La loro storia durò per quattro anni e fino a quando Laura finì il Liceo per andare all’ Università.Ma non fu l’Università a separare i due amanti : fu suo padre, che li sorprese una sera d’estate nel parco della villa addossati ad un albero a baciarsi.Giovanni fu licenziato in tronco e a Laura – che si apprestava ad iniziare l’ Università – non fu profferito verbo né sull’accaduto né sull’improvvisa partenza di Giovanni.Alle amiche dello Yachting il bell’avvocato del suo giardiniere non raccontò mai : disse sempre di avere fatto l’amore per la prima volta a sedici anni con un compagno della prima liceo, liquidando la questione senza alcun entusiasmo.Di amanti Laura ne ebbe molti, ma non si legò mai a nessuno né mai ne amò alcuno neppure per un decimo di quanto aveva amato Giovanni. Dopo quella prima volta traumatica, tutte le volte che aveva fatto l’amore con lui per quei quattro anni, erano state le cose più belle della sua vita.Aveva imparato tutto da lui e con lui: aveva imparato come far godere un uomo con la bocca e si era sottomessa alla sodomia. Pensando di Giovanni non pensò mai in termini di “pompini” o “inculate” o “fottute” : tutto era racchiuso in sole tre parole… Fare l’amore. I pompini li avrebbe poi fatti ad altri e da altri si sarebbe fatta fottere ed inculare: ma con Giovanni aveva solo fatto l’amore.Erano quelle le cose preziose da custodire gelosamente e da non condividere di sicuro con delle decoloratissime parvenues che avrebbero storto il naso esclamando “un giardinieeeeereeeeeeee????” – usando un’enorme quantità di E a sottolineare il disgusto per l’incolmabile ed inammissibile divario sociale tra i due.Laura non raccontò mai a nessuno del suo amore, ma disse a quasi tutti dei suoi amanti.Come di quel grande avvocato milanese che l’aveva invitata a fare un giro in barca e che le era saltato addosso praticamente subito facendole cadere in mare il flute con lo champagne, e facendo promesse che non avrebbe mantenuto coprendosi di ridicolo.”Vieni qui, pantera, lasciati fottere sotto il sole e lascia che ci vedano. Vieni che dovrai pregarmi di smettere di trombarti, dai…..”Era stata una delle cilecche che l’avevano divertita di più in assoluto:finì tutto in una grande mangiata ed aveva percorso la passerella che la riportava sulla terra ferma non riuscendo a smettere di ridere.Le sue ferie stavano finendo e del resto si era già annoiata. Le partite a Canasta erano estenuanti, così come era diventato quasi disgustoso lasciarsi sudare addosso da tutti quegli uomini che credeva le sarebbero piaciuti molto ma che le lasciavano sempre ed invariabilmente un sapore impastoiato in bocca. A parte Luca non c’era molto da prendere e di gente di passaggio non voleva saperne: già aveva vissuto dolororissismo il distacco da Giovanni e da quel momento i distacchi per lei erano diventati insopportabili.Accolse il primo di settembre ed il suo ritorno in tribunale e a studio con grande eccitazione.Erano tutti freschi e riposati: tutti più o meno abbronzati e molto più svegli del solito. ma c’erano anche un sacco di facce nuove.Ragazzi e ragazze supponeva neo diplomati o quasi, che certamente non aveva mai visto prima.E poi c’erano i suoi colleghi di sempre, anche loro con una nuova verve addosso.”‘Giorno Laura!”