Mi chiamo Ottavio ho 48 anni ben portati, insegno filosofia all’università della mia città da quasi 15 anni, qualcuno, soprattutto tra i miei alunni mi definisce un orso. In realtà sono solo un uomo riservato, non mi sono mai sposato perché non ho cercato una donna definitiva, non credo di essere portato per la monogamia. Le donne mi piacciono, mi piacciono tanto ma nei loro confronti ho sempre nutrito sentimenti di dominazione, le storie che sono durate più a lungo sono state sempre quelle dove la donna di turno accettava passivamente la mia dominazione, tutte creature che si sono annullate per me. Sinceramente non sono state poi tante quelle che non mi hanno deluso, molte si sono sforzate di accettare il ruolo ma evidentemente a lungo andare la situazione diventava pesante e si sono tirate indietro. Ora sono alle prese con una storia che potrebbe promettere bene, Elena. Splendida trentenne. Questa donna, bionda, eterea, delicata come carta velina. Ha vinto un dottorato nel mio dipartimento ho quindi modo di applicare tutte le strategie possibili per irretirla, lunedì scorso ad esempio l’ho sentita mettersi d’accordo con qualcuno al telefono per una cena tra amici, ho aspettato il tardo pomeriggio e poi le ho chiesto di trattenersi in facoltà affidandole un lavoro assolutamente inutile, lei ha provato a balbettare qualcosa ma la mia risolutezza l’ha paralizzata. Sono uscito tardi dal mio ufficio lasciandola lavorare sola e silenziosa. La mattina dopo sono andato in facoltà prestissimo, ero curioso di vedere dov’era arrivata con la sua ricerca e capire quanto tempo si era trattenuta, averle imposto un cambiamento di programma improvviso mi eccitava da morire. Elena era al suo tavolo, pallida, stravolta, quando mi ha visto è scattata in piedi salutandomi con lo sguardo basso: “Buongiorno professore, mi dispiace ma non ho finito, ancora un paio di ore e le consegnerò la relazione che mi ha chiesto, ho cercato di fare del mio meglio ma… speriamo bene” “La leggerò nel pomeriggio, trattieniti, dopo le 19 ti aspetto nel mio studio per discuterne i contenuti”. La sua bellezza, la sua fragilità ma soprattutto la sua insicurezza mi hanno provocato un’erezione selvaggia, penso di aver captato una sorta di dipendenza psicologica nei miei confronti, può succedere quando la stima per un superiore diventa un macigno con cui convivere. Penserete che approfitto della mia posizione professionale per adescare le mie schiave, ma è la prima volta che succede nell’ambito universitario, le altre avventure sono nate e cresciute fuori dall’Ateneo. Evidentemente sto invecchiando ma questa creatura mi ha stuzzicato subito, non sono stato capace di ignorarla, non ne ho semplicemente avuto la forza. Alle 19 in punto Elena bussa alla mia porta: “Posso?” “Entra, siediti, qualche minuto e veniamo a noi” Elena si siede con una grazia disarmante, vedo con la coda dell’occhio che si tortura le mani con l’ansia tipica di chi è in attesa di giudizio. Ho letto la relazione sommariamente, nella sua inutilità è perfetta ma non le darò nessuna soddisfazione, ho voglia di vederla piangere e farò di tutto perché questo accada nel mio studio, non ho rimorsi di coscienza, di nessun tipo, avrei voglia di frustarla legandola alla trave del soffitto, ma per ora posso accontentarmi del suo imbarazzo, della sua frustrazione professionale. Fingo di sbrigare alcune cose senza degnarla di uno sguardo o una parola, poi prendo il fascicolo con la sua relazione, il mio sguardo corrucciato, sfoglio le prime pagine distrattamente: “Veniamo a noi, non mi sembra che tu abbia affrontato il problema in maniera superficiale ma sicuramente in modo poco professionale, forse non hai capito quanto impegno e serietà occorrono per portare avanti un dottorato di ricerca come il tuo…” Elena, il volto scarlatto, lo sguardo basso, il labbro inferiore percorso da un fremito leggero, stupenda. Pausa, silenzio assoluto, la fisso aspettando una giustificazione, non arriva, incalzo: “Allora, non hai nulla da dire, sei stata invitata per discutere il tuo lavoro, vediamo se a parole mi convinci di aver percorso la strada giusta