Il rustico sorgeva sulla fascia più alta di una collina che, folta d’ulivi, s’affacciava sul mare. La casa che lui aveva sempre sognato. Aveva scelto la Liguria con la misurata fantasia del milanese che, pur anelando durante le nebbie invernali al sole e al mare, tuttavia non osa spingere il desiderio oltre qualche ora d’automobile dalla città.La casa, che di fuori appariva tal quale era stata costruita per contadini agli ultimi dell’ottocento, era però rifatta del tutto all’interno e c’erano l’elettricità, il telefono, il riscaldamento, la televisione. In quel contesto di moderne comodità il grande camino di pietra, nel suo studio, gli forniva un calore più intimo quand’era inverno, bruciando ciocchi di vecchio ulivo.Ora, in luglio, il prato antistante la casa era verde smeraldo, il cielo azzurro cartolina e il mare, laggiù in basso, del turchino carico di quando l’aria vien dai monti e pulisce il cielo.Seduto sul muretto che delimitava il prato, Sergio accese una sigaretta, gustando attraverso le narici l’aroma del tabacco che il palato mischiava piacevolmente col gusto del caffè bevuto da poco.Era un bell’uomo sui trentacinque, di statura medioalta, ben formato, snello. Indossava vecchi calzoni di tela, una stinta maglietta da polo e calzava scarpe di corda. Dal basso, dalla strada che s’inerpicava tortuosa su per la collina, venne un ronzio irregolare che per pratica attribuì alla vecchia vespa del postino. Tenne d’occhio l’ultima delle cento curve sinchè da questa, poco dopo, sbucò una motoretta che saliva. Alla guida non c’era però Geppo il postino, ma un giovane scuro di pelle, baffuto che s’arrestò sotto il muro di cinta che costeggiava la strada, all’altezza del cancello. Dal sellino posteriore smontò una ragazza magra, bruna di pelle e di capelli, che indossava un abito di cotonina stampata da poco prezzo. Scambiato col giovane baffuto un gesto di commiato, scomparve al di sotto del muro di cinta. La vespa, dopo una conversione, ripartì in discesa. La ragazza bruna riapparve sul prato, dopo aver percorso, sotto l’archivolto, il breve ammattonato d’ingresso.Sergio, seduto sul muretto, la considerò senza interesse, mentre si avvicinava. Volto e figura erano banali. Forse era snella di vita ma le gambe erano asciutte di polpaccio e non belle, le ginocchia, al contrario dei seni, sporgenti. Il volto, incorniciato da capelli neri tagliati nè lunghi nè corti, era magro, quasi scavato, con occhi piccoli e scialbi sotto la fronte bassa. Il naso aquilino le conferiva un’espressione vagamente grifagna e la bocca, nonostante le labbra piene, era di disegno duro.La ragazza s’arrestò a un passo dall’uomo, mostrandogli due buste. – Buon giorno, dottore. Ho incontrato Geppo, in fondo alla strada. Aveva corrispondenza soltanto per noi, così per non farlo salire fin quassù, le lettere le ho prese io. -L’accento era cantilenante, tipico del dialetto ligure. Sergio le sorrise, mentre prendeva le buste. Una era indirizzata a lui, l’altra alla moglie. Restituì quest’ultima alla ragazza. – Era il tuo fidanzato, quello con la vespa? – – Uno che conosco. Mi scusi, sono già in ritardo. -Si volse, allontanandosi sveltamente in direzione della casa. Lui ne osservò senza interesse la camminata priva di fronzoli, notando tuttavia il docile aderire della stoffa leggera alle forme del corpo. Le natiche erano come due spicchi nettamente separati fra loro. Le anche apparivano piene, contro il gioco della stoffa. Si strinse nelle spalle, gettò il mozzicone della sigaretta e lo seppellì tra l’erba, nella terra molle, con la punta della scarpa.Dalla casa uscì una ragazza alta, dai lunghi capelli biondi, in pantaloni e camicetta, che s’avviò verso di lui. Senza emozione ne osservò la figura snella e piena, dal seno colmo e giovane. La ragazza agitò allegramente la mano in segno di saluto mentre si avvicinava. – Ciao, marito pigrone, sono già le nove e mezzo e dovresti essere nel tuo studio a faticare. Chi ti scrive? – – Mah, sarà qualche cliente per chiedere una consulenza o un progetto. E a te? – – Mara, a nome di suo marito Carlo. Arrivano a fine mese e chiedono se puoi dare un’occhiata in cantiere, che gli preparino la barca. -Lo fissava ridente. Dimostrava meno dei suoi ventotto anni. La pelle, di grana fine, era leggermente dorata dal sole, gli occhi celesti erano chiari e trasparenti come quelli di un bimbo, ma la bocca, meravigliosamente disegnata e naturalmente rossa, e il corpo erano quelli di una donna fatta per l’amore.Si inserì tra le gambe di lui che stava seduto sul muretto e lo baciò sulla bocca, leggermente, gli leccò le labbra con mossa rapida da monella golosa, insieme infantile e provocante. – Non hai ancora aperto la tua lettera… – – No. – – Dammela, su che l’apro io. – Gliela tolse dalle mani. Aprì la busta, ne trasse un foglio e lo scorse con lo sguardo. – Uh, uh, è della Multinazionale ******… Ti chiedono, in via confidenziale, la tua disponibilità a far parte di un pool di progettisti per realizzare un megacentro commerciale alla periferia di ******. – – Me l’aspettavo. Allo studio avevamo avuto sentore che ci avrebbero contattati per questo progetto. Ma ancora non ho deciso se accettare. – – Ma perchè non ti decidi una buona volta a fare il grande salto. Un progetto importante, dove compaia il tuo nome, anzichè continuare a lavoricchiare con piccoli progettini e ristrutturazioni d’appartamenti? Sai bene che non abbiamo bisogno di denaro, non in modo assillante, perlomeno… -S’interruppe con un sospiro, di fronte all’espressione annoiata di lui. Conosceva a memoria il dialogo che ne sarebbe seguito, lo conoscevano entrambi. Era una storia vecchia. – Si capisce, potrei tentare, – replicò lui, puntualmente. – Non moriremo di fame, nel frattempo. Sei Donatella Savagnati, la figlia di Cesare Savagnati. Ho sposato gli “Insaccati Savagnati”, quindi ne potrei approfittare. Ma non voglio. – – Perchè? Non hai mai accettato nulla da mio padre, il discorso non è questo. Tu non sei soddisfatto di ciò che fai, sappiamo entrambi che puoi far meglio, perchè non provi? -Lo baciò ancora sulla bocca, con la mano gli allisciò la patta dei calzoni e strinse un poco. – Baciami, Sergio! Baciami con la lingua… – – A quest’ora? – scherzò lui. – Mi piace sempre, a qualsiasi ora, – sospirò Donatella, cercandogli ancora la bocca. La baciò come voleva, con la lingua, le accarezzò una mammella soda sopra la maglietta. In realtà era annoiato. Lei si staccò, rosea in volta e un poco ansante. – Me ne fai sempre venir voglia, quando mi baci così, – dichiarò sorridendogli. – Allora, ci stai? – – A stenderti sull’erba? – – Ma no, sciocco! Parlavo della mia proposta a lanciarti in questo progetto che ti propongono! – – D’accordo. Ne parleremo più tardi a colazione. Scendi a San Remo? – – Si. Vado a vedere se trovo un po’ di pesce in pescheria. – Lo baciò su una guancia e se ne tornò verso casa. La osservò allontanarsi, con una sorta di compiacimento distaccato per la bellissima figura di lei. Quando scendevano a San Remo non c’era maschio che non si voltasse a guardarla e Donatella sembrava non accorgersi dell’ammirazione che destava e, magari, non s’accorgeva davvero tanto poca era la sua civetteria. L’aveva avuta vergine, ma subito, con calda naturalezza, aveva imparato quanto v’era da imparare. Come amante era sempre disponibile, sempre appassionata, sempre tenera. Dolcemente spudorata a letto, la sua vita sessuale si esauriva però tutta nel marito. Nei rapporti con gli altri uomini era spontanea ma riservata.Accese un’altra sigaretta. Dal retro della casa spuntò il muso della Range Rover e Donatella, alla guida, sporse un braccio dal finestrino per salutarlo. Il grosso fuoristrada percorse il breve ammattonato, si inabissò sotto l’archivolto e ricomparve sulla strada. Donatella salutò ancora, con due colpi di clacson, e l’auto si avviò per la discesa.Dalla casa venne, attutito, lo squillare del telefono e, poco dopo, la Nin apparve nel riquadro della portafinestra. – Dottore, il telefono, da Milano. -Contrariato, Sergio spense la sigaretta e si avviò alla casa. Nel grande soggiorno la ragazza, vestita ora d’un abituccio a quadri che le