Il “Marina Yachting Club e Le Rocce” era tra i più esclusivi della bella località rivierasca in cui Laura era cresciuta e che in estate diventava tutto un brulicare di gente con due caratteristiche fondamentali: più bianchi avevano i denti e più scura – in modo esponenziale- era la loro pelle.Il mare in quei mesi estivi era trapuntato di imbarcazioni, e tutti si salutavano pur non essendosi mai conosciuti ne incontrati prima: ma faceva parte del “codice dei naviganti”, e valeva tanto per chi si dibatteva su un gommone restio a partire , quanto per chi se ne stava mollemente adagiato sul ponte di uno yacht che avrebbe contenuto al suo interno almeno una decina di quei modesti gommoni.Valeva tanto per chi violava la valva di una cozza, quanto per chi si destreggiava con la chela di un’aragosta.Laura era una bellissima trentenne mulatta: suo padre era stato un noto imprenditore della zona ed era morto di infarto due anni prima all’età di 58 anni, lasciando Laura in una delle più belle ville del posto; una dimora ottocentesca con tanto di terrazze e balconi affacciati su quel golfo spettacolare.La madre – Malena – era una donna cubana originaria di Santiago giunta in Italia bella come una gazzella ferita all’età di ventitrè anni. Ferita dalla vita, ferita dalle lunghe notti nauseabonde trascorse con i tedeschi ubriachi all’Hotel De La Nacion de La Habana per una manciata di dollari. Ferita dall’odore acre dei sigari che i suoi clienti le avevano infilato dappertutto e del rhum che le avevano versato tra i seni e sul ventre. In Italia aveva fatto l’entraineuse in un noto locale notturno per un anno circa, ma il dottor Raimondi se ne era innamorato follemente e l’aveva sposata, ed era anche stato un matrimonio felice. Laura era stata la loro unica figlia, arrivata dopo un anno di matrimonio.Malena dopo la morte del marito aveva preso ciò che le spettava ed era andata via: era andata a vivere in Costa Azzurra. Dopotutto era ancora relativamente giovane e bella e aveva voglia di ricominciare. “La gente dimentica, o finge di dimenticare, ma non perdona, Laura” – aveva detto con quei suoi indescrivibili occhi da creola alla figlia. La gente non aveva perdonato alla donna di avere ” accalappiato” uno degli uomini più appetibili e meglio posizionati della città: e finché lui era vissuto il deferente rispetto che gli era riservato era esteso anche alla moglie.Ma già dopo i funerali del compianto dottor Raimondi, Malena era tornata ad essere ” quella gran puttana della cubana”.E lei aveva deciso di andar via.Laura aveva compreso le ragioni della madre: e dopotutto Nizza non era poi così tanto distante.Preferiva sapere sua madre libera da quella sorta di lettera scarlatta che le avevano cucito addosso con un filo d’acciaio troppo resistente per essere strappato via, che non averla lì accanto rinchiusa nella villa, ormai vuota d’amore.Laura aveva scelto la carriera forense ed era diventata un bravo e stimato avvocato.Aveva la bellezza della madre ed i mezzi per metterla in risalto. Aveva la classe e lo stile.I suoi foulards di Hermes odoravano delle migliori fragranze e, tanto in città quanto in tribunale, il suo passaggio lasciava negli altri una sensazione indescrivibile: inebriante, forse intossicante. Era alta e snella, con il fisico della madre. La sua pelle era del colore dello zucchero caramellato ed era di un lucore innaturale: trasluceva. I lunghi capelli neri erano un’onda in continuo moto.Ma di Laura ciò che non lasciava scampo erano gli occhi. Di occhi come quelli era difficile vederne: ed erano stati gli stessi occhi a rubare il cuore del dottor Raimondi, trentadue anni prima; gli occhi di Malena.Erano grandi, straordinariamente grandi, ma dal taglio quasi orientaleggiante e di un colore che non avresti potuto definire con certezza. Di certo erano scuri, probabilmente del colore più