A mezzogiorno in punto suonai: mi aprì l’anziano come sempre, mi disse “ciao, vieni”, lo seguii su per le scale. Entrai nella stanza della disciplina, salutai: “buongiorno, mio Padrone”. Era seduto in poltrona, mi guardò freddo e mi disse: “spogliati completamente, muoviti”. Mi svestii e restai completamente nudo. Lui aveva un elegante vestito blu, con cravatta rosso fuoco. Mi osservava, il mio Padrone, mi trattava con superiorità come sempre, non diceva una parola sul mio successo di ieri sera, facendomi capire che il mio orgoglio era da abbassare subito. Mi disse di avvicinarmi e mi fece girare ed esibire il sedere, che tenni come sempre molle, rilassato e sporgente. Tacque per cinque minuti: il mio orgoglio se n’era già andato via tutto. “Inginocchiati e leccami i piedi, frocio”, mi ordinò freddo e deciso. Obbedii ed eseguii l’ordine: gli tolsi le scarpe e i calzini, e con ampie leccate gli percorsi i piedi a lungo, questa a volta più a lungo… sicuramente venti minuti, in cui ritrovai il piacere di essere servo, di stare sotto, di subire la superiorità del mio maschio padrone. Ero eccitatissimo, quella situazione mi piaceva ogni volta di più, mi sentivo al mio posto. Si alzò e mi venne dietro, si chinò e mi toccò il culo, mi strinse le natiche, mi penetrò con un dito, poi con due. Poi estrasse le dita e me le infilò in bocca, facendomele succhiare e ripulire, per poi infilarmele di nuovo nel culo. E a questo punto iniziò a farmi una serie di domande intime. “Hai fatto sesso solo con gli uomini o anche con le donne?” “Solo con gli uomini, Padrone” “Solo da passivo?” “Sì, Padrone” “A che età hai fatto sesso con un uomo per la prima volta?” “Avevo 18 anni” “Come si chiamava?” “Giulio” “Che hai fatto con Giulio? Sesso orale o sesso completo?” “Tutti e due, Padrone” “Raccontami il primo pompino che hai fatto a Giulio” “Studiavamo insieme… lui mi stava molto addosso, aveva capito che io ero… ehm” “… che tu eri?” “… che mi piacevano i ragazzi” “che tu eri… che cosa dunque? Dillo” “Che io ero una checca” “Bene. Dunque?” Intanto mi penetrava con le dita, e poi di nuovo me le faceva succhiare, e ancora me le infilava in culo. “Studiavamo insieme, un giorno cominciò con approcci molto decisi, mi parlava chiamandomi al femminile, poi iniziò a toccarmi, mi prese una mano e mi fece sentire che l’aveva duro” “Continua” “Mi chiese di prenderlo in mano, cominciai a masturbarlo, ma dopo un minuto mi chiese con insistenza di prenderlo in bocca. Così lo feci” “In che posizione eravate?” “Lui era seduto, io in ginocchio davanti a ui” “Bene, frocio. Hai cominciato nella giusta posizione fin dall’inizio…. Poi? Quanto durò?” “Poco… la prima volta…” Sorrisi. “Ti è venuto in bocca?” “Sì” “Gli hai bevuto la sborra?” “No, la prima volta sputai, e lui mi guardò arrabbiato” “Aveva già capito che poteva pretendere di più da te, vero?””Sì, penso di sì” “E la volta dopo che glielo succhiasti quando fu?” “A scuola, il giorno dopo, nel bagno” “E bevesti?” “Sì, tutto. Lui me lo impose, era molto aggressivo” “Ti piacque?” “Sì, mi piacque molto” “Che sapore aveva?” “Era densa, aveva un sapore dolce e amaro allo stesso tempo” “Ti piace bere la sborra?” “Sì” Mi mollò una sculacciata “Sì e poi?” “Sì mio Padrone… mi perdoni” Mi mollò un’altra sculacciata “Ti piace bere la sborra?” “Sì mio Padrone” “Dimostramelo”. Si alzò in piedi e mi viene davanti. Ero emozionatissimo. Stava per concedere il suo cazzo alla mia bocca per la prima volta, era il premio, e io non desideravo di più in quel momento. Gli sbottonai i pantaloni, estrassi il suo membro: lo avevo visto solo una volta, era stupendo, aveva un odore forte. Iniziai a leccarlo, poi lo presi in bocca e cominciai a succhiarlo su e giù cercando di esprimere il massimo della dolcezza. Gli facevo un pompino, stavo facendo un pompino al mio Padrone, inginocchiato davanti a lui, questo era meraviglioso. Succhiai con passione, ma muovendomi avanti e indietro lentamente, muovendo la lingua sul suo glande scoperto. Lo facevo entrare fino in gola, lo prendevo tutto, lo gustavo, lo amavo con devozione e con libidine degna della più lurida troia. Ce la misi tutta per fargli vedere quanto mi piaceva succhiarglielo. Sentii che mugolava, poi mi