E cosi’, era arrivata a casa di questo Marco. Barbara se lo ricordava solo vagamente, compagni d’universita’…Lui sempre in giro per i corridoi della Facolta’, indaffaratissimo, con fasci di libri sottobraccio e neanche uno straccio d’amico…Lei che lo incrociava di tanto in tanto, qualche parola, ma lui andava sempre di fretta, e solo una volta le aveva chiesto di aiutarlo a preparare un esame. Strano tipo, effettivamente. Di certo non brutto, forse neanche stupido come poteva apparire. Lui si era laureato due anni prima di lei, e si erano iscritti assieme. Poi, chi l’aveva piu’ visto in giro? Magari partito per il servizio militare…E lei, subito imbucata dal padre in quella banca di merda. Nella borsetta, obbligatoriamente, la sua tessera di partito. Ma la cosa finiva li’. E lui? Aveva trovato il portone aperto ed era entrata. Mentre saliva le scale, soprappensiero, mise male un tacco sul gradino e rischio’ di rotolare di sotto. Si resse alla ringhiera, imprecando. Cominciava bene. Controllo’ il tacco, e le calze. Tutto a posto, sembrava. Arrivo’ al suo portone, suono’. Cerco’ di mettere su un sorriso disinvolto.Lui apri’ pochi istanti dopo, senza neanche chiedere prima. Era un bel ragazzone alto, non eccessivamente robusto, dai folti capelli biondi. Aveva aperto uno spiraglio di porta, s’era affacciato ed era rimasto interdetto a guardare lei."Ciao, Marco!" disse radiosamente Barbara. "Ti ricordi di me?" aggiunse poi, sentendosi molto sciocca. Lui stento’, quasi fosse molto miope, nonostante non portasse gli occhiali. La guardo’ velocemente da cima a fondo. Poi azzardo’: "Barbara?" "Si’, io!" disse. "Quella dell’universita’…" Marco si illumino’ in volto. "Mi ricordo, mi ricordo perfettamente!" esclamo’.Sembrava molto scosso, anche se felice. "Entra, dai! Che piacere!" Lei, ridendo e dicendo "permesso", entro’ nell’appartamento e lui chiuse la porta. "Quanto tempo!" disse lui. "Quanto tempo e’ passato…" "Eh gia’. Due anni, mi pare". Rideva molto, scioccamente. Non sapeva cos’altro fare. Lui sembrava piu’ imbarazzato di lei. "Ti disturbo?" provo’. Lui sussulto’. "Eh? No, no, figurati! Stavo… leggendo. Ma dammi il cappotto", disse vedendo che lei se lo toglieva. Lo prese e senti’ qualcosa scattargli dentro quando vide il suo abbigliamento. Portava una rigorosa giacca color melanzana sopra una camicetta bianca lavorata a merletti, un’aderente minigonna nera e scarpe coi tacchi. Anche le calze, velate e lucide, erano nere."E’ carino, qui" disse Barbara guardandosi attorno. "Ti sei sistemato bene". "Insomma", disse lui. La guardo’ ammirato ancora un pochino, poi le disse: "Accomodati pure. A cosa debbo l’onore di questa bella visita?". Barbara si sedette sul divano in salotto, e accavallo’ le gambe, scoprendone sette ottavi. Su di esse, le calze frusciarono rumorosamente. Aveva delle cosce da premio, osservo’ Marco.Cominciava a non sentirsi bene. "Bevi qualcosa? Un amaro?" propose subito. Lei chino’ il capo spostandosi i capelli da una parte. "Un goccio di Martini va bene, grazie", disse dolcemente. Poi, mentre lui preparava i bicchieri, disse: "Ti sembrera’ strano, ma sono qui per motivi di lavoro". "Ah, si’?", fece lui versando il Martini. "Lavoro per una banca, adesso. Il Banco *******, del quale tu sei da poco correntista…".Marco le porse il bicchiere e sedette sulla poltrona davanti a lei. "Davvero? A piazza ******?".Lei annui’, sorridendo. Poso’ il bicchiere sul tavolino e apri’ la borsetta, estraendone un cartoncino. "Il mio biglietto da visita", annuncio’. "Barbara Bellini, responsabile clienti…" lesse lui. "Pero’! Complimenti. Ma guarda che combinazione…"."Pensa che ho scoperto che abitavi qui solo perche’ il direttore dell’agenzia mi ha incaricato di venirti a fare visita e di proporti un’assicurazione", spiego’. Alzo’ il bicchiere, e brindarono. Bevve un sorso e prosegui’: "Quando ho controllato la tua cartella ho visto la fotocopia della tua patente e mi sono detta: ‘ma guarda un po’ chi si rivede’…" "Sono i casi della vita", convenne Marco bevendo d’un fiato il suo Martini. "Ma non ti ho mai vista nell’agenzia, finora".Barbara scavallo’ le gambe, allungandosi per poggiare il bicchiere vuoto sul tavolino. Sotto quelle sottili calze brillanti le sue gambe erano da capogiro. "Per forza. Io non lavoro agli sportelli, sto negli uffici chiusi al pubblico". "Be’, e’ un peccato…" azzardo’ Marco facendosi vermiglio. Barbara rise, colpita. "Be’, grazie", disse. Con calma prosegui’:"Dal lunedi’ al venerdi’ lavoro li’ dentro. Il sabato, invece, come oggi, lo dedico alle visite ‘porta a porta’, come si dice…"."Penso che sia un piacere per tutti i clienti ricevere la visita di una ragazza carina e gentile come te", disse Marco guardandole fissamente le gambe. Poi aggiunse, alzando lo sguardo: "Non sei cambiata molto dai tempi dell’universita’. Forse