Non ci riuscirò mai… Beatrice camminava su e giù per il marciapiede. Camminava nervosamente davanti ai gradini della chiesa. Ogni tanto gettava occhiate al grande portone, chiuso; l’impermeabile abbottonato frettolosamente. Continuava ad aggiustarsi i capelli dietro le orecchie, torturava la borsetta con mani nervose. – Mio dio… mio dio… come faccio… come… morirò di vergogna!- A guardarla, inquieta e agitata, sembrava una ragazza come tante, sui ventisei anni, alta, viso banale anche se non brutto. Una piega dura della bocca però le deformava il volto, e gli occhi erano pieni di disperazione. La mattinata non era delle migliori. Un cielo un po’ cupo, un’aria di pioggia. Pensieri sconnessi si affacciavano alla sua mente. Immagini oscene. Così le aveva sempre giudicate: oscene, perverse; aveva sempre creduto di ravvisarvi il diavolo in persona… e ora in quei lampi, in quegli scorci di serata lei vedeva distintamente se stessa. E gemeva di dolore, di vergogna e di umiliazione. Gli occhi le si inumidivano di lacrime fin troppo piante. Cacciava via quelle immagini scuotendo la testa, come se quel gesto potesse bastare… ma non bastava. Era arrivata fin lì a piedi, dopo una nottata insonne, passata a chiedersi se fosse davvero potuto succedere quello che era successo. A chiedersi se avrebbe avuto ancora il coraggio di entrare in una chiesa. Di confessarsi… . di guardare in faccia sua madre. Sentiva la testa girare. Decise di andarsi a sedere un attimo. Solo un attimo. Aveva solo bisogno di un momento per radunare le idee… per decidere cosa dire al prete. E come dirlo, soprattutto. Avrebbe preferito confessarsi con uno sconosciuto, ma non sarebbe stato onesto. Doveva farlo con il “suo” prete, quello che l’aveva tenuta a battesimo, quello che l’aveva unita in matrimonio un anno fa a quel… quel pervertito di suo marito… dio come lo odiava adesso. Era stata tutta colpa sua, e della sua devozione per lui. E dei sensi di colpa che si portava addosso fin da bambina… non avrebbe mai dovuto cedere a quelle richieste depravate… La panchina era bagnata. Si sedette, e un dolore lancinante le fece balzare violentemente alla mente quello che era successo la sera prima, quello per cui aveva così timore ad entrare in chiesa. Quello per cui ora non poteva sedersi se non con dolore. Le venne in mente di nuovo suo marito, – che il diavolo se lo porti… no no, non devo imprecare – Suo marito che la sera prima l’aveva carezzata, l’aveva fatta godere ben due volte… ora sapeva perché, accidenti. Avrebbe dovuto sospettare qualcosa… tutte quelle attenzione per lei, per il suo piacere. Non era mai stato così. Avrebbe dovuto capire che c’era qualche cosa che voleva da lei… Ma mai, mai avrebbe creduto che fosse proprio “quello”. Eppure lei era stata chiarissima, fin dall’inizio: niente masturbazioni, niente immagini immorali in casa o nel computer, niente rapporti orali, e soprattutto niente modi “contro natura”. Il sesso per lei non era mai stato importante. Le risuonavano ancora nella mente i lamenti di sua madre: “Basta, ti prego… hai già avuto quello che volevi ieri sera, che tu sia maledetto, … il signore ti punirà per questo. Dio… dammi la forza di resistere… ” Le risuonava ancora nella mente il rumore agghiacciante dei ceffoni, e il pianto sommesso di sua madre. No, Beatrice non era mai stata tanto attratta dal sesso. Aveva giurato e spergiurato che non si sarebbe mai sposata: non avrebbe mai passato quello che aveva passato sua madre. Si sarebbe fatta suora. Poi aveva conosciuto Marco. Attirato dalle sue lunghe gambe e dalla sua riservatezza, lui aveva cominciato a farle una corte discreta, quasi d’altri tempi. Non l’aveva mai forzata, l’aveva amata teneramente, e alla fine lei aveva accettato di sposarlo, anche se col terrore nel cuore e rassegnata al peggio. Sapeva che avrebbe dovuto soffrire e piangere. Ogni notte. E che tanto dolore era la giusta punizione data alle donne per aver tanto peccato, per aver indotto l’uomo in tentazione, una volta… così le avevano insegnato da bambina. E il terrore con cui sua madre guardava suo padre gliel’aveva sempre confermato. Fin dalla prima notte di nozze però, sebbene paralizzata dalla paura, aveva scoperto che Marco