… era mezzogiorno e venti. Il tassista la stava aspettando da piu’ di un’ora. "E poi dicono che l’omini e violentano, ae donne!" sbotto’ il tassista. Era un uomo pingue, grave, dall’aspetto volgare e dal fortissimo accento romanesco. "Ce l’ha con me?" sobbalzo’ Barbara. "Co’ lei? No, leggevo qui er giornale. Hanno violentato una, ieri, erano in sei, facevano a turno dice, l’hanno proprio riempita. Ma o sapeva questa come ‘nnava vestita? Ciaveva a minigonna che nun se vedeva manco, tanto era piccola, e poppe de fori, li capelli jarivavano ar culo. Pe’ forza che nun se so potuti trattene’, poracci; so’ omini, mica robbotte! A corpa e’ de quaa mignottona…"."Una donna allora non puo’ vestirsi come vuole?" fece Barbara entrando nel taxi. L’uomo si sistemo’ al posto di guida. "Nun dico questo, signori’, ma un minimo de rispetto pe’ noiartri Cristi… se crede che vede’ certi spettacoli nun ce provoca gnente dentro? Ao’, mica saranno tutti froci a ‘sto mondo!". Ingrano’ la prima e si butto’ nel traffico."Senta, lasciamo perdere" disse Barbara. "Cerchi di tornare in fretta a casa mia. Sono molto stanca… La strada se la ricorda?" L’uomo rise. "Io cio’ tutta Roma dentro a capoccia, signori’! So’ quarant’anni che faccio er tassista a ‘sta citta’ der cazzo, mica ‘n giorno…"."Be’, mi scusi" disse Barbara. "Ho solo una gran fretta di rientrare"."Ah capisco, sapesse quanta ggente e’ passata su quer sedile… omini, donne, regazzini, tutti che cianno sempre ‘na fretta boia quanno stanno seduti li’. Tanto e’ inutile core, signori’, do’ vo’ ariva’, a fine nostra e’ sempre quella, che se crede?"."Ma io…". "Nun se preoccupi, signori’… se vede che nun e’ piu’ come prima… er lavoro, eh?". "Eh gia’" sorrise Barbara. "Un cliente un po’ esigente…".Improvvisamente l’uomo scoppio’ a ridere. "E l’avevo capito, io… n’ora de lavoro… Chissa’ che ja’ chiesto, quello…". "Ehi", salto’ su Barbara avvampando. "Che cosa vorrebbe dire? Sta scherzando, spero". "Mamma mia, signori’, e che ho detto! E’ lei che pensa subito male: se sa che a gente oggi e’ incontentabile, che nullo so, sapesse e richieste che me fanno a me tante vorte… Bisogna ave’ pazzienza e esse professionali, come se dice, strigne li denti e anna’ avanti."."Appunto. Dovevo aprire una polizza assicurativa un po’ impegnativa, e ho usato il mestiere. Ognuno sa fare il suo, non crede?". "Me sa che lei er suo o sa fa’ pure troppo bene", disse il tassista. "L’anima de li mortacci tua!" urlo’ all’improvviso al conduttore di un furgoncino che gli aveva tagliato la strada per girare a sinistra. "Te piasse n’corpo, ‘mbranato. Ma tu guarda che razza de fii de ‘na mignotta ce stanno ‘n giro. Poi dice l’incidenti. E te credo."Barbara si appoggio’ al finestrino. Era distrutta, le facevano male le gambe e aveva la schiena indolenzita. In bocca sentiva ancora il sapore dello sperma di Marco. Aveva solo voglia di una lunghissima doccia calda."Comunque signori’, je posso di’ ‘na cosa?" fece il tassista, seriamente, dopo qualche minuto di silenzio. "Cosa?" disse lei. "Me scusi, sa, se joo dico. Ma quaa chiazza lucida ‘ntorno aa bocca… Saa levi, je ce sta male. O dico pe’ lei.".In un istante di puro terrore, Barbara si guardo’ nello specchietto dell’abitacolo. Una specie di strato gelatinoso e biancastro, ancora semiliquido, le formava un’aureola attorno alle labbra dal rossetto completamente sbaffato. Senti’ come un artiglio che le stringeva il petto. "Ce so’ i fazzoletti de carta dentro ar cassetto der cruscotto. I po’ prenne, i tengo apposta pe’ i passeggeri". Gliene porse uno senza togliere gli occhi dalla strada. "Io…" balbetto’ Barbara. Avrebbe voluto cominciare a piangere. Strappo’ il fazzoletto di mano al tassista e comincio’ a sfregare attorno alla bocca."La prego, non e’ come pensa lei" comincio’ lottando con le lacrime. "Oh, Cristo, come faccio a spiegare…" E intanto le scendevano le lacrime."Avanti signori’, nun faccia cosi’, co’ me nun c’e’ bisogno. N’ho viste de cotte e de crude, io, in quarant’anni. Nun ce faccio caso a certe cose. L’ho detto solo pe’ lei, sa, nun so tutti come me, certi ne potrebbero approfitta’… Er discorso che facevamo prima, se ricorda?".Il fazzoletto di carta era ormai fradicio delle lacrime di Barbara. Il tassista le porse il pacchetto intero, sempre senza guardarla. "La scongiuro, non si faccia ingannare, non e’ come pensa lei" singhiozzo’ Barbara. Adesso il tassista non parlava piu’. Guidava con scioltezza, ed era serissimo in volto. Per un istante Barbara penso’ che avesse intenzione di portarla dalla Polizia. Si ricredette quando si fermo’ proprio davanti il portone del suo palazzo, incurante del traffico, dopo aver fatto un giro che aveva velocizzato in modo impressionante l’arrivo. Lui usci’, fece il giro del tassi’ e le apri’ cavallerescamente la portiera. Barbara gli allungo’ tre biglietti da centomila dall’interno dell’auto."La prego", disse. Il tassista prese le banconote e Barbara si allontano’ in fretta, coprendosi la bocca e cercando di immaginare il tassista guardare altrove anziche’ il suo sedere esaltato dalla minigonna. Fortunatamente il portone era aperto. Barbara attraverso’ l’androne velocemente e non prese l’ascensore per paura di incontrarvi qualcuno dentro. Dopotutto si sentiva abbastanza malridotta. Fece le due rampe di scale che la separavano dal suo appartamento, tiro’ fuori la chiave dalla borsetta ed entro’.C’era buio. Tutte le finestre erano chiuse e le tapparelle abbassate. Accese la luce del corridoio. Un’ombra. Dove? Sembrava aver attraversato il corridoio ed essere entrata in camera da letto… Barbara sussulto’. Immaginazione, si disse. Un’ombra, che assurdita’… In casa sua, in pieno