con il mezzo sbagliato o se ti sei persa al primo bivio” Scelgo attentamente il tipo di critica, non voglio entrare nel dettaglio, il lavoro è ben fatto e l’etica professionale ha ancora un valore per me, i miei occhi la stanno penetrando, voglio, prima del suo corpo la sua mente, deve consegnarmela spontaneamente. “Non so come giustificarmi professore, lei non può sapere quanto sono mortificata, credevo di aver fatto un buon lavoro ma ho peccato di superbia e mi sono persa” “Sono molto deluso, speravo di aver trovato una buona assistente ma la superbia è nemica della ricerca quindi mia cara bambina, ho impari ad essere umile o lasci il dottorato ha chi ha più capacità e meno fortuna…” Parole dure, scelte accuratamente, voglio le sue lacrime e le avrò. Alza il viso, gli occhi lucidi, deglutisce con difficoltà, il groppo in gola, dai dolcezza sono qui che aspetto. “Ha ragione professore” Elena balbetta, le labbra tremano, ho colpito nel segno. “Guardami negli occhi quando parli con me” Tengo lo sguardo fisso nelle sue verdi iridi, stupende, ed ecco il suo regalo, due grandi lacrime da bambina scivolano verso il basso, il volto rigato, grazie sei perfetta. Chiede il permesso di congedarsi rimandando la discussione ad un momento più idoneo, permesso negato, le ordino di lavarsi il viso e rientrare ricomposta. Elena si assenta per alcuni minuti, poi rientra, il volto pulito, il trucco rifatto, lo sguardo ancora lucido, tiene le mani dietro la schiena, stupenda. Non la invito a sedersi, le consegno un volume da studiare attentamente: “Lo discuteremo venerdì, stessa sede, stessa ora, arrivederci”. La evito attentamente per tutti i giorni successivi ma la penso spesso, la immagino piegata ai miei capricci, è la persona giusta sono convinto di questo, alcuni suoi atteggiamenti sono inequivocabili, le mani dietro la schiena, lo sguardo basso, potrebbe essere la schiava che aspetto da anni, devo assolutamente impegnarmi, non posso perdere questa opportunità. Venerdì pomeriggio, il momento più bello di tutta la settimana, presto la mia preda entrerà silenziosa nella trappola del bracconiere, ho fantasticato e progettato a lungo su questo incontro, come posso trattenerla per la serata? Quale strategia applicare per non farle intuire il mio interesse? Non mi bastano più solo le sue lacrime, voglio altro, molto altro. Le 19, in perfetto orario, toc-toc…: “Avanti” “Buona sera professore” “Prego entra pure” Non voglio chiamarla per nome, troppo personale preferisco che pensi che il suo nome per me è un dettaglio, è una delle tante dai nomi tutti uguali, Giulia, Martina, Alessia… Entra si siede con le mani in grembo, non è a suo agio, si vede da kilometri di distanza, potrei essere su un’altra galassia e percepire il disagio che quella splendida pelle alabastro trasuda. Silenzio, attende che le dia il permesso di parlare, approfitto di questo momento per squadrarla, indossa un abito leggero di lino bianco con le bratelline assimmetriche, sembra una ragazzina che si è persa al luna park, decido di aiutarla: “Allora, com’è andato il lavoro che ti ho affidato? Spero che tu non voglia deludermi anche questa volta, vediamo…” Prendo il fascicolo che ha appoggiato sul piano della mia scrivania e lo sfoglio: “vedo che hai raccolto molti appunti, ti sei informata adeguatamente questa volta”. “Ho cercato di fare del mio meglio senza perdermi, vorrei non deluderla più” Bella dichiarazione, quindi la bambina si applica per non deludermi e non per ambizione professionale, la guardo negli occhi e decido che è arrivato il momento: “Quanto tempo hai impiegato?” “Tutta la settimana” “Il tuo fidanzato sarà arrabbiato con me” “Non ho più un fidanzato, e in questo momento rapresenta un problema in meno” “Perché quanti problemi hai, oltre ai tuoi rendimenti professionali intendo?” “Lasci perdere professore, non mi sembra il caso”. Volevo sapere solo se esisteva un lui, ma la mia ingenua bambinetta mi ha anche confidato che ha altri problemi, bene il lavoro si prospetta più facile di quanto pensassi, una persona in difficoltà è più vulnerabile di una serena. Discutiamo il suo lavoro