La proprietà Nel luglio 1998, dopo quindici lunghi anni di duro lavoro, presso l’ufficio di un’azienda di ristorazione industriale, in un periodo in cui mi sentivo quasi un vegetale ed ero sempre più convinto di essere sulla buona strada per la depressione totale, decisi che era ormai giunto il momento di cambiar aria. Non ero illuminato da nessuna prospettiva futura, né tantomeno avevo una gran voglia di rituffarmi subito nel lavoro, anche perché disponevo di un discreto gruzzolo in banca, perciò dopo aver dato le dimissioni senza preavviso, vagai a zonzo per la città per un’intera settimana. Ben presto, però, la noia cominciò ad allargare i suoi confini e prima di esserne irrimediabilmente conquistato, feci la cosa che mi sembrò più giusta: decisi di fare un viaggio. Anni avanti avevo ereditato da mio nonno paterno, latifondista, un discreto appezzamento di terra giù in Sicilia e, dato che non ero, ancora, mai andato a visionarlo, decisi di recarmi sul posto per valutare effettivamente la consistenza del lascito. Caricai la mia s.w. con le cose più indispensabili e mi accinsi ad affrontare il lungo viaggio. Man mano che percorrevo i km sentivo nascere in me una nuova forma d’energia che mi riempiva d’entusiasmo, tant’è che al primo autogrill comprai per la prima volta, dato che ero un amante della musica straniera, una musicassetta di vecchi brani rigorosamente italiani e mi ritrovai a cacanticchiarne i testi ricordando i tempi in cui mia madre, intenta nelle faccende domestiche, s’immedesimava in Mina, Rita Pavone, Celentano o Battisti. Il viaggio proseguì tranquillamente sino allo stretto, dove arrivai che erano le 19:00, poi code interminabili, clacson incessanti, afa, smog e quant’altro mi riportarono rapidamente a quello stato d’apatia, stress e malumore che credevo aver lasciato alle spalle con la mia partenza. Ero assorto nei pensieri, quando, ad un tratto, due ragazze con zaino in spalla si avvicinarono e mi chiesero gentilmente un passaggio sino a Catania. Risposi con un secco: “No, non passo di lì, mi spiace” anche se non era vero. Si allontanarono e le vidi con la coda dell’occhio, dallo specchietto retrovisore, sporgersi verso i finestrini delle auto in coda. Apparivano sconsolate, perciò uscii dall’abitacolo e le chiamai. Erano solo a pochi metri dalla mia auto, ma mi vennero incontro correndo quasi temevano che potessi partire da un momento all’altro. Le aiutai a mettere gli zaini nel bagagliaio e le feci accomodare in auto. Continuavano a ringraziarmi ininterrottamente, tant’è che ad un certo punto fui costretto a dir loro di smetterla altrimenti le avrei fatte scendere al più presto. All’interno dell’auto calò un silenzio abissale e mi resi conto di aver un po’ esagerato, perciò chiesi scusa alle due fanciulle ed aggiunsi che ero un po’ nervoso a causa dell’enorme traffico. La ragazza che sedeva al mio fianco allungò il braccio e mi pose la mano: “Io mi chiamo Claudia e lei è Giorgia”. “Roberto” risposi io stringendole quell’esile manina. Nelle due ore di sosta che seguirono scoprii che erano poco più che diciottenni, venivano da Bologna e che da poco diplomatisi volevano farsi delle lunghe vacanze a prezzi modici. Claudia, capelli neri e lisci, occhi scuri, labbra carnose e statura media, era la più spigliata tra le due, ma Giorgia, bionda, occhi chiari, capelli corti e circa 175 cm d’altezza, era senza dubbio la più carina e nonostante vestissero in maniera trasandata non potei non notare che avevano tutte le cose al posto giusto. Quando, finalmente, c’imbarcammo sul traghetto decidemmo di scendere dall’auto e di prendere una boccata d’aria. Salimmo sul ponte e ci sporgemmo dalla balconata. Poco dopo andai in cerca di qualcosa da bere e quando ritornai m’incantai alla vista di quei due fondoschiena che sembravano essere disegnati su misura. Offrii loro da bere e Claudia mi ringraziò con un bacio sulla guancia, mentre Giorgia mi fece un bel sorriso. Nonostante la differenza d’età, circa 15 anni, devo ammettere di essermi trovato molto a mio agio con le due e sinceramente trovai molto piacevole discorrere con loro di argomenti tra i più svariati. Ben presto ci ritrovammo di nuovo sulla terra ferma e dopo aver percorso un