CAPITOLO XII – L’ORDALIALe settimane seguenti furono per Marie un’esperienza esaltante. Anni di frustrazione sessuale potevano ora essere finalmente vendicati sul corpo delicato della sua amante adolescente. Ormai sicura della sottomissione della ragazza e in pieno delirio erotico, la donna smise però di esercitare quella sensibilità e attenzione che le avevano permesso di conquistare il cuore della giovane. Fu così che non si accorse di come Jennifer fosse sempre più riluttante a concedersi a lei. Per compensare lo scarso entusiasmo della ragazza, la tutrice prese ad assumere atteggiamenti autoritari e intransigenti anche in camera da letto. Una sera Marie decise di saggiare fino in fondo le capacità di ritenzione di Jennifer. Dopo averla fatta spogliare completamente iniziò quindi a somministrarle una serie di clisteri. La ragazza ne aveva già ricevuto un paio sdraiata sul pavimento del bagno quando la donna le ordinò di stare in piedi nell’ampia doccia. Appese quindi sotto la manopola della stessa una piccola sacca, aperta nella parte superiore. In questo modo la sacca poteva essere facilmente riempita semplicemente aprendo il rubinetto. Una volta piena Marie infilò il beccuccio lubrificato nel retto della ragazza. Jennifer ricevette in piedi quasi tutto il clistere. Prima però che la sacca si svuotasse interamente la donna aprì il rubinetto della doccia immettendo nuovo liquido nel contenitore. La procedura fu ripetuta molte volte fino quando alla giovane non sembrò letteralmente di scoppiare."La prego Madame … non ce la faccio più … per pietà!" piagnucolò. Marie sapeva bene che Jennifer era ormai troppo ben addomesticata per lamentarsi in tal modo senza essere realmente al limite delle proprie capacità di resistenza. Così estrasse il beccuccio ancora zampillante dall’ano della ragazza. Jennifer fece per uscire dalla doccia ed andare a liberarsi sulla tazza ma la donna, afferrandola per la vita, glielo impedì."Non penserai di cavartela con così poco, mia cara?" disse spingendola senza tanti complimenti contro la gelida parete della doccia. La schiena della giovane era premuta contro le mattonelle del muro. Marie pose entrambe le mani, con i palmi aperti, sul ventre gonfio di Jennifer. La ragazza per un attimo credette che lo scopo fosse quello di massaggiarla per alleviare i crampi ma si dovette ricredere. La donna prese infatti a spingere con tutta la forza contro il suo addome rendendo del tutto impossibile trattenere il clistere. Una cascata eruttò dal posteriore di Jennifer trovando poi la sua strada verso lo scarico. Fortunatamente i precedenti trattamenti avevano provveduto a pulire ben bene gli intestini della giovane facendo sì che l’espulsione consistesse essenzialmente nell’acqua che era stata appena inserita. Per favorire la pulizia della doccia Marie aveva lasciato aperto il rubinetto avendo cura di posizionare il getto dell’acqua in modo tale che parte dello stesso andasse anche a riempire la sacca mezza vuota. Jennifer, leggermente piegata, stava cercando di rilasciare l’ennesimo spruzzo quando la tutrice la risollevò decisamente, tenendola per un braccio, sbattendola poi nuovamente contro la parete della doccia. Questa volta però erano il suo ventre e i suoi seni a contatto con la fredda superficie del muro. Per essere sicura che rimanesse in posizione, Marie usò il gomito e il braccio sinistro per premere il suo corpo contro la parete mentre con la mano libera reinseriva nell’ano il beccuccio del clistere che era sempre rimasto aperto. Dopo un po’ lo estrasse per poi inserirlo nuovamente. Quando lo estrasse ancora dall’ano della ragazza sgorgò un nuovo flusso di liquido. Era quello che la donna voleva. Contemplato lo spettacolo per un breve istante, tornò nuovamente a penetrarla. Mentre l’acqua riprendeva a riempirla, Jennifer si accorse con orrore che Marie aveva cambiato la temperatura dell’acqua che adesso