prima eri piu’ ragazza, ora… sembri piu’ matura, piu’ donna". Fremette vedendola arrossire."Basta, mi fai girare la testa!" rise lei. "Ma tu, dimmi, cos’hai fatto da allora? Lavori? Sei fidanzato?". L’ultima domanda fu un sussurro. Lui si fece pensieroso e assente, e il suo volto si ombro’. "Io… lavoro coi computer. Dopo la laurea ho fatto un corso, ora sono programmatore… e no, non sono fidanzato; non lo sono mai stato. Come vedi, vivo da single". Lei si guardo’ ancora attorno. Soffriva degli sguardi insistiti di lui, e gli faceva tenerezza quel suo modo dimesso di presentarsi.Poi lui si alzo’ e lei, istintivamente, si alzo’ con lui. Fu tutto abbastanza strano. Nessuno dei due prese apertamente l’iniziativa, eppure a un certo punto entrambi si trovarono faccia a faccia, che si spogliavano. Mentre lo facevano non volava una parola. Solo fuori c’era il solito casino. Marco tolse i pantaloni e la camicia, restando in slip. Barbara sfilo’ a fatica la minigonna, poi la camicetta, infine il collant. Ne aveva appena abbassato il corpino sotto i glutei che Marco l’assali’, gettandosi su di lei e cadendo con lei sul letto."Che fai!" grido’ Barbara, che era sotto di lui. Rimbalzando, Marco tiro’ giu’ la parte anteriore dello slip rivelando un organo in piena erezione. Era turgido, pulsante, solcato da vene possenti, la cappella violacea. Barbara si irrigidi’, spaventata. "Cristo", mormoro’. "Togliti le mutandine", ansimo’ Marco. "Toglitele, per Dio". Si teneva il cazzo con le mani a coppa, e tremava.Aveva gli occhi di fuori per l’eccitazione. "Le calze", titubo’ Barbara. "Fammi finire di sfilare le calze…" "Le mutandine!" urlo’ Marco. Barbara ubbidi’. Si prese l’elastico delle mutandine di pizzo, tiro’ giu’… esponendo in pieno la fica coperta di ispida e setosa peluria castana. Chiuse gli occhi. "Fai piano, pero’" chioccio’.Fu un lampo. Senti’ il cazzo entrare in lei con violenza insuperabile, sfondandole la vagina. Era come se la stessero impalando. Urlo’. Marco comincio’ a dare spinte sempre piu’ forti, in rapida sequenza, ma si capiva che sentiva male anche lui. Lei non era eccitata e la sua fica non era lubrificata a sufficienza. Era tremendo per entrambi. Ma presto lui le eiaculo’ dentro, e lei accolse il liquido con un brivido di purissimo terrore.Quando lui sembro’ avvedersene, in pieno orgasmo, si fece violenza e tiro’ indietro il cazzo che ancora eruttava. Glielo trascino’ sul collant, sporcandolo a chiazze e grugnendo per la fatica. Ma a sorpresa, Barbara si alzo’ a sedere e con uno scatto repentino ando’ a succhiare il resto dello sperma che continuava a sprizzare fuori dal cazzo di Marco. Stupefatto, Marco sobbalzo’ e riprese a godere intensamente.Barbara sembrava espertissima. Succhiava con voracita’, mordendogli la cappella, come una bambina in allattamento. Poi la tensione prese a calare, i muscoli contratti si rilassarono, l’eccitazione si spense. Marco e Barbara si adagiarono sul letto, uno sull’altra, mentre il calore dei loro corpi carichi di adrenalina li fondeva assieme rendendoli un’unica entita’. Forse si addormentarono, o forse per qualche tempo furono troppo felici per rendersi conto di essere vivi.Ma riprendendo lentamente coscienza ecco che si sentivano male, come se qualcuno avesse succhiato via loro l’anima, e quasi volevano piangere. Lo sperma era diventato gelido nella fica di Barbara, Marco sentiva il cazzo fargli male e le gambe che tremavano. Non dissero nulla. Barbara non dovette faticare molto per liberarsi dell’abbraccio di Marco e per sedersi sul bordo del letto.Lo sperma appiccicoso le dava fastidio in mezzo alle gambe e aveva una consistenza pastosa nella bocca. Si rendeva vagamente conto della gravita’ di quello che aveva appena fatto. Si alzo’, e senza lavarsi tiro’ su le mutandine e il collant. Marco dormiva profondamente, spossato. Aveva ancora il cazzo di fuori, i peli pubici rappresi nella sborra, le lenzuola sotto di lui avevano chiazze scure e umide. Le dimensioni del suo organo erano pero’ vistosamente diminuite. Ora il palo di poco tempo prima s’era rattrappito fino a diventare un minuscolo moncherino floscio tra la peluria del glande, un appendice di carne e pelle assurda e ridicola.Barbara prese i suoi vestiti e usci’ dalla stanza senza far rumore. Termino’ di vestirsi in soggiorno. Indosso’ il cappotto, prese la sua borsa e fuggi’ dall’appartamento. Il taxi era ancora li’, parcheggiato davanti al portone del palazzo. Il tassista stava appoggiato al cofano e leggeva il giornale.Barbara aveva completamente dimenticato di essere venuta in taxi; non s’era ricordata di aver portato la macchina dal meccanico perche’ il motore era andato fuori fase. Il primo pensiero che ebbe riguardo’ il tassametro. Quanto tempo era stata da Marco? Guardo’ l’orologio….
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