-“Salve! Passate bene le ferie?”Fu un susseguirsi di convenevoli per un’ora buona, che dall’atrio del grande Palazzo di Giustizia si spostarono al bar.”Lauraaaa…..”Era Paola, una collega che adorava.”Paoletta mia!” – le disse con un sorriso splendido, e si abbracciarono e baciarono con baci schioccanti sulle guance.”Sei una stella Laura: l’estate ti rende simile a una dea””Siiiiiii, come no……. una dea terrena: quanto ho trombato quest’estate, Paolì… secondo me l’Olimpo ha tremato sul serio ” – e le due donne risero mentre il cameriere – perché di certo non lo si poteva definire un barman- faceva un frastuono indescrivibile con tazze e piattini.”Imbranatello il giovane, eh?” – disse Laura.”Ma che fine ha fatto Alfonso? Almeno il barista era buono e lo hanno tolto?” – chiese.”Non hai notato che c’è un sacco di gente nuova? Sono precari, trimestralisti. Booh, non ti so dire. Io sono rientrata due giorni fa e ho notato una marea di gente nuova: ma dopotutto almeno circola un po’ di gioventù”.”Ma si, poveretti: anzi, bisogna incoraggiarli” – disse Laura.Il giovane barista si avvicinò alle due donne in un chiacchiericcio brulicante e chiese cosa desiderassero.”Due cappuccini e due brioches” – disse Laura con un sorriso incoraggiante di chi voleva lasciare intendere che non avrebbe stigmatizzato una certa inesperienza.Inesperienza che si palesò subito dopo, quando la tazza del cappuccino venne poggiata sul piattino ancora troppo bagnato del precedente lavaggio, schizzettando goccioline dappertutto.”Mi scusi signora…” – disse il giovane mortificato. “Ma figurati….. fossero queste le cose per cui scusarsi il mondo sarebbe una favola!” – disse lei.”Gentilissima, signora, la ringrazio”.Laura lo guardava ma non riusciva a metterlo a fuoco: avrà avuto si e no ventuno, ventidue anni, al massimo ventitré. Le sembrava familiare ma non riusciva a capire dove aveva potuto incontrarlo.Del resto chiedergli se avesse frequentato Portofino o Santa Margherita le sembrava come offenderlo e quindi si tenne la sua curiosità.Al momento di uscire dal bar una voce la colpì alla schiena come una fucilata e barcollò.Era la voce dell’ usciere che parlava al cameriere. “Schimmenti, quattro caffè nella stanza del Procuratore, e di gran premura” – aveva detto a voce alta.Schimmenti era il cognome di Giovanni.Si bloccò come irretita.Paola la scosse.”Laura che ti prende?””Niente… ho avuto un capogiro, ma è passato””Vuoi tornare dentro a prendere un po’ d’acqua?” “Ma no, casomai più tardi prenderò un caffè, sto bene adesso” Paola la salutò: aveva udienza, e si lasciarono con la promessa di rivedersi a pranzo.Lei si diresse a passo svelto verso la sala riservata ai legali e si sedette su una panca.”È lui…… è il fratellino di Giovanni…. Quanti anni aveva allora, chi si ricorda… Ma Giovanni me ne parlava spesso dell’ultimo arrivato a sorpresa. Filippo, si chiamava, si: si chiamava proprio Filippo. Quando Giovanni aveva 29 anni e lei 14 Filippo ne aveva forse cinque, o sei ed era l’ultimo degli otto figli della famiglia Schimmenti di cui Giovanni era il primogenito…. Quel ragazzo è il fratello del mio Giovanni……. Dio, tu esisti e io ti ringrazio per avermelo fatto rivedere nel viso di suo fratello…..”Si rialzò e si ridiresse verso il bar.Entrò come se l’avessero fiondata dentro e piantò le mani sul bancone.”Tu!” – disse al giovane barista.”Signora, mi dica” – disse il giovane con aria preoccupata.”Ti chiami Filippo e sei di Gioia Tauro per caso?””Si, signora,ma non abito più li da tanti anni….””Arrivederci” – tagliò corto lei ed uscì dal bar alla velocità del suono.Una strana agitazione si impossessò di lei: sembrava una crisi di panico, respirava male, sentiva il cuore batterle troppo forte, le girava la testa. Tornò in sala avvocati ed estrasse dalla borsa un block notes.”Non si ritrovano mai più le persone che non si sono mai cercate. Io non sapevo dove fossi mentre tu lo hai sempre saputo. Ho guardato ogni faccia in ogni posto del mondo sperando di incontrarti. Sono venuta in Calabria a cercare di te, a provare la gioia di