C’eravamo conosciuti che lei non aveva ancora vent’anni e nessuno le aveva mai frugato nelle mutande. Luisa era oggetto di sorrisi da parte delle compagne di liceo per l’eccessivo pudore sulle cose del sesso;non ne parlava e si allontanava appena cominciavano certi discorsi. La corteggiai con delicatezza e nonostante che avessi una fama un po’ osé, si innamorò di me e alla fine ci sposammo. La rispettai durante il fidanzamento e non ci furono che superficiali toccamenti e molte chiacchiere preparatorie al sesso: roba da manuale cattolico. La notte delle nozze, timida nella sua camicia immacolata e nelle sue mutandine di pizzo che lasciavano intravedere l’ombreggiatura del sesso, si lasciò spogliare e attese, piuttosto rossa in volto, di essere presa. La feci sdraiare nuda sul letto e cominciai a baciarla, titillarle i capezzoli, leccarle il ventre e finalmente baciarle la fica. Una rosea fica di cui succhiai l’ignaro clitoride e tentai, con emozione, l’intatto imene. Da lei qualche piccolo gemito: era in totale confusione. Guardava il mio cazzo ritto senza saper come comportarsi. Si era parlato tra noi del fatto che le donne per piacer loro e del loro partner lo prendono in bocca, lo succhiano fino a farlo zampillare, ma Luisa non credeva di doversi impegnare in questa pratica la prima volta che ne vedeva uno!La convinsi a prenderlo in bocca solo per bagnarlo e rendere più agevole l’introduzione nella sua vergine fica. Acconsentì con imbarazzo: quando poi la cappella del mio cazzo, che avevo scappucciato, sentì l’umido tepore della sua bocca si gonfiò all’inverosimile, lei arrossì ancora di più, ma riuscì a bagnarlo per benino, come le avevo chiesto. Eravamo sul letto ben illuminato, perché le avevo chiesto di poterla guardare nuda, in una posa che assomigliava a quella del sessantanove e che lasciai per poter baciare la sua bocca che aveva assaggiato il suo primo cazzo. Le feci aprire le gambe, sollevare le ginocchia e piano piano puntai la cappella tra le piccole labbra della fica rorida dei suoi umori e della mia saliva. Lei capì che era venuto il momento e mi disse: Piero, ti prego non farmi male. Erano le sue prime parole da quando eravamo saliti in camera!Continuai ad eccitarla accarezzandole il piccolo e chiuso sfintere con un dito bagnato e finalmente con piccole spinte forzai il suo imene e lentamente la penetrai, mentre lei, d’istinto, collaborava spingendo in avanti il pube, come le sembrava giusto.. Non aveva emesso che un breve lamento. La possedetti con dolcezza e alla fine s sborrai a lungo nella sua fica, col piacere che si prova a farlo con la donna della propria vita. Rimasi dentro di lei e nel mentre la baciavo e le toccavo i seni turgidi. Quando mi ritirai sorrise felice, si piegò in avanti e riprese il mio cazzo, ormai non più rigido, nella bocca come per ringraziarlo, assaporando per la prima volta lo sperma e insieme gli umori della sua fica;le leccai la fica, tra le piccole labbra c’era un imene ormai lacerato e gustai anch’io il piacere dei liquidi sessuali che si erano mischiati. Sul lenzuolo c’erano delle piccole macchie di sangue frammiste a sborra. Nella notte ci ripetemmo con maggior confidenza e calore. Il mattino Luisa avrebbe voluto pulire il lenzuolo;glielo impedii, mi eccitava l’idea che la cameriera si facesse un’idea di quello che era successo e raccontasse… Anni dopo venni a sapere che in quell’albergo, per altro ottimo, usavano assegnare quella bella camera agli sposini perché dotata di uno specchio americano. Quando lo raccontai a Luisa, si vergognò come se fosse successo il giorno prima! Il viaggio proseguì in un’Emilia assediata dalla neve e a noi non restò che chiuderci in un albergo a scopare. Al ristorante dell’albergo, i camerieri, individuati gli sposini, ritennero loro dovere servirmi porzioni atte a reintegrare le energie dissipate a letto: garbatamente alludevano e Luisa si imporporava, sentendosi come spiata. Pudore di un’esibizionista in fieri. Le notti e le giornate furono intense, ma raccontabili al confessore: forse ad