per un’oretta, questa volta cerco di gratificarla, senza sforzo, è brava la ragazza, intelligente e intuitiva. Elena sorride è rilassata più sicura. Decido di partire all’attacco: “E’ già ora di cena, posso invitarti per una pizza o hai altri impegni?” “No professore non ho impegni e se lei gradisce la mia compagnia ne sarei felice”. “Bene, andiamo, proprio qui vicino fanno una pizza buonissima”. Il ristorante è pieno, non ci sono tavoli senza prenotazione, quindi le propongo una spaghettata a casa mia e lei molto ingenuamente accetta, la preda si sta avvicinando pericolosamente alla trappola. Entriamo a casa proprio mentre esce la mia governante: “Dottore, ho preparato qualcosa per cena, io vado, ci vediamo domani”. Elena entra in casa in punta di piedi, si aggira nel salone guardando i libri negli scaffali, fa apprezzamenti sui quadri e l’arredamento, poi mi segue in cucina, vuole aiutarmi ma la cena è pronta, la invito a sedersi mentre apro una bottiglia di vino, chiaccheriamo come vecchi amici per tutto il tempo, Elena non è abituata a bere e va subito su di giri, povera fanciulla, le faccio domande incalzanti, personali e scopro che gli uomini l’hanno delusa è sola da due anni, i suoi genitori sono divorziati ed entrambi hanno una nuova famiglia con bimbi piccoli in una città lontana, vive sola, concentrata nel lavoro e spera. L’atmosfera è quella giusta, grazie all’alcol lei ha perso tutti i freni inibitori devo prendere la mira, ora o mai più. Metto della musica, musica adatta, la colonna sonora di Blade Runner, ci sediamo in salotto, io sulla mia poltrona di pelle scura, e lei su un pouf bello e scomodissimo, la guardo negli occhi per alcuni interminabili secondi: “Abbassati le mutandine”. Rimane interdetta, le mie parole l’hanno schiaffeggiata, ma con mio immenso piacere ubbidisce, lo fa pudicamente, senza scoprirsi. “Lasciale li, all’altezza dei polpacci”. Sono mutandine da bambina di cotone lilla con un bordino di pizzo bianco, fantastiche. Rimango fermo in silenzio, continuo a fumare la mia sigaretta fissando quelle mutandine infantili, lei ha il volto rosso, lo sguardo fisso sulle sue scarpe, silenziosa e ubbidiente, prevedevo un lavoro semplice ma non elementare invece questa splendida creatura bionda è portata all’ubbidienza molto più di tutte le slaves che ho conosciuto. Finisco la sigaretta con calma poi mi alzo e le vado vicino, Elena immobile attende ordini: “Allarga le gambe e alza l’abito voglio vederti bene, non ho voglia di sentirti parlare quindi silenzio”. Ubbidisce, si alza solleva la gonna e allarga le lunge gambe, prendo una lampada la posiziono con la luce puntata sui serici peli pubici, si intravedono le piccole labbra, ho l’impressione che sia bagnata ma non ne sono sicuro, glielo chiedo: “Sbaglio o sei bagnata?” “Penso di si, mi perdoni ma è tanto tempo che un uomo non mi guarda più.” “Rispondi si o no, non voglio commenti o giustificazioni, se in una situazione simile una donna si bagna significa che è una cagna, quindi giù a quattro zampe.” Elena esegue, gli slip lilla sempre a metà gamba l’abito sollevato sopra il culo, visione celestiale una donna giovane e bella a quattro zampe nel mio salone. Mi abbasso dietro di lei, le allargo con entrambe le mani le chiappe e fisso il suo buchetto, bello, stretto all’inverosimile: “Dietro sei vergine, possibile che non ne abbia mai aprofittato nessuno? Io sono un uomo molto esigente, queste cose con me non succedono io non chiedo mai niente, prendo.” Silenzio… sono ipnotizzato dal corpo di questa giovane donna, vorrei scoparla ma non posso, non stasera, deve chiederlo lei, voglio carta bianca quando salirà in lei l’eccitazione, quando verrà a chiedermi di stare di nuovo con me le sottoporrò le regole, se accetta farò del suo corpo quello che voglio, ma non stasera. La faccio alzare, l’accompagno alla porta: “Arrivederci Elena, vai a casa domani in facoltà ci attende un lungo giorno di lavoro, riprenderemo il discorso un’altra volta.” Esce senza voltarsi, un solo cenno col viso inclinato da una parte ed un leggero sorriso.
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