era decisamente gelida. La ragazza, provata nel corpo e nello spirito, prese a piangere in silenzio. Il clistere proseguì fino a raggiungere ancora una volta la massima capacità di ritenzione della giovane cui l’acqua gelata provocava crampi orribili. Finalmente Marie estrasse il beccuccio ma solo per sostituirlo con un grosso fallo di plastica. Dopo qualche minuto la tutrice lo estrasse e Jennifer iniziò a liberarsi le viscere. Il suo conforto durò solo pochi secondi. Marie inserì nuovamente il fallo nel retto intasato della ragazza sempre più sconfortata. La donna adesso muoveva il fallo come un pistone. Ogni quattro o cinque affondi l’oggetto veniva completamente sfilato dalla sua vittima e così dall’ano oscenamente dilatato spruzzava un gran getto di sorprendente potenza. Ma era solo questione di pochi istanti. Il fallo tornava implacabile a sodomizzare la giovane per un altro ciclo di penetrazioni. Lo spietato trattamento continuò anche quando Jennifer prese a implorare pietà con insolita insistenza. L’unico risultato che riuscì ad ottenere fu una sonora sberla e la promessa di una flagellazione sui genitali come punizione del suo inammissibile contegno. Marie era troppo ebbra di piacere per accorgersi di avere superato il limite di sopportazione della sua vittima. Fu così che quando tento di sodomizzare ancora la ragazza, Jennifer si ribellò sottraendosi alla stretta della tutrice."Ma cosa diavolo pensi di fare?" sibilò velenosa la donna."Basta! Non ne posso più!" urlò la giovane tra le lacrime. "Lei è cattiva! Dicedi volermi bene ma quello che vuole è solo farmi male!""Come ti permetti di …""Ma cosa pensa che io le abbia creduto? Che abbia davvero provato dell’amore per lei? Io non sento niente per lei! Niente! Io l’ho solo usata e adesso dico basta.Ha capito? Basta!"Jennifer non disse altro ma scappò via piangente. Era fin troppo evidente che le parole della giovane erano menzoniere, che sentendosi tradita dall’insensibilità della tutrice aveva cercato di vendicarsi negando i propri veri sentimenti. A Marie sarebbe bastato chiedere scusa alla ragazza perché questa tornasse a gettarsi tra le sue braccia chiedendo perdono e affetto. Ma la tutrice era troppo alterata per rendersi conto di tutto ciò. Jennifer aveva involontariamente evocato i terribili demoni che tormentavano la coscienza della donna. Le sue paure a lungo nascoste erano così tornate alla luce. Marie era ormai convinta di avere perso la sua devota ancella ma rifiutava di ammettere la propria sofferenza preferendo sostituirla con rabbia e rancore. Le sue debolezze avevano già deciso per lei. Avrebbe cacciato via Jennifer. Quella sera Marie andò a dormire senza più parlare con la giovane che a sua volta si era rifugiata nella sua vecchia stanza. La mattina successiva quando la donna aprì la porta della propria camera vi trovò davanti Jennifer. La ragazza era nuda e inginocchiata. Iniziò a implorare perdono per quello che aveva fatto. Parlava a fatica. Come segno di pentimento si era praticata un doloroso clistere di acqua e limone che era tenuto al suo posto dallo stesso fallo che la tutrice aveva usato su di lei la sera prima. Marie non era però intenzionata a farsi convincere. Il suo orgoglio, rovescio delle sue insicurezze, aveva la meglio."Ascolta Jennifer, io non ho niente contro di te però il nostro rapporto dovevaessere basato sulla fiducia e dopo quello che è successo ieri non è più possibile parlare di fiducia tra di noi …""Ma Madame …""Forse è anche colpa mia se siamo arrivate a questo punto perciò ho deciso di non abbandonarti completamente. Ti permetterò di concludere l’anno alla Harper’s Hill e poi ti manterrò agli studi presso un altro istituto. Comunque non abiterai più qui ma tornerai a stare nel dormitorio. Inoltre non sarai più sottoposta alle mie cure e alle mie punizioni. Sarai solo una studentessa come tutte le altre."Jennifer era