simile al nocciola, ma fiammeggiavano: l’iride era disseminata di pagliuzze dorate sulle quali calavano lente e sornione le lunghissime ciglia.L’incedere di Laura era di per se stesso uno spettacolo: il passo era lungo ma lento, sinuoso. Aveva movenze feline.Anche il suo volgere il capo da un lato all’altro aveva un che d’animale.Allo Yachting Club Le Rocce di cui era socia insieme ad una ristrettissima cerchia di vip locali, Laura era la spina nel fianco delle altre donne e la spina nei pantaloni degli uomini di quelle altre donne. Non era particolarmente espansiva: serbava un po’ di rancore inconscio nei confronti di quella gente che aveva mortificato sua madre.”È la nostalgia cubana: è proprio una nota caratteriale della gente del paese di mia madre. Abbiamo questa malinconia assestata nello sguardo, che si scioglie per le strade, al ritmo della Salsa o della Rumba. Ma che si accentua sulle note di un Bolero, fino a diventare lacrima, fino a rigare i volti, su un tramonto a Varadero o a Cayo Largo” – spiegava lei a chi le chiedeva dove avesse “comprato” quegli occhi e quello sguardo.Ma le amiche con le quali si annoiava a morte giocando a Canasta allo Yachting erano avide di confidenze, e chiedevano di tutto. Ciò che chiedevano con maggiore frequenza riguardava il sesso. Questo in parte la infastidiva, perché sospettava che quelle quattro oche pensassero che avendo avuto una madre “professionista” del sesso, lei avesse preso lezioni di seduzione proprio da chi l’aveva partorita. Da un altro lato però capiva la curiosità, e del resto il sesso per lei non era mai stato un tabù.Quel giorno però non era in vena di confidenze né di chiacchiere: aveva molte cose a cui pensare, tra cui il calendario dei suoi impegni per il prossimo autunno.Si staccò dal gruppetto di signore e si avvicinò al suo boungalow, stretta nel suo pareo nero punteggiato da cristalli.Tirò fuori la lettiga, slacciò il pareo rotando sul fianco destro e si distese: braccia alzate con le mani sotto la testa, una gamba stesa e l’altra piegata, nel suo slip in microfibra colore cioccolata e con i seni liberi di stuzzicare il sole.Distesa era forse fin troppo magra: le sue costole erano evidentissime e la fossa che si formava nel suo ventre faceva risaltare il monte di Venere.Un incipit irresistibile all’immaginazione maschile: una sensualità di cui lei sembrava non rendersi conto.Respirò godendo del tepore dell’ultimo sole agostano: si sentiva bene e l’aria salmastra le dava un gran sollievo sin da quando era una bambina.”Avvocato, buongiorno!” – aveva detto una voce a lei nota ridestandola dalla quella staticità che stava godendo profondamente. “Luca, tesoro…..” – aveva sorriso lei.Luca era il proprietario di una serie di ristoranti vip di Santa Margherita Ligure, nonché un bellissimo quarantenne, nonché uno dei suoi amanti. Probabilmente quello con cui aveva meno complicazioni e forse anche l’unico che le facesse piacere sentire e vedere al di la delle notti tra le lenzuola su alla villa.”Mi fa impazzire la mia cioccolata al latte che in estate vuol diventare fondente” – aveva sorriso lui baciandole un piede, accarezzandole i polpacci e risalendo verso di lei depositando piccoli baci lungo quel corpo tiepido e setoso.”Luchino, vieni qui, siediti con me”- aveva detto lei, e si erano stesi di fianco sulla lettiga, poggiati sui gomiti a chiacchierare, uno di fronte all’altra.Non è che vi fossero molti punti di incontro nei dialoghi fra i due, ma era gradevole ridacchiare di questo o di quello : ed anche del fatto che non avessero molti argomenti di conversazione in comune. Luca ogni tanto la prendeva in giro con una vecchia canzoncina americana che diceva “you say tomato ,and I say tometo, you say potato ,and I say poteto, you say either and I sau aither…” e continuava così, a sottolineare le differenze tra i loro