essere sincera Luisa avrebbe dovuto ammettere che prenderlo in bocca non era più un fatto puramente strumentale per bagnarlo e rendere più agevole la penetrazione, ma la voglia di cimentarsi nel mitico pompino di cui aveva sentito parlare;c’era un accenno di movimento di su e giù e qualche leccatina di troppo.. . Tornammo a casa, riprese gli studi, si laureò brillantemente in giurisprudenza, cominciò a frequentare il tribunale e nelle nostre notti divenne una specialista nel farmi i pompini: scherzando le dicevo che l’avrei portata, ovviamente nuda e mascherata, a fare una gara di pompini: avrebbe vinto bellissimi premi! Respingeva la proposta, ma era orgogliosa per l’apprezzamento: Un pomeriggio d’estate riuscii a farle il culo: non fu una cosa semplice: le avevo il buchino con straordinaria dedizione: con le dita cercavo di allargarlo e con la lingua di penetrarlo. Sentivo il sapore salmastro dei suoi umori dei fica e di culo, il mio cazzo nella sua bocca era diventato un’arma: la presentai all’orifizio, spingendo, con fatica, feci entrare la punta della cappella: lei spinse in dietro il culo per aiutarmi, me lo voleva dare, ma sentì male e mi pregò di fermarmi, poi riprendemmo e, con qualche lamento da parte sua, entrai: cominciai a scoparla, quando fu tutto dentro mi fermai e cominciai a toccarle il clitoride finché godette senza ritegno: con un dito nella vagina sentivo il mio cazzo dentro il suo culo. Lo tenni dentro quasi senza muoverlo, finché venni con lunghi fiotti, che lei, mi disse dopo, non avrebbe mai più scordato! Andò sul bidet e mi disse che sentiva la mia sborra colarle dal culo: una sensazione nuova e straordinaria. Per qualche giorno il culo di Luisa fu impraticabile, poi dopo qualche di sesso normale mi invitò a riprovare: si era procurata una cremina, misteri del sapere femminile, che rese più agevole la penetrazione e soprattutto lo scopare. Coll’andar del tempo, la scopata nel suo culo divenne l’atto conclusivo dei nostri momenti più belli. Una sera le portai la prima cassetta hard della sua vita: rimase scioccata. Di cazzo aveva visto solo il mio;un uccello normale, non completamente scappucciato;quelli che vedeva erano uccelloni, scappellati, prepotenti che bucavano il teleschermo. Le donne con le loro fiche rasate, che prendevano un uomo dopo l’altro, ebbero il suo biasimo convinto, eppure a me non parve del tutto sincera. Un episodio, ammise, la coinvolse un poco: su un’isola caraibica un’indigena bellissima faceva l’amore con due splendidi uomini del suo villaggio. Dotatissimi, la penetravano in tutti i modi possibili nella sua fica rosea(che contrasto col bruno della pelle!) nel buco del culo che sembrava un fico maturo.. . ma, alla fine, lei riusciva vincitrice e i superbi cazzi giacevano spenti. Molte altre volte riguardammo quell’episodio: Luisa ne era affascinata e nel colmo di un orgasmo ammetteva che le sarebbe piaciuto essere al posto dell’indigena. A freddo, però, negava ogni interesse: riconosceva che però c’erano in giro bellissimi cazzi di vario colore e dimensione, belle fiche e che, insomma, si scopava anche fuori della sua camera da letto e a quanto sembrava con straordinaria piacevolezza. Non fui geloso di questa evoluzione: mia moglie, consorte fedelissima, prendeva atto che nel campo del sesso c’era in giro molto da scoprire. Ogni tanto tornavo con una cassetta nuova. Luisa, a volte, non ne voleva sapere: diceva che non voleva quei fantasmi tra noi, ma poi si lasciava convincere a guardarli. Fu, lei lo riconobbe, in qualche modo una scuola: una specie di Kamasutra moderno dove posizioni azioni e posizioni impensate, suggerivano anche a noi comportamenti che prima non avremmo adottati: tecnicamente facemmo dei notevoli progressi e Luisa prese a comportarsi molto più liberamente: anche nel parlare tra noi. Dal punto di vista culturale, meritavamo di più di quelle azioni scatenate di vistose anatomie e delle nostre successive messe in pratica. Ci mancava lo stimolo a mettere in moto la fantasia, a partecipare più intimamente al