Ciao a tutti, sono Clara! Crescendo, ho cominciato ad amare l’abbigliamento femminile, a scuola più volte sono andato a rubare nello spogliatoio femminile della palestra qualche slip, dei collant oppure addirittura delle gonne! L’esperienza giovanile con mia zia Teresa mi aveva segnato!!! Terminata la scuola (avevo diciannove o vent’anni), una sera sono tornato a trovare zia Teresa; dopo essermi accertato che fosse sola, quella volta mi sono presentato con i miei, di abiti: un tubino nero molto corto, tacchi a spillo altissimi, autoreggenti nere, una parrucca di capelli neri, molto lunghi, un trucco leggero e bigiotteria varia. Appena aperta la porta, la zia, stupita, si dimostrò felice di rivedermi e soprattutto di vedere che ero in quella splendida forma, mi abbracciò e mi fece entrare, entusiasta. Mi portò in salotto dicendomi di accomodarmi sul divano. “Veramente, zia” dissi con un filo di voce “veramente mi sono rimasti nel cuore i tuoi cassetti colmi di ogni ben di Dio” Lei sorrise dolcemente e prendendomi per mano mi portò in camera da letto. Mi disse che in seguito a quel periodo lei aveva sempre pensato a me e che le rimordeva il pensiero di avermi rovinato per tutta la vita! Io le feci capire che le ero molto grato, invece; “Se non mi avessi insegnato tu a camminare sui tacchi a spillo, come farei, ora? Guarda che belle gambe che mi sono venute, affusolate, ben tornite, senti come sono calde queste autoreggenti sulla mia pelle morbida e vellutata” lei passò la mano sulle mie cosce, salendo su fin sotto la gonna, per arrivare al pene, e mentre lei cominciava a massaggiarmi dolcemente, io iniziavo a sbottonarle la camicetta; poi, abbracciandola, le slacciai il reggiseno… La sua pelle, nonostante gli anni passati, era ancora morbida. Lei si mise a cavallo sopra il mio viso, come fece tanti anni prima, e mi accorsi che, come allora, zia Teresa non portava le mutandine. E cominciai a leccarla, mentre lei succhiava forte il mio cazzo ormai ben duro. Dopo un po’ di questo sessantanove, si sdraiò allargando le gambe e scoprendo il clitoride mostruosamente gonfio, “Dai, Andrea, fammelo sentire come è diventato il tuo bel cazzone, io me lo ricordo piccolino, fammelo sentire dentro tutto, fino in fondo, scopami come se fossi una puttana!” “Ma tu sei una puttana, zia, ed anch’io, e ricordati che ora il mio nome è Clara” “Si, Clara!! Siamo due troie!! Chiavami, bastardo, voglio sentire il tuo cazzo entrare dentro di me fino alle palle, sto bruciando!” Era davvero trasformata, era al massimo dell’eccitazione. Appoggiai la punta del pene sul clitoride. Aveva ragione, era davvero bollente; mi allungai sopra di lei infilandole la lingua in bocca e spinsi. Il mio uccello scivolò dolcemente dentro al corpo di zia Teresa, anche io provavo un calore indescrivibile. A differenza di quando avevo undici anni, ora sapevo quello che facevo e non volevo smettere, e neanche lei. Andammo avanti per tutta la notte e per buona parte della mattina, era talmente soddisfatta che, mentre mi rivestivo mi chiese di tornare. Da quella volta non la rividi più, ma credo di non sbagliare se dico che io non ho mai più goduto come in quella notte d’amore con zia Teresa. Con il mio diploma di ragioneria trovai presto un impiego in una grossa ditta di trasporti. Con i primi soldi, andai via da casa dei miei; facevo molto sport, nuoto, sci, tennis, questo mi ha dato un corpo sempre asciutto e soprattutto belle gambe e glutei sodi, insomma ero un bel ragazzo. Al lavoro in giacca e cravatta, ma non ho mai rinunciato alla mia passione: non passavano mai quindici giorni senza che io indossassi i tacchi a spillo e andassi a divertirmi con gli amici. Non posso nascondere di avere fatto molte esperienze diverse, il mio culetto non era più vergine da tempo, ma senz’altro il “battesimo del fuoco” l’ho ricevuto una volta che me la sono davvero vista brutta, la peggiore esperienza mai subita, tanto che ho temuto per la mia stessa vita. Una sera, anzi una notte, erano le quattro, eravamo andati a ballare con alcuni amici, e, dopo averli salutati, andai al parcheggio a prendere la macchina. Quella sera avevo deciso di adottare un look particolarmente sexy: vestitino non tanto corto, a mezza coscia, ma con un profondo spacco laterale che faceva vedere che indossavo non le autoreggenti, ma il reggicalze; tacco, come sempre, a spillo e altissimo. La solita parrucca nera, trucco da rimorchio e bigiotteria a volontà. Era