discorsi. Lei rideva di gusto quando lui rivisitava quella canzoncina: “tu dici toga, io dico foca, tu dici aula, io dico sala….” e continuava così inventando paralleli incredibili.Laura rideva; Luca la faceva ridere.”Cara mia, devo venirti a vedere in tribunale: con la toga devi essere l’ottava meraviglia” – le disse quel giorno. E poi concluse con la più realistica delle considerazioni: “tu raccogli testimonianze ed io le comande, tu cerchi testimoni e io il pesce fresco ma….. sia io che te abbiamo bisogno di una sola cosa per non finire con il culo per terra: e cioè i clienti! I miei – quando escono dal mio locale- male che vada finiscono al pronto soccorso, ma i tuoi……””E dai, scemo!! ” – rise lei dandogli colpi di foulard.E quella risata diventò un bacio.E poi un altro, li, sotto il sole ma al riparo da occhi indiscreti, incastrati con la lettiga tra un bungalow e l’altro.”Dammi la lingua e lasciatela succhiare” – disse lui. “Me la vuoi salmistrare?” – aveva ridacchiato lei mordicchiandogli il labbro inferiore.”No, ma prima o poi riuscirò a farti venire solo succhiandoti la lingua:ma dovrò forzarmi a non toccarti, a non volerti: e secondo me ci riuscirò prima o poi. Ma non ora” .Stesi uno di fronte all’altra ormai i loro corpi si toccavano e lui, coperto dall’abbraccio di Laura, le stava succhiando i capezzoli facendola gemere. Intanto aveva fatto scivolare una mano tra le cosce di lei ed aveva scavalcato lo slip.La sua fica era umida e calda e prese ad accarezzarla. Aveva uno strano modo di accarezzarle il clitoride: lo prendeva tra due dita e lo manipolava. Lo pigiava, lo ” sentiva”, lo allungava tirandolo dolcemente.E lei lasciava fare mentre sentiva che si bagnava copiosamente.Anche la sua mano era partita alla ricerca di quel cazzo che aveva sentito già eretto contro le sue cosce.Se ne impossessò stringendolo in una mano e cominciò a masturbarlo, allungando ogni tanto le dita verso le palle di lui, graffiandolo impercettibilmente.”Cristo, Laura, sei una dea, lo sai?””Si, sono la tua dea e tu mi devi onorare””Non sei solo mia, vero?””Certo che no: non esiste né è mai esistita una dea onorata da un solo adepto, lo sai” “Puttana…… ci provi gusto a farmi ingelosire vero?” “Forse….ma a giudicare da come ti si gonfia il cazzo direi che ti piace molto l’idea di non essere il solo a portare doni alla mia ara” “Sei una troia innata, Laura: tu sei nata puttana” e dicendo così continuava a manovrarle il clitoride, a leccarle i capezzoli e a baciarla.Lei dal canto suo non mollava la presa e continuava a masturbarlo con un ritmo estenuante.” Andiamo dentro ora” – disse lui, e si chiusero nel bungalow. “Faccia al muro, avvocato, subito” – ordinò Luca e lei eseguì immediatamente, piantando le mani sulle pareti del bungalow leggermente piegata in avanti e con le gambe appena dischiuse.”Hai un culo divino….. voglio leccartelo”Laura si piegò ancora un po’ e allargò ancora le gambe per far spazio alla bocca del suo amante che iniziò a leccarle i glutei sodi: li mordeva e li leccava mentre faceva scorrere un dito su e giù tra le chiappe fino alla fica ormai gocciolante di piacere.”Adesso ti monto, troia…… adesso te lo spingo tutto dentro…””No, aspetta….”Lei si rigirò, schiena al muro, ed alzò una gamba intorno ai fianchi di lui.Lui la sollevò aprendole il sesso e la penetrò così, a fondo, impalandola al muro.”Ti voglio fottere come un animale, magnifica puttana, voglio fotterti forte e sborrarti dappertutto, avvocato del mio cazzo..” “Si…….sbattimelo tutto dentro e fottimi, così……. si, dai…….” Ansimava a sembrava che avesse qualcosa in gola che le impediva di respirare: annaspava sotto i colpi violenti di Luca. Ma sapeva cosa era: erano le sveltine, che l’arrapavano da morire.Lui non ci mise molto e tirò fuori il suo cazzo pronto a sborrare.La spinse giù tirandola per i capelli.”Apri la bocca, troia”E