giorno… Si reco’ in cucina e spalanco’ completamente la finestra. Il sole invase la stanza facendo risplendere gli ottoni e i metalli. Sotto di lei, il traffico di Roma, i marciapiedi pieni di gente, il trambusto di sempre.Ma quell’ombra… Accese il televisore. Sul canale memorizzato c’era una soap opera. Le erano sempre piaciute le soap opera… Alzo’ il volume. Seguendo distrattamente i dialoghi, si tolse le scarpe e comincio’ a spogliarsi.Faticosamente sfilo’ la minigonna, poi tiro’ giu’ il collant. Tolse anche la camicia e il reggiseno. Quell’ombra. Getto’ gli indumenti smessi nel cesto della biancheria sporca e con le sole mutandine sporche addosso si reco’ in bagno, lasciando il televisore acceso e col volume alto.Il pavimento era ghiacciato sotto i piedi scalzi e l’atmosfera stessa dell’appartamento le sembrava fredda e ostile. Passando davanti alla porta della stanza da letto, si giro’ da quella parte. Non c’era nessuno. Si chiuse in bagno e fece una lunghissima doccia calda, lavandosi meticolosamente la vagina e il sedere. Lo scrosciare dell’acqua copriva quasi completamente l’audio del televisore, ma non le importava troppo. Voleva solo purificarsi dopo quello che aveva fatto.Usci’ avvolgendosi in un ampio accappatoio. Si vesti’ in cucina, davanti al televisore acceso, seguendo il teleromanzo. Mise su uno slip piccolissimo, un reggiseno nuovo e un leggero collant blu sul quale fece scorrere uno strettissimo paio di jeans elasticizzati. Stava ancora laboriosamente comprimendo i fianchi nei jeans quando comincio’ a squillare il telefono.Dal telecomando abbasso’ il volume del televisore e cosi’ come si trovava ando’ a rispondere. "Si’, pronto", disse. "Barbara, sei tu?". La voce di Marco, ansiosa, preoccupata. Sorpresa, lei disse: "Si’, sono io… ma come fai ad avere il mio numero?". "Ho ricontrollato certe carte dell’Universita’." Per un attimo la voce parve farsi ghignante. "Cosa c’e’?" chiese lei. "Be’, io…". Una pausa, poi: "Volevo solo dirti che mi dispiace per quello che e’ successo. Davvero, non so cosa mi e’ preso. Spero che tu non abbia pensato male di me. Non faccio mai cose del genere"."Oh", disse Barbara. "Non devi preoccuparti. Anzi, ti diro’… e’ stato bellissimo". Arrossi’. "Sul serio. Non avevo mai provato una sensazione cosi’ intensa". Un attimo di silenzio. Poi: "Barbara". "Si’?" "Ti amo".Lei, sorridendo appena: "Anch’io ti amo". "Rifacciamolo, ti prego. Rifacciamolo". "Sicuro… quando vuoi. Davvero.". "Stanotte. Va bene stanotte?". "Perfetto. Stanotte a casa tua. Un bacione, Marco". "Ciao, bellissima".E giu’. Disorientata, anche Barbara attacco’. Improvvisamente, il televisore in cucina aveva il volume altissimo. Lei si giro’, incuriosita, e urlo’. Un uomo sulla trentina, basso, stempiato, vestito di scuro, le puntava una pistola alla testa guardandola di sbieco. Le si avvicino’ prendendole le mani mentre lei, paralizzata dal terrore, restava immobile accanto al telefono, tremando come una foglia. Strinse i polsi tra le sue dita facendola urlare per il dolore, e avvicinando la bocca alle sue orecchie le disse: "Finiscila di agitarti e non fare stronzate se hai cara la pelle. Soprattutto non urlare, tanto col televisore cosi’ alto non ti puo’ sentire nessuno. Se farai quello che ti dico io senza protestare ci sbrigheremo in pochi minuti e potrai tornare a guardarti il teleromanzo".Barbara mugolo’. Lui allontano’ la mano con la pistola e con l’altra la spinse verso la stanza da letto. Adesso con la destra le teneva la pistola puntata sulla fronte e con la sinistra si slacciava la cinta dei pantaloni. Lei capi’, e comincio’ a piangere, ma senza ribellarsi. Sempre tenendole la pistola addosso, l’uomo si abbasso’ i pantaloni e le mutande. Aveva un cazzo mostruoso, enorme e gia’ bagnato di sborra.Barbara urlo’ e si appiatti’ contro il muro. "Non fare cosi’", le disse l’uomo tenendole la mano libera. "Sara’ un attimo". Lei chiuse gli occhi, continuando a urlare disperatamente. "Stupida stronza" grido’ l’uomo prendendola per un braccio e gettandola sul letto. "Ti divertirai, invece".Poso’ la pistola sul comodino e le monto’ sopra a cavalcioni. Le abbasso’ un po’ i jeans ancora non allacciati, poi cerco’ di abbassarle anche il corpino del collant ma l’impazienza lo rendeva impacciato. Prese l’elastico e tiro’ con tutte le sue forze verso il basso. Il leggero collant si strappo’, lasciando come ultimo ostacolo il piccolissimo slip al di sotto di esso. L’uomo vi introdusse le mani e con uno strattone lo abbasso’ alle cosce. Poi abbasso’ il bacino e guido’ il suo cazzo nella vagina scoperta di lei. Fu un attimo davvero. Lei si inarco’ e quasi svenne, lui grugni’ di piacere. Dopo pochi istanti la sborra schizzo’ fuori bollente, impetuosa. Barbara urlo’ con tutta la voce che aveva in gola. Poi si lascio’ andare sul letto, mentre lui estraeva il cazzo gocciolante.Velocemente l’uomo tiro’ su le mutande e i pantaloni e riprese in mano la pistola. Gliela punto’ addosso e disse: "Sei stata brava. Ancora qualche istante e potrai tornartene al tuo teleromanzo". Mantenendo puntata la pistola l’uomo si giro’ e frugo’ nei cassetti della specchiera. Prese tutta la gioielleria e la mise in un sacchetto dei rifiuti che aveva tenuto in tasca. Era un bel pacchetto. Cerco’ anche del denaro contante, ma non lo trovo’ e ben presto si stanco’ di frugare. Mise il sacchetto nella tasca del giubbino e per l’ultima volta si giro’ verso Barbara, distesa a gambe larghe sul letto. "Adesso me ne vado", grido’. "Che non ti salti in mente di chiamare la polizia, altrimenti tornero’ e nella fica ti ci ficchero’ il fucile".Usci’ dalla camera da letto. Barbara senti’ la porta dell’ingresso