Il vento sconvolgeva le chiome delle vecchie e grandi piante, che a volte si piegavano bruscamente quasi fino al punto di rottura, altre, invece, con dolcezza, cedendo lentamente, quasi fossero sottoposte ad una trazione inarrestabile ma lenta e continua. Le erbe più alte del prato sottostante che le ospitava si accompagnavano nel movimento: quasi facendo da coro.Qualche immancabile busta di plastica e cartacce svolazzavano scomposte,adagiandosi, nei momenti di pausa, ora a terra ora tra gli arbusti. I passanti partecipavano e movimentavano ancor più la scena, dando di scatto le spalle alle improvvise folate e tirando istintivamente, quasi all’unisono, i baveri all’insù, quasi avessero studiato la parte di un copione da recitare rispettando sincronia ed armonia dei movimenti.Le panchine erano ovviamente vuote e difficilmente qualcuno le avrebbe occupate se il tempo non avesse dato segni di cambiamento.Ad ogni folata si accompagnavano rumori diversi: ora il tintinnio di una pinza per il bucato, ancora fissata alla corda dello stenditoio e sballottolata con violenza in largo ed in lungo, ora il rumore di un’anta dimenticata senza fissaggio, ora quello di un barattolo, che rotolava sul selciato del cortile o dei viali sotto la spinta dei soffi potenti ed improvvisi, ora la sommatoria di tutti gli scricchiolii o cigolii che il vento produce. I diversi rumori sembravano tutti confluire con armonia e senza stonature in quella nota prolungata e bassa, quasi da organo, prodotta dalla vibrazione delle barre delle ante alla romana.Qualche sibilo stridente , che pur di tanto in tanto si coglieva, sembrava quasi essere fuori luogo.Giulia, splendida nei suoi quarantacinque anni, seguiva la scena dalla poltrona dell’antico salotto, attraverso la vetrata inglese che da sempre guardava verso il parco. "Vecchio, caro salotto – pensò – testimone di tanti episodi. Se solo uno dei mobili avesse potuto parlare, ne avrebbe avute da raccontare."Era stata sempre affascinata dall’antica specchiera settecentesca. Era piuttosto imponente, ma snella ed elegante, ricca di volute che si risolvevano con semplicità senza alcun appesantimento barocco, riempiva la parete che fronteggiava la vetrata e rifletteva l’intera camera , rendendo a chi fosse entrato da una delle tre porte di accesso, o anche avesse osservato prima ancora di varcare la soglia , un ampio settore del salotto.Alle altre pareti facevano bello sfoggio di sé due divani ricoperti da una stoffa "rosa salmone" in seta, appena intercalata da righini dorati sottilissimi, ai fianchi di ciascuno dei quali rispettivamente si accompagnavano una coppia di comode e larghe poltrone, a spalliera alta ed arcuata con medaglione centrale contornato da fregi dorati, ciascuna servita da un poggia piedi e lateralmente da un piccolo tavolino in legno di rosa, su ciascuno dei quali facevano bella mostra di sé piccoli e preziosi oggetti in argento ed un portacenere in cristallo antico di Boemia. "Il primo sospiro d’amore lo colsi da dietro la spalliera di una di quelle poltrone – pensò- e fui quasi spaventata quando il respiro accelerò terribilmente e divenne roco e pesante; fu un vero e proprio miracolo che lo sgomento ebbe il sopravvento ed un effetto quasi paralizzante che m’impedì di svelare che ero presente e ben acquattata nel triangolino di spazio tra l’angolo dei muri ed il retro della poltrona "Ricordava che dopo quella volta, prima ancora di comprendere, si era chiesta come mai ogni volta che un uomo ed una donna di famiglia o un uomo ed una donna che frequentavano casa si appartavano in quell’angolo del salotto , ignari della sua presenza che amava rincantucciarsi in quel posticino cose riservato ed intimo che le dava la sensazione di una sua cameretta a tutti sconosciuta, vi erano prima o poi accelerazioni del respiro, sospiri, mugolii e tutti finivano con l’ansimare Ricordava sempre di aver rubato con gli occhi da quella stanza immagini d’amore e di passione, anche con l’aiuto della specchiera, di aver colto furtive carezze, momenti d’intimità assoluta che gli si erano presentati diversi nel significato con il passare degli anni.Da piccola pensava che fossero "giochi" dei grandi che la incuriosivano e gliapparivano talvolta insignificanti e noiosi.Sorrise ….e sospirò insieme ripensando a come una bambina possa essere innocente: ricordava , infatti, che la prima volta che aveva visto – senza rendersene conto – un pene era accaduto