sborrò sul suo viso, in parte anche sui capelli e nella bocca aperta.Nel bungalow faceva un caldo asfissiante e l’aria odorava di sesso, di secreti e di sudore.Laura succhiò il cazzo di Luca fino a ripulirlo perfettamente ma impedendo alla sua erezione si scemare.”Voglio leccarti la fica: spalle al muro, subito”E lei si mise spalle al muro, accosciata con i talloni ben piantati per terra e le gambe divaricate : lui carponi le cercò la fica e cominciò a leccarla dandole scosse simili a quelle provocate dall’alta tensione. ” Muovi la fica sulla mia bocca, diabolica puttana, dai: cercati il tuo orgasmo e prenditelo, troia….”Lei gli scopo’ la lingua, ora spingendo, ora strusciando, ora facendo scorrere su e giù la sua fica contro la bocca di lui, aiutandosi con i muscoli della schiena e delle gambe.Venne a fiotti e restò li disfatta, vinta, ansimante, come un animale braccato che abbia corso a perdifiato e che abbia trovato riparo dietro ad una rupe.L’aria nel bungalow era diventata irrespirabile e Luca riaprì la porta di legno oltre la quale – ne era certo – i bagnanti di passaggio dovevano aver sentito tutto.Per lui era ora di andare al suo ristorante.Osservò Laura che con le sue solite movenze flessuose di risistemava il pareo e si ricomponeva i capelli cercando di inquadrarsi nel minuscolo specchio del bungalow.”Cazzo, quanto è bella…”- pensò, con la perfetta consapevolezza che mai sarebbe stata sua, sebbene l’avesse posseduta tante volte. “Scappo, Laura, amore: mi si è fatto tardi davvero” “Ciao tesoro, se mi lasci un tavolo decente stasera ceno da te” ” Lo sai che al tuo tavolo non siede mai nessuno, avvocato: è tuo sempre”.La baciò sulle labbra, lei sorrise ed uscirono insieme.Lui diresse verso l’uscita e lei verso le docce.Mentre camminava incontrò un’altra signora di un altro gruppetto di giocatrici incallite.”Hai vinto oggi a Canasta, Laura?””Ho vinto un cazzo” – disse lei.L’altra rise sguaiatamente mostrando di aver capito una battuta che invece – Laura ne era certa – non aveva capito affatto.Fece la doccia con un’acqua gelida che sembrava ancor più gelida visto che la sua temperatura corporea era decisamente salita, e non soltanto per via del sole, e tornò alla sua lettiga, paga, soddisfatta. Ma – come ogni volta che faceva sesso – la sua mente poi correva lontano, a ritroso nel tempo,a quando lei aveva una famiglia felice e a quando l’invidia e l’immotivato rancore della gente non li sfiorava neppure lontanamente.La sua mente tornava al suo primo e peraltro unico vero amore: a come lo aveva rovinato, a quello che era stato, che non fu e che avrebbe potuto essere.Laura aveva consegnato la propria verginità al giardiniere dell’epoca. Le piaceva il giardinaggio ed era solita osservare Giovanni che curava le piante, da quelle in vaso alla posa a dimora dei semi nella piccola serra retrostante la villa.Lui aveva ventinove anni ed era originario della Calabria: per certi versi avevano un sembiante simile.Lui aveva un fisico asciutto e scolpito, braccia forti, spalle larghe.A Laura piaceva ed era il primo turbamento della sua adolescenza. Era il primo giorno di primavera e Giovanni controllava l’andamento dei suoi semi che venivano su: primule di tutti colori.Laura stava li, seduta su un’etagere in legno, con i piedi poggiati sul primo scaffale, i gomiti sulle ginocchia ed il bel viso tra i palmi delle mani.Ondeggiava le ginocchia da una parte e dall’altra assecondando il ritmo di una canzone che cantava a bocca chiusa.”Eh, bella mia, tuo padre dovrà tenerti in catene da ora in poi! ” – aveva detto Giovanni ridendo.”Perché dovrebbe farlo?” – aveva risposto Laura rialzando la schiena e stiracchiandosi all’indietro.A Giovanni non era sfuggito lo spettacolo sublime di quei due seni acerbi ma perfetti sotto il pulloverino di cachemire aderente e di certo non gli era sfuggito il fatto che la ragazzina non indossava il reggiseno. Si era quasi vergognato di avere sentito un turgore incipiente sotto i pantaloni alla vista di una bambina ed aveva risposto alla domanda di Laura.”Dovrà tenerti sottochiave perché, figlia mia, sei di una bellezza esagerata. E poi con la tua posizione…. pensa che gran da fare avranno tuo padre e tua madre a tenere a bada i tuoi corteggiatori!”