che si apriva e si chiudeva rumorosamente. Pianse…Non chiamo’ la polizia. Non perche’ credesse alla minaccia del ladro. Non sapeva perche’. Non chiese aiuto a nessuno. Il ladro le aveva praticamente svuotato la cassetta portagioie. Cerco’ di fare un rapido calcolo dei soldi persi, ma la cifra era troppo clamorosa, cosi’ lascio’ subito perdere. Chiuse il cassetto e ando’ a farsi un’altra doccia.Poi ando’ in cucina. Il teleromanzo era finito. Al suo posto c’era una bella presentatrice in minigonna blu che faceva domande cretine ad una bellissima attrice americana, la quale rispondeva in modo altrettanto cretino. Ridevano molto.Barbara si rivesti’, gettando ogni tanto un’occhiata allo schermo. Mise su uno slip di pizzo, un pesante collant nero e un paio di jeans elasticizzati. La camicetta aveva una scollatura generosa e il reggiseno era minuscolo. L’appuntamento la rendeva nervosa, ma cio’ che, mentre scendeva flessuosamente le scale, la faceva riflettere, era il fatto che fino a poche ore prima era stata una brava ragazza molto pudica, e adesso nel giro di poche ore era stata sifonata due volte, per di piu’ da due persone diverse.Ci voleva veramente poco, penso’, per passare da santa a puttana. Ora che aveva sperimentato in modi tanto opposti le gioie del sesso, sentiva che non avrebbe piu’ potuto fare a meno di scopare, di farsi trafiggere con veemenza la fica e di bere sperma caldo. Era un pensiero che la spaventava, un po’. In definitiva, non aveva mai pensato a queste cose, prima. Almeno non mentre faceva cose normalissime come scendere le scale del suo palazzo. Che fosse diventata sul serio una maniaca sessuale, una pervertita? Di fatto, era eccitata nuovamente.Nel gabbiotto del portinaio c’era la signora Anna. Una donna pettegola e insopportabilmente falsa, dai sorrisi appiccicaticci."Buongiorno", saluto’ Barbara.La donna alzo’ lo sguardo e le lancio’ un’occhiata assai poco diplomatica. Vi si leggeva qualcosa di indefinibile e inquietante. Per un istante parve voler dire qualcosa di molto serio, ma poi, come se fosse stato premuto un interruttore, uno dei suoi larghissimi sorrisi posticci le inondo’ il viso."Buongiorno signorina", rispose con cerimoniosa cordialita’. E non disse piu’ nulla, anche se Barbara intuiva che avesse da dire molte cose. Si limito’ a sorriderle in risposta. Usci’ dal portone del palazzo.Marco, Marco…Non aveva alcuna intenzione di chiamare un taxi. Un istinto sembrava guidarla verso la fermata dell’autobus. Sali’ sul diciotto, a quell’ora della sera sempre strapieno. Si sistemo’ in piedi vicino all’uscita, reggendosi forte ai sostegni metallici. La gente la schiacciava e la soffocava. Mancava anche la luce, perche’ si era guastato l’impianto, e la plancia era scura.Le capito’ di pensare a mente fredda a quello che le era appena successo. Cristo, un ladro era entrato nel suo appartamento, in pieno giorno, le aveva rubato tutto l’oro e l’aveva pure violentata… e lei mezz’ora piu’ tardi era tranquillamente sull’autobus, mentre un’esperienza del genere avrebbe traumatizzato anche la piu’ incallita delle troie. Davvero, cosa le stava accadendo? Perche’, in quel preciso istante, non si stava recando a sporgere denuncia alla polizia, aiutandoli a ricostruire l’identikit di quello stronzo che l’aveva stuprata cosi’ crudamente?I suoi pensieri si volatilizzarono quando senti’ qualcosa sfiorarle le natiche, a pochi millimetri dai jeans. Si irrigidi’, ma non si mosse.Cos’erano… dita? Si avvicinavano pian piano ai glutei, adesso li toccavano… Polpastrelli frementi le sprimacciavano il culo, prendendo coraggio. Barbara tremava tutta, ma non per la paura. Era costretta ad ammettere che le piaceva da morire quel tocco clandestino, nel buio del bus affollato. Non si mosse, non si giro’. La mano seguito’, forse incredula di tanto compiacimento. Un dito si insinuo’ nell’insenatura del culo creata dai jeans aderentissimi. Strofino’ un pochino, spingendo, portandosi verso la fica. Barbara sudava. Sentiva umido, sotto. Si stava bagnando… Le piaceva enormemente.Il dito torno’ indietro, scivolando sui jeans, e Barbara arcuo’ lentamente la gamba destra. S’insinuo’ sotto l’ampio maglione, provocandole un violentissimo brivido lungo la spina dorsale, e discese penetrando a forza nei jeans. Barbara arcuo’ la gamba sinistra, mollemente, fremendo. Poi il dito incontro’ il corpino del collant, e si fermo’. "Non ora, ti prego, vai avanti" prego’ Barbara. Il suo slip era umidiccio. Ma il dito, colto alla sprovvista, velocemente usci’, smagliando pero’ il collant con l’unghia e restando impigliato nelle suo tessuto.Barbara al massimo dell’eccitazione, prese ad ancheggiare lentamente arcuando le gambe. Il dito, con uno strappo repentino, usci’ fuori facendole schioccare violentemente l’elastico del collant sulla pelle e, probabilmente, rompendole tutta la parte posteriore del corpino.Barbara serro’ forte le mani intorno al sostegno. Sudava come in pieno agosto e non sapeva se ridere o piangere. Nel buio, credeva, nessuno poteva aver visto o anche solo intuito qualcosa. Lei era sola in mezzo a quel casino di gente. Lei, e l’individuo che le stava vicino, magari alitandole sul collo, e che aveva osato tanto profittando del buio… Le era piaciuto, in fondo. Perche’ continuare a ingannarsi? Stava tuttora sbrodolando.Arrivo’ a casa di Marco dopo un giro lunghissimo in autobus. Scese ad una fermata affollatissima, a pochi metri dal palazzo dove abitava Marco, e mentre camminava poteva sentire con chiarezza sulla pelle del culo il buco nel collant che si allargava ad ogni passo. Trovo’ il portone aperto (era stato lui?) e sali’ le scale fino alla porta del suo appartamento. Suono’ il campanello. Attese. Quando Marco apri’, lei quasi svenne. Era bellissimo. Alto, muscoloso, gli occhi azzurri e i capelli d’oro… Avvolto in una morbida veste da camera di panno verde. Vedendo l’espressione di Barbara, lui sorrise. "Ciao, amore" bisbiglio’. "Entra".Barbara entrando disse "permesso", accorgendosi poi di quanto fosse sciocca. Come se non sapesse che Marco viveva da single. Il fatto era che quel ragazzo aveva buon gusto per l’arredamento, cosi’ l’appartamento sembrava essere sotto la giurisdizione di una donna. Ma non c’era nessun’altra donna li’, all’infuori di lei…L’appartamento era semibuio, immerso in calde e morbide luci soffuse provenienti da faretti. C’erano bellissime ombre dappertutto e c’era odore di incenso. Nessun altro suono che non fossero i suoi tacchi sul pavimento."Bello", disse Barbara.Marco da dietro la cinse, facendola rabbrividire. Si avvicino’ con la testa ai suoi capelli, scopri’ un’orecchio e vi sussurro’: "Mai quanto te".Lei rise. Marco le prese le mani nelle sue. Erano calde e forti. "Vieni", le disse conducendola con se’.Si avvicinarono a un tavolino perfettamente apparecchiato per due, nel soggiorno. Il tavolino era appena sfiorato dalla morbida luce beige di un faretto e al centro portava una lunga candela accesa. Ai lati opposti, due servizi di piatti e di posate e un lungo boccale di vino."Dio, Marco!" esclamo’ Barbara.Lui le tolse delicatamente il cappotto appoggiandolo su un divano. Sorrideva. Sposto’ una sedia del tavolino e le fece segno di sedersi. "Per te, tutto", disse.Barbara lo guardo’ intensamente, avvicinandosi. Marco devio’ lo sguardo, e quando lei si fu seduta disse: "Dovevo pur sdebitarmi con te".Lei continuava a fissarlo, stupita. "Non… non dire sciocchezze", bisbiglio’.Marco si volse di spalle, dirigendosi verso il mobile bar. "E’ la verita’", disse. "Voglio solo dimostrarti che non sono quell’animale che credi dopo stamattina". Apri’ un’anta del mobile e ne trasse fuori una bottiglia di Black Jack. La mostro’ a Barbara. "Bevi alcolici?" le chiese.Barbara si alzo’ dalla sedia. "Ehi, ma che succede?" disse. Si guardo’ intorno, poi torno’ a fissare Marco con aria irritata. "Tutta questa messinscena solo per questo?"Marco balbetto’ qualcosa."Non ci posso credere", disse lei. Gli si avvicino’, e gli tolse la bottiglia dalle mani. L’appoggio’ sul mobile. "Io… non ti reputo affatto un animale", disse. "Quello che abbiamo fatto stamattina e’ stato bellissimo proprio perche’ abbiamo abbandonato ogni pudore e ogni stupida reticenza. L’amore e’ questo…" Fece una pausa, poi prosegui’: "Ricordi cosa abbiamo detto al telefono, qualche ora fa? Che era stato magnifico e che dovevamo rivederci per farlo di nuovo… be’, eccoci qua". Sorrise.Lui la guardo’ intensamente. "Non volevo andare al sodo cosi’ brutalmente. Almeno non come e’ successo oggi. Il fatto e’ che vedendoti in minigonna mi sono eccitato come una bestia… Non volevo che succedesse anche stasera. Almeno, non subito"."Ma io stasera non sono in minigonna" disse lei."Be’, ma io sono eccitato lo stesso…" disse lui. Risero assieme, e lui gia’ la guidava verso la camera da letto."Si freddera’ l’arrosto", disse chiudendo la porta e accendendo le abat-jour."Ma ci riscalderemo noi", sussurro’ Barbara togliendosi il maglione e sbottonandosi i jeans. Fu solo mentre li faceva scendere lungo i fianchi che si ricordo’ di avere il collant bucato sul culo. Arrossi’ violentemente. Ancheggiando sotto lo sguardo compiaciuto di Marco, tolse le scarpe e sfilo’ i jeans. Per toglierli dai polpacci dovette sedersi sul letto, ma lo fece con violenza e il buco nel collant aumento’ ancora. Marco comunque non sembrava essersi accorto di nulla.Barbara si alzo’ in piedi e sorridendogli maliziosamente getto’ i jeans a terra, arcuando la gamba sinistra per cominciare a sfilarsi il collant. Quando Marco capi’ la sua intenzione la fermo’. "No, non sfilarti le calze", le disse. Barbara si fermo’, stupita."Togliti tutto, anche il reggiseno, ma non le calze" ansimo’ lui. "Sei bellissima ed eccitante con le calze addosso".Barbara lo fisso’ per un po’. "Ma cosa…" disse poi."Ti scongiuro", ripete’ Marco. "Io… sai, sono un po’ un feticista. Mi fanno impazzire le calze delle donne. E’ per questo che mi sono eccitato cosi’, stamattina; tu ti eri presentata con quella minigonna, e quel collant cosi’ bello… Sono impazzito dal desiderio".Barbara rise. "Sul serio?" disse.Marco abbasso’ la testa. "Si’… mi vergogno un po’ a dirtelo, ma e’ cosi’. Ho sempre sognato di fare l’amore con una donna che avesse su solo il collant".Barbara si fece seria per un attimo. Poi disse: "Okay, va bene. Facciamo finta che sia un nuovo gioco. Anche a me piacciono molto le calze. Le tengo su con piacere". Fece schioccare l’elastico in vita, e tolse tutto il resto.Alla fine si passo’ una mano fra i capelli, e un’altra sulle gambe inguainate nel collant. Chi se ne importava del buco, in fondo.Marco slaccio’ la veste da camera. Sotto era completamente nudo, aveva solo gli slip.Barbara si avvicino’ facendo studiatamente frusciare le calze. Poteva vedere sotto agli slip il suo organo gonfiarsi. Gli arrivo’ davanti, e si chino’. Gli abbasso’ gli slip. Il cazzo di Marco si erse fuori. Era gia’ gonfio. "Mmmmhh… sei precoce", disse Barbara quasi con delusione. Marco sospiro’. "Non posso farci niente", disse.Barbara gli prese in mano il cazzo. Scottava ed era umidiccio. Poi puzzava di sperma lontano un chilometro. Ma era un odore che la eccitava da impazzire."Vediamo quanto resisti ad una bella pompata", mugolo’. Lo tese un pochino, apri’ la bocca e lo ingoio’ tutto. La cappella le toccava le tonsille.Vibro’ di piacere. Marco