Mario Tarantino aveva preso quell’ultimo aereo per Barcellona proprio per miracolo. Il convegno era durato più del solito e si sentiva proprio stanco mentre sorseggiava un drink comodamente seduto in prima classe in volo verso casa. Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino. Non vide neppure un centimetro quadrato di cielo azzurro, solo baluginii bianchi. Pensò a sua moglie Veronica e a quanto poco tempo le dedicasse. Quel venerdì mattina, Veronica, si era svegliata un po’ prima del solito e l’aria ormai tiepida e il sole che filtrava attraverso le persiane l’avevano resa di buon umore. Era proprio quel cambio di stagione che aveva risvegliato in lei strane voglie. Si sentiva come un fremito in tutto il corpo, un languore incolmabile, un eccitamento senza fine. Ora, in viale San Marino, i suoi occhi dietro gli occhiali da sole avevano una strana luce. La luce di chi sapeva che da li’ a poco il suo corpo si sarebbe almeno per un attimo placato. Camminava a passo spedito, sull’elegante viale, come spinta da una forza arcana che l’incitava a fare presto. La sua falcata e il suo incedere erano uno spettacolo. Non c’era uomo che non si voltasse a guardarla. Alta snella, mora, il suo seno somigliava a due piccole colline impertinenti. Il suo sguardo era ammaliante, i suoi occhi magnetici. Occhi scuri da cerbiatta, labbra generose in un viso di un ovale perfetto. Vestiva in maniera sobria, ma il suo corpo trasmetteva lussuria. Il colore blu elettrico del tailleur che indossava quella mattina le donava molto e i tacchi a spillo completavano l’opera dando al corpo quell’incedere sinuoso. Giunse al 232 di viale San Marino. Il numero civico corrispondeva ad un elegante palazzo nel centro della città. Controllò il citofono, lesse il nome, suonò. Il portone si apri’ senza che nessuno rispondesse dall’altra parte. Entrò. Nell’androne elegante e luminoso vi erano piante dal sapore orientale, un tappeto arabescato, le scale in marmo di colore ambrato emanavano odore di pulito. Salì lentamente al primo piano, si sistemò la giacca prima di suonare il campanello. Quel trafiletto sul giornale diceva:”l’uomo che ogni donna vuole incontrare:dotato, discreto, instancabile e di bello aspetto”. Si erano sentiti per telefono e avevano fissato un appuntamento. Lei essendo sposata doveva essere guardinga, così aveva deciso di incontrarlo direttamente a casa sua. Di lui conosceva soltanto due cose, il nome: Carlo Falco, e la sua voce:una delle più’ belle che avesse mai sentito, arrochita e profonda, balzata fuori direttamente da una pubblicità di whisky di puro malto, 50 di gradazione e invecchiato 300 anni. Tutto il resto l’avrebbe appreso una succhiata dopo l’altra. La porta si aprì e un uomo dall’aspetto gradevole e curato, circondato da un piacevole alone di BLV si materializzo’ davanti a lei. Carlo Falco, era sulla cinquantina, di corporatura media, alto circa un metro e settantacinque, occhi blu cobalto, capelli castani. Era pilota di linea, per lui era sempre stato facile sedurre le donne. Amava conquistarle per il piacere di averle, ma una volta possedutale si lanciava in una nuova conquista. L’appuntamento al buio gli mancava. Si guardarono per un istante infinito senza proferire parola. Poi lui la prese per mano e l’accompagnò dall’atrio in un soggiorno enorme. L’arredamento era classico, un grande divano e due sofà di alcantara di colore panna, un tavolinetto basso in legno e cristallo conteneva molti ninnoli di fattura indiana. In un angolo una vetrinetta di sapore antico con l’argenteria, un ficus gigantesco vicino alla finestra, un tappeto persiano nel centro della stanza con disegni jacquard, un caminetto enorme di fronte al divano. Veronica si accomodò sul divano, accavallò le sue lunghe gambe facendo intravedere un po’ di merletto della calza. La lingerie che indossava quel giorno l’aveva scelto con particolare cura:perizoma nero con volants davanti e push up coordinato che metteva in risalto il décolleté. Carlo le si sedette accanto, le accarezzo la nuca attirandola a sè. La baciò con passione mentre la sua mano vagava lentamente sulla coscia per poi puntare sicura verso la natica. Le loro lingue si attorcigliarono. Le loro labbra diventarono sempre più impetuose. Intercetto’ un seno, lo