Esistono dei momenti, nella vita di ognuno di noi, che vale la pena di vivere indipendentemente dalle loro conseguenze. A me ne è capitato uno proprio l’altro giorno. Stavo tranquillamente rientrando a casa mia quando la nostra custode, una bella romagnola di una trentina d’anni, mi ha fermato per attaccare bottone. In genere non mi piace fermarmi a conversare nell’androne, ma quella donna mi ha sempre fatto tirare l’uccello, così ho accettato di buon grado di scambiare due parole. Quel buono a nulla di mio marito, mi raccontava, si è beccato una multa di trecento euro per eccesso d velocità. Non è che per caso lei, lavorando al ministero, ce la potrebbe far togliere? Lei non sa, caro dottore, quanto io gliene sarei grata. Bè, cosi su due piedi non glielo so dire. Devo controllare. Mi dia gli estremi di suo marito. Entri un attimo in portineria che glieli trascrivo. Seduta al tavolo di cucina con le cosce generosamente in vista, la bella portiera mi scrive i dati necessari. Deve capire, caro dottore, trecento euro per noi sono tanti. Farei qualsiasi cosa per non pagarli. Le farò sapere. La saluto cara signora. Due giorni dopo riesco ad intercettare il verbale e riesco abilmente farlo sparire nelle mie tasche prima che venga registrato. Il poliziotto che ha elevato la contravvenzione mi deve dei favori e mi faccio consegnare anche la sua copia. Quando rientro a casa passo dalla custode e le consegno i due foglietti. Non è stato facile, mento, ma alla fine ci sono riuscito. Dottore lei è un angelo! Come potrò mai sdebitarmi? Posso almeno offrirle un vermouth? Venga, si accomodi, sieda sulla poltrona. Chiudo un attimo la portineria così possiamo stare dieci minuti tranquilli. Siede di fronte a me facendo in modo di mostrami le cosce e mi riempie il bicchiere. E’ davvero appetitosa quella donnina dalle forme tonde e piene! Mio marito stasera non rientra – mi dice – è fuori per lavoro. Mia moglie invece deve essere già a casa – le rispondo. Peccato – fa lei – avrei potuto sdebitarmi in qualche maniera. Prego? – faccio io fingendo di non capire. Avrei potuto invitarla a cena. Sono romagnola, sa, e noni romagnole andiamo famose per la nostra cucina. E non solo per quella! E scoppia a ridere. Quel tonto di mio marito mi lascia sempre sola ed io sono ancora giovane. Non so se mi spiego, dottore. Ti spieghi benissimo, penso, e sento l’uccello reclamare una giusta dose di questa bella e vogliosa romagnola. Potrei dire a mia moglie che faccio tardi in ufficio, se ci tiene ad invitarmi a cena. Ecco, bravo, faccia così. Io tengo chiusa la portineria e ci passiamo un paio di orette in allegria. Dopo dieci minuti le ho infilato una mano sotto il vestito e le sto palpando le cosce. Sono diversi giorni che non mi svuoto le palle e questa bella romagnola ha tutta l’aria di saperci fare con la mazza. Mentre scosto l’orlo delle mutandine per infilarci due dita cerco di ricordami come si chiama. Si chiama Ilde, ecco come si chiama; che nome del cazzo, però ci sta e allarga le gambe per farsi toccare. Ha una passera bella carnosa ed è già tutta bagnata. Al tatto mi sembra un po’ troppo pelosa per i miei gusti, ma non stiamo tanto a sottilizzare. Mentre mi apra la patta dei calzoni per liberarmi l’uccello mi chiede se ho dei preservativi con me. Sa com’è, dottore, con tutte le brutte malattie che ci sono in giro! Lei è senz’altro sano, ma a me non piace rischiare. Non li ho gli stramaledetti goldoni e non li ha neppure lei. Suo marito non li usa. Allora è un bel guaio, dottore. Io senza quelli non scopo. Col suo dottore mi ha già rotto i coglioni. Le dico di chiamarmi Piero. Non ci siamo dati neppure un bacio e stiamo a discutere sul goldone. Tra un po’ me ne vado, penso, dico a mia moglie che ho fatto prima del previsto e mi faccio una trombata in famiglia. Sono li, con le mani in quella passera fradicia e l’uccello ritto fuori dai calzoni. Certo che la sora Ilde è una bella figa e io ho voglia di svuotarmi le palle, possibilmente non con mia moglie. La rovescio sulla poltrona e le abbasso le mutandine. Ha un bel figone nero peloso. Lei protesta, però quando m’inginocchio a terra e affondo la faccia nei succhi della sua passera e comincio a leccargliela alla grande, lei divarica le cosce e mi tiene ben ferma la testa con entrambe le mani per paura che io smetta. Quella maiala e bagnata fradicia e la sua bella figona nera dalle labbra piene e carnose cola da fare schifo e quando mi ritiro sono tutto impiastricciato e arrapato più che mai. Le do la cappella da ciucciare ma lei scosta il viso dall’altra parte. Allora mi sfilo del tutto i calzoni e mutande e mi tolgo calze e scarpe. Ho la mazza dura da scoppiare e non intendo certo andarmene in quello stato. Nudo dalla cintura in giù l’afferro per le braccia e la scaravento sulla poltrona. Lei intuisce le mie intenzioni e si ripara la faccia.. La picchio sulle cosce, sul culo, sul corpo. Non le faccio male, però le do dei bei colpi sonori, che mi fanno godere. Le tolgo le mani dal viso e la prendo a schiaffi. Poi me la metto di traverso sulle ginocchia con le mutandine abbassate e la sculaccio fino a farle venire le chiappe viola. Quando sento che sto per sborrare la scaravento a terra e continuando a picchiarla le scarico addosso un fiume di sborra. Adesso lei piange e la cosa mi eccita ancora di più, sicché decido di farmi un’altra goduta. Sempre continuando a dargliene di santa ragione la scaravento sulla poltrona e oo averla ingroppata me la inculo di brutto fino a riempirle i visceri del mio succo caldo. Quando me ne vado, finalmente soddisfatto, mi guardo perplesso nello specchio dell’ascensore: è la prima volta in vita mia che picchio una donna e non ho mai goduto tanto. Che sia diventato un mostro?
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