senti’ le gambe piegarglisi.Barbara leccava con ardore quel cilindro pulsante, che reagiva come un essere pensante ai suoi stimoli papillari. Facendo piccoli schiocchi con le labbra lo bagnava tutto di saliva appiccicosa, inzuppando bene la cappella e ogni tanto stimolandola con voluttuose raschiate in punta di lingua. Il cazzo tremava nella sua bocca. Marco si era appoggiato al muro e ansimava. Sentiva di essere prossimo a venire, ma voleva contenersi per prolungare al massimo il piacere di entrambi. "Si’, cosi’, dai" si scopri’ a sussurrare. "Spompinami cosi’!!" gridava.Lei mugolava leccando il cazzo e continuando a fare schioccare le labbra. "Mmmmmmhhh-hh, mmmm-mmhhh-hh…." era la colonna sonora del suo godimento orale. Ciucciava senza ritegno, abbandonandosi completamente al suo istinto animale. A volte per l’indicibile eccitazione mordeva la cappella, facendolo sobbalzare. Il cazzo aveva sopra ormai uno strato quasi solido di saliva. Con uno scatto, Marco grido’ e disse: "Vengo…"Barbara sedette a terra, mantenendo bene il cazzo in bocca, e si preparo’. La sua gola si riempi’ di un liquido bollente che per un attimo lei ritenne urina. Il liquido usciva con forza, come il getto d’acqua di una tubazione sfondata. Lei mantenne ben serrate le labbra attorno al cazzo ma la quantita’ di sperma era tale che qualche goccia fuoriusci’. Non voleva inghiottirlo, perche’ il sapore non le piaceva molto, ma ne aveva la cavita’ orale piena e non le andava di sputarlo. Lo mando’ giu’, un po’ a fatica, tutto quanto. Lasciando il cazzo, fece un schiocco assordante con le labbra.Restando seduta, si puli’ la bocca con l’avambraccio. Marco non si reggeva piu’ sulle gambe e quasi le cadde addosso; si sostenne ma non pote’ fare a meno di passarle il cazzo ancora rigido sui capelli, sporcandoli di sperma."Mh… ehi, non ho mai fatto uno shampoo di sborra" rise Barbara alzandosi. Aveva la bocca tutta impastata. Guardo’ Marco, rigido contro il muro. Non gli disse niente. Aveva un’aria distrutta, e ansimava come un cane.Si diresse verso i suoi vestiti, ammucchiati in un angolo. Era durato troppo poco, e non era affatto soddisfatta. Si era aspettata qualcosa di meglio. Tiro’ giu’ il corpino del collant, fino a meta’ cosce, e sistemo’ bene gli slip che aveva sotto. Schioccavano come un fuoco crepitante, mentre li tirava. Poi tiro’ su il collant fino in vita, e lascio’ aderire l’elastico. Lo sistemo’ perbene sulla pelle.Aveva preso la camicia per cominciare a rivestirsi quando Marco, alle sue spalle, la chiamo’."No, aspetta" le disse. Barbara si giro’ verso di lui. Ooops, penso’, mentre si risistemava s’era completamente scordata della presenza di Marco! E il buco? L’aveva visto…"Continuiamo", disse Marco. "Vederti armeggiare con le calze mi ha fatto eccitare di nuovo…"Barbara arrossi’ violentemente. "Co… Come?"Marco si prese il cazzo turgido con le mani. "Cosi’", ringhio’. Si avvicino’ rapidamente a Barbara tenendosi il membro come una spada fra le mani. Barbara istintivamente si irrigidi’, perche’ quella posizione le ricordava molto lo stupro di poche ore prima."Girati", disse Marco.Barbara penso’ al buco. "Che vuoi fare?" chiese contrariata.Marco rise. "Incularti", ansimo’. "Proviamo a seguire la trafila classica. Prima il rapporto orale, poi quello anale…""Sei un porco", lo insulto’ Barbara."E tu una puttana", ringhio’ lui. Scoppiarono a ridere. Poi Marco disse: "Avanti, voglio approfittare del buco nelle calze che hai dietro. Sembra fatto apposta".Barbara arrossi’, poi si giro’. "Cosi’ va bene?", chiese."Per niente", disse lui. "Devi metterti in ginocchio e offrirmi il culo".Lei si alzo’ in ginocchio sul letto e arretro’ col sedere. Chiuse gli occhi. "Okay?", disse."Okay", rispose lui abbassandole la parte posteriore degli slip. "Ora entro, ma tu non irrigidire le chiappe"."Ci provo", ansimo’ lei. Poi caccio’ uno strillo di dolore. Un altro. Un altro ancora, in rapida sequenza."Puttana troia, sei vergine dietro!" urlo’ Marco spingendo con forza. Sentiva il suo cazzo lacerare i tessuti interni di lei mentre avanzava. Usciva anche del sangue."Mi fai male!" grido’ Barbara quasi piangendo."La prima volta e’ sempre dolorosa", recito’ Marco con voce assorta. Era riuscito a crearsi un canale nel retto di lei e ci stantuffava lentamente, profittando della lubrificazione del sangue.Barbara respirava a bocca spalancata come una cagna. Aveva la lingua a penzoloni e sentiva il suo alito che puzzava dello sperma ingoiato. La gola era secca e irritata a furia di urlare. Inoltre le faceva male la testa. Per sua fortuna Marco eiaculo’ molto presto. Le inondo’ il retto con la sborra bollente facendola fremere di piacere per qualche istante, poi lui usci’ dal suo culo e lei si abbandono’ sul letto, piangendo.Si addormento’ fra le lacrime. Quando si sveglio’ era avvolta in una coperta verde e sentiva il sedere bruciarle. Le lenzuola sotto di lei scottavano. La camera era appena illuminata dall’abatjour. Si alzo’ sui gomiti e si guardo’ intorno. Marco non c’era piu’. Stordita, rintronata, col corpo a pezzi, tento’ di realizzare. Poi lascio’ perdere. Facendosi violenza abbandono’ il tepore della coperta e rabbrividi’. Si alzo’ a sedere sul letto, battendo i denti per il freddo. Toccando i piedi sul pavimento gelido ebbe un sussulto. Dov’era andato Marco? Forse vedendo che era stanca l’aveva lasciata addormentarsi in pace. Forse adesso se ne stava in salotto a leggere una rivista, concedendole il meritato riposo.Si alzo’ in piedi. Il sedere non le faceva particolarmente male, solo le bruciava come se stesse prendendo fuoco. Avrebbe avuto bisogno di una bella doccia calda, per rimettersi in sesto. E poi