centinaio di km, alla prima stazione di servizio mi fermai per fare il pieno e per permettere alle due ragazze di poter andare alla toilette. Ripartimmo e Claudia, sempre lei la più audace, mi chiese se per caso avessi voglia di uno spinello ed io, più che altro per mostrarmi ancora molto giovanile, accettai. Quando lo spinello era ormai pronto ci fermammo in una zona di sosta circondata da alberi di grosso fusto e fumammo, forse solo io, accompagnando il tutto con della birra ghiacciata che Giorgia aveva comprato poco prima. Inebriato dall’alcool, dal fumo e soprattutto dalle due ragazze che sempre più audacemente si erano portate a strusciarsi spudoratamente sul mio corpo, mi ritrovai eccitato come non mai. Continuavamo a dire cretinate e a ridere di gusto ed io approfittavo della vicinanza per tastarle assiduamente. Non so di chi fosse la lingua che per prima s’intrufolò nella mia bocca, né a chi appartenesse la mano che furtivamente s’introdusse nei miei pantaloni cingendo il mio attributo ormai duro all’inverosimile, so solo che presto mi ritrovai ad amoreggiare con le due fanciulle ed in un turbine di sensazioni raggiunsi in poco tempo l’apice del piacere. Le prime luci del mattino, però, mi presentarono il conto di quella notte così stravagante: le due amichette erano scomparse e con loro anche la mia auto e tutte le mie cose. Mi avevano lasciato solo una camicia, un pantalone, delle ciabatte ed il portafoglio svuotato del suo contenuto più prezioso. Raggiunsi il primo posto di polizia, grazie anche al passaggio di un camionista, e dopo aver sporto denuncia contro ignoti ed aver bloccato la mia carta di credito, mi feci accompagnare a G* che distava ancora solo 37 km. Fortunatamente avevo ancora il nome e l’indirizzo del notaio presso di cui erano depositati i documenti attinenti la proprietà. Dopo una serie di controlli sulla mia identità ed un’infinità di firme, mi fu consegnata una chiave e, appresa la mia triste disavventura (tralasciando naturalmente i particolari), mi fu offerto un passaggio sino alla contrada Verniselli dove giunsi circa una mezz’oretta più tardi. Mi ritrovai di fronte un cancello semi-abbattuto ed arrugginito e, a circa una ventina di metri di distanza, un rudere da far paura. Rimasi immobile a fissarlo per non so quanto tempo, tant’è che non salutai nemmeno il giovane che gentilmente mi aveva portato sin lì. La chiave non mi servì affatto, giacché non c’era una porta da aprire ed in più mancavano tutte le finestre e parte del tetto. Ero disperato e continuavo a chiedermi cosa diavolo ci facessi lì e continuavo a darmi dello stupido e continuavo a rimpiangere la mia bella, caotica e lontana città. Stanco di piangermi addosso, decisi di dare un’occhiatina intorno e di approfittarne per trovare qualcosa da mangiare, dato che erano già le sei del pomeriggio e non avevo ancora toccato cibo. Mi dissetai e riempii lo stomaco con delle succulente arance rosse e preso da una stanchezza improvvisa mi appisolai all’ombra della pianta. Fui risvegliato bruscamente da un orco con un grosso bastone tra le mani pronto a colpire con fermezza. Non capivo bene cosa stesse dicendomi poiché mi parlava in un dialetto incomprensibile, ma di sicuro mi resi conto che stava incolpandomi di avergli rubato le arance. Mi alzai in piedi e stavo per spiegargli l’accaduto, quando lestamente mi colpì sul capo ed io persi i sensi e ricaddi per terra. Mi risvegliai in un letto profumato e molto soffice, ma con un gran mal di testa. Portai una mano sul capo e mi resi conto di averlo tutto bendato. Ero in una stanza con il soffitto molto alto, le pareti bianchissime, pochi mobili di legno ed un’infinità di fotografie e ritratti di uomini e donne di altre epoche, tra cui riconobbi benissimo la figura di mio nonno. Ero quindi in casa di qualche parente e la cosa non mi fece che piacere viste le disavventure capitatemi sino allora. Chiusi gli occhi e mi abbandonai ad un sonno profondo. Al mattino il risveglio non fu dei migliori, il canto ripetuto e stridulo di un gallo sotto la finestra mi distrusse i timpani e quando finalmente tacque ed io me ne rallegrai, ero, purtroppo, inconsapevole che la vita di campagna andasse allora animandosi. Ore 05:30. Sentii