scopriva le ginocchia ossute, stava tirando a cera il parquet con la lucidatrice ed osservò con una punta d’apprensione le scarpe di corda di Sergio che stampavano orme sulla cera appena stesa.Al telefono era un suo cliente. Gli chiedeva ragguagli su un progetto che aveva iniziato la settimana scorsa. Rimase a parlare con lui per una buona mezzora, poi riattaccò. Si accese un’altra sigaretta e si recò in cucina per mescersi un mezzo bicchiere di vino bianco, la Nin era intenta a pelare patate e a controllare minuziosamente il riso da cucinare.Ne osservò le mani sgraziate, rosse dai mestieri di casa. Si sorprese a immaginare quelle dita strette intorno a un pene turgido. Lo aveva mai fatto? Certamente si. Quanti anni aveva la Nin? Ventiquattro, ventisei? – Quanti anni hai, Nin? -Si volse a guardarlo, sorpresa (non le faceva mai domande, le parlava appena l’indispensabile) e subito tornò ad affettar patate. Come se non avesse udito, o capito, o non volesse dar risposta. Ma dopo un poco, mormorò, quasi riluttante. – Ventitrè, a dicembre. – – Ce l’hai il fidanzato? -Si strinse nelle spalle, continuando ad affettare. Sergio attese, vagamente incuriosito, rigirando tra le mani il bicchiere. Infine lei si decise a rispondere. – Non sapevo che ci importasse del mio fidanzato. Comunque non ce l’ho.-Lui pensò che era una risposta stupida, e la Nin era noiosa, inoltre era troppo presto per bere il vino bianco. Da quanto tempo era con loro, quella ragazza efficiente e bruttina? Gli parve poco più di un anno. A quanto gli aveva detto Donatella era di Bordighera e viveva con una zia, essendo orfana. Di lei non sapeva altro, nè gli era mai interessato sapere altro.La Nin, avendo smesso di pelar patate, si alzò a prendere una teglia dallo scolapiatti e, mentre gli passava accanto, lui sporse il bacino a sfiorare con l’inguine le natiche di lei. Fu un gesto incontrollato e, forse, nemmeno voluto, ma che gli provocò stranamente una reazione immediata nel pene che iniziò a inturgidirsi, la Nin parve non accorgersi o forse non ritenne intenzionale il contatto. Posò la teglia sul tavolo e vi dispose il riso, allisciandone la superficie con i palmi delle mani. Erano l’uno accanto all’altro e lui, con un movimento minimo, addossò l’inguine al fianco della ragazza e premette un poco. Stavolta non avrebbe potuto considerare casuale il contatto. Era curioso di vedere se avrebbe reagito e come. Lei continuò ad allisciare il riso e gli parve che nell’operazione ponesse una meticolosità non necessaria. Si scostò a gettare il mozzicone della sigaretta nel lavello e la Nin restò immobile, fissando il riso dentro la teglia. Allora le si appoggiò dal dietro, allogando la lunghezza del pene, ormai rigido, costretto nei calzoni lungo lo spacco delle natiche. E la Nin non si mosse, non disse nulla. Come non avesse avvertito il gesto, o lo considerasse naturale, o addirittura previsto, o inevitabile.Il sangue gli diede un guizzo, afferrò la ragazza per i fianchi e si strusciò forte contro di lei, col pene duro. – No, che fa… mi lasci stare. – disse finalmente la Nin, ma in tono indifferente. Stava abbassando la mano a sollevarle l’orlo dell’abituccio a quadri… – Sta arrivando la signora, – disse la ragazza con voce atona e lui tese l’orecchio ed osservò il prato attraverso la finestra. – Non sta arrivando nessuno. – replicò.La Nin tacque, continuando ad allisciare il riso e, un attimo dopo, Sergio udì il rumore familiare della Range Rover che abbordava l’ultima curva. Allora uscì sul prato, incontro alla moglie.Quella sera Sergio aspettò con ansia che sua moglie andasse a telefonare come era solita a suo padre e, quando la vide sculettare via in direzione del soggiorno immediatamente si avviò alla cucina. La Nin stava stirando e non alzò gli occhi a guardarlo. Microscopiche gocce di sudore le imperlavano il labbro superiore e aveva il viso lucido. Gli ritornò alla mente la mattina precedente, quando s’era strusciato contro di lei che lasciava fare e subito il sangue gonfiò il pene, irrigidendolo.Le andò alle spalle e senza preamboli, le pressò il membro duro tra lo spacco delle natiche prominenti. – No, mi lasci stare, – protestò lei con voce atona ma non smise affatto di stirare. Sergio sentì che gli tremavano le ginocchia per il desiderio violento, abbrancò la ragazza, stringendole forte i seni, piccoli e tutt’altro che duri e lei borbottò appena, a bassa voce: – Andiamo, mi lasci stare, dottore. -Ma lui tremava tutto, le ginocchia gli ballavano addirittura. Smise di strizzarle i seni e abbassò una mano al di sotto, palpando la durezza delle cosce. Tranquillamente la Nin continuava a stirare, senza perdere un colpo di ferro, senza sbagliare una piega e lui manco se ne rendeva conto, fuori di se dalla voglia. Le accarezzò il monte di venere sopra le mutandine di cotone e lo avvertì straordinariamente rigonfio, foltissimo di pelo. Le scostò il cavallo, a tastare tutto quel pelo. – Guardi che viene la signora… – avvertì la Nin, ma lui sapeva che la moglie, al telefono col padre, non avrebbe fatto tanto presto.Freneticamente si abbassò la lampo e mise a nudo il pene gonfio da scoppiare, rialzando maggiormente l’abituccio della Nin, sino a che non potè appuntarglielo tra le natiche, in basso tra il pelo, lei senza smettere di stirare come automa, strinse le cosce dure e lui venne così, immediatamente, in quantità incredibile, inzuppandola e godendo con rara intensità. – E’ contento, adesso? – lo rimproverò la Nin e, stavolta, smise un attimo con il ferro. – Mi ha sporcata tutta, si levi, vada via… -Mentre lui frettolosamente si ricomponeva, ancora scosso per l’inaudita intensità del silenzioso orgasmo, lei aveva già ripreso a stirare, veloce ed efficiente. Non lo guardò neppure mentre usciva dalla cucina.Il pianterreno comprendeva, oltre alla cucina ed i servizi, un tinello, il grande soggiorno e una stanza per gli ospiti dove dormiva la Nin. Al piano superiore stava il suo studio, la camera da letto e un altro servizio.Salendo le scale si sorprese con le ginocchia molli, la mente vuota, le mani che tremavano ancora. Andò a lavarsi in bagno e, quando ne uscì, udì Donatella salir le scale. Ora non si sentiva in condizione di prenderla, le avrebbe detto che aveva mal di testa, che non aveva digerito bene, avrebbe trovato una scusa. Entrò nel suo studio e si sedette sulla poltroncina girevole davanti al tecnigrafo, fissando il ripiano e Donatella, entrando nella stanza, osservò allegramente: – Ti riposi o stai pensando? – Mi riposo, – sospirò lui, voltandosi a sorriderle. – Tuo padre sta bene? – – Benissimo. Farà un salto da noi, la settimana ventura. Ti spiace? -Sedette sulle ginocchia del marito e lo baciò sulla bocca, con voglia. Era bellissima, desiderabile, innamorata di lui. Com’era possibile che si fosse lasciato andare con la serva. Com’era possibile che la Nin lo avesse eccitato sino a quel punto? Era venuto fra le sue cosce strette, come un ragazzino alle prime armi, senza manco riuscire a penetrarla!Donatella gli mordicchiò le labbra, frugandogli la bocca con la lingua, graffiandogli adagio la nuca, sospirando di passione ed era chiaro che lo voleva, era suo marito, aveva ogni diritto, ed anche lui la desiderava ma gli occorreva prendere fiato. Invece d’allegare una scusa, invece d’invocare il mal di testa, si sorprese a ricambiare gli umidi baci vogliosi di Donatella, ad accarezzarle i seni sotto la camicetta, ed erano seni splendidi, colmi e tosti, non le due perine molli della Nin, mammelle dure e gonfie erano quelle di sua moglie, dai capezzoli già eretti nel desiderio e che andavano indurendosi allo spasimo sotto le sue carezze. – Sergio! Oh, Sergio!