proprio in quella stanza. Apparve improvviso tra suo zio, allora promesso sposo, e sua zia , un po’ più giovane di sua madre, e le sembrò una terza strana mano dell’uomo che sua zia impugnava e scuoteva quasi in un saluto particolare. Si convinse all’epoca che quella mano era mutilata, mancava delle dita e perciò l’uomo la teneva ben celata e ricoperta dagli abiti. Ricordò le fantasie puerili che pur si erano sviluppate a seguito delle varie scene alle quali aveva assistito, nella sua piccola mente.Dapprima aveva pensato, e ne era stata convinta, che solo il suo prossimo zio avesse quella strana terza mano, che spesso veniva offerta alla zia , che talvolta l’aveva anche infilata tra le cosce, quasi volesse mostrarle appieno il suo affetto e a volerla proteggere, facendola sparire alla vista, ed altre addirittura l’aveva baciata non solo poggiando le labbra sul dorso della stessa ma succhiandola e passandole intorno la lingua mentre lo zio s’inarcava e si tendeva come se avesse dolore, lasciandosi sfuggire qualche sottile lamento.Aveva notato un’altra particolarità della terza mano dello zio : non aveva sempre la stessa grandezza ; da piccola e floscia diventava grande e rigida, soprattutto quando la zia l’impugnava in un saluto lunghissimo cose come da grande ridiventava piccola; talvolta d’improvviso spruzzava tanto latte e questo…era stato a lungo un mistero per la sua comprensione.La zia, sorella della madre, quando la mano del promesso sposo iniziava a spruzzare la stringeva ancor più e subito dopo si affrettava a ripulirsi le proprie o le cosce o le labbra, ma assumeva sempre un’espressione ansimante ed estasiata o perduta quasi non avesse mai visto latte simile o non ne avesse mai bevuto.Un giorno , nascosta nel suo angolino, scopre che quella terza mano l’aveva anche l’autista di famiglia .Marietta, infatti, era intenta a spolverare il divano ecanticchiava allegra e sottovoce, quando Ugo, appunto l’autista, entrò in punta di piedi e senza far rumore, assumendo l’atteggiamento che tante volte aveva visto assumere ai grandi quando le facevano la sorpresa di sorprenderla esclamando "cucu….." e lei rispondeva "tc.. tc….".Marietta ai suoi occhi appariva una donna adulta . Alla sua età, infatti, uomini e donne si distinguevano in tre grandi categorie: bambini, adulti e vecchi gir a partire dalla quarantina.Oggi sapeva che Marietta aveva , forse, vent’anni ed Ugo doveva sopravanzarla di poco. I capelli della domestica, corvini e lunghi fino ad un terzo delle spalle, l’avevano sempre affascinata come quelli delle sue bambole. Ugo, dunque, avanzava silenzioso e già aveva liberato la terza mano che gli pendeva goffamente dai pantaloni. Si accostn a Marietta da tergo le pose le mani sulle spalle e la tirò a sé in quello che allora le apparve un abbraccio all’inverso.Non capiva perché Marietta tentava di sottrarsi e si rivolgeva ad Ugo con parole indispettite ma a bassa voce. Non comprendeva perché Ugo alzasse la gonna di Marietta, tenendola stranamente con un braccio al collo ripiegata in avanti, e cercasse d’infilarle la terza mano tra le cosce. Gli risultava strano il comportamento di Marietta cose contrastante con quello disua zia. Gli apparve ancora più strana però la metamorfosi che lentamente si verificò.La voce di Marietta perse il tono aspro e concitato per diventare sempre più affettuosa – almeno cose l’intese – e dolce, mentre Ugo avendole lasciato il collo si appoggiava interamente al culetto, ormai scoperto, della domestica tenendole la terza mano tra le cosce, che Marietta aveva quasi incrociate ,quasi per la giusta paura che la mano scivolasse via, visto che Ugo non la smetteva di ondeggiare con un movimento quasi a pendolo in un gioco che le fecero apparire i "grandi" piuttosto sciocchi ed incomprensibili.Ancora più incomprensibili le sembrarono i giochi dei grandi quando Ugo ritirò la terza mano dalle cosce e, pronunziando parole di cui ella non comprendeva il significato, comincio a sbatterla sul culetto di Marietta, che, invece di sottrarsi agli strani sculaccioni, lo incitava a continuare, tra quelli che le sembravano lamenti, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto : " .siiiii… continua….. si………. dai …".E quei sospiri inspiegabili di Marietta le facevano ancora compagnia , quasirinvenendo dal passato per accompagnarsi ai suoi .Come gir le era capitato per il passato – fin dalla prima volta che aveva scoperto il suo