stare sotto al tuo stesso cielo e di respirare la tua aria. Ti ho cercato sull’elenco del telefono ed ho chiamato tutti quelli con il tuo cognome, a Gioia Tauro. Ma non ti ho mai trovato. Avevi il doppio dei miei anni, ricordi?Il tempo mi ha aiutata ad accorciare questa misura e a colmare questo divario, ma non è servito a dimenticarti: adesso non hai più il doppio dei miei anni, ma soltanto un terzo in più.Ho camminato dietro di te per sedici anni senza mai raggiungerti ma avvicinandomi sempre di più.Sono sempre qui e ti amo ancora. Cercami, se ancora ricordi almeno il mio nome: il nome di una ragazza che aveva la metà dei tuoi anni. Cercami, e se lo vorrai mi troverai”.Scrisse di getto, senza firma.Imbustò e tornò al bar.Porse la busta al giovane che guardò senza capire: “Giovanni Schimmenti, SPM”.”Mi faccia la cortesia di inoltrarla a suo fratello o di consegnargliela a mano quando lo vedrà”.”Signora, la manderò per posta: io non andrò a casa per i prossimi sei mesi” – disse il ragazzo.”Poco importa” – disse lei – ” È una lettera scritta da sedici anni: sei mesi in più non farebbero alcuna differenza. Ma se la spedirà per posta mi farà un gran piacere”.Sorrise ed andò via, lasciando il ragazzo con quella busta tra le mani e con lo sguardo smarrito.L’inverno era arrivato carico di pioggia: come se tutti gli dei stessero piangendo di un pianto inconsolabile.Laura non aveva più saputo nulla di Giovanni né aveva mai chiesto a Filippo che fine avesse fatto la sua lettera: qualche giorno dopo avergliela consegnata si era persino vergognata di averlo fatto. Avrebbe trascorso le feste di Natale da sua madre, a Nizza, che nel frattempo aveva un nuovo compagno.Era ansiosa di riabbracciare sua madre: a marzo, poi, sarebbero andate a Cuba.Ci tornavano almeno una volta all’anno: li era rimasta la nonna che non si era mai voluta schiodare dalla sua casa e dalla sua terra,incomprensibilmente.Quel 19 dicembre aveva deciso che non sarebbe andata a studio: aveva detto alla segretaria di cancellare tutti i suoi appuntamenti se no non sarebbe mai riuscita a ritagliarsi del tempo per gli acquisti di Natale.Uscì dal Palazzo intorno alle 12.30, sospinta da un vento incredibile ed avvolta nel suo lungo cappotto di lana cammello, incerta sugli stivali dal tacco alto e con la sciarpa che non ne voleva saperne di restare al suo posto.Prima di prendere l’auto dal parcheggio riservato ai legali, decise che avrebbe comprato il pane a piedi, giusto per non doversi fermare per strada nel traffico una volta ripreso il suo viaggio di ritorno verso la sconfortante realtà invernale di Santa Margherita.Uscì quindi dal cancello pedonale e, girato l’angolo, urtò un uomo che stava all’angolo imbacuccato come se aspettasse qualcuno. “Mi scusi, sono mortificata” – disse lei.”Sei più bella di quando avevi la metà dei miei anni” – rispose l’uomo. “Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhh……….” – Laura gridò letteralmente tanto da allertare i carabinieri che stavano di piantone all’ingresso del tribunale. Fu un abbraccio da togliere il respiro.Baciarono null’ altro che i loro cappotti, le loro sciarpe, i loro guanti e le labbra gelide.Gli occhi non vedevano più niente, visto che erano pieni di lacrime.”Amore mio, amore, amore, amore…….. perché non mi hai mai cercata…..” “Non ti ho mai dimenticata Laura, ma non potevo cercarti. Sai, tuo padre….””Mio padre avrebbe capito alla fine….””No, non lo avrebbe fatto: tu sei un avvocato e sai cosa poteva capitarmi, no?””Si, certo: poteva denunciarti…. ma non glielo avrei permesso” “Non mi accetterà mai, Laura, ed anche se ti amo con tutto me stesso, lo sai: da quel giorno mi ha detestato