mondo dell’eros. Eravamo cultori, ormai bravini, delle cose sessuali, ma molto lontani dall’erotismo: anche la testa voleva la sua. Cominciammo, me li procuravo, come le cassette, nella città vicina, a comprare i classici dell’erotismo(Aretino, de Musset, de Sade, Miller e Nin, Arsan e altri) e tra questi merita una menzione, di de Sade, “La filosofia nel boudoir” (ed. Dedalo). Ma per la nostra vita di coppia fu molto importante “Crudele Zelanda” di J. Serguine. La lettura di questi libri scatenò il nostro immaginario. Della ‘Filosofia’ ci commosse l’iniziazione di Eugenie: Dolmancé, bisessuale maestro, la svergognata e superba madame de Saint Ange (per aumentare la sua esperienza madame dà gioia nei bordelli parigini), i superdotati Cavaliere e Augustin: per Luisa un salto di percezione: il sesso cessa di essere un rapporto eterosessuale tra due persone e diventa una sinfonia;la tridimensionalità dell’azione sessuale: non più un piatto letto, ma le ardite architetture degli attori sessuali del “divino marchese” e l’lo sfondo adatto all’azione, creato dal linguaggio: “quando si fotte un culo è di culi che bisogna essere circondati. (Altro che scopare su una Panda!) Si raggiunse un equilibrio più avanzato: il sesso anche per Luisa non fu più soltanto il cazzo che prendeva, la sborra che beveva e nella quale si vantava di distinguere il tipo di miele che avevo mangiato, il calore del suo culo, che ormai pretendeva che io penetrassi sempre più frequentemente, ma divenne una questione mentale: la voglia di cazzo non l’aveva tra le cosce, ma soprattutto nella testa. La cosa valse anche per me. Ho accennato “Crudele Zelanda” di J. Serguine: piacque molto a Luisa. Mi venne il sospetto, fondato, che se lo leggesse anche per conto suo. Il libro racconta la storia di una lady inglese che finisce preda di un villaggio maori, in Nuova Zelanda: inizia per lei la più straordinaria avventura sessuale che la bionda lady potesse immaginare;gli indigeni la considerano un dono sessuale del cielo: le donne del villaggio la lavano nelle parti intime, le fanno clisteri per liberarla, poi la consegnano ai loro uomini che passano giornate a scoparla pubblicamente;naturalmente le donne si preoccupano delle tumefazioni di quella fica così frequentemente usata e la curano con unguenti e toccamenti. La lady conosce e apprezza il sesso omosessuale, finché arriva il capo del villaggio che di fronte a tutto il villaggio la incula con un cazzo dotato di una enorme cappella: l’eroica lady sopporta l’assalto con una fierezza degna della sua grande isola. Ormai è entrata in quel mondo: ragazzini e ragazzine, tutti maggiorenni per la legge maori, giocano con la sua fica dorata e con il suo buco del culo roseo, infilzandoli coi loro sottili membri. Viene catturato anche il marito che è costretto ad assistere alla generosa inculata che il capo maori somministra alla bionda signora: l’atteggiamento del marito è ambivalente: un po’ soffre per la violenza che la moglie subisce ma alla fine si eccita: il suo cazzo si drizza paurosamente e le maori provvedono a succhiarglielo;ma poi s’incazza quando vede la moglie godere, come lui non avrebbe mai immaginato! Fuggono, tornano in patria, ma nelle fredde brume la lady rimpiangerà quanto ha perduto. Solo il pallido cazzo del marito: crudele Zelanda! A mia moglie, che lo leggeva insieme a me, il libro piacque molto. Come dicevo confessò di esserlo letto da sola e di spogliarsi nuda davanti allo specchio per guardarsi la fica e il culo immaginando di essere come la protagonista esposta agli sguardi di affamati maori: invidiava la protagonista, i cazzi scuri che l’avevano penetrata, la sborra che colava dai suoi buchi. Ammise, anche, di essersi masturbata a lungo. Ma la cosa che la turbava di più, è che aveva degli orgasmi solo a pensarci: aveva imparato a scopare con la testa, ma la cosa non la lasciava tranquilla, si sentiva imbarazzata nei miei confronti come se in quei fantasmi avesse posseduto degli amanti reali.
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