… – si lamentò lei, – Che voglia, amore! Sarei capace di godere così, mentre mi baci… -Lui sapeva ch’era vero e raddoppiò le carezze, accarezzandole i seni e il fianco levigato, dolcemente curvo, succhiandole la lingua, dardeggiandola con la propria e non fingeva la voglia, che esisteva, ma le lasciava intendere che lui quella voglia potesse soddisfare nei modi ortodossi, il che non era vero al momento. Eppure… eppure il pene andava srotolandosi adagio, di poco più gonfio che in stato di riposo ma, comunque più gonfio. Il pene sentiva il desiderio della donna e, nei liniti, vi partecipava. Donatella si staccò da lui e gli sgusciò tra le braccia osservandolo maliziosa. – Andiamo a nanna, ho voglia di un bel lettone comodo. – gli mormorò facendo le fusa come una gatta.La seguì con ansia mista a eccitazione nella loro camera matrimoniale. Si spogliò e si infilò tra le lenzuola e sentì la moglie muoversi nel bagno attiguo. Ne immaginò i riti consueti, dai rapidi colpi di spazzola ai capelli sino ai lavacri intimi. Quando rientrò nella stanza e s’infilò sotto il lenzuolo, accanto a lui, nella sua inconsistente camicia da notte, sapeva di dentifricio e saponetta. Gli si accoccolò contro, allisciandogli il petto nudo. La sua manina morbida scese a gingillare il pene ritornato molle. – Hai sonno? – insinuò. – E tu? – – Non ancora… -La mano s’era fatta carezzevole sul pene. Erano sposati da quattro anni e dunque consapevoli felicemente della reciproca attrazione sessuale, non v’era mai stato tra loro alcun episodio d’insuccesso. – Pigrone. – sussurrò Donatella, mordendogli il mento. – Sono vecchio, – protestò lui, ipocrita. Il pene non rispondeva alle sollecitazioni della morbida mano femminile. – Niente affatto, – replicò lei, dando una scrollatina al riottoso. – Sei pigro, non partecipi, fai il sultano! Avresti dovuto nascere in oriente, padrone e signore di cento concubine! – – Tu sei cento concubine. – – Si? Bene, cosa vuoi dalla prima delle cento? – – Un bacio. – – Sulla bocca? – – No. – – Sei un porco! – – Si. – – Un bacio piccolo? – – Piccolo, dalla prima concubina. – – E dalla seconda? – – Un po’ di lingua. – – E dalla terza? – – Che lo succhi un poco. – – Porco! E dalla quarta? – – Che lo baci, che lo lecchi, che lo succhi. -La mano di lei non aveva smesso di accarezzarlo. Le parole che esprimevano i propositi andavano eccitando entrambi. Il pene, nella morbida mano di lei, era ingrossato, allungato, si induriva. – E poi? – insistè Donatella, un po’ rauca. – Che deve farti, la quinta concubina? – – Offrire alla mia bocca il pelo biondo, mentre continua l’opera delle prime quattro. – spiegò Sergio, accarezzando il fianco della moglie. Donatella scosse la testa bionda. – No, carino, così la freghi, la quinta concubina. Io la conosco. Se la baci a quel modo lei gode subito. – – Se gode non è peccato. – – Si che lo è. La quinta concubina vuol beneficiare del grosso affare del suo signore, non della sua lingua. – – Chi crede d’essere, la quinta concubina? Non ha nessun diritto di scegliersi il piacere. Solo la centesima può farlo, può profittare del palo del signore. -Nella mano di Donatella il ” palo del signore “, turgido all’estremo, era ormai duro come il ferro. Lei continuò a menarlo dolcemente e col pollice, quando la mano risaliva, soffregava teneramente il frenulo. Era colma di voglia, bagnata, pronta a ricevere il grande fallo che l’avrebbe premiata in pochi istanti. Smise di recitare. – Dammelo Sergio! – implorò ansante. – Dammelo subito! -Incollò le labbra a quelle del marito, frugò con la lingua ad incontrare quella di lui che scatenò in lei brividi di piacere. Sergio la rovesciò supina e le fu addosso, rialzandole la camicia da notte fin sotto il mento, leccandole i seni colmi dai capezzoli induriti al massimo mentre prendeva posizione fra le sue gambe aperte. Si introdusse adagio in lei, avvertendone i fremiti e Donatella gli artigliò i glutei a sospingere il pene, che penetrasse completamente, sino in fondo, che la colmasse tutta, che la violasse, duro e potente, come la prima volta che l’avevano fatto, su un divano, un mese prima del matrimonio e lei aveva goduto nel medesimo istante in cui il membro le lacerava l’imene. – Sergio, amore!… Oh!… Così, si! -Restò infisso in lei, immobile, succhiandole la lingua, ma Donatella si agitò frenetica, già al principio dell’orgasmo. – Dai, pompami! Pompami che vengo, amore!!!… Aaaah!!… Ecco!! Vengo!!… Aaaaah!!! -Aveva ubbidito subito, fottendola svelto per aiutarla a raggiungere il culmine del godimento, infervorandosi del piacere di lei che alzava la voce, lamentandosi e invocandolo. Donatella venne con un grido soffocato, abbandonandosi immediatamente dopo, la pelle di seta imperlata di sudore. – Anche tu, amore, godi anche tu, amore mio! – lo invitò già fioca. Lui continuò a pomparla, più adagio adesso, baciandole le labbra riarse dal piacere e intanto speculava come raggiungere il proprio orgasmo, ora che poteva fare di lei ciò che voleva. Lei era tutta godibile, tutta una voluttà. Forse la bocca? Oppure tra i seni turgidi? Oppure continuare così, ch’era già bello? O rivoltarla bocconi, perchè era bello penetrarla da dietro, avendo come scontro le dolci, burrose natiche di lei. O addirittura sodomizzarla, cosa che aveva già fatto qualche volta e gli piaceva perversamente, malgrado il dolore che le infliggeva e che lei accettava senza protestare, oppure… – Amore, caro, – sospirò Donatella teneramente. – Vieni anche tu, voglio che goda tanto! – e lo abbracciò, non ancora partecipe nel gioco, ma non più inerte come attimi prima. – Vieni amore! – lo incitò la moglie accarezzandogli la schiena e la carezza, mentre la pompava, si mutò in un graffio dolce, in una stretta, in una sollecitazione. – Sergio! Ancora, così!… Oh, caro! – si lamentò del tutto conscia del grosso membro duro che la impalava a fondo. – Amore, mi fai godere ancora, così!… Oh!… Dai!… -Lui continuò a pompare, stringendole le natiche, spingendo un dito, tra lo spacco, alla ricerca del piccolo orifizio da titillare, da carezzare. Baciò Donatella sulla bocca, le succhiò la lingua, ne percepì i gemiti nella sua bocca mentre forzava il dito nello sfintere che si contrasse spasmodico in risposta. Il risultato fu quello che s’era atteso, la moglie si infiammò. – Aaah! Amore mi brucia!… Ah! caro, così!… Pompami, pompamii!… Aaaah!!… Guarda che godo ancora!!… Mmmmh!! Sergio, io vengo, godo ancora!!… Si!!… Aaaah!!… Pompa!!!… Godoooo!!!… Aaaah!!!… -Mentre la moglie si perdeva nell’orgasmo lui, continuava a fottere a gran colpi. Colpì ancora Donatella inerte, rendendosi conto d’essere ancora lontano dall’orgasmo. Allora, dopo pochi secondi, si tirò fuori da lei, la baciò teneramente all’angolo della bocca asciutta, ascoltandone i sospiri in decrescendo di giovane femmina appagata, già desiderosa di sonno. Come la sentì appesantirsi nell’inerzia si districò con tenera cautela dalle membra tiepide di lei e, scivolato fuori dal letto, indossò il pigiama.Era ancora teso nel sesso, il membro rigido gonfiava la stoffa dei calzoni. Uscì dalla stanza e, al buio, scese silenziosamente le scale. Che cosa si attendeva di trovare dabbasso?Il piano terra era completamente buio. Con la sicurezza che gli veniva dalla conoscenza della casa si avviò verso la cucina, senza accendere alcuna luce. Nel passare accanto alla stanza degli ospiti udì il leggero russare della Nin. In cucina, accesa la luce, scovò nel frigo una mezza bottiglia di Pommery e ne bevve avidamente un bicchiere. Lo spumante ghiacciato mitigò in qualche modo la sua vaga delusione. Spense la luce e risalì silenzioso alla stanza da letto. Mentre si sdraiava accanto a Donatella si rese conto di essere teso e nervoso, insoddisfatto. La moglie gli dava le spalle, dormendo sul fianco destro. Le si accostò e, piano, le appoggiò il membro durissimo fra le natiche, forzando le belle cosce ad aprirsi. Faticò ad introdursi in lei, nonostante Donatella, mormorando nel sonno, l’aiutasse, arrendevole. In quattro affondi, stringendole i bei seni duri, venne nella sua vagina umida di umori, con un lungo lamento che non si curò di soffocare.Infine giacque accanto a lei pensando: l’ho fatta godere, due volte l’ho fatta godere, la farò godere sempre e invece quella serva stupida se ne stava come una gallina e m’ha rubato il piacere mentre restava indifferente e continuava a stirare, l’idiota!Ma domani le faccio vedere io, le faccio! La spacco, la sfondo, la faccio piangere, le rompo il sedere, alla cretina! La mattina seguente Sergio dopo aver fatto colazione si mise a lavorare nel suo studio. Lavorò per tutto il giorno, con una rapida pausa