sconcertata. Aveva immaginato le più spaventevoli punizioni per quello che aveva fatto ma l’idea di essere cacciata non l’aveva nemmeno sfiorata. Come avrebbe potuto continuare a vivere senza la guida della sua tutrice? Chi si sarebbe preso cura di lei? Chi l’avrebbe amata, punita e consolata? Completamente schiantata si gettò ai piedi della tutrice abbracciandone le caviglie come un’antica supplice. Tra i singhiozzi chiedeva un’ultima prova d’appello. Inutilmente. La tutrice rimaneva impassibile. Alla fine Jennifer rinunciò persino alla speranza del perdono ma rimase ugualmente accucciata davanti a Marie. Senza nemmeno rendersene conto aveva cominciato a baciarle i piedi con devozione e a strofinare la guancia contro il polpaccio. Non per chiedere misericordia ma per il semplice piacere della completa sottomissione. Avrebbe mai più provato qualcosa del genere? Sarebbe stata felice se avesse potuto passare così il resto della vita. Prostrata ai piedi della sua dea come una umile vestale. O magari vittima sacrificale dei riti di Afrodite, olocausto vivente celebrato non con il coltello ma con la frusta crudele. Un terribile crampo trasformò un bacio in un profondo morso sul polpaccio della dea. Jennifer non allentò il morso nemmeno quando il crampo cessò. Anche questo le dava piacere. Divorare la dea come le baccanti divoravano Dioniso. Così continuò a mordere, baciare e carezzare la sua signora mentre crampi sempre più atroci squassavano il ventre costringendola a dimenarsi come un serpente trafitto da una lancia.Nonostante l’apparente imperturbabilità, Marie era scossa. Quell’essere piangente prostrato davanti a lei, sofferente e sottomesso, le procurava un così dolce piacere che sentiva la sua determinazione allentarsi. Fortissimo era il desiderio di inginocchiarsi accanto alla giovane, baciandola e consolandola, e poi di fare l’amore con lei per ore e ore trasformando la disperazione in estasi. Ma non l’avrebbe fatto. Non si sarebbe resa schiava della sua schiava. Non si sarebbe trasformata in un Humbert in gonnella, un patetico pagliaccio che sacrificava la propria dignità sull’altare della sua amante bambina. Se il suo cuore vacillava tanto peggio. Sarebbe stata crudele quanto questo debole. Avrebbe trasformato le delizie che agognava di regalare alla sua ancella in tormenti infernali. Questa sarebbe stata la sua vittoria. Costringere la sua piccola Eva a implorare essa stessa la cacciata dal paradiso che lei non aveva il coraggio di pronunciare. Presa la folle decisione il resto fu facile."Stammi bene a sentire" iniziò. "Visto che insisti tanto di darò un’ultimapossibilità …""Grazie, Madame. Io …""Sarai punita per tutto il giorno. Se accetterai la punizione potrai restarecon me ma se chiederai pietà anche solo una volta allora dovrai andartene. Hai capito?""Sì, Madame. Grazie."Marie fece liberare la giovane dal clistere e quindi le due iniziarono a prepararsi per la sessione. Nella sala principale vi era un enorme lampadario che poteva essere sollevato e abbassato mediante un sistema di funi che permetteva così di pulirlo. La tutrice lo fece abbassare fino al suolo poi con l’aiuto di Jennifer lo sganciò deponendolo in un angolo. Quindi legò i polsi della ragazza e li agganciò ai tiranti. Infine ne regolò la tensione delle corde in modo che la poverina rimanesse appesa per i polsi. Solo sforzandosi di stare in punta di piedi Jennifer poteva alleviare lo sforzo delle braccia e delle spalle. Non sarebbe certo stato agevole rimanere in quella posizione durante la battuta.Mentre disponeva i suoi strumenti sulla scrivania, Marie non poté fare a meno di ammirare il corpo nudo che le stava di fronte. La splendida schiena, i piccoli glutei sodi, le gambe affusolate. Era l’ultima volta che poteva estasiarsene. Presto il loro aspetto sarebbe stato ben diverso. Infine Jennifer avrebbe lasciato la sua vita. Come per scacciare quei pensieri la