suo unico padrone. Le concederò di scoparla abbastanza spesso. Ma non potrà più essere il suo insegnante. Ho deciso di farle fare esperienze molto più forti. – Feci una pausa. Sapevo di provocare la sua morbosa curiosità. Tra animali della stessa specie ci si intende. Mi chiese. – E potrò farmele raccontare dalla ragazza o, eventualmente, assistere a qualcuna di queste esperienze? – Sorrisi. Ripresi. – Vedremo. Comunque, il padre dovrà continuare a credere che Elisabetta lavori in negozio tutti i pomeriggi. Anche quando la ragazza non si presenterà. Se dovesse cercarla nei giorni di assenza lei mi avviserà. Le lascerò il mio numero di cellulare per contattarmi. Quindi lei continuerà a pagarle lo stipendio. – Cercò di opporsi. – Ma mia moglie? Come farò a giustificarmi con mia moglie? – Usai un tono durissimo. – Le conviene trovare una soluzione. Penso che sarebbe peggio se venisse a conoscenza del suo rapporto intimo con Elisabetta. E poi, non posso credere che sua moglie conosca tutte le sue riserve economiche. Lei commercia in oro e pietre preziose, no? – Capii di averlo in pugno. Mi diede conferma, chinando il capo, rassegnato e vinto. Conclusi. – Inoltre passerà anche a me un buon mensile affinché io possa tutelare la sua rispettabilità e darle la possibilità di soddisfare la sua voglia di carne giovane e fresca. Pensandoci bene, se il mensile sarà adeguato, troverò certamente il modo di farla assistere a qualche esperienza educativa della ragazza. – Egidio rimase in silenzio per diversi minuti. Poi disse. – D’accordo. Accetto tutte le sue condizioni. – Mi propose una cifra molto interessante, come mensile. Era quasi pari al mio stipendio. Rilanciai chiedendo la stessa somma che guadagnavo lavorando in ufficio. Accettò. Ero andato oltre le mie aspettative. In cambio mi chiese garanzia di poter scopare Elisabetta almeno una volta alla settimana. Gli tesi la mano, per suggellare il nostro accordo. Ero veramente padrone del gioco e volevo esibire la mia superiorità. Sorrise, in modo forzato, e mi strinse la mano. Poi, mentre mi accompagnava alla porta, lo avvisai. – Si inventi qualcosa per sua moglie. Oggi pomeriggio Elisabetta non verrà a lavorare. E avvisi il padre che la ragazza, stasera. sarà con lei ad una cena di lavoro. Così l’eventuale ritardo non preoccuperà la famiglia. – Era incuriosito. Ma non osò fare domande. Salutandomi, mi disse che avrebbe soddisfatto le mie richieste. Rimasi ad attendere l’orario di apertura dell’oreficeria seduto a un tavolino di un bar adiacente al negozio. Poi, pochi minuti prima delle quattro, vidi arrivare un’auto che si fermò a pochi metri da me. Elisabetta baciò il ragazzo alla guida e scese per avviarsi verso il luogo di lavoro. La chiamai per nome. Si voltò. Rimasi piacevolmente stupito dalla sua reazione. Sorrise e venne verso di me. Era molto sensuale. Indossava un vestito aderente e camminava ancheggiando. Mi salutò con estrema cortesia. – Buongiorno. Sono contenta di rivederla. – La invitai a seguirmi per non restare nelle vicinanze del negozio di Egidio. Intese subito e accettò prendendomi a braccetto. L’uccello mi si indurì immediatamente. Il contatto con la mia vittima mi dava la scossa. E la sua disponibilità mi faceva immaginare un esito fantastico per la serata. Non ci fu bisogno di spiegazioni. Bastò dirle che avevo parlato con il signor Egidio e che da quel giorno io ero il suo nuovo padrone. Mi baciò sulla guancia, ringraziandomi. Le spiegai che sarebbe rimasta con me fino a tarda sera e poi l’avrei riaccompagnata a casa. Che per i suoi genitori lei era a cena con il signor Egidio. Sorrise. Era fantastica. Ci intendevamo a meraviglia. Dopo averle offerto un gelato, che leccò in modo provocante e lascivo, andammo in