per il pranzo, veloce e senza interruzione. Alle diciotto avvertì la stanchezza, le troppe sigarette fumate, la voglia di un tè.In cucina trovò la Nin che, salita su una seggiola, appendeva le tende fresche, stirate la sera prima. Aveva proprio brutte gambe, magre e un poco storte ma l’abituccio a quadretti, mentre lei si issava sulle punte dei piedi per meglio arrivare alla riloga, scopriva le cosce ch’erano polpose e dritte e lo eccitarono. Dov’era Donatella? Lo chiese alla Nin che controllava lo scorrere della tenda e lei borbottò: – In garage, a pulire il motorino. -Allora mosse un passo verso di lei avvicinandosi, allungò una mano e le accarezzò le natiche dure, sotto l’abito. – Stia fermo, per piacere. -Non rispose e infilò un dito sotto il cavallo delle mutandine, tra il pelo foltissimo. – No, la smetta, guardi che viene la signora. -Tolse la mano subito. Se Donatella fosse uscita dal garage lui non avrebbe potuto vederla o accorgersi di lei se non quando fosse stata proprio all’altezza della finestra. Attese con impazienza che lei avesse sistemato la tenda, ne avesse controllato lo scorrere e fosse scesa dalla sedia. Allora l’afferrò per le braccia e, senza rendersi conto, dovette stringere forte perchè lei si lamentò. – Mi fa male!… Mi lasci andare! -Allentò la stretta, senza tuttavia lasciare la ragazza. – Vieni! – – Ma dove? – – Zitta! – e se la trascinava dietro, riluttante fuori dalla cucina. – Ma cosa vuol fare?… Dove vuole che venga? – – Sta zitta! -Finì per seguirlo, per non farsi strattonare ulteriormente. La sospinse nella stanza degli ospiti. La stanza dove lei dormiva e lei disse con voce atona: – Ma cosa vuole, ma cosa vuol fare, mi lasci andare, adesso viene la signora… -La spinse contro il letto e ve la fece cadere sopra di schiena. – Guardi che se arriva la signora ci vede… – protestò ancora debolmente mentre lui si abbassava i calzoni e le andava tra le gambe. Non le abbassò le mutandine e, frenetico, le spostò di lato il cavallo, scoprendo una peluria ancor più folta e nera di quanto gli avesse potuto rivelare il tatto. – Mi lasci andare, che poi mi mette incinta! – protestò lei, ma Sergio non l’ascoltava, unicamente inteso a puntare la rossa testa del membro nel preciso centro di quella peluria che nascondeva ogni ingresso.Ma dovette aiutarsi con le mani e intanto lottare contro di lei che non voleva sottostare e andava ripetendo monotona e decisa: – Mi lasci stare, per piacere mi lasci stare! -Infine riuscì a penetrare parzialmente in lei ma era stretta e asciutta, tanto asciutta che neppure quando gli si aperse ad accoglierlo rassegnata, la penetrazione completa fu possibile. Nè, d’altronde, necessaria perchè subito avvertì che stava per godere e fece appena in tempo a tirarsi indietro. Mentre la schizzava sul ventre e sull’abito a quadretti udì, dall’esterno, la voce di Donatella che chiamava la Nin, che uscisse un momento e lei subito gli sgusciò da sotto e toccandosi l’abito macchiato ebbe una smorfia e protestò, mentre usciva svelta dalla stanza. – Non poteva lasciarmi stare, no? Mi ha sporcata tutta! -A tavola, quella sera lui e sua moglie parlarono del suo lavoro e della prossima venuta del padre di lei.Alle dieci salirono nella loro stanza e, mentre Donatella prendeva una doccia, lui controllò nello studio il lavoro della giornata. Non gli dispiacque, ma non l’avrebbe fatto vedere alla moglie prima d’essere andato ancora avanti.Quando Donatella entrò nella stanza da letto lo trovò steso sul lenzuolo, nudo, tranquillamente addormentato.L’indomani, alle dieci e mezza, aveva già portato a buon punto il lavoro. Stava per scendere a chiamare Donatella quando udì il motore della Range Rover ronfare sotto le finestre, si affacciò e vide l’auto scomparire sotto l’archivolto. Donatella scendeva in città per far provviste. Controllò ancora il suo lavoro ma nervosamente, da quel momento. Infine si decise a scendere.La Nin era intenta a stivare biancheria attraverso il portello della lavatrice. Vederla e sentirsi eccitato fu tutt’uno. Non finse neppure di mettere su l’acqua per il te ed attese soltanto lo scatto del portello nel richiudersi ed il premere del tasto d’avviamento prima d’agguantare la ragazza per un braccio.La Nin ebbe una smorfia di sopportazione ma si lasciò sospingere, muta contro il tavolo. Soltanto quando la costrinse ad appoggiare il petto sul ripiano e le sollevò l’abito dal dietro momrmorò, in tono piatto: – Ma che vuol fare, di nuovo… mi lasci stare, su… -Le abbassò le mutandine con mani tremanti di voglia e lei borbottò soltanto un ” uffa…” e tacque mentre la costringeva ad allargare le gambe, le frugava il pelo folto con le dita, la violava con l’indice, trovandola asciutta e non disposta intimamente, si abbassava i calzoni e le appuntava il membro rigido dritto al centro dell’ingresso di quella selva oscura. Spinse, frenetico, non riuscendo a penetrarla che parzialmente, le ginocchia tremanti per la voglia. – Allarga le gambe!… Ancora!… – sbraitò, già al culmine dell’eccitazione e la Nin obbedì ma lui non riusciva a guadagnare un centimetro dentro quella carne asciutta. Tuttavia, mentre spingeva per violare, sentì la marea del piacere montare inarrestabile e lei s’allarmò subitamente. – Stia attento, che mi mette incinta! -Fece appena in tempo a tirarsi indietro, lunghi zampilli cremosi le rigarono schiena e natiche, lui bestemmiò con forza, la Nin, lasciandolo col pene ritto e gocciolante, stava già davanti alla lavatrice. Quanto era durato? Qualche secondo? Altro che squassarla, altro che farla piangere, altro che spezzare le reni a quella serva dura come il tronco degli ulivi più vecchi.La guardò con acrimonia, avrebbe voluto batterla, scrostare a botte quell’indifferenza così umiliante.L’agguantò per un braccio, stringendolo forte, con l’intenzione precisa di farle, almeno, male. – Ma cosa ci ha, adesso! – si lamentò allarmata. – Ha gia fatto… Mi lasci andare! Mi fa male!… -La strattonò brutalmente, costringendola a sedere su una delle seggiole impagliate. Lo fissava senza capire, allarmata, sinchè non le spinse il pene contro la bocca. Allora volse il capo, rifiutando. L’afferrò per i capelli, costringendola a mettersi di fronte e lei teneva le labbra serrate, muta e ostinata. – Apri la bocca, scema! Aprila! -Le sfregò contro le labbra la testa del membro e lei si sottrasse come poteva e sputò. Non con disprezzo, nè come se le mettesse schifo, semplicemente come quando si trova un pezzetto di stagnola nel boccone di formaggio. Allora le tirò i capelli, con cattiveria, e lei, per non soffrire, lasciò che le soffregasse la testa paonazza tra le labbra, ma ad occhi chiusi e la bocca atteggiata alla smorfia di bambina di fronte al cibo che rifiuta. – Aprila!! – ruggì, spingendole forte il glande contro i denti serrati e intanto odiava se stesso più di lei e in quel momento venne con un grido strozzato, lordandole il volto e la Nin aprì finalmente la bocca ma per protestare. – Che porcate!… Ma che porcate mi fa! -Portò la mano alla faccia, per pulirsi e lui la guardò con odio autentico, vedendola com’era, brutta, insignificante ed antipatica, gli occhietti scialbi sotto la fronte bassa, il naso che le cascava in bocca, le mammelle pendule che s’intravedevano nella scollatura dell’eterno abito a quadretti, le ginocchia ossute, insomma tutto il contrario della femmina invitante.Adesso il pene gli s’era fatto molle e pendeva misero, sgocciolando sui calzoni. Eppure, invece di smettere, di andarsene, di farla finita una volta per tutte con quella situazione assurda ed umiliante, restava lì, come un idiota a guardarla con odio. – Guardi che s’è macchiato i pantaloni. – disse la Nin guardando altrove. Lui abbassò gli occhi ed era vero. Immediatamente immaginò che lei glieli pulisse d’indosso e, incredibilmente, il pene molle ebbe un brivido, una sorta di segnale significativo. – Sei capace di pulirli? – le chiese ruvido, come se la colpa fosse della ragazza. Senza rispondere lei si levò dalla sedia, andò ad inumidire una pezzuola sotto il rubinetto e gli s’accostò, pronta. Sotto i calzoni il pene rispose all’unisono col gesto di lei, principiando a gonfiarsi. Si abbassò la lampo e la Nin si chinò ad infilar due dita dentro la patta per sollevare la stoffa, mentre con l’altra mano iniziava a strofinare la striscia macchiata col medesimo vigore che avrebbe speso per lustrare il pavimento. Con la destra Sergio estrasse il pene semirigido e lo appoggiò alla mano di lei. – Ma no, ancora porcate, – protestò ma la mano restò dov’era a tener sollevata la stoffa mentre l’altra continuava a manovrare la pezzuola.Il pene s’indurì maggiormente. La Nin strinse le labbra. Nella mano di lui il membro continuava a gonfiarsi, ad irrigidirsi, meccanicamente lo menò un poco, odiandosi e godendone. – Prendilo in mano Nin! – – No, mi lasci stare, andiamo… -Com’era possibile che lei producesse in lui simile effetto? Non ricordava che Donatella lo avesse mai eccitato tanto, c’era qualcosa di morboso nell’attrazione che provava per quella brutta femmina. – Basta, è pulito!