tutrice afferrò una lunga verga e prese a colpire il fondoschiena della giovane. Per la ragazza era solo l’inizio di una interminabile agonia. Dopo la verga venne il turno della cinghia che trasformò in un mare di fuoco le natiche e le cosce di Jennifer. Marie batté la giovane a lungo, senza mai chiederle se voleva che il trattamento avesse termine. Era ancora troppo presto per quello. Quando ritenne che la ragazza potesse iniziare ad avvicinarsi ai propri limiti decise di fare un primo tentativo. Preso un frustino si dispose davanti a Jennifer e iniziò a percuoterle con forza i seni. Fece un ottimo lavoro. Colpi rapidi ma violenti che si abbattevano tanto sui capezzoli quanto sulla pelle immacolata. Colpiva dall’alto, dal basso oppure orizzontalmente. Non un centimetro di quegli splenditi frutti fu risparmiato. Jennifer piangeva disperatamente ma in silenzio, il volto alterato dalla sofferenza. Le lacrime le colavano lungo il collo finendo per bagnarle proprio i bersagli della furia della tutrice, moltiplicando il dolore prodotto dalle sferzate. Quando Marie fu finalmente soddisfatta smise di colpire e si rivolse alla ragazza."Allora ne hai abbastanza?""Cosa?""Devi solo chiedere pietà e la punizione sarà finita …" "No! Resisterò fino alla fine.""Lo vedremo" concluse cattiva Marie che le afferrò entrambi i capezzoli e prese a torcerli i senso inverso.Jennifer lanciò un urlo terribile ma non si arrese. La tutrice continuò a tirarle i capezzoli e a strizzarle i seni ripetendo ossessivamente la sua richiesta di resa ma senza risultato. Anche affondare le unghie in quei poveri globi non sortì altro effetto se non quello di rendere il pianto della giovane ancor più disperato e singhiozzante. Alla fine Marie dovette rassegnarsi alla necessità di incrementare l’efficacia della punizione. Per prima cosa tornò a occuparsi delle natiche della ragazza, questa volta per mezzo di una pesante canna. Non smise finché sulla pelle già arrossata non comparve una fitta maglia di striature infuocate, fitte e intersecate come i binari di una grande stazione ferroviaria. Soddisfatta del risultato, la donna passò ad un nuovo strumento. Si trattava di un grande flagello dalle lunghe lingue nodose. L’attrezzo era così pesante e crudele che Marie non aveva mai ritenuto opportuno usarlo su Jennifer. Adesso però era diverso. Senza indugi la tutrice prese ad abbattere un colpo dopo l’altro sulla schiena della sua sventurata vittima. La ragazza fu dapprima lieta che il bersaglio non fosse più costituito dal suo tormentato posteriore ma poi dovette ricredersi. I baci del flagello erano semplicemente terrificanti. Ad ogni colpo sembrava che i nodi dell’arma le strappassero brandelli di carne. La schiena era costantemente trafitta da infinite punture che pulsavano dolorosamente, come scariche elettriche, anche molto dopo che il colpo era stato portato. Come se non bastasse spesso i colpi si schiantavano sui teneri fianchi mentre le lingue infernali proseguivano la loro corsa fino al ventre o ai martoriati seni. Altre volte il flagello colpiva più in basso, sulle natiche o sulle cosce che venivano così avviluppate da una stretta mortale. Il trattamento proseguì molto più a lungo di quanto Jennifer non avesse ritenuto possibile. Quando cessò la sua schiena era completamente ricoperta di tumefazioni e rigonfiamenti. Marie che pure in passato aveva sempre cercato di limitare simili danni non vi prestò alcuna attenzione. Sostituì invece il pesante flagello con uno considerevolmente più piccolo e tornò a porsi di fronte alla ragazza. Non disse nulla ma preso un basso sgabellino lo piazzo tra le caviglie della giovane che era così obbligata a mantenere le gambe ben divaricate. Assicurato lo sgabello alle caviglie tramite dei lacci, la tutrice fissò Jennifer con sguardo di sfida. La ragazza non aveva bisogno di spiegazioni per sapere ciò a cui stava per essere