un grande magazzino. Le dissi di scegliere i capi che Sergio mi aveva chiesto di farle indossare. Trovò, aiutata da me, una minigonna blu, tutta a pieghe, e una polo bianca senza maniche. L’accompagnai verso i camerini di prova. Era un pomeriggio a metà settimana e c’era pochissima gente a quell’ora. Entrò nel piccolo locale lasciando intenzionalmente socchiusa la porta. Dal punto in cui mi trovavo la vidi togliersi le scarpe e liberarsi del vestito. Rimase con un completo bianco, reggiseno e mutandine. Si girò e mi fece cenno di entrare. Ero come un automa. Chiuse la porta e salì con i piedi sopra al seggiolino fissato ad un angolo. Si rannicchiò e, dopo avermi tirato fuori il cazzo, cominciò a succhiarmelo. Intanto si masturbava. Chiunque avesse guardato al di sotto della porta avrebbe visto solo i miei piedi. Elisabetta era proprio una favola. La sua bocca e la sua lingua non mi davano tregua. Scesi con le mani e le slacciai il reggiseno. Bastò il contatto con quei seni giovani e sodi per togliermi ogni capacità di resistere. Lasciai le sue tette e impugnai con tutte e due le mani la sua testa mentre le sborravo in bocca. Ingoiò tutto, mi ripulì e disse, sottovoce – Grazie, signore. – Era educata e servizievole. Mi sembrava un sogno. Uscii dal camerino in modo rapido. Lei richiuse la porta. Poi la aprì per mostrarsi, rimanendo all’interno del camerino. Non aveva rimesso il reggiseno, e la polo bianca elasticizzata aderiva al suo corpo evidenziando le forme. I capezzoli erano rigidi e molto visibili sotto al tessuto. La mini le copriva appena il culo. Le feci togliere gli slip. Le chiesi di piegarsi in avanti e di sedersi, sempre rimanendo nel camerino. In ogni posizione la sua fighetta era molto visibile. Poi, la feci piegare sulle gambe allargando le ginocchia. Era la posizione che preferivo. L’uccello mi tornò duro all’istante. Lasciandola vestita così, ci spostammo al reparto sportivo, per acquistare le scarpe. Si sedette e indossò dei calzettoni bianchi e corti. Intenzionalmente chiamai un commesso e gli chiesi di trovare un paio di scarpe da tennis per la mia ragazza. Lei si illuminò quando usai questa espressione. Il tizio le chiese il numero e, inizialmente, non fece caso all’abbigliamento di Elisabetta. Ma quando, su mio invito, si chinò per farle provare a calzare il primo paio di scarpe, ci mancò poco che gli venisse un infarto. Rimase per un certo tempo con lo sguardo perso tra le gambe della ragazza che, da vera maiala qual’era, le aveva divaricate a sufficienza per rendere estremamente visibile la figa. Chiesi al commesso. – C’è qualche problema? – Balbettava. Non riusciva a riprendersi. Elisabetta completò l’opera prendendo una mano del ragazzo e facendosi toccare tra le gambe. Sul viso di lui apparve un’espressione beata e un po’ ebete. Lei disse. – Le scarpe mi sembrano molto comode. Le prendo. Andiamo. – Si alzò, mi prese per mano e ci avviammo alle casse. Mentre pagavo, mi girai a guardare in direzione del commesso. Era seduto a terra, immobile. Probabilmente non aveva mai vissuto in vita sua un’emozione simile. Uscimmo dal grande magazzino ridendo. Ci baciammo con passione. E ancora lei mi ringraziò. – Sei un uomo fantastico. – Disse. – Con te posso sentirmi veramente libera. E poi mi trasmetti delle sensazioni talmente forti. Quando mi sei venuto in bocca, nel camerino, ho avuto anch’io un orgasmo. Non mi era mai successo. Potrei fare qualsiasi cosa con te. – Presi la palla al balzo. – Davvero? – Le chiesi. Non ci pensò neppure. Rispose. – Certo. Puoi chiedermi di fare tutto ciò che vuoi. Se è un tuo desiderio io non esiterò a soddisfarlo. – La baciai sulla fronte. Tutto stava andando come previsto.
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