di venerdì. Mentre ancheggiavo verso la macchina, mi affianca un’auto nera con due ragazzi. “Ciao, finocchietto, vieni a fare due passi con noi?” “Ci siamo” pensai “prima o poi doveva succedere” Cominciai ad avere paura. Li ignorai. “E dai, ne avrai già succhiati di cazzi, no?” Beh, quello era vero. Mi fermai e li squadrai bene. “Dai, ti riportiamo presto a casa, non staremo via molto” Avevo paura. Forse è stata quella paura a spingermi nella macchina di quei due, la voglia di provare un’emozione forte. Non lo so, sta di fatto che salii. Non sapevo quello che mi stava per capitare e che me ne sarei pentito per sempre. Io stavo dietro, quello che non guidava allunga la mano accarezzandomi le cosce. “Ma che belle cosce che hai, finocchietto”. Andavamo verso la periferia della città. Venivamo dalla provincia. Ci fermammo in una zona completamente deserta ai margini della zona industriale, solo capannoni, molti dei quali abbandonati. Ci fermammo davanti ad uno di questi. Io sentivo salire la paura, mi stavo accorgendo che la cosa non sarebbe stata quello che volevano farmi credere. Pochi minuti più tardi ebbi la drammatica conferma delle mie paure. Entrammo in una stanza del capannone; mi trovai davanti altri quattro uomini, alti e grossi, mentre sentii chiudersi la porta alle mie spalle; mi voltai per scappare, ma quello che si era messo davanti alla porta mi diede subito uno schiaffone, facendomi cadere a terra. Mi alzai in silenzio. “Vieni qua, finocchietto”. La prima cosa che fecero fu di mettermi un grosso collare di cuoio, con un grosso lucchetto, al collo: cominciai a piangere “Vi prego, non ammazzatemi! Non importa se mi fate del male, farò tutto quello che volete, tutto, ma vi supplico non ammazzatemi!!”. Sapevo che non sarebbe servito a molto, se volevano ammazzarmi lo avrebbero fatto comunque “Adesso tu fai tutto quello che noi ti chiederemo, docile come un cagnolino, noi ci divertiremo un po’ e se avrai fatto il bravo cagnolino, potremo anche riportarti a casa, capito, cagnolino?” e giù, un’altra sberla da farmi volare per terra “Capito?” questa volta urlò così forte che cominciai a tremare. Mentre tutti si slacciavano i pantaloni, uno di loro mi metteva una catena con un bracciale di cuoio alla caviglia. Provai a protestare, pregai di non farlo. “Così saremo più sicuri che non scapperai”. Capii che ormai dovevo fare tutto quello che mi dicevano. Cominciai a succhiare il primo pene che avevo davanti, mentre chi stava dietro di me non perse tempo nel sollevarmi la gonna e spingermi dentro il suo, bello grosso, e spingere con un ritmo indiavolato, urlando forte “Succhia, cagnolino, succhia, il tuo culo è fantastico, ce lo farai provare a tutti, succhia!” Piangevo. Tutti e sei, più volte, affondarono il loro bastone nella mia carne, mentre io, accecato dalla paura e dalla disperazione, mi riempivo la bocca dei loro membri e del loro sperma, sognando che sarebbe finita, prima o poi. Mi trattavano come un oggetto, quando uno aveva finito, inondandomi di sperma, mi lanciava ad un altro, che subito mi infilava il suo cazzo nell’ano che stava diventando sempre più bollente. Continuarono per un tempo che a me sembrò eterno, poi, soddisfatti, mi lasciarono ed io mi lasciai andare, accasciandomi a terra. Tutti e sei si avvicinarono e mi pisciarono addosso. Si diressero verso la porta. “Lasciatemi andare, vi prego!” credevo volessero lasciarmi a morire di fame. Era già giorno. “Ci vediamo più tardi, cagnolino!” Era finita. Capii che non mi avrebbero mai più liberato, che mi avrebbero tenuto come schiavo per i loro bisogni più schifosi. Ero solo. Le mie scarpe buttate in un angolo, come anche la parrucca, le calze erano completamente strappate, il mio bel vestitino ridotto ad uno straccio e strappato in diversi punti, sentivo che il mio viso doveva essere in uno stato pietoso. In quel momento maledissi di essere andato a ballare proprio lì, quella sera, maledissi di avere messo la gonna, maledissi perfino zia Teresa per avermi fatto diventare così. Misi la testa tra le mani e scoppiai in un pianto dirotto, come un bambino; e così mi addormentai. Mi svegliarono loro, avevano portato altri “amici”, magari paganti! Non so quanto tempo era passato, magari neanche un’ora, comunque a me è sembrato pochissimo. Per tutto il giorno si sono succeduti uomini giovani e vecchi che volevano una sola cosa: divertirsi con uno schiavo, una persona (un’oggetto?) che facesse tutto