Ero ormai lì, al bordello, e questo rappresentava il mio futuro.Ancora, però, mi aspettava una prova misteriosa, tutta da scoprire.Proprio la cosa che avevo meno curato nella vita, il sesso; ebbene, proprio quella mi vien dato di coltivare.Madame Guyere, sin dai primi giorni, mi venerava. Il lato commerciale era eccellente. Ero una signora, e ciò voleva dire prestigio, e quindi denaro.Le ragazze sono ancora oggi un po’ gelose, perchè la Guyere mi ha assegnato la biancheria migliore e un lussuoso bidet di porcellana.Sin dai primi giorni, preparava ogni cosa per vendermi come una donna di rango. Io stavo perfettamente al gioco, mi dedicavo ai profumi e alle acconciature perfette, perchè il cliente deve avere l’impressione di sorprendere una sposa nella sua camera da letto.Aspettavo con ansia il mio primo cliente.La Guyere voleva sceglierlo con cura, e metteva in giro a bassa voce più di una storia piccante sul mio conto, perchè i clienti si incuriosissero. Ed infatti, nelle chiacchiere, il prezzo cresceva, ed io ero sempre più preoccupata: avrei saputo far fronte alle aspettative, ed alla cifra? Studiavo tutti i giorni quel famoso trattato sul sesso che la Guyere in persona aveva scritto e preparato per le novelle, imponendo loro di impararlo a memoria.Come uno studente sapiente ma timoroso, aspettavo la prova, consapevole della mia forza, almeno nella teoria.”Eccolo… Mara, quello è per te, ne sono sicura”, corse Damon da me, tutta affannata. Mi affacciai dal primo piano e vidi un distinto signore, con un manto di lana morbida, i guanti bianchi ed un cappello da uomo istruito.Chiese infatti di me alla madame, snocciolando nome e cognome come se dovesse essere ricevuto nella buona società.Che bel signore, pensai, uno difficile da ingannare, che vuole in un bordello di campagna? Si affacciò anche Rodeon, e bianca d’invidia mi disse: “Che onore cara Mara, quello è un gran dottore di città. Il professor Rateau, medico psichiatra”.In quel momento, l’uomo disse alla Guyere: “La donna in questione è molto malata di nervi. Sono qui per visitare la paziente. Spero che mi seguirà senza fare resistenza”.In quel momento mi terrorizzai, e pensai che lo aveva mandato la mia famiglia, per evitare lo scandalo.Scesi le scale con decisione e dissi al medico: “Lei sbaglia. Non sono una sua paziente. Io sono una puttana!”. Andai verso di lui come se fosse stato veramente il cliente che aspettavo. Il mio primo uomo, dopo mio marito.La prova appariva molto più difficile del previsto: fuori c’era il carro del manicomio, con due grossi infermieri che fumavano. Pensai di non poter fuggire, ma io non volevo andare via, io volevo solo conquistarmi il diritto a rimanere qui.Dovevo convincere il dottore che non fu un gesto d’insania a spingermi fuori dalla mia casa, ma un impulso in accordo con le mie vere capacità.Lo portai in camera. Lui cominciò a farmi le sue domande insidiose, ed io non risposi a nessuna. Ma adoperai tutte le seduzioni libresce appena imparate a memoria.La camera era buia, la mia ignoranza totale: lottavo per la mia libertà.Il professor Rateau cercò di resistere, ma la mia lascivia, che sembrava a lungo trattenuta, lo travolse.Impersonai la sposa che ha rotto le catene per voglia d’amore, e tutto volevo provare, tutto insieme. La mia inesperienza apparve evidente, ma fui così appassionata che fu lui a non farci più caso.Gli tolsi ed abbassai subito i pantaloni, mi misi immediatamente il suo cazzo ancora moscio in bocca, e continuai a spogliarlo. Gli tolsi le scarpe, una per mano, e i calzini, mentre muovevo le labbra con diligenza, ad occhi chiusi. Gli misi le mani sui fianchi e lui si sollevò appena, quanto bastava perchè potessi tirare giù i pantaloni. Poi con le mani di nuovo libere, mi chinai su di lui, e mi concentrai definitivamente per fargli un pompino degno di nota.Dopo averlo succhiato, morso, baciato, e strusciato su labbra e guance, su tutta la faccia, me lo inghiottii intero sopportandolo dentro per un bel pezzo, che fatica mi era costata imparare ad inghiottirlo tutto, a tenerlo tutto dentro la bocca, mentre faceva pressione