… Vieni! – – Ma… dove?… Cosa vuol fare, ancora?… Ma no… Mi lasci stare!… – – Vieni! -Un po’ la spinse, un po’ la trascinò fuori dalla cucina, sino alla sua stanza dove la fece cadere seduta sul letto. – Prendilo in mano! – – No, mi lasci andare… -Le strinse forte un braccio, sinchè, con una smorfia di dolore, non ubbidì. Le dita ruvide, screpolate, il palmo grossolano fecero sussultare il pene. Dovette costringerla, la mano sulla mano, a menaglierlo e, quando tolse la mano da quella della Nin, lei si fermò, strappandogli una bestemmia. – Guarda che ti prendo a schiaffi, sai? -Ma dovette materialmente costringerla a muovere la mano al ritmo che voleva. – Poi mi sporca tutta! – protestò lei.Cosa avrebbe pagato per poterla massacrare di botte, per spaccarla in due! – Togliti le mutandine! -S’attendeva resistenza, invece lei, rassegnata, si alzò a mezzo per toglierle e le abbassò sino alle caviglie, lui dovette chinarsi a strappargliele dai piedi, prima di rovesciarla supina sul letto e di franarle addosso. – Allarga le gambe! – ansimò già roco e lei s’aperse tutta, ubbidiente. – Stia attento, se poi resto incinta mica ci pensa lei! -La penetrò adagio con difficoltà, stavolta voleva giungere a tutti i costi sino in fondo, possederla interamente, non lasciare un millimetro incolmato, il pene spasimava di voglia, come si trattasse di stupro da consumare frettoloso. Riuscì a penetrarla quasi per intero facendole morsicare le labbra per il dolore e talmente se ne esaltò che dovette stringere i denti per non venire subito. Lentamente arretrò e, puntellandosi sulle mani, abbassò gli occhi a fissare l’asta immersa tra il pelo nero, foltissimo. Guardò e, traditrice, sentì una fiammella guizzargli nelle reni, irreversibile. Fu un miracolo che riuscisse a tirarsi fuori nel tempo stesso che un gran fiotto di sperma schizzava con violenza fuori dal suo pene arrossato, getto lungo che s’abbattè pesante sull’abito a quadretti, primo fra quanti le bagnarono il ventre e il pelo.Mentre ristava, sbigottito di piacere e delusione insieme, la Nin brontolò: – Ebbene, sarà contento, adesso. Su, mi lasci stare, che è tardi e arriva la signora… – Passò una settimana, il padre di Donatella venne a trovarli e lo accolsero con una atmosfera allegra anche se per Sergio la cosa era un po’ forzata. Non riusciva a stare in pace con se stesso. Quello che era accaduto con la Nin lo metteva in subbuglio. Gli ritornava continuamente alla mente quello che un giorno dell’estate scorsa gli aveva detto Mara la moglie del loro amico che sarebbe arrivato a giorni.Un pomeriggio le aveva fatto un po’ di corte. Erano soli e stavano seduti sul muretto. A un certo punto lui le aveva detto: – Amo mia moglie e mi piace far l’amore con lei. Ma non posso impedirmi di pensare a come sarebbe con te. – – Io so come sarebbe per te, – aveva replicato quietamente lei. – Sarebbe come con qualsiasi altra. A te piace scopare ma non si tratta soltanto di piacere fisico, ti vuoi affermare e l’uccello è il tuo sistema. Se una donna non godesse con te ti sentiresti distrutto! -Vedendo l’espressione dei suoi occhi si era affrettata ad aggiungere piano: – Scusami, sono una stronza. Ora me ne vado. – – No! – l’aveva trattenuta lui posandole una mano sul ginocchio. – No, non andartene. Mi interessa ciò che hai detto. Non sono offeso, soltanto interessato. Secondo te sarei una specie di dongiovanni che vuole affermare la propria personalità attraverso il coito. Ne discende che, se un amplesso lasciasse insoddisfatta la mia partner, ciò basterebbe a distruggere la mia personalità. E’ così? – – Okay, ho detto così, una stupidaggine, probabilmente. Togli la mano dal ginocchio. Qualcuno potrebbe vedere. -Sergio si era stretto nelle spalle e aveva tolto la mano dal ginocchio di lei. – Può darsi che sia effettivamente come dici tu, – aveva replicato, – ma in tal caso ti avrei circuita, avrei fatto in modo che ti accorgessi che ti desideravo, non credi? Invece tutto è avvenuto in circostanze fortuite e, adesso, ti desidero. – – Prima non mi ritenevi disponibile, – aveva ribattuto Mara, fissando il fumo della sigaretta. – Non avresti fatto mai la corte ad un’amica di Donatella, troppo complicato, pericoloso. Poi è accaduto ciò che tu chiami circostanza fortuita e, adesso, mi ritieni disponibile, perciò mi desideri. E sbagli, perchè non sono disponibile. -Sergio stava per replicare qualcosa quando, dall’ultima curva era spuntata la Range Rover, loro salutarono con la mano e Donatella aveva risposto con due allegri colpi di clacson. La cosa finì lì.E adesso, da una settimana , non riusciva più a lavorare, a pensare, a fare l’amore con sua moglie. Nel pomeriggio precedente non era riuscito a lavorare come voleva, era andato a letto stressato, stanco senza aver fatto niente.Quel giorno si era svegliato di prima mattina con il sole che entrava già a fiotti nello studio, infastidendolo per la prima volta da quando abitava quella casa.Alle dieci scese in cucina dove la Nin e Donatella stavano trafficando. Mentre preparava il tè, rito cui provvedeva da solo, squillò il telefono nel soggiorno e andò a rispondere Donatella. Rimasto in cucina con la Nin, guardò la ragazza quasi con odio, ripensando alle parole di Mara, che se una donna non avesse goduto con lui, gli avrebbe alterato l’equilibrio, distrutta ogni sicurezza in se stesso. Quasi gli stava accadendo davvero, con quella serva che si comportava come gallina indifferente…Donatella tornò poco dopo, aveva chiamato suo padre, voleva sapere se sarebbero andati a Cannes con lui l’indomani a vedere una prima importante. – Vuoi andare? – le chiese. – Non sembri di buon umore. – – Tu verresti? – – Francamente non ne ho voglia, ma tu puoi andare. – – La prima è domani sera, – gli disse Donatella, – praticamente impossibile trovare una stanza d’albergo oramai. Lo spettacolo termina alle due del mattino. Papà pensava di tornare immediatamente a San Remo. – – Una faticaccia. Ne vale la pena? – – Me lo stavo chiedendo, – osservò lei, pensosa. – Sai, papà ci tiene molto. – – Vai pure a Cannes. Hai tutto il diritto di distrarti un poco. – – Ci penserò – rispose Donatella e allontanandosi – Scusami, m’è venuto all’improvviso mal di testa, vado a prendere un’aspirina… -Lui risalì allo studio, ingrugnato e sedette al tecnigrafo.Donatella partì per Cannes l’indomani alle undici. Venne a prenderla con la Jaguar il Savagnati in persona. Insistette fino all’ultimo perchè anche lui andasse. Infine partirono.Rientrato in casa Sergio salì allo studio ma era eccitato e nervoso, non gli riusciva di lavorare e scese in cucina.La Nin, dal momento che Donatella aveva già preparato la colazione per Sergio, era intenta a strofinar pentole e continuò il suo lavoro. Lui si mescè con calma un mezzo bicchiere di vin bianco e lo bevve adagio, considerando la ragazza che gli dava le spalle. Aveva tutta la giornata per lei, le avrebbe fatto vedere qualcosetta con calma, adesso. L’idea gli fece gonfiare immediatamente il pene.Le andò alle spalle e, presala per la vita, le pressò il membro lungo lo spacco delle natiche. La Nin non ebbe reazioni, neppure quando le sollevò l’abito. Soltanto quando le infilò a forza una mano tra le cosce serrate smise di lustrare la padella che teneva