Un tempo la Svizzera era un paese fantastico. Vi erano alti campanili gotici che si specchiavano sui laghi, statue maestose, dedicate ad uomini illustri, che avevano lasciato il loro nome inciso nella storia dei Lodevoli Cantoni, fabbriche di cioccolato, dove i golosi avrebbero trovato pane per i loro denti. Vi erano orologi dorati, o decorati con rubini, costruiti dai maestri orologiai più famosi del mondo. Ricordo la torre dell’orologio del paese di L., la ammirai di persona e ne rimasi davvero stupito. Le lancette erano dorate e correvano su un quadrante dove erano stati dipinti con magnifici colori tutti i cavalieri dello zodiaco. Ad ogni ora, veniva azionato un meccanismo che faceva sì che una porta si aprisse e allegre figure si mettessero a danzare non so quale antico ballo o a recitare chissà quale famoso dramma della letteratura svizzera. Oh, e le Alpi, le Alpi! C’erano dei laghi segreti, conosciuti solo da pochi, e che sembravano granelli di cristallo incastonati nei monti. Dicevano che erano abitati da fantasmi, o che per qualche oscuro sortilegio le acque avevano divorato all’improvviso un intero paese, con tutti quelli che lo abitavano. Dicevano che i giovani solevano travestirsi da spettri e andare a consumare i loro incontri amorosi nella foresta. Là, potevano incontrare soltanto le upupe, le volpi, o qualche altro animale silvestre, che abitava la loro immaginazione come un personaggio delle favole. Le fronde dei faggi e dei tigli carezzavano la superficie dei laghi e il vento d’autunno spargeva sull’acqua le loro foglie vizze, come fossero un pianto melanconico. Ma che cosa dicono i miei sussurri… Vi erano interi villaggi disabitati, fatti di case di legno o di mattoni, pieni di mistero malinconico! In essi, la leggenda e il sentimento mio vagano insieme. E in una di codeste peregrinazioni vaghe dello spirito si perde il pensiero fuggitivo che mi rapisce. Rammento di un villaggio disabitato, una chiesa e un campanile abbandonati, l’orologio della torre già da lungo tempo non segnava più le ore, i tetti delle case sommerse emergevano dalle acque del lago, sulle quali si specchiavano i fantasmi. Passeggiavo cogitabondo, con le mani in tasca, una folata di vento improvvisa aveva rapito il mio cappello, decorato con una piuma d’airone. Fu allora che mi giunse un grido, quasi soffocato. Due braccia di donna, nude e bianche, lottavano con la forza delle acque, vedevo dei biondi capelli, come alghe, a tratti, una mano s’alzava verso il cielo, quasi per implorare aiuto, o pietà, un volto emergeva dalle profondità fredde, e pareva la testa di una statua greca. – Aiuto! Affogo! Il benefattore non se lo fece ripetere due volte, gettò al vento il suo cappello piumato e si tuffò in soccorso dell’infelice. Afferrò prontamente il corpo di lei, ormai stremato dalla lotta, e la trasse in salvo sulla riva. Cercò di riscaldarla con le proprie membra, con le proprie mani nude, carezzando la sua pelle da ogni parte, soffiò appassionatamente sulle sue labbra, rosse e semiaperte, che mostravano denti d’avorio, bianchissimi. Ella riapriva gli occhi a poco a poco, quasi si fosse destata da un dolce sogno, e fissando teneramente le sue pupille in quelle del proprio salvatore, gli disse, con voce angelica: – Mi avete salvata! Che cosa posso fare per voi, mio eroe? Fu in un tedesco arcaico che parlò al suo uomo. Era viva grazie alla stretta poderosa delle sue braccia, e al coraggio furioso che gli dimorava in petto. E il benefattore ero io, sì, soltanto io. La bella continuò a fissarlo con i suoi occhini azzurri, i suoi lunghi capelli cingevano i loro corpi abbracciati, sgocciolanti, come avrebbero potuto essere quelli di una sirena e del suo marinaio. – Ditemi – proseguiva la giovane – quale desiderio al mondo può mai esistere, che non venga soddisfatto da queste dolci labbra? L’altro non rispose, e seguitò a toccarla. Tutti e due erano distesi sulla riva rocciosa, e si tenevano stretti l’uno all’altra. – Vi insegnerò ad amare e a godere – seguitò la bella. – Poiché mi avete salvata da morte certa, vi giuro che la vostra felicità non sarà più un sogno, e che i miei sospiri seguiranno i vostri. Era così bionda, così venusta, i vestiti suoi erano tutti bagnati e aderivano alla sua pelle d’alabastro come un velo. Pareva fosse nuda, nelle mie mani. – Vi regalerò il mio immenso affetto – mi mormorò negli orecchi. Mi disse di essere una strega del lago. Ma sussurrò anche che nel cuore suo non vi era altro che bontà e generosità, e non mai cattiveria. Erano le nemiche sue a chiamarla megera. Un anello con diamante le scintillava al dito. Intorno al collo portava una ghirlanda, decorata con i fiori della Svizzera, foglie di faggio e di castagno, nonché bacche di ginepro. Si levò e legò la sua ghirlanda nel lago, recitando una formula magica che non so ricordare. I capelli suoi volavano al vento, tutt’a un tratto, si voltò verso di me e mi regalò un bacio delle sue labbra. Stringendo forte la mia mano tra le sue, che parevano di marmo, dalle dita lunghe, che finivano con unghie rosse come il fuoco, disse che mi avrebbe regalato il suo piacere. Tutt’intorno c’erano le case fantasma, dal vecchio campanile giungeva una voce di bronzo, incantata, che annunziava l’ora del mistero. Mi accorsi allora che la bella teneva una mela rossa tra le mani, oh, non so se fosse avvelenata, né di quale misterioso veleno. La vidi mentre le dava un morso, e poi me la porse, invitandomi a fare lo stesso. Lo feci, e caddi addormentato in un sogno. Mi risvegliai in una capanna di mattoni, vi era un grande camino e una catasta di legna ammonticchiata alle mie spalle. La bella volle ricompensare il suo benefattore con il fuoco. E si attorcigliò nuda al corpo suo. Prese tra le labbra la sua virilità che si allungò molto, si inturgidì, la solleticò con la lingua rossa, la sfiorò con i denti aguzzi, la ingoiò fino a sentirla sulle tonsille. Nel frattempo la mano di lui ghermiva la femminilità di lei, la toccava, la sentiva glabra e soda al tatto. Il fuoco ardeva nel camino, soltanto i fantasmi conoscevano l’esistenza della legnaia. E fu così la volta dell’amplesso, che fu lungo, poiché la signora del lago volle ricompensare il suo salvatore con i suoi baci. Oh, sì, la signora del lago volle promettergli felicità proibite, regalava alla sua lingua rossa i suoi capezzoli rosa, e, di tanto in tanto, la sua vulva rossa. Le fiamme del piacere bruciavano entrambi. Alla fine, la signora del lago gridò, e morì, addormentata nella passione. Mi risvegliai sulla riva del lago. Stringevo tra le mani il suo diamante, e un lembo del suo mantello.
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