libero’, l’esploro’ ne torturo’ il capezzolo che reagì’ inturgidendosi. Avvicino’ le sue labbra a quel grosso acino bruno e lo succhiò. Veronica era vogliosa di misure extra, voleva constatare se il suo “acquisto” possedeva ciò che più le interessava. La sua mano scivolò sul grosso marsupio. Sentì Il suo glande, ancora imprigionato da pochi centimetri di stoffa, pulsargli contro il palmo. Lo riscattò da quella prigionia. Era proprio unsignor bastone. Uno di quegli arnesi che non ti tradisco mai. Somigliava a quello di alcuni attori di film hard. Lungo, grosso e nodoso. Con la punta un po’ ricurva a mo’ di uncino che dava un piacere extra. L’affero’ strizzandolo e un ingombrante bocciolo rosa affioro’ dal suo pugno. Scese lungo quell’asta e poi risalì lentamente accorta a non rincapucciarlo, poi ridiscese per poi ritornare su. I suoi occhi famelici si nutrirono del piacere di quella visione. Carlo aveva voglia di possederla in tutti i modi. Con una mano le scostò le mutandine e con le dita incominciò a solleticarle il clitoride. L’umido che defluiva copiosamente dalla sua fessura e brillava in mezzo alle sue cosce generose glielo faceva inturgidire fino all’eccesso. I loro corpi sudati emanavano un profumo bestiale. Con la lingua e con le labbra la solleticò fino a farle dimenare i fianchi come un’ossessa. Veronica gli tratteneva la testa schiacciata sulla sua figa mentre Carlo assaporava avidamente il contenuto. Scivolarono sul tappeto inappagati e inquieti. Carlo fece posizionare Veronica a quattro zampe le inumidì’ con la saliva la rosetta del culo poi incomincio’ a penetrarla a piccoli tocchi sempre più veloci fino a quando tutto il suo lungo e grosso bastone le fu dentro. Quando non trovò più resistenza, incominciò a cavalcarla con tanta forza che il rumore sulle sue natiche sembrava uno scudiscio su un cavallo. Le ordinò di tintillarsi il clitoride mentre l’inculava e le strizzava i capezzoli. Il roteare del suo culo che ora era impetuoso lo faceva sentire onnipotente per tutto il piacere che gli stava procurando. Carlo si girò sulla schiena, invitandola a sedere sul bacino e servirsi da sola della sua mascolinità. Le posizionò le mani sui fianchi sollevandola e abbassandola sull’asta turgida. Quando il ritmo fu dato incominciò a cavalcarlo come una valchiria sul suo purosangue. Si dimenò a tal punto da darsi il piacere. Era tutta un lago, i suoi umori defluivano facendo luccicare l’asta turgida. Il tappeto emanava l’odore dei loro sessi. Carlo la fece alzare, il suo membro svettava come una bandiera al vento. Le avvicinò la faccia sul suo pene. Veronica l’annusò e incominciò a leccarlo con ingordigia. Con la punta della lingua lo lambì dalla base, con le mani strizzò un po’ le palle, poi con un’unica lunga lappata salì lentamente lungo l’asta e si fermò roteando per un attimo infinito sul glande. Con la mano stretta intorno al pene e con le labbra a ventosa intorno al glande lo gustava per attimi infiniti emettendo dei piccoli rumori di assaporamento. L’incavo delle sue guance e il risucchio sbrodoloso ne dimostrava il gusto che provava nel farlo. Le sue gote erano rosse di piacere. Un attimo prima di venire Carlo la scostò, tirandola dolcemente ma con fermezza per i capelli. Il caldo schizzo la colpì nell’occhio destro, poi sulla guancia, spalancava la bocca vogliosamente, assaporandone l’acre gusto. Era tutta una maschera. Si sentiva troia e felice, si sentiva femmina. Bisognava andare. Era appagata, soddisfatta, piena di energia. La sua piatta monotona vita coniugale poteva continuare. Mario Tarantino dal finestrino dell’aereo guardava la città illuminata . Non vedeva l’ora di abbracciare Veronica. Il bracciale che le aveva comprato era proprio un incanto. Lo aveva pagato una fortuna, ma sua moglie se lo meritava proprio. Sceso dall’aereo si diresse al nastro trasportatore a ritirare il bagaglio. Prese un taxi e si fece portare subito a casa. Suonò il citofono e sali’ di corsa le scale. Veronica l’aspettava sulla soglia in négligé nero. Entrarono. Mario posò la valigia in un angolo e buttò il soprabito sul divano. Desiderava sua moglie e dalla luce che vedeva nei suoi occhi capì che anche lei voleva la stessa cosa. Che bello essere a casa!.
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