Lo so, non si dovrebbe fare, ma è andata così, solo una volta… Mi aveva chiesto di accompagnarla in auto in una pensione di montagna. Avrebbe potuto andarci in pullmann, ma forse le piaceva essere accompagnata. Era sempre stata molto vanitosa e sicuramente la stimolava l’idea di arrivare in macchina accompagnata da qualcuno, meglio se più giovane, così tanto per figurare. Non sarebbe stata da sola, era un’intera comitiva di persone, non giovanissime ma tutte ancora molto in gamba. Arrivammo e le fu assegnata la camera. Dovette combattere un quarto d’ora per avere la camera singola perché non voleva condividerla con nessuno. Alla fine l’ebbe vinta. L’aiutai a portare le valigie ed a sistemare la sua roba, notando che, per la sua età, possedeva della ‘lingerie’ niente male, anzi assai raffinata e succinta. La mente tornò al viaggio in auto, un’ora circa, in cui avevamo parlato e riso come due vecchi amici; si vedeva che era contenta. Mentre parlava, ogni tanto la guardavo come mai prima. Eravamo stati anche al mare insieme, ma il ricordarla in costume da bagno non mi faceva lo stesso effetto di vedere vicino a me la sua coscia bianca ed ancora levigata che casualmente (?) faceva bella mostra di sé perché la cintura di sicurezza aveva tirato la gonna verso l’alto fino alla bordura della calza autoreggente (però, birichina la donna, anche se non più giovanissima…). Prima di scendere dalla stanza notai l’arredamento caldo in legno ed il lettone con il piumone, molto caratteristico. Ormai era mezzogiorno e non volle farmi tornare a stomaco vuoto. Mi invitò a pranzare con lei. Un’ora passò mangiando e scherzando; era in forma la signora, pensai… Dopo il pasto e qualche bicchiere di vino, sicura causa del rossore delle sue guance, al momento del caffè mi guardò negli occhi e mi disse che non potevo tornare a casa subito dopo mangiato, che ci voleva un giusto riposino postprandiale. Accettai perché le guance scottavano anche a me. Si alzò anche lei e, benchè tutti ci stessero guardando, disse ‘ti accompagno’. Notai che mentre attraversavamo la sala da pranzo, alcuni degli uomini presenti, tutti più vecchi di me, la guardavano con una luce di desiderio negli occhi. La cosa però mi fece piacere. Arrivati in camera mi invitò a sdraiarmi e disse che, se non mi dispiaceva, anche lei avrebbe fatto lo stesso perché ne sentiva il bisogno, tanto lo spazio c’era e non ci saremmo dati disturbo. Devo confessare che a quel punto la situazione cominciò ad apparirmi intrigante, pensavo che se ci fosse stata mia moglie al suo posto sapevo già come sarebbe andata a finire. Era ancora estate, la giornata calda, le vampate sul viso sempre più frequenti, l’eccitazione in arrivo. Mi spogliai e lei anche. Ci sdraiammo, io in mutande e lei in sottoveste. Uno a fianco dell’altro. Il silenzio era totale, sentivamo il nostro stesso respiro; il vino bevuto a pasto stava facendo il suo lavoro bastardo. Senza che lo potessi controllare, il mio membro cominciò lentamente ma inesorabilmente a gonfiarsi e i pensieri si fecero accesi. Speravo che lei già dormisse, invece di colpo si girò su un fianco verso di me e cominciò in silenzio a guardarmi. Non sapevo come giustificare l’erezione, ma di sgonfiarsi proprio non ne voleva sapere. Pregai che, pur accorgendosene, non volesse attribuirgli alcun significato. Invece, dopo qualche minuto di sguardi, senza preavviso accadde… Allungò la mano sul mio petto, ne accarezzò i peli folti. Avevo già dei brividi violentissimi lungo il corpo ed ero conscio che stavo per vivere un momento assolutamente particolare, unico, con una donna particolare, unica. La sua mano oziava vicino al pube, i cui primi peli superavano l’elastico delle mutande. Non potevo resistere, mi dissi che facevo schifo e che la ‘morale’ avrebbe dovuto impedirmelo, ma ormai non ragionavo più, il mio cervello era ormai tutto nelle mie mutande. Volli darle almeno un contributo di iniziativa, lei in fondo aveva già fatto molto, troppo. Afferrai l’elastico delle mutande e lo abbassai di colpo, mostrando all’aria ed a lei il mio pene turgido. Per un attimo pensai che mi avrebbe allungato un ceffone o almeno redarguito, perchè certi limiti in natura non vanno oltrepassati. Invece afferrò la verga e la tastò sapientemente; poi, dopo un lungo sospiro, si pose semisdraiata su un fianco, piegò la testa e fece scomparire il glande. Era troppo; legge