sottoposta. Nonostante ciò non chiese mercé ma ricambiò lo sguardo della donna con ferma rassegnazione. Marie ebbe un fremito. Dietro lacrime della giovane vedeva chiaramente l’affetto e l’infinita dolcezza della sua amata pupilla. Ogni colpo, ogni dolore era per la ragazza un’espressione della sua devozione per Marie. La donna sentì un dolce languore insinuarlesi nel petto. Tutto ciò che desiderava era gettarsi ai piedi della sua schiava e chiederle perdono per la sua crudeltà. Ma se il suo cuore aveva già perduto la battaglia, la sua mente rifiutava di riconoscere la realtà. Fino da bambina le era stata inculcata l’idea di dover costantemente esercitare il più rigido autocontrollo sulle proprie emozioni. Anche se da anni aveva in cuor suo rigettato i valori che le erano stati insegnati, l’esigenza di non lasciarsi mai andare non era certo venuta meno nel mondo di ipocrisia nel quale viveva. Solo con Jennifer era talvolta riuscita a comportarsi con naturalezza. Ma per quanto ciò l’avesse resa felice una parte di sé aveva sempre avuto paura della vulnerabilità che questo comportava. Così anche in quel momento la paura ebbe la meglio sull’amore. Resa feroce dalla sua stessa debolezza, Marie si dispose per riprendere le sue sevizie.Il flagello compì il suo lavoro con la consueta efficienza. Le sue spire malefiche presero a martoriare i dolci petali che per quanto creati per il piacere potevano purtroppo fare soffrire orribilmente. A Marie però questo non bastava. Così si avvicinò alla sua vittima e con la mano libera dischiuse il fiore dolorante esponendone i delicati segreti. La necessità di mantenere aperto lo scrigno finiva con il ridurre la potenza dei colpi ma Jennifer non poteva certo rallegrarsene. Le lingue del flagello adesso si insinuavano liberamente nei sensibili tessuti della giovane facendone strazio. Quando i lancinanti dolori procuravano uno spasmo più forte del solito Marie perdeva la presa. Allora con rabbia riacciuffava i poveri genitali della ragazza usando una tale violenza che Jennifer faceva sforzi sovrumani per evitare di sfuggire ancora alla morsa crudele della sua torturatrice. Alla fine anche questo supplizio ebbe termine. Marie ripose il flagello per sostituirlo con un frustino."Allora ti arrendi?" chiese. Jennifer non rispose, allora la tutrice sferrò una sferzata sui seni della ragazza e ripeté la domanda."No!" urlò Jennifer rabbiosamente, scoppiando poi in lacrime. "Non mi arrenderò … non mi arrenderò ..:" singhiozzò con un filo di voce.La disperata determinazione della giovane avrebbe commosso chiunque ma questo era un sentimento che Marie non poteva permettersi. Usando il frustino riprese a colpire i genitali della ragazza. Dopo una prima serie di colpi intimò ancora la resa ma senza successo. Tornò quindi a martoriare il sesso della giovane alternando i colpi alla consueta richiesta. Smise solo quando Jennifer, giunta al limite della prostrazione, smise persino di reagire alla frusta, assorbendone i terribili fendenti con la insensibile compostezza di una statua di cera.Marie era inferocita. Aveva seviziato Jennifer senza pietà, violando ogni sua regola, ma non aveva ottenuto nulla. Ad aumentare la frustrazione anche il fatto di non aver provato alcun piacere nell’infliggere tutto quel dolore. Proprio lei che sapeva assaporare, centellinandola, ogni sofferenza della sua vittima era adesso era rimasta insensibile a quell’oceano di patimenti. Anche questa era una vittoria di Jennifer. Anche di questa Jennifer avrebbe dovuto pagare il filo. Marie cercò nella sua mente il modo di piegare la sua diletta. Ad un tratto ebbe l’illuminazione e andò a scovare lo strumento prescelto dal suo ripostiglio. Si trattava di una frusta, regalo di una sua vecchia sottomessa. Dall’impugnatura di legno, ricoperta di cuoio, si ripartiva una serie di sottili strisce di cuoio intrecciate sopra un’anima similmente costruita. Alla