buttare quella robaccia sporca che indossava.Cerco’ un paio di pantofole, le trovo’ nel comodino. Le infilo’. Per raggiungere il bagno erano sufficienti. Prese la coperta verde e se la avvolse attorno. Apri’ la porta della camera e usci’. Nel salotto non c’era nessuno. "Marco", chiamo’ lei. Provo’ piu’ forte. Silenzio. Marco doveva essere uscito, lasciandola sola in casa…All’improvviso, tre scatti di serratura dal portone. Nessuno. Qualcuno stava aprendo… o stava chiudendo dall’esterno? Barbara era pronta a gridare. Il portone si apri’ ed entro’ Marco, seminascosto da un pesante montgomery marrone. Aveva in mano una busta di plastica della Standa. Vide subito Barbara nel soggiorno e i suoi occhi si illuminarono. Chiuse il portone, poso’ la busta sul pavimento e corse verso di lei. L’abbraccio’ forte."Amore mio, e’ molto che ti sei svegliata?" le chiese premurosamente.Barbara respiro’ forte. "Qualche minuto", disse. "Ma dove sei andato? Cos’hai in quella busta?". Marco le passo’ dolcemente un dito sul profilo del naso, mentre lei lo guardava. "E’ una sorpresa", disse. La bacio’ sulla bocca, teneramente."Amore, sei stata bravissima. Io invece sono stato il solito stupido animale. Una volta per tutte, dovro’ riuscire ad essere meno brutale. Come ti senti?"Lei fece spallucce, sorridendo. "Insomma", disse."Sarai a pezzi, di sicuro. Senti, ora devi fare solo una cosa: un lungo, caldissimo bagno profumato. Nel frattempo io riscaldero’ l’arrosto. Avrai fame, suppongo"."Bere la sborra non riempie molto lo stomaco", rise lei. "Anche se devo dire che la tua e’ molto nutriente".Lui le prese il viso con le mani. "Vedremo di utilizzarla per l’unico scopo che la natura le ha riservato", sussurro’.Barbara si fece paonazza in viso e distolse lo sguardo. Marco, ridendo, disse: "Ora vai a fare la doccia, amore. In bagno e’ tutto pronto. Ah, aspetta", disse lasciandola e correndo verso la busta."Che c’e?" chiese lei."Non vorrai rimetterti quelle mutandine, dopo" disse frugando. Tiro’ fuori dalla busta una scatola scura. La porse a Barbara con un movimento impacciato. Lei emise un esclamazione di stupore. Erano un paio di mutandine elasticizzate."Spero che siano della tua misura", disse Marco avvampando.Barbara lo guardo’ con un’espressione a meta’ fra lo stupito e il lusingato. "Vuoi dire che sei uscito per comprare queste a me?" disse."Eh, si’. Ho dovuto anche fare in fretta, perche’ la Standa qui vicino stava chiudendo". Sorrise.Lei scosse la testa. "Be’, grazie. Effettivamente, mi servivano". Ridendo si diresse verso il bagno. Poi si fermo’, e disse: "E’ il tuo modo per scusarti?", chiese."Si’ e no" fece lui."Ma cos’altro c’e’ nella busta?" disse entrando in bagno.Marco prese la busta e la porto’ via. "La seconda parte della sorpresa",rispose.L’arrosto era ormai freddo. Marco lo caccio’ nel forno alla massima temperatura, poi preparo’ una pila e ci verso’ dentro il brodino. Accese il fornello piu’ grande e ce la piazzo’ sopra. Poi affetto’ il francesino e dispose elegantemente le fette nel paniere di vimini. Porto’ in tavola una caraffa d’acqua minerale, e grissini. Cambio’ la candela.Barbara usci’ dal bagno dopo circa dieci minuti. Non appena lui senti’ chiudersi la porta, prese la busta e si precipito’ verso di lei. Era irritato perche’ non riusciva a nascondere la sua agitazione."Ehi, che succede?", chiese lei stringendosi nell’accappatoio blu che aveva trovato in bagno."Niente", titubo’ lui. "Tutto a posto? Ti vanno bene le mutandine?". Gli tremava la voce.Lei sorrise dolcemente. "Sono un po’ troppo strette, ma vanno bene. Hai occhio per le misure femminili".Marco rise nervosamente. Non sapeva da che parte cominciare, adesso. Avrebbe preferito che tutto si fosse svolto serenamente, senza neanche una parola…"Ma insomma, mi dici che hai dentro quella busta?" chiese lei con un’impazienza che fece malissimo a Marco."Be’, ecco, un altro mio pensierino per te". Poggio’ la busta e comincio’ a tirare fuori alcune bustine rettangolari. Barbara comincio’ a sospettare qualcosa. "Cosa sono?" chiese."Calze", rispose lui in un soffio. "Quelle che avevi sono rotte…".Barbara lo guardo’ ancora, ma nei suoi occhi non c’era piu’ indulgenza. Marco sembrava veramente a disagio. Non l’aveva mai visto cosi’. Lei non disse nulla, per un po’."Spero di aver azzeccato anche la misura di queste", disse lui a un certo punto. Scuotendo ancora la testa, Barbara si avvicino’ alle scatoline. Erano cinque collant di vario tipo: due velati, un opacizzato, uno a effetto lucido e uno di cotone simile a quello che indossava prima. Tutti di marche diverse."Che c’e’, non ti piacciono? E’ sbagliata la taglia?" Marco era ansiosamente premuroso.Barbara tiro’ su col naso. "No, no. Hai preso la seconda misura, io di solito prendo la terza, pero’…. Va… va bene. Ma perche’ ne hai comprate cosi’ tante? Avrai speso un mucchio di soldi, quelle di cotone costano un occhio…"Marco fece spallucce. "Non sapevo quale tipo preferissi, cosi’ ne ho comprati diversi". La guardo’. Sembrava fremere. Lei guardo’ lui molto dolcemente, coi capelli bagnati che le cadevano in ciocche scomposte sul viso. Si avvicino’, e gli schiocco’ un bacio sonoro. "Grazie", disse. "Grazie soprattutto per la figura che hai fatto con le cassiere. Non deveessere facile per un uomo normale presentarsi alla cassa con cinque paia di calze da donna".Lui abbasso’ lo sguardo, poi disse: "Vai, adesso, vai a vestirti. Avrai freddo, cosi’"."Effettivamente", rise lei guardando le scatolette. Scelse il collant opacizzato e si avvio’ verso la camera da letto."Aspetta", disse Marco. Sudava, aveva gli occhi arrossati. "Aspetta", disse ancora guardandola bene in