morale o scritta, non volevo venire così come un ragazzino. La lasciai fare per un po’, godendomi la profusione di baci intimi, poi lentamente ma con forza la rovesciai nuovamente sulla schiena e, senza neanche più capire quello che facevo, la spogliai tutta con la sua piena collaborazione. Il suo sguardo, nonostante l’età non più verdissima, era quello di una bambina al primo orgasmo; l’interno delle sue cosce profumava ancora di saponetta fiorita. Andai a toccarla nel punto in cui una donna in quei frangenti vuole essere toccata; il suo bocciolo di rosa stillava rugiada, lo forzai delicatamente, lei si schiuse e venne in poco, senza pudore né ritegno. La lasciai sfogare nel suo orgasmo, che a me parve senza fine e che si risolse in un sospiro intenso e vibrante. Vi chiamo tutti a giudicare: potevo lasciarla così, rinfoderare tutto, alzarmi e andarmene? Condannatemi pure, ma in quei momenti non si può. Mi distesi sul suo corpo accaldato, le sollevai in alto un ginocchio e dolcemente la penetrai, sentendo che in lei il piacere, anziché estinguersi, rimontava. Il suo respiro era corto e sapeva di buono. Non ce la feci a farla venire di nuovo, perché poco dopo l’ormai incontenibile ‘frullo del passero’ avrebbe fatto in modo che io mi sciogliessi nel suo grembo dolce in un lago di piacere, mio e suo. Non tentai neanche la manovra disperata del ‘coitus interruptus’, che forse moralmente mi avrebbe dato un appiglio. Venni dunque, riversando dentro di lei tutto il succo e l’essenza della mia estasi. Rimanemmo immobili per lunghi secondi come sospesi, respirandoci. Nessuna parola fu detta, nessun commento, nessuna raccomandazione per il tempo a venire. Mezz’ora dopo ero già in macchina, a fare i conti con la mia coscienza e chiedendomi se tutti gli altri della comitiva avessero intuito: avete mai visto le facce degli amanti dopo un amplesso clandestino? Vi starete chiedendo: cosa c’è di male a fare l’amore così? Io avevo trentuno anni, lei cinquantadue. Lei era la madre di mia moglie. Ci desideriamo ancora, ma non abbiamo più fatto l’amore così, completamente. Ancora oggi, ma solo ogni tanto, quando vado a casa sua per mangiare o per piccoli lavoretti domestici, sento il desiderio crescere in me e farsi impellente. Mi accomodo allora sulla solita poltrona, che ormai serve solo per questo scopo, e senza una parola estraggo il pene in golosa attesa. Silenziosamente, secondo un copione più e più volte ripetuto, lei arriva, si accoccola davanti a me ed in pochi minuti attinge, direttamente con la bocca, alla fonte del mio piacere. Quando me ne vado, e solo allora, rubo un bacio alla sua bocca, che conserva sulle labbra il sapore del mio elisir. Raramente, quando non è possibile fare diversamente per ragioni di tempo, o di opportunità, mi avvicino a lei mentre è impegnata al lavello o mentre sta stirando e la tasto ardentemente. In quei frangenti lei si limita a sorridere con complicità, reclinando indietro la testa, perché sà cosa voglio, e mi lascia fare. Con mani frettolose percorro le cosce e mi insinuo nelle sue mutande, le abbasso fino al ginocchio e poi la esploro con delicatezza, contemporaneamente davanti e dietro, senza forzare troppo, limitandomi a raccogliere sulla punta delle dita la rugiada del suo bocciolo. In questi casi non c’è mai un dopo; quando sento che le sue gambe cominciano a vacillare, mi ritengo soddisfatto e sadicamente interrompo il gioco, tanto ci sarà un’occasione migliore a cui nessuno di noi due sà e vuole rinunciare. Ufficialmente, per mia moglie, io non sopporto sua madre…. Per fortuna mia moglie non dà segno di notare certi sguardi quando mi cambio in presenza di sua madre, dei suoi fianchi rotondi che in ascensore si strusciano sul mio inguine, della sua cortese intraprendenza nel volermi porgere, dopo la doccia, l’asciugamano dimenticato insieme con la sua mano esperta che mi afferra il membro, non ancora turgido, fino a soppesare e comprimere dolcemente i miei testicoli in ebollizione. E’ la sua piccola vendetta per i miei giochi sadici che la lasciano insoddisfatta; così anche lei mi lascia, umido di doccia e di insoddisfazione, al culmine dell’ormai incontenibile, evidente quanto inutile erezione. Mi auguro che rimanga ancora com’è, giovanile ed appetibile, per tanti altri succosi anni di piacere reciproco, clandestino ed amorale.
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