dei passi giungere dietro la porta, poi vidi la stessa aprirsi lentamente ed una donna bruna di circa 45/50 anni, alta e formosa, dapprima s’intrufolò nella stanza cautamente e silenziosamente e poi accortasi che ero ormai sveglio mi sorrise apertamente e mi diede il buongiorno. Si avvicinò e mi spiegò chi fosse, dove mi trovassi e cosa mi era accaduto: “Sono donna Carmela, moglie di Salvatore, cugino di tuo padre. Ti trovi qui perché Antonio, il nostro vaccaio, ti ha colpito con un bastone credendoti un ladro; lui è così un poco burbero, ma tanto buono è. Poi abbiamo trovato i documenti e ci siamo accorti che eri nostro parente ed eccoti qui. E tu dimmi, come mai sei venuto senza avvisare? E la tua roba dove sta?” il tutto in un accento marcatamente siciliano. Avevo la testa ancora un po’ dolente e non avevo proprio nessuna intenzione di raccontare tutto quanto per filo e per segno, ma nello stesso tempo potevo sembrare scortese, perciò finsi uno svenimento. Carmela si avventò su di me e mi tastò il polso e la fronte. Poi prese dell’acqua dal comò e me la versò in faccia. Riaprii gli occhi e le chiesi cosa mi fosse successo. Lei mi guardò e mi accarezzò teneramente la fronte ed io non potei non notare, dalla scollatura della sua maglia nera, la dimensione dei suoi seni, veramente enormi. Mi disse: “Caro Robertino, tu sei ancora molto debole e devi riposare. Non preoccuparti di nulla, a te ci penserò io”, poi mi baciò sulla fronte ed andò via. Durante la lunga giornata a turno gli altri abitanti della casa vennero a farmi visita. Conobbi così Salvatore, il capofamiglia, uomo di vecchio stampo e di poche parole; nonna Concetta novantenne, sorella di mio nonno nonché sua madre; Luca il primogenito e la sua bella moglie Assunta; le altre figlie Maria, Teresa e Susanna, rispettivamente 28, 21 e 19 anni ed infine Antonio il vaccaio che venne a chiedermi scusa ed ad offrirmi un grosso cesto di bellissime arance rosse. Tutti e tutte furono di una gentilezza unica e mi fecero sentire veramente un gradito ospite. Inoltre devo dire che la bellezza delle ragazze non mi lasciò indifferente e certo loro non restarono insensibili al mio fascino ed al fatto di ritrovarsi un uomo nuovo in casa. Restai ancora qualche giorno a letto, perché mi piaceva essere coccolato, soprattutto da Carmela che aveva per me tutte quelle attenzioni che mi facevano star bene. E poi devo dirla tutta ma, ogni volta che entrava nella mia stanza, mi procurava un’erezione che a volte faticavo a nascondere. Una notte, poi, mi svegliai di soprassalto perché colto da un caldo improvviso e rimasi di stucco quando potei decifrare che ciò era dovuto ad un’abile bocca che stava succhiandomi divinamente. Nell’oscurità non ero in grado di capire chi aveva scambiato il mio uccello per un prelibato cono gelato, avendo tutte le donne della casa, per giunta, i capelli lunghi e mossi. Perciò cercai di tirarla su, ma di contro, lei mi bloccò le mani ed accelerò il ritmo. Mi lasciai andare completamente a quella dolce sensazione e a quell’esperta lingua. Ancora qualche minuto e le venni copiosamente in bocca e, dopo aver ingoiato tutto il mio nettare, si alzò e sparì nel buio della notte senza proferire parola alcuna. Rimasi sveglio per molto tempo ancora cercando di svelare l’enigma della donna misteriosa, ma alla fine mi assopii stanco di non avere abbastanza elementi a disposizione, tranne che non poteva trattarsi della nonnina e di donna Carmela, la cui esagerata consistenza dei seni non mi avrebbe lasciato alcun dubbio. Il giorno dopo osservai attentamente ogni donna che venne a farmi visita e, purtroppo, in ognuna di loro potei riscontrare un non so che di misterioso e malizioso. L’ultima mattina che passai in quel letto da malato immaginario, mentre tutti erano nei campi e Carmela aveva appena portato via i resti della colazione, ebbi un bisogno irrefrenabile di masturbarmi. Scostai il lenzuolo e tirai giù gli slip. Guardandolo mi meravigliai delle sue dimensioni, come se non lo avessi visto da chissà quanto tempo e col sorriso sulle labbra cominciai a toccarmi pensando alternativamente ad ognuna delle donne della casa. In quel mentre, donna Carmela varcò la porta e vedendomi in quello