ed io ero in fondo solo un giardiniere e tu una bellissima e ricchissima ragazza destinata a ben altra vita”.”Mio padre è morto circa tre anni fa….” – disse lei con un fil di voce -“e mia madre se ne è andata: sono da sola in quella casa e la serra è ilposto in cui torno più spesso. Molte cose sono ancora li dove le hailasciate. I miei ricordi più belli sono ancora tutti li””Mi spiace per tuo padre….” – disse Giovanni che non aveva per niente allentato la stretta dell’abbraccio- “se solo sapessi quanto ti ho amata e quanto non sono riuscito ad andare avanti…..””Ti sei sposato?” – chiese lei.”No, mai, e tu?””Avrei potuto secondo te?””Forse avresti dovuto: non mi sono comportato bene. Forse avrei dovuto rischiare”.”Cosa fai adesso?””Lavoro al Comune di Crotone: sono funzionario del dipartimento Ville e Giardini del Comune; non mi è andata male dopotutto”.Ne avevano di cose da raccontarsi Laura e Giovanni…. Si tennero così: con il respiro corto e la vista annebbiata.Intorno era come se tutto fosse inanimato ed il silenzio surreale. Improvvisamente anche gli odori furono quelli di sedici anni prima: il mondo sembrava muoversi in slow motion.Erano fermi su una lastra di basalto su cui poggiava tutto il mondo: il resto ruotava lento intorno a loro.In quel momento gente nasceva ed altra ne moriva, come sempre, come ogni giorno, come in ogni attimo: ma tutto aveva una dimensione minima, trascurabile.Sulle labbra il sapore delle rispettive colonie e mani a cercare i capelli:come di chi cerchi di toccarsi attraverso il vetro di una sala colloqui di un carcere.Le parole nascoste che non riuscivano ad uscire e diventavano sorriso, smorfia, lacrima, sussulto: la sensazione di star talmente bene da pensare di dover morire.Giovanni aveva 45 anni ed il suo viso era segnato: era bello come allora anche se sul suo volto si erano fermati a fargli compagnia i segni del tempo trascorso e della fatica durata.”Amore…. andiamo: abbracciami, tienimi stretta e andiamo via. Andiamo a casa, casa nostra….” – disse finalmente lei.E camminarono di nuovo verso il Palazzo di Giustizia e verso l’auto. Le ginocchia di Laura erano di pietra ma in qualche modo riusci’ a districarsi dal traffico della citta’ per raggiungere la periferia verdeggiante ed il raccordo che li avrebbe portati a casa.Il viaggio sembrava interminabile.”Non ho smesso un solo giorno di pensarti….” – disse lui, che le teneva la mano destra, carezzando ogni singola falange, percorrendo la lunghezza delle dita snelle, delineando il contorno dei polpastrelli e delle unghie ben curate.”Quante donne hai amato?” – chiese lei prevedendo che magari la risposta le avrebbe fatto male.”Non posso dirti di non averne amata nessuna” – disse lui- “sono passati sedici anni, e sono tanti: la domanda che dovresti farmi e’ un’altra……” “E cioè ?””Dovresti chiedermi se ho amato qualcuna quanto abbia amato te…””Ho paura di chiederti…..””No: nessuna come te. Nessuna mai. E nessuna delle mie storie e’ mai più durata tanto. Ho continuato a cercare in ogni donna una parte di te cercando di comporre un puzzle impossibile. Ho provato ad amare a segmenti nel tentativo di riprodurre te, negli odori, nei sapori, nelle sensazioni, nei sentimenti……. E’ stato un grande bluff, amore mio…… Ho preso in giro solo me stesso: qualunque donna con cui io sia stato ha saputo di te. Alcune hanno capito, ad altre ho fatto schifo. Ma tant’e’…questa e’ stata la mia vita””Perché non hai mai cercato di incontrarmi per caso……?” “Perché avevo un unico e solo desiderio: che era quello di dimenticarti. Mi sono messo a studiare, mi sono diplomato, ho fatto un concorso e l’ho vinto… Volevo crearmi una vita normale: banale, se vuoi, ma normale. Mi sono imposto di credere di essere stato il capriccio di una ragazzina viziata, ma ti amavo, Cristo se ti amavo…..””Io non ho smesso un giorno, Giovanni : sai quanti giorni contengono sedici anni? Tanti, troppi……. e nessuno che mi parlasse di te, nessuno.””E le tue storie?””Le mie storie…… Vogliamo chiamarle storie……. Ma si, chiamiamole così, tanto…. Roba così : qualcosa di più intenso, qualcosa di meno importante…. Ma non ho mai più detto ti amo a nessuno e non ho più fatto l’amore”.”Io invece si: ti cercavo anche in quel senso in ogni donna che in qualche modo mi ricordava te. Sapevo però subito dopo che non era lo stesso. E finiva in modo strano. Come quando vedi un bel Menu con nomi di piatti invitanti in cui riconosci degli ingredienti che hai già gustato e che ti sono piaciuti…… E allora speri che la ricetta sia la stessa, sia quella giusta: e ordini quel piatto e lo mangi. Lo mangi anche tutto ed e’ buono: ma non hai voglia di tornare in quel locale per mangiarlo di nuovo… Non so come spiegarti, ma era quello che provavo.””Io di te non ho mai raccontato a nessuno, sai? Non potevo, non avrei potuto: nessuno poteva sporcare quanto di più bello io avessi mai vissuto. Sei rimasto con me, sempre e solo con me, solo per me….””Non ricordavo che il tuo profilo fosse così bello……” – disse lui commosso.”C’e’ qualcuno, o meglio qualcuna, che ti aspetta a Crotone?””No, nessuno: la mia ultima storia si e’ conclusa circa sei mesi fa. E dopo tre mesi mi e’ arrivata la tua lettera: non riuscivo a crederci….”Poi calò il silenzio: sembrava quasi imbarazzo. Laura ritraeva la mano quando doveva cambiare le marce, e la riconsegnava immediatamente a Giovanni che la racchiudeva tra le sue e le guardava il palmo, il dorso, i polpastrelli…. Carezzava quella mano come se avesse avuto tra le mani un bebè: poi la sollevava, se la portava alle labbra e la baciava, sia sul dorso che sul palmo.Il cancello elettronico della grande villa si aprì lentamente. Il giardino era flagellato dall’inverno : era diverso da quel primo giorno di primavera di tanti anni fa….Giovanni ebbe un tuffo al cuore.Si portò le mani sugli occhi e scoppiò a piangere.”Amore, ma……che ti prende…….” – disse lei, cercando di prendergli la mano.”Niente, Laura mia, niente….. sono commosso…… quanta vita ho lasciato qui dentro. Quante notti ti ho immaginata camminare in questi viali, o dormire nella tua camera…”E singhiozzava, la voce rotta dal pianto, le parole spezzate. “Quante volte ho sofferto come una bestia al pensiero di altre mani su di te……. Quanta vita, amore mio, quanta vita persa….. Ora e solo ora mi accorgo di essere stato in attesa. Non so di che: ma so di essere stato in attesa.Se avessi saputo di dovere espiare sedici anni di vita ‘ normale” per poterti riavere forse, ma dico forse, avrei sofferto di meno: ed invece e’ stato un inferno.Ti ho pensata nuda, aperta, posseduta….E ti ho immaginata in abito da sposa, al braccio di tuo padre giustamente fiero di te. E poi madre……. Ti ho immaginata gravida e ti ho vista partorire: era atroce…””Amore mio…..” – Laura non riusciva a dire altro: aveva il cuore gonfio di gioia; una gioia talmente intensa che le faceva dolere il petto e il cuore.”Amore…….. dopo quanto tempo dopo essere partito sei stato con un’altra donna?”