contro il palato, e ingrossava contro la lingua; quando alla fine lo restituii alla luce, era ormai violaceo tumefatto, appiccicoso e durissimo.Finii di spogliarlo e lo feci sedere su un enorme divano. Mi misi accanto a lui,, un ginocchio sul divano, l’altro piede per terra, mi vedevo allo specchio, di profilo, vedevo la sua testa appoggiata tra i miei seni ed il mio mento. Gli sollevai il viso con la mano e mi chinai su di lui. Lo baciai, muovendo la lingua dentro la sua bocca, gli circondai il collo con le braccia e cominciai a salire e a scendere sopra di lui.Lui mi sollevò completamente la gonna dietro e mi ci coprì la testa, l’orlo mi sfiorava la fronte, mi strinse forte la cintura e mi succhiò i capezzoli da sopra la camicetta di cotone, lasciando una gran macchia umida intorno ad ogni capezzolo.Fu una scopata dolce, quasi coniugale: proprio quel tipo di rapporto che volevo ad ogni costo realizzare, e dissi tra me e me che bisognava aggiungere un pizzico di trasgressione. Così, quando ero ormai esausta, lo feci uscire da me e gli chiesi di mettermelo tutto in bocca: volevo inghiottirlo. Quasi non dovetti fare altro, sopportai solo cinque o sei spintoni prima che quel fluido denso ed amarognolo mi scendesse giù in gola. A lui piaceva. Mentre ascoltavo i suoi gemiti smorzati, ed accompagnavo i suoi movimenti con la testa, cercavo di secernere più saliva possibile, per mandar giù l’ultima dose di buon liquido seminale.Non mi bastava, volevo stupirlo: volevo essere libera. Gli chiesi quindi di chiamare uno degli infermieri che stavano aspettando giù.Lui prese coraggio e ne chiamò subito uno, mostrando sempre più disinvoltura.Appena arrivò l’infermiere, il professore mi offrì a lui, ed io per non deludere, mi offrii a mia volta. L’infermiere mi penetrò a lungo. Poi mi penetrarono a turno, ad intervalli regolari, uno dopo l’altro, in modo sistematico ed ordinato.L’infermiere si sedette sul divano, ed il professore da dietro mi chiese dolcemente di sedermi sopra di lui. L’infermiere cercava di aiutarmi, di guidarmi. Con una mano mi avvicinò a sè, mentre con l’altra sostenne il suo membro e lo aiutava ad entrare in me. Detto fatto. Poi le sue mani percorsero il mio corpo per un brevissimo intervallo, dopodichè mi strinse le natiche e le aprì con decisione, per aprire un secondo accesso al mio interno.Io intanto mi preparavo psicologicamente a quella che sarebbe stata la prima doppia della mia vita! Il mio cuore impazziva per la paura, ed ero eccitatissima.Fui penetrata la seconda volta dal professore, quasi con immediatezza.Il corpo dell’infermiere si tese sotto di me, e le sue mani modificarono la mia posizione, obbligandomi a sdraiarmi sopra di lui, mentre le mie mani si appoggiavano sullo schienale del divano. Poi rimase fermo. Soltanto allora il dott. Rateau iniziò a muoversi dentro di me, all’inizio molto lentamente e poi con un ritmo sempre maggiore. Intanto anche l’infermiere abbandonò lo stato di iniziale inerzia, elevando tutto il suo corpo verso di me, e seguendo in modo quasi perfetto il ritmo che il professore imprimeva da dietro. I loro sessi si muovevano insieme, dentro di me, immaginavo le loro punte che si toccavano, si sfioravano attraverso quella mia debole membrana interna, che immaginavo sempre più sottile, sempre più sottile. Mi piaceva immaginare che mi avrebbero rotto, mi avrebbero rotto ed allora si che si incontreranno davvero. Fantasticavo su questo con la mia mente, mentre li avvisai che venivo, per un nuovo e travolgente orgasmo, unico per me fino a quel momento della mia vita. L’avvertimento salì spontaneo alle mie labbra, ed allora i loro movimenti si intensificarono, mi fulminarono, non fui più capace di rendermi conto di nulla. Ad un certo punto, però, notai che sotto di me l’infermiere tremava e si contorceva, le sue labbra gemevano, i suoi spasmi prolungavano i miei stessi spasmi: era venuto, ed ormai anche io. Rimanemmo entrambi immobili, aspettando che anche il professore finisse di agitarsi sopra di me, fino a che la sua pressione non si fosse dissolta del tutto. Rimanemmo per un po’ immobili tutti e tre, in silenzio.Prendemmo fiato per cinque minuti, e poi ricominciammo, stavolta in quattro, perchè insistetti affinchè i due chiamassero in stanza anche l’altro infermiere.Rimasero tutti con me per altre tre ore.Alla fine, mentre riallacciavo al professore il panciotto, egli disse: “Tu non sei una pazza. Sei una straordinaria puttana”. Prima di andare mi baciò in fronte e disse “Sarai sicuramente più utile qui che a casa”. In omaggio alla mia bravuta, insistè per pagare. E sapendo d’essere il primo, volle essere generoso. Il carro del manicomio se ne andò via per sempre.Avevo superato la prova.Ora appartenevo di diritto al bordello. Prendevo sempre più confidenza con gli uomini.Cominciavo ad impadronirmi della nuova disciplina, ed andavo precisando il mio stile; offrivo un piacere conturbante e costoso, che chi più paga più gode.Chi vuol gioire d’amore fino allo spavento dev’essere disposto a buttar via non solo la scarsella, ma il cielo intero. Il desiderio d’amore è per i generosi; io sentivo qualcosa alla figa solo quando lui gettava i soldi come un fastidio. Chiunque fosse.Inventai dieci posizioni che mandarono in visibilio contadini e borghesi. Ma a me, ne piaceva una sola: fare la morta.L’illusione che davo al cliente era perfetta, non un sospiro o parola o scorrere del sangue tradiva il mio essere viva.Nel buio assoluto egli entrava dentro di me come in un sepolcro e io solo allora godevo, chè essendo tutto trattenuto era amplificato all’infinito e godevo, del godimento di lui che stupra un essere inerte e si crede solo, ed è guardato.Prediligevo i ragazzi ed i vecchi dubitosi, che prima si vergognavano ma poi, che fuoco generoso! Queste si che sono le soddisfazioni di una puttana.Sebbene non eccellessi particolarmente nel prenderlo in bocca, imparai però a riconoscere i cliente dal loro sperma. Assaporavo sempre, e distinguevo gli uomini.Un giorno di settembre vennero dei contadini, a festeggiare la vendemmia. Il tipo di cliente che te lo mette in bocca senza nemmeno dire buongiorno.Fu un’orgia straordinara, incontrollata. Quando se ne furono andati, la casa intera era un vero schifo.Poco dopo bussarono. Sulla porta c’era mia suocera.Io ero mezzo nuda, con la gonna squarciata da una bottiglia divino, che i contadini non scherzano.Lei non entrò, ma dalla porta, reggendosi su due bastoni, mangiava con gli occhi la sporcizia e i resti dell’orgia, e le ragazze in disordine.Sentendo lei vicina ormai la sua morte, non aveva resistito all’estrema soddisfazione: venire al bordelle e vedere la sua nemica umiliata. E con soddisfazione e felicità palpitante disse: “Guglielmo sposerà Samadhi, la figlia del fiorista! Tu non sei più sua moglie”.Sentii una forte sofferenza, perchè il passato profanava il presente, e tutto al bordello rifulgeva di una luce pura davanti a quel vecchio ratto votato alla perfidia.Allora presi un’andatura sguaiata da troia e mi accesi un mozzicone, cercando d’essere più penosa di quanto apparivo già, perchè il suo rancore trionfasse e se ne andsse subito, e feci una voce bruttissima, dicendo: “Ehi, vecchiaccia! Chi sei? Che vuoi?”. Lei stava ferma sulla porta. Ma lei, pienamente vittoriosa girò le spalle e fece per andarsene.Quand’ecco che Nina, che questionava con Jenny per un pettinino, inferocità le tirò le sue mutande di pizzo, intrise di vino e liquido vaginale, ma sbagliò mira, e prese in pieno mia suocera, e lei rimase con le mutande davanti alla faccia. Vidi chiaramente che le tratteneva con la mano e non riusciva a staccarsene, con tanta invidia, e come una faina aspirandone l’odore.La vidi piangere, l’ultima volta che l’avevo vista piangere era al funerale di suo marito. Ella sentì che al casino qualcosa viveva, e v’erano lì dei grandi splendori, che lei sicuramente non ha mai provato. Se ne andò ingobbita, non più vittoriosa ma ampiamente sconfitta.Morì per strada, in carrozza, vinta dalla malinconia, prima d’arrivare a casa. Ne fui contenta. Non avrei mai voluto che Guglielmo entrasse al bordello con gli occhi di sua madre.
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