Approfittando del periodo morto in ufficio recupero alcuni giorni di ferie arretrati e con moglie al lavoro e figli a scuola mi sto proprio rilassando.E’ bello andare a zonzo senza null’altro da fare che guardare le vetrine e gli altri che si affannano, specialmente se è una bella giornata di sole di inizio primavera. Mi piace guardare la gente, osservarla, cercare di indovinare pensieri e occupazioni. C’è la casalinga con gli occhi fissi sull’orologio, il manager con il cellulare attaccato all’orecchio, il corriere che bisticcia con il vigile perché ha parcheggiato in seconda fila per scaricare la merce, ci sono le segretarie che come tante formiche fanno la spola tra ufficio e sportelli di posta e banca e uffici pubblici e …. C’è lei.La noto subito, biondina, esile e formata allo stesso tempo, jeans, t-shert e maglione a V che non nasconde, anzi esalta un seno acerbo ma impertinente, quasi prepotente. Cuffie in testa e borsa-zaino a tracolla è li ferma che osserva tutt’intorno. I nostri sguardi si incrociano e si incollano quasi immediatamente. Mi guarda con un’espressione indefinibile pochi attimi e mi fa una smorfietta arricciando il naso e poi mi fa una boccaccia con la lingua. Faccio uno sguardo quasi di scusa, sto per passare oltre ma il suo viso si illumina, mi dice “scemo” e comincia a ridereMi sento proprio scemo, non so che fare ma è ancora lei che fa il primo passo anzi, i due che le consentono di avvicinarsi a me: “Ciao, mi offri un caffè?” Resto di sasso, ha una vocina che mi rimescola qualcosa dentro, e balbetto un “si, certo” e le indico un bar a pochi metri. Entriamo, lei si dirige verso il soppalco che ospita i tavoli tutti vuoti fatta eccezioni per due occupati da due anziani signori immersi nella lettura di un quotidiano. Si siede, deposita lo zainetto sulla sedia accanto e appoggia la gamba sinistra sul bracciolo della sedia. I suoi jeans attillatissimi non nascondono certo le sue forme e mi ritrovo con lo sguardo incollato alle sue gambe e al resto. Arriva la cameriera, lei ordina cappuccino e brioches io un caffè. E’ ancora lei a parlare, io sono come in tranche.”Mi chiamo Eva, mi piace osservare la gente e ho visto te. Mi hai incuriosita e ho deciso di conoscerti meglio”. Sono folgorato, è dolce e spregiudicata, almeno nell’esprimersi. Cerco di darle un’età ma non ci riesco. Potrebbe avere sedici anni o venti. I miei pensieri sono di nuovo interrotti dalla cameriera. Mentre prendo il caffè la osservo divorare la brioche poi si attacca al cappuccino che le lascia due baffetti di schiuma. Raccoglie con il cucchiaino la schiuma rimasta nella tazza e se la porta alla bocca con un gesto ingenuo ma sensualissimo. Lei si accorge del mio sguardo e mi chiede perché la guardo e io mi salvo dicendole che ha i “baffetti”. Passa un dito per controllare e poi con la lingua pulisce tutto sempre mantenendo il suo sguardo fisso nei miei occhi. Sono ipnotizzato. Ricomincia a parlare, anzi a far domande. Vuol sapere quanti anni ho, se sono sposato, figli, lavoro ecc. Rispondo cercando di darmi un tono ma lei mi smonta. “Perché mi fissavi quando portavo il cucchiaino alla bocca e leccavo la crema? A cosa pensavi?” Sono fulminato, cerco di blaterare qualcosa ma lei è un tornado. “Pensavi mica a delle cosacce che certe donne fanno agli uomini con la bocca? Stavi cercando di immaginare me in una tale situazione? Cerci di indovinare se l’ho già fatto?” Mi sta travolgendo, non riesco a parlare. Eppure ho 44 anni, ho un sacco di esperienze alle spalle anche in fatto di donne ma Eva è un fiume in piena e non riesco ad arginarla. Cerco di riprendere in mano la situazione. “ma cosa dici, come fai a pensare a certe cose” Mi interrompe nuovamente. “Non dirmi che potrei essere tua figlia, infatti potrei. Ma sono sicura che hai fatto quei pensieri, anche prima, quando mi guardavi tra le gambe”. Il gioco si fa pericoloso, è una ragazzina meglio tagliare. “Senti, adesso devo andare, mi ha fatto piacere chiacchierare con te ma purtroppo è tardi””Allora è vero, hai fatto pensieri lascivi su una che potrebbe essere tua figlia e non appena ti rendi conto di essere stato scoperto scappi via?””No, non è così””Dai, dimmelo sinceramente, ti piaccio?””Ascolta, credo che dovremmo interrompere qui la discussione, d’accordo?””OK, come vuoi. Aspetta, vado a fare pipì e poi andiamo”.Si allontana verso la porta in fondo e la osservo. Dopo un attimo la porta si riapre e lei mi fa cenno di raggiungerla. Cerco di restare bloccato sulla sedia, lo so che è una pazzia ma mi alzo e vado. “Ti dispiace stare qui? Il chiavistello è rotto ed ho paura che entri qualcuno ma di te mi fido”.In effetti mi sembra di notare qualcosa di rotto nella porta e mi tranquillizzo. Ma appena sento il tipico scroscio della pipì una scarica elettrica mi percorre tutto dalla testa ai piedi fino a fermarsi sul mio bassoventre. Sento un’imprecazione: “Accidenti” e la porta si socchiude.”Non so come sia successo, ho le mutandine bagnate, devo toglierle, ti dispiace reggermi i pantaloni? Qui dentro c’è stretto e non c’è un appendino.”Annuisco come un automa e vedo la porta aprirsi ancora un po’ e lei che si sfila i pantaloni che mi passa. Accosta la porta senza chiuderla e si sfila gli slip. Posso intuire la sua immagine nuda riflessa sulle mattonelle chiare del bagno. La porta si riapre e mi appare il busto coperto dal maglione e la parte inferiore nuda dall’anca in giù. Sono impietrito e lei è li con la mano stesa. “Hei, devo stare così ancora molto?”Si riveste e usciamo. Pago il conto e faccio per salutarla ma lei: “accidenti, questi pantaloni sono ruvidi, rischio di irritarmi la passerina, devo comprare un paio di slip mi accompagni? Ormai di te mi fido”. Mi prende sottobraccio e ci incamminiamo verso il grande magazzino di fronte. Non riesco a reagire. Sono come un automa.
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