- chiese lei.”Circa un anno, si: era passato circa un anno. E ne avrei fatto pure a meno. Ma sai, gli amici…..””Ti prego, amore, risparmiami i dettagli…..””E tu?””Due anni esatti: un collega di università. Uno che poi a pranzo prima di iniziare a mangiare si era fatto il segno della croce. Una tristezza senza fine…””Quanto tempo ci sei stata?””Settimane: davvero una questione di settimane, forse cinque o sei, non di più”.”Quanti ne hai avuti, Laura, dimmelo…..””Amore……..Ho avuto tutti quelli che mi sono capitati, dal momento che non potevo avere l’unico che avrei voluto: l’unico che volevo. Ma non hanno lasciato alcun segno ne’ dentro ne’ fuori di me, te lo giuro sull’anima di mio padre”.”Lasciamo stare tuo padre…..che Dio lo abbia in gloria, ma lasciamolo stare…””Cosa ti disse? Sai che in casa non se ne parlò mai? Neanche mia madre poteva nominarti….””Tuo padre arrivò a minacciarmi, ma non ha più senso parlarne adesso. E del resto adesso, che sono un uomo e non più un ragazzo, non posso che riconoscere che aveva ragione. Lasciamo che i morti riposino in pace, Laura, lasciamoli li dove stanno, nei ricordi e nel cuore.”La camera di Laura odorava come sempre di gelsomini.Fecero l’amore dolcemente, teneramente: era la prima volta. Quella che si erano negati quel primo giorno di primavera. Lei lo amò in modo verginale: lui la toccò come se avesse temuto di romperla o che – come porcellana fine- le si potesse sgretolare tra le dita.Furono fiumi di baci e tende tirate: l’abat jour rendeva lei del colore del miele e le pagliuzze dorate dei suoi occhi erano ambra pura. Si amarono guardandosi sempre negli occhi, labbra sulle labbra, respiro su respiro, occhi negli occhi, mani intrecciate.Non avevano mai fatto l’amore in quel modo, neppure in quei quattro anni rubati alla sorveglianza del defunto dottor Raimondi. Mai si erano amati in quel modo: incastrati l’uno nell’altra, a tratti immobili, a tratti forsennati, paghi soltanto di essere uno nell’altra con la certezza che li sarebbero rimasti per sempre.”Voglio prenderti così, amore mio, per non perdermi un solo sguardo, una sola espressione del tuo viso, un solo fremito delle tue labbra…… Voglio tenerti sotto di me perché devo piantare i miei occhi dentro ai tuoi e convincermi che sia vero e che sei tu e non un altro spicchio cercato qua e la a surrogarti…..”E così rimasero per un tempo che nessuno misurò ma che tutti gli orologi del mondo avevano scandito.Due corpi su un proscenio con addosso un cerchio di luce: che e’ l’amore che permane.Fino al sonno che li trovò abbracciati: la prima volta che si addormentavano insieme.Il Natale di quell’anno fu il più bello della loro vita ed a Cuba a Marzo finirono con l’andare in quattro: lei, la madre ed i loro rispettivi compagni.Non si lasciarono mai più.”Mammaaaaaaa…….” – la voce di suo figlio Gianfranco la ridestò dal torpore di tutti quei ricordi e dal piacere insostituibile della sua cioccolata calda al pomeriggio sprofondata nella poltrona del salone attraverso la cui vetrage vedeva tutto il golfo.”Dimmi amore…..””Papà ti vuole giù “”Vado subito,ma tu resti qui con la Tata e fai il bravo, intesi amore?””Si, mamma: io e Tata giochiamo agli indiani.Sapeva che suo marito l’aspettava li, nella serra.Nella “loro” serra, dove era stato concepito anche Gianfranco.Con la stessa emozione della prima volta e di tutte le altre volte, scese i gradini della scala di marmo che conduceva alla serra. Ogni volta che scendeva quella scala si sentiva adolescente.Entrò infreddolita e lui l’abbracciò baciandola con la stessa passione di ventuno anni prima, di quando lui aveva il doppio dei suoi anni e di quando lei era poco più che una bambina.”Sarà sempre la parte più bella di questa nostra splendida casa” – le disse.”Potrei lasciare questa casa anche domani, ma la nostra serra non potrei lasciarla mai” – disse Laura con il cuore gonfio d’amore.Lui la baciò e la accarezzò.E l’etagere era sempre li, nell’angolo in cui era sempre stata…
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