sapeva farla rilassare, sapeva rassicurarla ed entrare in lei con delicatezza, sapeva venire senza volgari gemiti, in silenzio, e sapeva voltarsi poi dall’altra parte e dormire senza chiederle nulla. La cosa si era rivelata accettabile, persino piacevole. Fare l’amore era permesso e, in effetti, non era poi così male. Aveva anche scoperto, con i mesi, che suo marito sapeva toccarla fino a farla godere. Come erano lontani ora quei momenti… cosa avrebbe dato per tornare indietro. Guardò la chiesa: alta, imponente… si era sempre sentita così piccola, al suo interno, così indifesa. Così bisognosa di conforto e di perdono. Aveva passato molto tempo nei suoi scantinati a pregare. Inginocchiata sul duro marmo, chiedeva perdono per colpe di cui si era convinta essere colpevole, come gli inesistenti motivi che il padre trovava per picchiare lei e sua madre. Guardandosi le mani ben curate, Beatrice sentiva che tutto quello che ora le torturava anima e corpo aveva avuto inizio una sera di 5 mesi fa, quando era venuta meno ai suoi ferrei principi, permettendo a Marco di prendersi libertà inaccettabili col suo corpo. Se la ricordava bene quella sera: Marco l’aveva toccata con insolita tenerezza, proprio come la sera prima… l’aveva fatta godere, poi l’aveva accarezzata dolcemente e le aveva chiesto sussurrando: – Vorrei… che tu me lo prendessi in bocca, amore… – Beatrice era schizzata a sedere sul letto: – Avevamo detto niente di tutto ciò, come puoi chiedermelo… solo le prostitute fanno certi… “servizietti”!-, – Ti prego amore, solo un attimo… – E lui, il suo adorato maritino, aveva tanto insistito. L’aveva pregata quasi in ginocchio. In quel momento Beatrice aveva capito che finora le era andato tutto troppo bene. Un sacrificio prima o poi avrebbe dovuto farlo, e forse era questo che capitava a sua madre quando la sentiva dire con gemiti soffocati che le faceva schifo, che le veniva da vomitare. Così si era rassegnata. Aveva chiuso gli occhi e chinato la testa sul suo membro oscenamente eretto. Aveva tirato fuori la lingua, appena un po’. Facendosi forza lo aveva leccato timidamente. Non aveva un cattivo sapore. Sapeva di sapone… Aveva sentito la mano di Marco premerle leggermente sulla testa, e il suo corpo tremare. Si stava chiedendo cosa avrebbe dovuto fare, quando lui le era venuto in aiuto – Fai come se fosse un gelato, amore… ti prego, sto scoppiando – E così aveva fatto. Aveva vinto il naturale ribrezzo e lo aveva preso in bocca, solo una piccola parte, ovviamente. La mano di suo marito sulla testa aveva fatto il resto, facendola oscillare su e giù. Le sue di mani, invece, le aveva tenute ben lontane, come per illudersi di non essere davvero lei a fare “quella cosa”, come a voler mantenere una certa distanza da quel corpo e da quell’atto. Poco dopo lui era venuto, sporcandole tutto il viso, facendole venire il vomito. Era corsa in bagno a lavarsi, piangendo piano per non farsi sentire. Beatrice era sicura che le sue disgrazie fossero cominciate proprio quel maledetto giorno. Suo marito gli aveva chiesto di ripetere quell’atto vergognoso altre volte, infatti, almeno dieci o dodici… e lei aveva sempre ceduto. Per amor suo, certo, ma anche per espiare quel famoso peccato… Si era convinta, infatti, di avere una sorta di “mutuo” da pagare, e che ogni atto impuro, ogni sacrificio fatto ad occhi chiusi, fosse per lei una rata in meno. Sopportava il tutto sentendosi una vera martire. Piano piano però la cosa non le era sembrata più tanto disgustosa. Aveva cominciato a farci l’abitudine, ed era questo, ora se ne rendeva conto, che la sera prima le aveva fatto accettare l’idea di sottostare alla sua immonda lussuria, che le aveva fatto stringere i denti e trattenere le urla di dolore. Aveva percepito, nel suo animo, che i servizietti con la bocca non erano più validi come “rate del mutuo”; non erano più abbastanza disgustosi. Sentiva di dover soffrire di più, per svolgere appieno il suo dovere di donna. Per entrare a pieno merito nel suo agognato paradiso. Stranamente non le era venuto in mente, come invece le veniva in mente ora, chiaro e lampante, che dopo quello che aveva fatto, nel paradiso non ci sarebbe mai entrata… La strada della