in mano. Le strinse una natica con tanta forza che certamente le avrebbe lasciato il segno, aveva natiche dure, carnose, singolarmente separate fra loro. Dal dietro insinuò un dito fra l’orlo delle mutandine e la carne, nel folto del pelo, penetrandole la vagina a quel modo. Stavolta, pur continuando a tacere, lei posò la pentola sul lavello e attese, come rassegnata, come a significare che sapeva cosa le avrebbe fatto, dunque lo facesse, e in fretta, magari. – Allarga le gambe, – le ordinò e lei ubbidì docilmente, divaricandole di poco. Insistè a rovistarla col dito da tergo. Non aveva mai trovato un sesso femminile così asciutto, arido addirittura. La rovistava, la pompava col dito, poi con due dita, era strettissima ed asciutta, soprattutto indifferente. Mentre lui andava man mano sempre più eccitandosi, la Nin lasciava fare rassegnata, senza partecipare e senza reagire in alcun modo. Infine smise di rovistarla e l’afferrò per mano. – Vieni! – e lei lo seguì docilmente, il volto del tutto inespressivo, sino alla stanzetta degli ospiti, la sua stanza, dove Sergio si mise nudo, mostrandole il pene eretto. – Spogliati! – Si aspettava qualche rimostranza, ma anche stavolta lei ubbidì senza proteste, togliendosi l’abito a quadretti. Sotto portava mutandine e reggipetto celesti di cotone, di poco prezzo. – Togliti tutto! -Stavolta lei arrossì ma si tolse senza dire nulla anche quegli ultimi indumenti. Aveva due piccole mammelle a pera, non del tutto erette, e un grande triangolo di peli incredibilmente esteso e folto, dalla base del triangolo scuro una sottile striscia di pelo risaliva fino all’ombelico. Era quel grande triangolo che lo eccitava in maniera incredibile, quel pelo foltissimo che nascondeva completamente il sesso. Sapeva che, se l’avesse presa subito, sarebbe venuto immediatamente, perciò decise che, prima, si sarebbe scaricato nella bocca di lei. Sapendo che la Nin sicuramente non lo aveva mai fatto, e che avrebbe tentato di ripudiare quel modo per lei insultante, provava già il piacere morboso di costringerla, di goderle fra le labbra, in gola…La spinse a sedere sul letto e fu tra le sue gambe, le afferrò i capelli stopposi, costringendole il volto in basso. – Leccalo! – ordinò rauco. – Non far la stronza che ti prendo a sberle, capito? -Lei parve capire che era determinato a farle male, che lo desiderava, ed abbassò la testa, i capelli sempre stretti tra le mani di lui, la punta della lingua sporse dalla bocca a leccare il glande già bagnato. Lui provò un lungo brivido, le strinse i capelli con più forza, la Nin leccò ancora, brevemente. – Tirala fuori tutta, quella lingua! – ruggì Sergio, strattonandola brutalmente e lei, con una smorfia di dolore, sporse la lingua completamente, a lappare la testa paonazza del pene. – Succhialo adesso, mettilo in bocca! – e lei succhiò. lo faceva però malamente, stringendo forte le labbra intorno al fallo. L’eccitazione di Sergio scemò lievemente e lui si tirò indietro, pronto a penetrare la ragazza. La spinse supina sul letto e lei mormorò: – Stia attento, dottore, per piacere, – mentre si allargava a riceverlo.Prima, affascinato da quel bosco scurissimo che gli nascondeva il sesso, spartì con la mano il pelo di quella selva oscura, la penetrò col pollice, poi due dita, allargandole le labbra vaginali, finalmente visibili, di un rosa pallido, come fiore in una foresta buia. Guidando infine con la mano il fallo introdusse prima la grossa testa, che scomparve nell’intrico di peli, poi, lentamente, eccitandosi a guardare, il resto della verga, sino in fondo, sino a sentire il pube a contatto con quello rigoglioso di lei. Infine le fu completamente addosso, spiando l’espressione del suo volto, ma non v’era espressione alcuna, negli occhi e nei lineamenti della Nin. Pur allargando le cosce al massimo, soggiaceva indifferente. Le inferse un gran colpo, godendo al vedere che si mordeva un labbro per non gridare di dolore. La carne intima di lei, stringendosi a difesa intorno al fallo invasore, dimostrava ripulsa alla penetrazione, come rigetto a un corpo estraneo. – Ma tu non godi mai? – sbottò al colmo della irritazione, fermo ed affondato completamente in lei sino ai testicoli. Per la prima volta la Nin ebbe un moto d’insofferenza, mentre rispondeva. – Perchè non fa, signor Sergio? Viene tardi e io devo ancora preparare da mangiare. -La risposta gli fece rabbia, le strinse brutalmente una mammella. – Mi fa male così! – protestò la Nin con una smorfia di dolore.Di colpo lo tirò fuori da lei, odiandola, e si guardò il pene: asciutto, rosso soltanto per lo sfregamento. – Non vuol fare? – chiese la Nin perplessa, vagamente allarmata e lui brutalmente la rivoltò bocconi, le guardò il culo con odio appuntandole il glande infiammato contro l’ano, ben visibile tra una piccola corona di pelo. D’improvviso gli tremarono di voglia sadica le ginocchia, mentre spingeva, cercando di sforzarle lo sfintere. – No!… Ma cosa vuole adesso!… Ma cosa vuol fare, è pazzo?… -gridò la Nin e serrava le cosce, tentando di sfuggire. – Ti rompo il culo!… Ti sfondo puttana! – ruggì lui, spingendo a fondo.Spinse e sforzò per sodomizzarla, ma il culo della Nin gli resisteva, era più difficile che nella vagina da penetrare. Si fermò per un attimo, aveva il pene bagnato di sangue. – Allora non vuoi proprio soddisfarmi ? ma che cazzo di femmina sei?… -Sempre più arrabbiato, le schiaffeggiò le natiche. – Sei solo una grandissima stronza…ma io adesso voglio godere, hai capito?!…hai capito?! -Lei pianse in silenzio, e intanto lui glielo appuntò di nuovo contro l’ano serrato cercando di entrare e spinse. Sentì male anche lui, ma continuò a sforzare la pelle di lei finchè riuscì a penetrarla brutalmente. Lei diede un grido altissimo di dolore e si arcuò tutta mentre il pene la lacerava penetrandole nel retto, con due colpi rabiosi di reni lui fu in fondo, facendola urlare a squarciagola. Le agguantò da dietro le mammelle scarse e strinse da stritolarle intanto che cominciava a pomparla con furia cieca, dolorosamente, nel culo. Affondò con tutta la forza che aveva, continuando a stringerla convulso, e lei pianse, mugolò, si disperò, pregò, e aspettò solo che lo sperma la bagnasse dentro per avere un po’ di sollievo. Dopo qualche minuto infatti lui si immobilizzò intanto che veniva a fiotti dentro di lei, maledicendo e sputando oscenità da trivio.Quando il pene si afflosciò di quel tanto da consentir l’uscita e lui si mise in piedi vide la Nin scendere dal letto con il volto rigato dalle lacrime che continuarono a sgorgare dai piccoli occhi scuri, mentre si rivestiva senza una parola. Più tardi la spiò mentre gli portava da mangiare a tavola. Camminava con le gambe leggermente larghe. Finito di pranzare salì allo studio, la rabbia non ancora smaltita.Donatella telefonò per comunicargli che sarebbero arrivati il mattino dopo e per informarsi se aveva pranzato e se c’erano novità. La rassicurò e tentò di riprendere a lavorare, ma era nervoso e non riusciva a darsi pace per quello che era successo.A sera, da solo, mangiò in cucina il medesimo stufato del mezzodì, mal riscaldato da lui stesso. Provò rancore per Donatella, perchè non c’era, e bevve più del solito.Alle undici non resistè più e scese a cercarla. Bussò alla sua stanza. Lei venne ad aprirgli e lo guardò sorpresa e leggermente intimorita. – Vorrei parlarti a quattrocchi. – – Entri, – mormorò esitante, facendosi da parte.Sembrava piuttosto stanca e rassegnata. Aveva gli occhi segnati, indossava una camicia da notte da poco prezzo, di quelle che si acquistano alle bancarelle dei mercatini.La fissò per un lunghissimo minuto, lei guardava in terra, immobile e questo lo fece uscire fuori di testa. L’afferrò per le spalle, scrollandola, esasperato per l’atteggiamento assurdamente apatico di lei. – Mi lasci stare, mi fa male! – – Sei proprio cretina, oppure fai la la scema?! – le ringhiò minaccioso. – Vuoi che ti prenda a sberle? – – Mi lasci andare, mi fa i lividi… -Le stava stritolando gli omeri e se ne rese conto e di un’altra cosa ancora si rese conto: che provava un piacere di natura sessuale a farle male, il pene s’era indurito. La sospinse