ciò che volevano, e, chiamandomi sempre con lo stesso nome, cagnolino, mi hanno fatto di tutto. Oltre alle cose normali, cioè fare pompini e sodomizzarmi, quasi tutti mi pisciavano addosso ed alcuni defecavano; i più “buoni” si limitavano a farmi pulire il sedere, leccandolo, dopo averla fatta; i più cattivi, addirittura mi ordinavano di aprire la bocca, me l’hanno fatta direttamente in bocca, la prima volta ho vomitato. E, naturalmente, se non ubbidivo, erano botte, schiaffoni e calci. Insomma, volevo morire. Mentre il sole se ne andava di nuovo, quella che era diventata la mia “casa” aveva un fetore quasi insopportabile di urina, feci, sperma e vomito, ed io stesso ce l’avevo addosso. La notte trascorse allo stesso modo, non c’era quasi tregua, giusto qualche minuto, che avrei quasi sperato che non ci fosse perché mi dava il tempo di pensare alla mia disperazione e quando avevo trovato un modo per uccidermi e stavo per farlo, arrivavano gli altri. Saranno arrivate almeno quaranta persone diverse, non le ho certo contate. Alcuni probabilmente venivano più di una volta, io non lo so, perché alla fine i cazzi mi sembravano tutti uguali, tutti grossi e sono entrati tutti nel mio didietro e in bocca. Certo che era proprio un bel giro di bastardi, ad un certo punto ho sperato (una pallida speranza!) che fra loro qualche cuore un po’ più tenero avvertisse la polizia, ma niente, la cosa è continuata indisturbata per tutta la notte. Cominciava di nuovo a far chiaro, quando arrivò uno dei miei carcerieri con una sorpresa: due donne. Due belle donne, una bruna l’altra bionda, entrambe in minigonna e ben truccate, con molti gioielli. “Ciao, cagnolino”. Ci risiamo. Le avevano istruite bene. Una delle due, la bionda, prese una sedia e si sedette allargando le gambe a mezzo metro dal mio viso, mentre uno degli uomini mi teneva per il collare. Non portava mutandine. “Bella, vero?” Mi disse mentre le apriva la camicetta, scoprendole le tette e cominciando a palparle, “ti piace?” diceva, mentre lei si masturbava a pochi centimetri dal mio viso. Passava il dito sul clitoride, poi me lo metteva sul naso, per farmi sentire il suo odore. “Ti piace la mia fica, cagnolino? Lecca, lecca il mio dito. Senti che profumo?”. “Ma già, che stupido” fece lui “a te non piace la fica, vero, cagnolino?” Da due giorni non vedevo altro che cazzi, eccome se mi piaceva. La desideravo immensamente. Fece alzare la donna e si sedette lui. “adesso leccami le palle!” Appena cominciai a leccare, la donna si sedette sopra di lui, infilandoselo dentro. Vidi, a pochissimi centimetri dai miei occhi, le labbra della sua fica allargarsi sotto la spinta del grosso glande, mentre lei si muoveva ritmicamente. Distrutto e inebetito, guardavo questa gente scopare davanti a me e volevo morire. Dopo che, per l’ennesima volta, lo sperma mi inondò il viso, si alzarono e l’uomo mi disse: “Sei libero”. Io lo guardai, mentre le lacrime mi riempivano gli occhi. Muovevo le labbra, ma non riuscivo ad articolare alcun suono… “Sei libero, cagnolino” ripetè lui. Non ci credevo. A quel punto cominciarono le botte, ma botte vere, schiaffi, pugni calci, anche le donne si divertivano, con i loro tacchi a spillo In mezzo alle botte, sentivo che dicevano “Se parli finisci male se vai alla polizia ti ammazziamo sei già fortunato ad essere vivo, cagnolino”. Poi persi i sensi. Quando mi risvegliai ero in un prato. Vivo!! Mi faceva male la testa, tutte le ossa erano un dolore continuo, anche se fratture non mi sembrava di averne, sentivo il viso gonfio, ma ero vivo!! Il mio corpo puzzava in maniera indecente, di urina, di feci, di vomito, ma ero vivo!! Ero ormai seminudo, il mio bel vestitino era strappato dappertutto, delle calze avevo solo più il reggicalze, incredibilmente non si era sganciato. Mi era rimasto sempre agganciato in vita, forse per ricordarmi che tutto questo lo dovevo alla mia passione per l’abbigliamento femminile Sparsi intorno a me trovai, assurdo, le scarpe, la parrucca e la borsetta, forse quei bastardi non volevano lasciare tracce di tutto quello che era successo nel capannone… Insomma ero vivo. Era finita. Mi alzai dolorante e mi accorsi che mi trovavo vicino al parcheggio dove mi avevano rimorchiato. Salii in macchina e andai a casa, a lavarmi e riposare. Fu con questo bagaglio di esperienze, belle ma anche brutte, come avete letto, che arrivai al giorno in cui decisi di dare una svolta decisiva alla mia vita.