fine di tale struttura un’unica striscia di cuoio che terminava con un piccolo nodo costituiva la parte terminale dell’attrezzo. Anche se di scala leggermente ridotta rispetto a quelle che si potevano vedere negli spettacoli circensi lo strumento era comunque una vera e propria frusta, del tutto inadatta ad essere impiegata sugli esseri umani. Si trattava in effetti di un’arma molto pericolosa anche se maneggiata da esperti. Marie aveva in passato usato quella frusta solo per far scena. Bastavano le sue dimensioni e il suo sinistro schiocco per ridurre ogni sua partner in uno stato di terrore e di completa sottomissione. Solo in una occasione l’aveva utilizzata per colpire un’altra donna e in quel caso la pelle della sua compagna era ben protetta da indumenti pesanti. Anche allora, tuttavia, la vittima non poté sopportare che poche frustate.Quando Jennifer sentì lo schiocco della frusta dietro di lei si voltò per scoprire cosa avesse prodotto quel suono inquietante. Sul suo volto si dipinse un’espressione di orrore non appena si rese conto di cosa stava per subire. La sua bocca si aprì per chiedere istintivamente clemenza. Però nessun suono fu emesso. Appellandosi alla sua disperazione abbassò il capo e si preparò alla nuova tortura.Marie si era accorta della paura della ragazza e aveva da essa tratto conferma della bontà della propria decisione. Così, dopo aver a lungo provato la frusta, sferrò un primo colpo che si abbatté sulla schiena della giovane. Il secondo colpo fu più violento e avvolse crudelmente il corpo di Jennifer. Il dolore delle carni straziate fece urlare la ragazza in modo animalesco. Ma né le grida né il martirio delle carni fermarono la tutrice. Un terzo colpo, simile a quello che l’aveva preceduto, si abbatté sulla giovane. Marie stava per sferrarne un altro quando fu distratta da uno strano riflesso, subito scomparso. Rimase per un attimo incerta e stava per tornare all’opera quando il bagliore ricomparve per poi svanire di nuovo. La terza volta la donna intravide un lampo rosso cadere ai piedi della sua vittima. Si avvicinò e finalmente vide le sempre più numerose macchie rossastre che si accumulavano sul tappeto. Spostatasi davanti a Jennifer si agghiacciò nel vedere il viso della giovane segnato da un colpo e un taglio sanguinante sul sopracciglio sinistro. Evidentemente la parte terminale della frusta doveva aver deviato dalla sua traiettoria colpendo molto più in alto del dovuto. Lo spettacolo aveva tolto a Marie ogni baldanza. Con raccapriccio si rese conto di non aver rimosso il pericoloso nodo sulla punta dell’arma. Era stata solo una questione di un paio di centimetri se il colpo non aveva raggiunto l’occhio di Jennifer. La donna iniziò in tutta fretta a sciogliere la giovane dai suoi legacci."Non mi … sono … arresa, vero?" disse flebilmente la ragazza."No, tesoro. No. Hai vinto tu. Adesso ti curerò. Vedrai che andrà tutto bene …"Jennifer rimase semincosciente mentre Marie la portava in camera per somministrarle le prime cure. La donna esaminò con attenzione le ferite della ragazza. Era pronta, se fosse stato necessario, a portarla in ospedale anche se questo avrebbe significato finire in prigione. Fortunatamente i danni per quanto numerosi non sembravano così gravi da non potersene occupare personalmente. Infatti Marie era esperta in questo genere di cure anche se raramente aveva dovuto praticarle. Una volta rassicurata sulle condizioni di Jennifer, i suoi nervi crollarono e la tutrice si abbandonò ad un pianto silenzioso quanto disperato. Trascorse la notte vegliando al capezzale della giovane e ripensando a ciò che era avvenuto e alla sua stessa vita. Fu così che decise che non avrebbe mai più fatto pagare ad altri il frutto delle sue frustrazioni. Allo stesso modo non avrebbe mai più alzato un dito contro Jennifer né per dovere né per piacere.
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