stato sgranò gli occhi e poi svenne o finse di farlo. Mi alzai subito dal letto e cercai di sollevarla e mentre lo facevo, il mio pacco aderiva completamente al suo grosso e tondo sedere e l’erezione diventava ancora più imponente. Comunque, riuscì a stenderla sul letto e dopo averle sbottonato i primi bottoni della camicetta, le versai un po’ d’acqua sul viso e le diedi due schiaffetti. Riaprì gli occhi leggermente e sospirando, compose frasi dialettiche di cui mi era precluso il significato, pronunciate in maniera tale che pensai stesse pregando. “Signora Carmela mi perdoni, le chiedo umilmente scusa per quanto accaduto, la prego mi perdoni” supplicai. Lei mi guardò e mi disse tutta sudata: “Se vuoi essere perdonato e soprattutto se non vuoi che Salvatore mio … (s’interruppe e sospirando riprese) devi infilarmi il tuo bastone qui” e si sollevò la gonna mostrandomi le sue grosse mutande scure, da cui nonostante tutto fuoriuscivano una miriade di peli nerissimi. “Dai fa presto” continuò e si sfilò il grosso indumento intimo mostrandomi la fica più pelosa che abbia mai visto. Non ci pensai due volte ed in men che non si dica ero sopra di lei. Era fradicia d’umori e tremendamente calda ed iniziai a penetrarla con vigore. Le sbottonai completamente la camicetta e lo spettacolo che mi si presentò mi lasciò senza fiato. Erano grosse, sode e con dei capezzoli altrettanto enormi e duri e stranamente, pensai, non indossava il reggiseno. Iniziai a ciucciarle e a strizzarle senza smettere di scoparla. Il letto tremava e sobbalzava e noi sembravano non volerci più fermare. Continuava a ripetermi che ero un porco, un depravato e che stavo abusando di lei e della sua innocenza, ma intanto ero sempre più convinto che era lei che stava fottendomi tant’era la foga con cui veniva incontro alle mie spinte. Era una donna estremamente caliente. Aveva goduto più di una volta quando sentii il mio orgasmo salire e lei accortasene volle ingoiare tutto il mio seme nella sua calda ed invitante bocca. Si rivestì e scappò via dalla mia camera. Allora pensai tra me e me: “Deve essere proprio un vizio di famiglia. Arrivano, mi sconvolgono, si dissetano del mio sperma e se ne vanno in fretta e furia”. Poi mi distesi sul letto e riflettei a quanto sarebbe stato gratificante vivere lì se avessi saputo giocar bene le mie carte. C’era donna Carmela che si era già concessa e che era un vero vulcano e c’era la donna misteriosa che poteva essere sua figlia Maria, la quale rimasta vedova a soli vent’otto anni e dal modo con cui mi guardava, sicuramente, aveva una gran voglia di minchia o le due sorelle più giovani che avevo compreso esser molto curiose e vogliose di nuove esperienze oppure la bella Assunta, che a mio parere doveva averne fatte di cotte e di crude prima di farsi sposare da quel fessacchiotto di Luca. Mentre ero assorto in queste considerazioni sentii qualcuno correre per le scale e qualcun altro gridare a squarciagola. C’era di colpo gran confusione, d’istinto mi alzai dal letto ed in quel mentre la porta si spalancò e mi ritrovai una lupara sotto il naso. Non sto qui a raccontarvi le urla, le ingiurie e gli schiaffoni che volarono, quasi tutti sulla faccia del sottoscritto, ma per farla breve fui accusato di aver violentato donna Carmela e, per non incorrere in guai con la giustizia, ma soprattutto per non aver a che fare con la lupara di Salvatore, fui costretto a firmare la cessione della mia proprietà confinante con i cari parenti. Mi avevano abbindolato ben bene. Pochi giorni dopo, in treno, durante il rientro nella mia bella, caotica ed inquinata città, ebbi modo di conoscere a fondo una ragazza, fuggita da casa, che dapprima respinsi apertamente, ma che dopo amai perdutamente, tant’è che a distanza di sei mesi l’ho sposata. In Sicilia ci torno spesso per trascorrere le vacanze con la famiglia di mia moglie Susanna e poi perché il mio piccolo Salvatore, si, l’ho chiamato proprio così in cambio della mia vecchia proprietà, è molto affezionato ai nonni ed alle zie. Ah dimenticavo, non ho ancora svelato l’enigma della donna misteriosa, ma ho avuto modo di poter beneficiare altre volte dei suoi piacevoli favori.
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