corpo carezzandolo e dandosi piacere – la sua mano era corsa tra le ginocchia, spinta dalle immagini dei ricordi che accendevano in lei il desiderio di un piacere furtivo , aveva risalito le cosce indugiando in carezze leggere , diventando quasi estranea al suo corpo , quasi la terza mano di Ugo o dello zio, sfiorandole la pelle nuda tra la fine delle calze e l’inizio degli slip, per seguirle il solco dell’intimità con tocchi di diversa intensità , insinuandosi nella naturale piega formatasi nel triangolo di stoffa delle ricercate mutandine di pizzo. Aveva sempre vissuto quel momento del contatto della stoffa come un’iniziazione "misterica" e sentito il tocco della mano come trasposizione di quell’immagine che solo più tardi, rispetto al momento in cui l’aveva conosciuta, si era definita nella sua significazione fallica, occupando l’origine del suo desiderio.Aveva stretto le cosce, sentiva la mano correre lungo il solco dell’intimità con la pressione giusta per trasmettere stimoli intensi alle labbra ed al clitoride, di tanto in tanto muoveva le cosce l’una verso il basso e l’altra verso l’alto, producendo un lieve sfregolio delle calze, che le aumentava il piacere e la spinta del desiderio immaginandone l’effetto sull’uomo "del ricordo" che la carezzava con la sua "terza mano". Non aveva importanza se dalla scatola del ricordo emergesse il volto dello zio o di Ugo, entrambi avevano il potere di aumentarne l’eccitazione perché entrambi racchiusi nella sfera del "proibito" ovvero dell’impossibile.Viveva, infatti, il primo come "il parente" ed il secondo come un uomo irraggiungibile ed in ipotizzabile per la distanza sociale che li separava.Con l’uno o con l’altro sarebbe stata una trasgressione alla regola, a quanto le era stato insegnato ed inculcato nella mente e nell’animo. L’uno e l’altro, sia pure per aspetti diversi, significavano la rottura di quella catena invisibile alla quale si è legati e che disegna il limite della colpa.Intanto la mano era sempre più audace, aveva ormai sapientemente discostata la difesa dello slip ed era in contatto diretto con la sua carne, le dita seguivano il solco già segnato dall’effetto del piacere ed indugiavano sempre più nella parte alta delle labbra intime carezzando con colpetti intensi e rapidi il clitoride, rizzatosi al massimo delle sue possibilità, quasi per offrirsi meglio a quella carezza. Sapeva che se fosse entrata più dentro, prima carezzando la bocca dell’ingresso e poi penetrando con un dito, per poi passare a due e a tre avrebbe aumentato l’intensità del piacere….ma anche la tensione del volere sempre di più, di osare fino all’estremo limite, di sentirsi piena oltremodo, di sfidare se stessa nella sua capacita di ricevere e di accogliere , che sapeva di volere smisurata e stupefacente, fin quasi a divenire perversa ….a desiderare che la sua mano, quasi per intero, si addentrasse nella sua intimitr.Vedeva la terza mano, gonfia, cilindrica e rosea alla punta, leggermente curva, e la sentiva penetrare dentro, ricordando quante volte l’aveva desiderato nella post-adolescenza, scoprendosi tutta bagnata tra le cosce o al risveglio da un sogno che pian piano riaffiorava dall’inconscio in immagini di tenero piacere ora con uomini dai volti noti ora ignoti.Accelerò il movimento ed improvvisamente, come ormai le capitava, si liberò anche da ogni remora di linguaggio: prepotente, come il getto di acqua che naturalmente risale in cerca di una fenditura per liberarsi dalla prigionia delle viscere della terra, le parole crude ed immediate, quelle più dirette e comuni, le occuparono la mente ed i pensieri ed i desideri si traducevano con quelle.Sentiva la fica sempre più bagnata e la mano trovare maggiore penetrazione, con una delle dita cercò il punto "g", che – cose come aveva letto da qualche parte – avrebbe dovuto dargli il maggior piacere possibile, dischiuse e richiuse più volte le cosce, segnando il ritmo della carezza, quasi come se a penetrarla fosse stato un cazzo turgido ed al limite dell’esplosione.E quasi venne.Erano anni che tentava di avere un orgasmo, ma sentiva di non riuscirci completamente, sentiva che quella mitica vetta del piacere le era ancora negata e sconosciuta e si rilassò, riascoltò le diverse voci del vento che avevano ormai ripreso il sopravvento su quelle della sua mente e notò che ormai i fari del parco e della via erano già accesi.
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