. Laura aveva ridacchiato e lo aveva guardato con uno sguardo da ruffiana navigata.Lateralmente alle sue labbra brune e carnose si erano formate due fossette deliziose.”E sai qual’è la cosa più triste?”- aveva detto lui – “che non potrò più chiamarti “topolina”, ma soltanto signorina”.Giovanni era con loro da sei anni e l’aveva da subito chiamata “topolina”, e del resto quando lui era arrivato lei non aveva che otto anni : al pensiero che crescere le avrebbe tolto quel vezzeggiativo che adorava Laura si intristì.”Giovanni…..” – disse.”Dimmi Laura””Vieni qui ad abbracciarmi e a chiamarmi “topolina”? Visto che sarà una delle ultime volte voglio poterla non dimenticare mai”. Il giovane posò il suo attrezzo da lavoro e la guardò con tenerezza.E già, non era più una bambina…Le si accostò aspettando che lei si alzasse per abbracciarla. Ma lei restò seduta sull’etagere con i piedi fermi sul primo scaffale: lo guardava dritto negli occhi e gli protese una mano. Lui si avvicinò , ma le ginocchia di lei non gli consentivano di avvicinarsi più di tanto.Fu in quel momento che Laura schiuse le gambe di seta e gli mise le mani sui fianchi.Giovanni restò rigido come un baccalà appena tirato fuori da un congelatore.Lei lo tirò a se dolcemente poggiando la testa sul petto di lui, e lui trovò il coraggio di carezzarle i capelli con una mano e di cingerle le spalle con l’altra.”Su, su, signorina topolina, non devi essere triste….. Sai quante belle cosa ti riserverà la vita? Devi solo correrle incontro e prendere ciò che ti offre” – le disse come avrebbe fatto un padre.Ma era profondamente turbato. Lei si era spinta in avanti con il bacino ed ormai lui le stava tra le gambe.Sentiva l’odore di una donna.Sentiva quell’odore dolce e selvaggio salire dal sesso di lei ad inondargli le narici.E sentiva il battito del cuore di lei sul suo petto, i suoi seni incollati al suo torace, il respiro irregolare della ragazza che si era commossa e che stava piangendo sommessamente.Le sollevò il capo e furono quelle lacrime lucidissime sulle guance more la cosa più dolce che il giovane calabrese avesse mai visto. Le baciò le gote e le asciugò le lacrime.”Dai, topolina, ma che ti è successo oggi?” – le chiese sentendosi terribilmente in colpa per aver fatto piangere quella ragazza che fino a poco prima aveva canticchiato allegra.Lei alzò la testa estendendo ancora di più il suo lungo collo. Socchiuse appena gli occhi e dischiuse le labbra ai cui angoli si erano raccolte le lacrime di quell’addio improvviso alla fanciullezza.Giovanni perse la testa e la baciò.La baciò con passione, leccando quelle lacrime che sorprendentemente erano dolcissime.La baciò succhiandole le labbra e scompigliandole i lunghi capelli neri.La baciò come lei non fu mai più baciata nella sua vita. Sentiva la bocca piena della lingua di lui, e sentiva che le esplorava il palato, le gengive, le scorreva sui denti, cercava la sua….. Fu un bacio che valse l’eternità.Lei, che pure non sapeva nulla del sesso, assecondò l’istinto e iniziò a muovere il bacino contro di lui fino a quando sentì qualcosa di estremamente duro pressare contro il suo sesso.Sapeva solo in teoria cosa fosse un’erezione e fu colta dalla paura: che più cresceva e più diventava desiderio.Lui si staccò da quel bacio.”Ma guarda la mia topolina…… guarda come bacia la mia signorina….”