disse “che troia sei”. Continuavo a sbocchinarglielo lento, succhiando forte, muovendo la mia testa avanti e indietro… “Succhia, frocio”, mi diceva. Lo sentivo durissimo, caldo, sentivo i suoi primi umori. Continuai dolce e avido. Il pompino durò in tutto una decina di minuti, sentii il Padrone emettere un rantolo e poi ricevetti il primo shizzo caldo in bocca, poi il secondo molto abbondante, il terzo, il quarto, il quinto, mentre continuavo a succhiare delicatamente. Sentivo la bocca piena… succhiai, bevvi, gli tenni in bocca il cazzo fin che non fu lui a toglierlo. Capii che gli era piaciuto moltissimo, ma sapevo che si sarebbe ben guardato dal dirmelo. Si rimise in poltrona, e io mi misi in ginocchio ai suoi piedi. Mi disse di appoggiare la testa alle sue gambe, lo feci, e allora lui mi accarezzò il viso per dieci minuti, mentre io volavo letteralmente. E a quel punto mi disse “la missione è andata bene, dunque”. “Credo di sì, mio Padrone”, gli risposi. “Sì, è andata bene”, fece lui. Stette in silenzio un paio di minuti, sempre accarezzandomi la testa, poi mi chiese: “ti piaceva quel tipo?”. Non sapevo che cosa rispondere. “Beh, non era un brutto uomo..”, feci. “Ti ha baciato a lungo, eh? Ti ha toccato il culo…”. “Sì mio Padrone”. “E a te faceva schifo vero?” “Beh io…”, balbettai stupidamente. Lui scoppiò in una risata: era la prima volta che mi capitava di sentirlo ridere. “Ma vuoi che non lo capisca che sei una puttana in calore? Vuoi che io non immagini che ti è piaciuto moltissimo farti pomiciare da un uomo sconosciuto?”. Rimasi in silenzio, abbassai gli occhi e poi gli dissi: “ha ragione, mio Padrone”. Ridiventò serio e mi disse: “devi sempre dirmi la verità, capito?”. Mi ordinò di alzarmi. Si alzò anche lui e andò a un armadio, vidi che estraeva il frustino di cuoio sottile. “Faccia al muro, troia. Anche oggi riceverai la tua lezione”. Eseguii l’ordine, e mi ritrovai di nuovo abbandonato, alla sua mercè, con la faccia al muro, a chiedermi quante me ne avrebbe date, e quanto sarebbe stato per me il piacere e quanto il dolore. Arrivò la prima frustata sulle natiche, violentissima, che mi fece emettere un grido secco. Poi un’altra altrettanto violenta dopo pochi secondi, una terza, una quarta… quindici in tutto, durissime come non ne avevo mai prese. Caddi in ginocchio piangendo, e sentii il Padrone annunciarmi con voce fredda – e fu questa la frustata più terribile – la notizia: “starò via un mese”. Mi girai verso di lui con aria incredula. “Un mese, mio Padrone?”. Avevo già dimenticato il dolore lancinante che mi mordeva i glutei, ora pensavo solo a quell’assenza lunga e penosa. “Rivestiti”, fece. Eseguii. Cercai di calmarmi, mi venne vicino faccia a faccia. “Sei solo uno schiavo frocio, non dimenticarlo… una serva puttana”. “Sì, mio Padrone”, risposi con voce dolce, da checca asservita, ormai ben educata a star sotto. Poi continuò: “torna fra un mese esatto qui da me, il 20 febbraio, a mezzogiorno in punto. In questi giorni non parlare con nessuno di ciò che hai fatto, di ciò che hai visto; se vieni per caso in contatto con qualcuno degli uomini che hai conosciuto per mio tramite, fa finta di non conoscerlo. Capito?” “Sì mio Padrone” “Un’ultima cosa, la più importante. Voglio che tu mi sia fedele, che tu non abbia rapporti erotici né tanto meno di sottomissione con nessuna persona, in questo periodo.” “Sì mio Padrone”, risposi, e questa sua frase mi emozionò al punto che la voce mi tremò, e sentii che stavo per piangere. “Avrai capito che qui siamo particolarmente specializzati nel gestire le informazioni, no?”, sorrise con fare allusivo. “Se mi tradirai lo verrò a sapere, stanne certo”. Fece una pausa. “Ma tu non mi tradirai, vero?” “No, Padrone, non lo farò”, risposi, e nel dirlo scoppiai a piangere e mi buttai ai suoi piedi. “Alzati”, mi disse, “rivestiti e vai”. Obbedii confuso, sentivo l’energia che mi veniva meno. Alla fine lo salutai, “arrivederci, mio Padrone” e lui mi ricambiò “ciao Andrea”. Uscii ripentendomi “un mese passa in fretta”, me lo ripetevo ossessivamente, “un mese passa in fretta”, “un mese passa in fretta”. Ero preso dall’amore più totale, quello di una schiava.
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