contro il bordo del tavolo che si trovava nella stanza. – Tirami fuori il cazzo! -Sembrava, dal suo atteggiamento, che il male che intendeva infliggerle Sergio fosse da lei considerato come il minore, rispetto alle botte, forse temeva il peggio, d’essere ancora sodomizzata brutalmente, perchè obbedì senza protestare. La mano scese ad abbassare la lampo, aprendo la patta dei calzoni sul turgore del pene. – Prendilo in mano! -Gli strinse il membro con le dita ruvide, screpolate dai lavori, procurandogli un fremito di piacere. Le afferò la mano, chiudendo il palmo sulla durezza dell’asta, guidandola al ritmo che intendeva e lei docilmente ubbidiva, non più scontrosa come ricordava, ma come ansiosa di contentarlo, che se ne andasse, subito dopo…Lasciò senza proteste che le sollevasse la ruvida camicia da notte, le abbassasse le mutandine sino alle caviglie, parve interdetta quando lui restò in contemplazione, quasi morbosa, del suo foltissimo triangolo di peli.In quanto a Sergio, sentiva tremargli le ginocchia dalla voglia mentre fissava affascinato la nera difesa aggrovigliata, la selva oscura che celava l’ingresso di carne invisibile nel bosco. Voleva raggiungere e violare quella porta, far gridare la Nin, non importava se di dolore o di piacere, purchè gridasse. La piegò indietro, sino a farle appoggiare la schiena sul piano del tavolo e, stando in piedi fra le cosce della ragazza, guidò con la mano il grosso membro turgido tra il pelo folto sino all’incontro con la carne appena socchiusa, il glande forzò le pareti prive di elasticità, introducendosi a forza. – Non mi faccia male, faccia… adagio… – implorò la Nin con uno strano tono, ma lui manco l’ascoltava, nè la guardava in viso, niente esisteva in quel momento che non fosse quella carne tra il pelo, quella vagina che finalmente si disvelava di un pallido rosa contornato di foresta nera. Ecco che la forzava, quella carne, la allargava, la violentava. Il grosso membro, nell’affondare con sforzo ma inflessibile, era come l’asta di una lancia che allarghi la ferita di quel tanto che basti alla penetrazione. Ecco che stava per toccare il fondo, lo sentiva, e ancora non era tutto dentro, quando vi fosse stato avrebbe fatto danni contro la bocca dell’utero, avrebbe arrecato dolore, così sperava, almeno.Afferrò le natiche dure della Nin e giù un gran colpo, ad intrecciare i peli neri con i suoi! La Nin spalancò a dismisura la bocca e pe non urlare si morse forte un labbro, lui restò immobile un attimo, conficcato in fondo, ferocemente conscio che la guaina era di misura più corta del pugnale. Stava per romperla, per sconquassarla tutta, questa volta! – Stia attento, dottore, non mi metta incinta! -Aveva avvertito, prima di lui che voleva sconquassarla, la straordinaria tensione del pene pronto ad eruttare! Con una bestemmia si tirò indietro di colpo, una frazione di secondo appena in tempo. Lunghi schizzi biancastri raggiunsero la camicia da notte ben più alto del punto di vita, gli altri caddero grevi sul ventre, sul pelo dell’inguine appena abbandonato. – Ha fatto. – constatò la Nin, – mi lasci andare, adesso… -Ancora tra le sue gambe Sergio la fissava insieme attonito e feroce. – Zitta, scema! Non ho ancora finito, con te! -In un rabbioso accesso di frustrazione la spazzò letteralmente via dal tavolo e la Nin rovinò sul pavimento, dove restò a piangere contusa e dolorante, soprattutto atterrita da quell’esplosione di violenza. A stento lui si trattenne dal colpirla a calci, ma le ingiurie che le rivolse erano degne del peggiore bordello. – Frigida di merda!… Puttana!… Ti rompo il culo, te lo spacco!… In ginocchio, troia, succhiami il cazzo! -Singhiozzando la Nin ubbidì, terrorizzata. Mentre avvicinava al pene il volto devastato dalle lacrime lui l’afferrò brutalmente per i capelli, conficcandole in bocca il membro, sino in gola. – Succhialo, troia!… Ti massacro di botte se mi fai sentire i denti!… Succhialo, leccalo!… Così!… Brava, puttana!… Vedi che impari subito? Sei proprio nata troia! -Sul membro rotolavano le lacrime della Nin che sussultava muta nei singhiozzi, la bocca colma della carne rigida di lui. Succhiava, leccava e continuava a piangere, a tirar su col naso mentre obbediva ai suoi ordini. – Così!… Succhiami la cappella adesso!… Leccami i coglioni!… Bene, fai meglio di una puttana professionista in un casino!… Continua, che tra poco lo sentirai nel culo, vedremo se continui a far l’indifferente! -La Nin non resse oltre. Rompendo in singhiozzi disperati si scostò e, mentre si ribellava, lo andava implorando al tempo stesso: – Perchè mi fa di queste cose?… Perchè mi dice queste cattiverie?… Che male le ho fatto io?!… Perchè mi odia così?… – – Sei una puttana frigida! – le urlò con rabbia. – Ti piace vedere il maschio affannarsi mentre a te non te ne frega niente!! – – Ma non è vero! – gridò fra i singhiozzi. – Non è vero! E’ lei che vuole sempre fare con la forza, che mi prende a schiaffi, a lei non ci importa niente di me! Che gusto devo provarci, con le offese, con le botte? Che gusto?! – – Non venire a raccontarmi balle, adesso! – le ribattè ringhiando. – Mica hai detto niente, la prima volta, quando te ne stavi col culo contro il cazzo e continuavi a contare i chicchi di riso! Mica hai protestato troppo, quando te l’ho sbattuto dentro! – – Perchè pensavo che forse mi piaceva! – gridò la Nin in tono appassionato. – Io ci speravo che mi piaceva, ma come può piacere una cosa che fa male… lei mi fa sempre male, mi lascia i lividi ogni volta, quando ha finito ci faccio schifo, me ne accorgo sa? Se era diverso, forse mi piaceva, io volevo che mi piacesse! Come quella sera che s’è fatto la sua signora, sentivo che gridava, che perdeva la testa, ed io pensavo: perchè non mi succede a me? Ma la sua signora mica la prendeva a schiaffi, mica era una serva, quella! -Con il pene a un palmo dal volto angosciato della Nin lui la guardava, stupito da quella inattesa confessione. – Che cosa volevi, – brontolò sarcastico, – che ti facessi la corte, che te la chiedessi per piacere? – – Che mi trattasse come una cristiana, forse così godevo, – rispose la Nin semplicemente. – Tirati su, – le disse brusco, e si chinò ad aiutarla, afferrandola sotto le ascelle. Se la strinse contro, interdetto, burbero, accarezzandole il fondo della schiena. – Come facevo a sapere? Eri sempre scontrosa, indisponente, sempre zitta, accigliata, indifferente, credevo d’esserti antipatico… – – Non è vero, signor Sergio! – protestò a bassa voce. – Lei mi piaceva, mi… mi sentivo in voglia, pensavo che se facevo con lei qualche volta, non era tradire la signora che mi vuole bene, sono una serva, non è un tradimento, come con un’altra signora, era una cosa da niente… -Cristo, ci mancava anche la confessione amorosa, adesso, però non si sentiva di umiliarla, poi la desiderava sempre, voleva andare in fondo alla cosa, le insinuò la mano sotto la camicia da notte, risalendo a carezzare il pelo folto, a spartirlo, in cerca dell’ingresso intimo. – Mi dispiace, Nin, ti chiedo scusa. Davvero… -E intanto, frugando aveva trovato il bottoncino di carne e lo pressava delicatamente, lo accarezzava col polpastrello del medio. – Vuoi che proviamo ancora, come piace a te?… Come ti piace?… Così?… – – Mi piace a letto, nudi! – sospirò con passione, inaspettatamente, la Nin. – Mi piace che mi baci sulla bocca, signor Sergio! Che mi accarezzi come… con la signora… vi sentivo, mi veniva tanta voglia… -Lo abbracciò con forza, nascondendo il volto ancora bagnato di lacrime fra il collo e la guancia di lui. Finalmente, pensò trionfante, finalmente l’aveva fatta uscire dal suo guscio, aveva spezzato la scrosta dell’indifferenza apparente! Il fallo, contro il ventre di lei, tremò di voglia. – Andiamo a letto, Nin… – – Ho vergogna, adesso… – – Ti prego, ne ho tanta voglia, Nin! -La ragazza lo attrasse sul letto, per la prima volta invasa dal rossore. Si tolse la camicia da notte, il reggipetto, mentre lui finiva di spogliarsi. Infine l’adagiò sul letto, le fu addosso e prese a carezzarla, dopo un poco lei, con un sospiro, gli cercò la bocca. Era la prima volta che la baciava, prima l’aveva trattata sempre come femmina da monta. La Nin non sapeva baciare, le insegnò, le succhiò la lingua mentre con dita esperte le accarezzava il clitoride e lei s’allargava per favorire la manovra sospirata. Le prese in bocca un capezzolo che s’irrigidì immediatamente, la Nin si lasciò sfuggire un sospiro lungo, gli carezzò la nuca. Finalmente le labbra intime di lei s’inumidirono, persino la pelle della Nin si velò leggermente di sudore. – Facciamo, ora! – lo implorò con un gemito.Ma lui, ora che aveva imboccato la via giusta anche se non per proprio merito, voleva percorrere quella strada fino in fondo, voleva che la Nin spasimasse di voglia. Continuò a baciarla, a carezzarla con sapienza e lei, pazza di desiderio, gli stringeva il pene con forza, gli mugolava sulla bocca, i lineamenti stravolti dall’ansia e dalla voglia. – Mmmmmh!