faccia. "Io… non so se ricordi quello che ti ho detto prima, mentre facevamo l’amore. Io… ti prego, l’ho sempre sognato. Non puoi dirmi di no, amore mio"."Cosa? Che cosa?". Barbara era preparata.Marco rantolava. "Ti prego, permettimi di guardarti mentre ti infili il collant. Ti scongiuro. Non costringermi a origliare dalla serratura o solo ad appoggiare l’orecchio alla porta per sentire i fruscii. Mi ecciterei ugualmente, ma mi sentirei un fallito a farlo ancora nella clandestinita’".Le si avvicino’, le prese la mano sinistra mentre lei lo guardava incerta."Tu sei la prima ragazza con la quale sono riuscito ad avere un rapporto vero. Sei dolce, gentile, sensibile. E molto carina. Ti prego, comprendimi. Non prenderti gioco di questa mia fissazione. In fondo e’ innocua".Barbara fece un sospiro, ci penso’ ancora un attimo, poi sorrise. "E va bene", disse. "Anche se penso che dovresti farti vedere da uno psicanalista".Lui le diede un bacione. "Grazie. Grazie amore mio" disse. Entrarono assieme in camera da letto. Lui chiuse la porta. Incerto, poi, ci si appoggio’ sopra mentre Barbara, con la busta del collant in mano, raccoglieva i suoi vestiti dal pavimento.Non volo’ una parola. Lei tolse l’accappatoio e lo appoggio’ sul letto. Meticolosamente, apri’ la busta del collant, tolse il cartoncino e svolse l’indumento tenendolo come appeso con le mani. Era un po’ piccolo. Con un espressione poco convinta sul viso, Barbara si sedette sull’orlo del letto, arrotolo’ ambedue le gambe del collant e si chino’ in avanti per calzarlo alla punta dei piedi. Poi si alzo’ e con grandissima eleganza, svolse il tessuto prima sulla gamba destra e poi sulla sinistra, alternativamente, facendo molta attenzione che le maglie fossero ben tirate. Muoveva le dita con chirurgica destrezza, si vedeva che era abituata a quelle operazioni. Frusciando, il tessuto saliva.Marco non capiva se realmente fosse necessaria quella lentezza o se Barbara diabolicamente lo stesse facendo apposta. Ma sentiva di stare quasi per svenire. Barbara entro’ sinuosamente nel corpino piu’ scuro, e si aggiusto l’elastico sulla pancia. Sospiro’ e si passo’ una mano fra i capelli guardando Marco dolcemente. Lo spettacolo era finito."Contento, adesso?" chiese.Marco rimase in silenzio per un po’, mentre lei restava in attesa di una risposta. Poi disse: "Cristo, Barby, sei bellissima cosi’. Io… ho le palle gonfie, devo scaricarmi".Lei scosse la testa. "No, dai. Mi sono appena lavata. Se proprio non resisti, sparati una sega. Ma non contare su di me, ora". Prese il reggiseno. Abbasso’ un attimo lo sguardo per agganciarselo, e Marco le fu addosso. Le fece piegare le ginocchia costringendola sul pavimento, e mentre lei si ribellava lui si tirava giu’ la lampo esponendo il cazzo duro. Con due o tre smanate si sparo’ una sega potente e da distanza ravvicinata le schizzo’ la sborra sul viso, avendo poi cura di spalmargliela bene dappertutto con lo stesso organo ancora turgido. Ringhiando, poi, se ne tiro’ subito un’altra a tempo di record, ma le gambe gli cedettero e cadendo su di lei le eiaculo’ abbondantemente addosso, innaffiandole il collant di sperma caldissimo e molto liquido, simile a urina.Irritatissima, Barbara riusci’ con fatica a rialzarsi e a sferrare a Marco un violento calcione sul culo mentre lui era disteso senza forze sul pavimento, dimenticando pero’ di non avere le scarpe e facendosi un male terribile al piede. "Stronzo! Pezzo di merda! Maniaco!" ululo’ saltellando su un piede solo. Lo sperma le colava nella bocca e negli occhi. "Sei uno stronzo, uno stronzo, UNO STRONZO!!!" continuo’ ad urlare, accecata. A tentoni e su un piede solo cerco’ il bagno, lo raggiunse e ci si chiuse dentro.Si lavo’ abbondantemente il viso nel lavabo con acqua calda e sapone. Non ne poteva piu’ di avere a che fare con quella sostanza viscida e puzzolente che Marco le eruttava addosso in continuazione, e sempre nei posti sbagliati.Era stufa, stufa di tutta quella messinscena, incazzata con se’ stessa per essersi prestata come una troia alle sue smanie patologiche di voyeurismo, e fisicamente a pezzi, sfilo’ in fretta il collant tutto bagnato e lo butto’ in un angolo. Era il secondo, quella sera, penso’. A piedi nudi, e con le sole mutandine addosso, raggiunse la camera da letto. Marco non c’era piu’.Guardo’ bene nella stanza. Non c’era davvero. Si chiuse dentro. Cerco’ di raccogliere le ultime forze per rimettersi su i jeans e andarsene sbattendo la porta. Fu mentre li raccoglieva dal pavimento che sul comodino accanto a lei vide una nuova scatolina. Era un altro collant.Per la rabbia senti’ il sangue ribollirle nelle vene. Marco si stava prendendo gioco di lei. Che avesse intenzione di fare le stesse cose anche per le restanti quattro paia? Quattro sborrate in faccia, e ogni volta collant diverso? Eh, no. Lei non ci stava. Non era il suo feticcio sessuale.Anzi, era sicura che adesso lui la stesse spiando dal buco della serratura. Ma no, non era possibile, c’era la chiave nella toppa. Pero’ forse era li’ dietro, l’orecchio allertato a ogni minimo rumore, pronto ad eccitarsi ascoltando il fruscio del nuovo collant sulla sua pelle…Eh, no. In fretta, infilo’ i suoi jeans. Li abbottono’, e sempre col massimo silenzio indosso’ la camicetta e il maglione. Sedette sul letto e calzo’ le scarpe. Era veramente a pezzi. Si alzo’ piano dal letto e attese qualche istante prima di avvicinarsi alla porta per uscire. Prego’ con tutta se’ stessa che Marco non fosse li’ dietro, ad aspettarla, il cazzo di fuori. Lo avrebbe preso a calci nelle palle. Si chino’ sul buco della serratura. Non era tappato, ma non vide niente. Si fece forza e infilo’ la chiave. Sblocco’ la serratura. Abbasso’ la maniglia, tiro’ a se’ la porta e afferro’ un pesante cigno di ceramica dal como’.Nessuno.Tiro’ un sospiro, ma mantenne il cigno. Si guardo’ attorno. Di nuovo, l’appartamento sembrava deserto. Per un attimo, l’assali’ una paura frenetica, incontrollabile. Cristo, era chiusa nella casa di un pazzo che la torturava… Ma il terrore cesso’ di colpo, quando riusci’ ad arrivare alla porta d’ingresso. Abbasso’ la maniglia e tiro’ verso di se’. Urlo’ istericamente. Era chiusa a chiave."Voglio uscire!" urlo’. "Aiutatemi!". Si rannicchio’ in un angolo a piangere, tenendo ben stretto il cigno fra le mani. Le sembrava tutto cosi’ assurdo, terrificante. Almeno, lui, si fosse fatto vedere… Gli avrebbe tirato il cigno sulla testa, gli avrebbe sfasciato quel cranio malato di fantasie feticiste. E gli avrebbe tagliato i coglioni, si’, col coltello piu’ affilato che sarebbe riuscita a trovare. Li avrebbe cotti in padella e se li sarebbe mangiati.Pianse piu’ forte. Sentiva di stare impazzendo anche lei. Quando le sue lacrime vennero velate da qualcosa di scuro, lei meccanicamente scaglio’ il cigno. Come in dormiveglia udi’ un assurdo clangore di vetri e di cocci e penso’ che la testa di Marco faceva un rumore comico mentre si spaccava. Poi il buio, mentre i sensi se ne andavano.Di nuovo, si sveglio’ e si senti’ smarrita. La testa le faceva male da impazzire. Ancora prima di schiudere gli occhi capi’ di non essere sdraiata, ma seduta. Le facevano male i muscoli del collo. Apri’ gli occhi, a fatica. C’era poca luce… non era nella camera da letto di Marco. Mise bene a fuoco gli oggetti di fronte a lei. Era seduta sul divano in salotto, nella medesima posizione in cui era stata quel mattino. Ma sulla poltrona di fronte a lei Marco non c’era. La poltrona era vuota.Si giro’. Marco la osservava freddamente, seduto al tavolino imbandito. Aveva i gomiti appoggiati al tavolo, le mani unite all’altezza del viso e un’espressione strana, molto calcolatrice, da professionista. La stava squadrando come se la vedesse per la prima volta. Per Barbara all’improvviso fu tutto rosso, come se un velo color sangue le fosse calato sugli occhi. Schizzo’ in piedi e protendendo le unghie si avvento’ sul ragazzo, urlando."Stronzo! Pezzo di merda! Figlio di puttana!" ringhio’ mancando la presa e finendo a terra assieme a lui. Si mise in ginocchio e lo schiaffeggio’ con violenza, finche’ le mani presero a formicolarle. Si alzo’ in piedi e lo prese a calci nel sedere, poi lo fece girare e gli assesto’ un calcione rabbioso sui coglioni. Lentamente lui si raggomitolo’ su se stesso e lei gli sputo’ sulla testa."Sei un maiale schifoso, una merda di uomo", disse sprezzante, osservandolo rannicchiato in silenzio ai suoi piedi. Aveva voglia di sferrargli un altro calcio, magari in testa, ma le sembro’ eccessivo. Si aggiusto’ bene i jeans in vita. "Mi fai schifo", aggiunse. "E io, imbecille, che ti ho anche dato corda. Dovevo capirlo subito che eri pazzo".Contrito, lui resto’ in silenzio. "Fai bene a non rispondere", disse. "Devi solo riflettere su quello che hai fatto. Spero che non riuscirai mai a trovare un’altra stronza come me. Scordati di me. Vaffanculo". Si allontano’. Prese il cappotto, lo infilo’ e abbasso’ la maniglia del portone per uscire…Il portone era ancora chiuso a chiave.Barbara bestemmio’ furiosamente. "Le chiavi!" urlo’. "Per Dio, apri ‘sto portone del cazzo o ti sventro". Guardo’ Marco, ancora rannicchiato sul pavimento. Improvvisamente penso’ che quei calci potevano avergli fatto molto male. Era un pensiero tremendamente antipatico, ma… Se fosse svenuto, o… morto? Chi l’aveva ucciso? Non lei, certamente… ma come faceva a esserne cosi’ sicura? Sarebbero risaliti subito a lei. Incriminata. Processata. Omicidio colposo. Galera!Trasali’. "Marco", chiamo’ tornando da lui. Si chino’. Non riusciva a vedergli il viso e non lo sentiva respirare. "Ehi, Marco, rispondimi, Cristo! Non farmi prendere queste paure!". Cerco’ di scostargli la testa. Aveva il volto paonazzo e gli occhi chiusi, pieni di lacrime. La bocca era piegata in un’impressionante smorfia di dolore."Oh, Dio!" grido’ spaventata. "Marco, ti prego rispondimi! Stai male? Chiamo un dottore?". Gli prese il viso tra le mani, asciugandogli le lacrime. "Oddio, di’ qualcosa!".In un soffio, lui disse: "Scusa".Lei lo guardo’ per un po’, pensierosa. Allora lui apri’ gli occhi. Erano arrossati e sofferenti. "Vattene, angelo. Io non ti merito", mormoro’. "Sapevo di non essere normale. Oggi invece ho capito che oltre che pazzo sono pure pericoloso. Mi faccio schifo…vattene, ti prego…""Marco", disse lei.Lui sospiro. "Le chiavi del portone le ho nascoste dentro la bustina delle calze che hai infilato prima. Prendile, la busta e’ in camera da letto dove l’hai lasciata tu".Barbara sbuffo’. "Ma perche’…". "Non dire niente", la interruppe lui, dopo un rantolo. "Prendi le chiavi e vattene. E per favore, portati via anche le altre calze che ho comprato. Sono per te. E’ meglio che non restino in casa mia". Aveva il viso contratto e paonazzo, sembrava essere in procinto di esplodere come un palloncino."Vattene, ti ho detto" ripete’ con rabbia. Barbara si alzo’ in piedi lasciandogli bruscamente il viso. "Me ne vado, certo, non c’e’ bisogno che me lo dici tu", disse di nuovo sprezzante. Fece dietrofront, molto militarescamente, e si reco’ in camera da letto. Marco dal basso la vide uscire con le chiavi e le scatole di calze in mano.Lei non lo saluto’. Mentre apriva il portone disse solo "le chiavi le lascioattaccate", poi usci’ e chiuse. Si udirono i suoi passi mentre scendeva le scale…
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