.Ma Laura non aveva mai baciato alcuno: solo che Giovanni non poteva saperlo. Lei gli cercò ancora la bocca: quello non era il momento per raccontare delle verità inutili.In pochi minuti il maglioncino di chachemire era finito sul terriccio della serra e i due seni di assoluta perfezione si stagliavano nella controluce a testimonianza della più delicata e meravigliosa femminilità.Lui scese su quei seni, mai smettendo di carezzarle i capelli né di lasciare che lei gli si strofinasse contro con il pube. Leccò quei capezzoli come se avesse voluto suggerne il nettare:come di un frutto proibito che la natura non gli avrebbe mai più regalato il privilegio di assaggiare.Laura fremeva e sussultava, affondando le lunghe dita tra i capelli neri di lui e graffiandogli la cute con le unghie ben curate.Ed intanto il suo bacino continuava a massaggiare il cazzo di lui che ormai stava esplodendo e la sua mano si fece audace ed andò a cercare tra le gambe quel membro che le premeva contro.Lo sentì e lo palpo’ attraverso la stoffa leggera dei pantaloni. A quel punto lui la sollevò e la fece mettere in piedi sul secondo scaffale dell’etagere.C’era un altro frutto proibito li di cui aveva sentito il profumo poco prima.Era il frutto che si apprestava a mangiare avidamente.Lo slip scivolò subito giù per le cosce snelle e il sesso integro di Laura si offrì alla vista di Giovanni in tutta la sua esacerbante sensualità. Lui affondò la sua testa tra i peli bruni leccando a casaccio, disperatamente.Leccava le grandi labbra e le tirava tenendole strette tra le sue labbra attento a non farle male.E trovò il clitoride turgido di lei, che stava dritta a gambe un po’ divaricate con le mai appoggiate sulle spalle di lui, percorsa da un gemito costante ma sommesso.”Dolce, meravigliosa, straordinaria fica….. Voglio mangiartela tutta, voglio fartela bagnare a litri..” – ansimava lui mentre continuava a succhiare il clitoride.La mise di nuovo a sedere e si inginocchiò davanti a lei. Le divaricò le gambe quanto di più le avrebbe fatto dolere i tendini e ricominciò a leccarla: questa volta senza fretta, senza foga. Quasi come un cane lecca la mano del padrone: con pazienza e devozione.Il sapore di Laura era divino. Lui se ne inebriò e se ne bagnò la barba incolta.Poi leccò bene il buco in cui pregustava di fare esplodere il suo cazzo infiammato e lo penetrò con un dito.Laura sobbalzò, si irrigidì e le scappò un gemito di dolore. “E questo è niente, puttanella……. vedrai che gran cazzo che ti infilo tra poco….” – disse lui con la voce arrochita di chi ormai cerca appagamento ai sensi accesi ed ha tra le mani la femmina che pare non aspetti altro che questo.”Giovanni…” – disse debolmente lei – “dimmi che mi vuoi bene…” “Si, ti voglio bene ma ora ti voglio fottere. Non credevo che fossi già una puttanella affamata di cazzo. Sentila che fica bagnata, e sentila come si struscia la piccola troia di papà…”Laura stava per dirglielo ma non lo fece.Lei di Giovanni era tremendamente innamorata: era questa la verità. Non gli disse che era stato quello il suo primo bacio e che sarebbe stata quella la sua prima volta.Lui si liberò dei pantaloni e tirò fuori dagli slip un arnese enorme.Laura lo vide ed ebbe la sensazione di svenire.Lui lo manipolava davanti alla fica di lei strusciandolo sulle sue cosce divaricate che tremavano per l’eccitazione e l’emozione. Poi glielo passò diligentemente sulla fica indugiando sul clitoride: a lei sembrò che non ci fosse differenza tra questo e quello che le aveva fatto con la lingua poco prima.Poi Giovanni, in un sol colpo e mentre le stava succhiando la lingua, spinse dentro fino all’elsa quell’enorme spada.L’urlo di Laura fu quello di un animale ferito a morte. Un rantolo prolungato che avrebbe tolto il sonno a Giovanni per almeno quindici anni a venire.Reclinò il capo all’ indietro a cercare il respiro che le mancava.”Eccotelo tutto dentro, puttanella. Tieni, prendi tutto il mio cazzo e fatti fottere piccola