… Facciamo, signor Sergio! Per piacere! – – Ti piace, così? – – Si, si! Facciamo!! – – Sei tutta bagnata… – – Oh, si!… Ho tanta voglia, facciamo, per piacere! – – Lo vuoi?… Vuoi che te lo metta dentro tutto?,,, Ti piace? Dimmi che ti piace!… – – Si!…Si!!… Facciamo… aaah… signor Sergio!!… – – Vuoi che te la lecchi?… – – Si!… No!!… Facciamo!!!… -Smaniava e s’allargava tutta, cercava di tirarselo addosso afferrandogli i glutei muscolosi, sporgeva il bacino in avanti, lui la penetrò con un dito, con due, era bagnata fradicia, pronta ad iniziare il viaggio in cielo, per le stelle. Smise di carezzarla e la testa vellutata del pene trovò la strada, il gran tronco carnoso affondò sino ai testicoli. La Nin ebbe un singulto profondo e s’irrigidì, come se il piacere che provava fosse troppo. Come lui si mosse, diede un lamento lungo, roco, si morse un labbro, urlò qualcosa di inintellegibile, s’inarcò tutta contro il pene che la stantuffava profondo. Pochi colpi di reni da parte di Sergio e lei si coperse di sudore, arrovesciò gli occhi, s’irrigidì allo spasimo, a denti stretti gridò: – Dio!… Dio!!… DIO!!!… – e s’abbattè molle, stralunata, bagnata di sudore.Allora Sergio, facendo forza sulle mani e sulle punte dei piedi, staccò il proprio corpo da quello di lei, unico contatto il pene conficcato a fondo, e prese a pomparla adagio, come atleta. Fotteva e guardava affascinato la verga sprofondare nel bosco e riemergere lucida tra i peli nerissimi per affondare nuovamente nella vagina, nella selva, non più oscura. – Signor Sergio!… Caro!… – – Sto attento, non dubitare… – – Oh no! Voglio che goda, anche dentro, se ci piace… -Domata completamente, dunque. Continuò a pompare sempre allo stesso ritmo. Ora che aveva vinto, che gli era tornata totale sicurezza di se, era lontano dall’orgasmo. Fotteva come un esercizio fisico, una ginnastica sessuale resa piccante dagli occhi che filmavano l’azione, del cervello che ne ricavava stimoli eccitanti. Ad occhi chiusi la Nin subiva ma teneramente, godendo in effetti un corollario di piacere a supplemento e suggello dell’orgasmo, dandosi al maschio tutta, priva di riserve. – Ha visto che ho goduto, signor Sergio? Dio quanto ho goduto! – e sospirava accarezzandogli le reni, godendo del gioco muscolare contro il palmo delle mani, orgogliosa del maschio che ancora la impalava potente e instancabile, fiera del proprio godimento, conscia dell’ulteriore, sfibrante piacere che lui le dava ancora.Adesso Sergio voleva soltanto raggiungere l’orgasmo e aveva fretta di concludere. Svelato il mistero della selva oscura, non più intrigato dalla scontrosità di lei, ormai soddisfatto nella voglia e nell’orgoglio, guardava freddamente la faccia della Nin e la trovava brutta, com’era in realtà, pur mitigata la bruttezza dal piacere appena goduto, che imbellisce ogni donna.E intanto la Nin, scandagliata a quel ritmo, riviveva. Diede un lamento in cui suonavano insieme gioia, sorpresa e dedizione. – Mi fa morire, Signor Sergio!… Aah!… Mi fa godere ancora, così!… -Stava per dirle: godi, puttana, sborrami sul cazzo, ma ricordò ch’erano in termini affettuosi, adesso, perciò la incitò con falsa tenerezza: – Godi, Nin!… Godi ancora, ti piace?… – – Mi piace da morire, Signor Sergio!… Dio come ce l’ha bello grosso e duro!… -Una frase stimolante, per lui. Smise la posizione d’atleta e le gravò addosso, come piaceva a lei. Di baciarla sulla bocca non aveva voglia ma, mentre la fotteva guancia contro guancia, le cercò, tra il solco delle natiche, il piccolo orifizio posteriore, sentì le contrazioni dello sfintere allo stuzzicar del dito, la Nin gemette di lussuria. – Aaaah!!!… Mi viene da godere!!… Aaaah!!… – – Godi, tesoro, godimi sul cazzo! – la incitò ansimando mentre accelerava il ritmo della scopata e lei rispose subito, inarcandosi tutta, gridando forte. – Si, signor Sergio… caro!… Caro!!… Aaaah!! Ancora… così… ancora un poco!!… Dio!!… Aaaaaah!!!… -Partita, immessa in orbita. Sergio sentiva il pene lubrificarsi delle sue sostanze abbondanti, il sudore della pelle, l’abbandono totale di lei, però non riusciva a venire nonostante i gran colpi che le dava. S’arrestò un attimo, mentalmente in cerca di una diversa strada da sfruttare.Si tirò fuori da lei e, blandendola quel tanto necessario con parole e carezze, la fece girare bocconi, a pancia sotto, le si sdraiò sopra e le appuntò il glande contro il piccolo buco del sedere, le accarezzò le mammelle, a modo suo chiese il permesso. – Ne ho tanta voglia, Nin!… Mi lasci?… – – Si!… Si!…Ma faccia piano… Non mi faccia male… – fu l’immediata, amorosa risposta. Si sarebbe fatta impalare a quel modo anche se l’avesse avuto grosso e lungo il doppio, in quel momento si sarebbe fatta massacrare, uccidere da lui. Il pene ben lubrificato forzò l’anello rugoso, strappandole un sussulto. – Ti faccio male? – le chiese ipocrita e continuava a spingere, allargandola senza misericordia, serrandole la vita con mani di ferro, bloccandone i guizzi, che non sfuggisse. Infine con un grugnito rauco di libidine, riuscì a forzarle lo sfintere e a far oltrepassare al glande l’anello dilatato dell’ano. La Nin serrò gli occhi e si morse a sangue le labbra per non gridare, tremava in ogni sua fibra per lo spasimo terribile, mentre il fallo implacabile guadagnava lentamente spazio dentro il suo retto. Sergio continuò a spingere, sudando e imprecando, per immergersi dentro quel budello strettissimo e infine con un colpo più violento la impalò completamente, strappandole un urlo straziante, attutito dal cuscino.La Nin cominciò a gemere, con le lacrime che le scorrevano sul volto, mentre la pompava così, sforzandole l’anello dello sfintere sino al limite dell’elasticità, la sofferenza era atroce, insopportabile, ma voleva che le facesse male per dedicargli, oltre l’amore, anche il dolore. Era il maschio che l’aveva fatta godere; adesso, da padrone, si prendeva il suo legittimo piacere.Infine Sergio venne con un grido roco, vuotandosi completamente nell’intestino di lei e, quando il pene che la impalava impicciolì, lei strinse le natiche, come volesse trattenerlo dentro ancora, il più a lungo possibile… Donatella tornò alle sette del mattino e lui non la udì. Stava sognando, un sogno confuso ed inquietante che riguardava la Nin. Furiosamente digrignò, agitandosi nel letto, lo svegliò Donatella, posandogli la mano fresca sulla fronte che bruciava. – Sergio, caro! Sognavi? Un brutto sogno? – – Non ricordo, – bofonchiò, tutto sudato. – Ti agitavi, digrignavi i denti… -Lentamente ritornò in se, lei gli chiese del sogno, ripetè, mentendo, che non lo ricordava. Ora si sentiva finalmente libero dall’assillo che lo aveva perseguitato nell’ultimo periodo. Si avvide che dalle imposte filtrava la luce del giorno. – Sono distrutta, Sergio, siamo partiti da Cannes alle cinque, stamattina… -La stanchezza la si poteva leggere chiaramente sul volto di lei, ma la trovò lo stesso irresistibilmente bella e sentì di amarla perdutamente, gli era mancata. Donatella si stese sul letto accanto a lui, le membra fredde, cercando calore e Sergio, amorevolmente, l’accolse tra le braccia e ve la tenne gli attimi necessari a che lei piombasse nel sonno. Per un poco restò in veglia, guardandola dormire, senza saper perchè, poi lentamente anche lui scivolò nel sonno.
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