perdizione era ormai intrapresa, e lei vi era sprofondata, suo malgrado, con tutto il suo essere. A questo pensava Beatrice, seduta, con dolore, sulla panchina bagnata. – Ma si, ben venga il dolore- Le sue scarpe erano bagnate, e cominciava a sentire freddo ai piedi. Una folata di vento gelido le scompigliò i capelli e la sua mente fu trasportata, ancora una volta, davanti a quella scena immonda, di poche ore prima. Lei carponi sul letto. Suo marito con un barattolo di vaselina in mano, che le toccava una parte che lei non aveva neanche mai avuto il coraggio di guardare allo specchio. Come era volgare e osceno tutto ciò… lui si era addirittura comprato quella cosa per lubrificare… Si sentiva umiliata anche solo a stare in quella posizione da bestia, e le lacrime le erano scese giù per il viso. Suo marito non se n’era accorto. Era troppo impegnato ad infilarle un dito dentro. Lei si era sentita morire, aveva cercato di spostarsi, ma lui l’aveva bloccata con insolita forza, e così Beatrice aveva capito che non avrebbe desistito, neanche implorandolo. D’altronde perché avrebbe dovuto farlo… suo padre non aveva mai rinunciato a sollazzarsi con sua madre, finché un infarto non l’aveva stroncato. E ora Marco si era rivelato per quello che era, per quello che tutti gli uomini sono: depravati, lascivi, pervertiti… Prima di chiudere gli occhi Beatrice aveva visto quelli di lui, febbricitanti, e le erano sembrati quelli del diavolo in persona. Suo marito sembrava preda di una lussuria incontenibile. Quell’essere, ormai ai suoi occhi mezzo uomo e mezzo diavolo, aveva cominciato a fare dentro e fuori col suo dito lubrificato, e a gemere come un animale. Dalla sua bocca uscivano parole che non gli aveva mai sentito. Quanto le aveva fatto paura… Beatrice aveva cominciato a pregare sommessamente il signore, come già aveva fatto sua madre prima di lei, di darle la forza per sopportare. Lui aveva infilato due dita dentro, strizzandole con l’altra mano un capezzolo: il dolore era stato lancinante e, in quel momento, Beatrice aveva sperato con tutte le sue forze che il signore avrebbe potuto un giorno perdonarla; che lei stessa si sarebbe potuta un giorno perdonare. Ma in fondo sapeva di essere già all’Inferno, e le sue preghiere non sarebbero servite, laggiù. Aveva atteso trattenendo il fiato quel terribile momento in cui lui l’avrebbe definitivamente dannata, violandola contro natura. Suo marito invece se l’era presa comoda, evidentemente sperando di farglielo piacere. L’aveva penetrata con due dita per un numero di volte che Beatrice si era stancata di contare, e lei non aveva più cercato di trattenere i singhiozzi. Carponi, in quella posizione innaturale, le cosce aperte a mostrare le sue parti più intime, dopo svariati minuti aveva cominciato a non sentire più il dolore, chissà perché, e la sua mente aveva vagato lontano, il più lontano possibile da quello che stava accadendo. La testa le girava, ed era svenuta crollando sul letto, quando quel diavolo che ormai la stava possedendo con le dita aveva deciso di strapparle l’anima con il suo orrendo attrezzo. Si era poi svegliata per il gran dolore, mentre il marito continuava imperterrito a godere dentro di lei, e aveva stretto il cuscino con i denti, mentre lui veniva gridandole che era una troia e una puttana. Poi il suo corpo l’aveva tradita. Beatrice, seduta sulla panchina, sentì il suo stomaco contrarsi, mentre riviveva quel momento di vergogna. Le mani le andarono alla croce d’oro che portava al collo e questo le diede improvvisamente coraggio. Correndo, piangendo, salì le scale della chiesa inciampando nel tappeto zuppo, aprì il pesante portone e se lo chiuse alle spalle. Sentì l’odore d’incenso invaderle le narici. In quell’istante capì che il prete l’avrebbe assolta dai suoi peccati, come sempre, anche se stavolta era sicura che non sarebbe bastato alzare la gonna, abbassare le mutande al ginocchio e ricevere sulla carne le sue fustigate. Ma il crocefisso di legno, che la guardava severamente mai, mai avrebbe potuto perdonarla per aver goduto di un orgasmo forte e sconvolgente, pochi attimi dopo suo marito, in quella notte di dannazione.
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