cagna. Tuo padre ha proprio la casa piena di troie. Tale madre e tale figlia”E così dicendo la scopava senza pietà e senza riguardo, affondando tutto dentro di lei per riemergere fuori nella penombra che adesso diventava crepuscolo.”Ti amo Giovanni, ti amo tanto…”- sussurrava lei piano, quasi vergognandosi di essere udita.”Si, ami il cazzo gran troia: quando lo hai preso il primo cazzo, eh? Alle elementari? Bella fica stretta ma da gran puttana…. ahhhhh……. Voglio sfondarti anche il culo, sai troia?”Le guance di Laura erano rigate di pianto, ma ormai lui non le vedeva più:stava dilaniando quella fica con un ritmo folle. Il dolore di Laura era quasi intollerabile, e la sua muscolatura – tesa fino allo spasimo- rendeva il tutto ancora più doloroso.”Girati, troia: voglio fotterti a pecorina!”Lei pensò che era arrivato il momento in cui avrebbe mantenuto la promessa fatta poco prima di sfondarle il culo e gridò di no. “No! Ti prego, nel culo no Giovanni, ti prego….” “Ma che cazzo dici……. ti ho detto che voglio fotterti a pecorina. Girati puttana.”Lei si volse di schiena e lui si infilò di nuovo a forza dentro di lei violando quell’ingresso troppo stretto.”Cazzo quanto è bello sentirsi attorno al cazzo una fica così stretta…. mi farai sborrare subito, troietta. Ci sai fare, puttanella, ci sai fare. Ti lasci fottere come una piccola bestia in calore. Non fai un cazzo tu, non ne hai bisogno: fai la schiava del cazzo che ti vuole riempire” – e così dicendo la colpiva forte e lei si sentiva squassata.Senza curarsi troppo del piacere di lei, lui tirò fuori il suo enorme cazzo e le depose sulla schiena una quantità enorme di sborra bollente, ansimando come un animale.Lei si rigirò dolorante e si rimise a sedere come quando lui osservava le sue primule: le ginocchia rannicchiate, i gomiti sulle ginocchia ed il viso sofferente tra le mani.”La torcia……..dove cazzo avrò messo la torcia? ” – imprecava Giovanni.Ed infine la trovò e l’accese.”Cazzo! O Cazzo! Ma che cazzo è ?” – inorridì a vedere il suo membro rosso di sangue.Instintivamente si portò una mano alla bocca per ripulirisi: era convinto che la ragazza avesse il ciclo mestruale e pensando di averla leccata a lungo aveva l’espressione disgustata.Lei chinò il capo e pianse sempre con il volto tra le mani. Lui le si avvicinò puntandole contro la torcia: le gambe di lei e le cosce erano coperte di sangue.”Piccola stronza, non potevi aspettare che ti finissero ‘sto cazzo di mestruazioni?” – gridò lui in tono stizzito.”Giovanni…. questa è stata la mia prima volta….. Io ti amo Giovanni….” – disse lei guardandolo con i suoi grandi occhi colmi di lacrime e di pagliuzze dorate.A lui cadde la torcia dalle mani e fu incapace di parlare. Annaspò, biascicò ma i fonemi erano sempre gli stessi: “ma…. eh….. ma…. ma io…… ma tu…… o cazzo…..”Le andò vicino e l’abbracciò.Si sciolse anche lui nel pianto.”Dio mio, perdonami…… Come potevo sapere….. perché io? Non potevo capire…. Quante porcherie ti ho detto angelo mio…. Non doveva andare così, non doveva. Perché non me lo hai detto, angelo? Perché non hai lasciato che fossi un uomo ma solo un maschio? Che schifo, mi faccio schifo, schifo, schifo…..!”Il pianto di lei si placò tra le braccia di lui che adesso l’accarezzava dolcemente e la ripuliva con un fazzoletto.La baciò delicatamente dappertutto e se la strinse forte: la coccolò, la cullò tra le sue braccia.”Non te l’ho detto Giovanni. Non lo avresti fatto e io volevo che la prima volta fosse con l’uomo che amo, e cioè con te.” “Dio Cristo, no….. No, non lo avrei fatto ma…… o forse si…… Hai la metà dei miei anni, o Signore…… Ma si che lo avrei fatto: ma ti avrei amata. Capisci, Laura? Ti avrei amata. E invece ti ho trattata come una puttana, Dio che orrore……”Piansero e risero. Piansero ancora e si baciarono.
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