Parte IEra praticamente un appuntamento fisso, anche se (almeno per quanto mi riguardava) involontario: eravamo coetanei e ci incrociavamo tutti i giorni, andando a scuola. Facevamo la stessa strada, ma in direzioni opposte, poiché frequentavamo istituti diversi. In realtà, non è che mi facesse piacere trovarmela davanti tutte le mattine, perché in un certo senso mi aveva preso di mira. Era sempre lei a rivolgermi la parola; e il suo modo di fare era sempre sfottente, spavaldo: si vedeva che doveva esser cresciuta in un ambiente un po’… scalcinato, se non addirittura malavitoso. Aveva uno sguardo vivace e acceso come pochi, che si legava bene con la sua aria fiera e aggressiva. Non era una bellezza da copertina, ma non era certo neppure un tipo che passava inosservato; non molto alta, aveva un sedere abbastanza pronunciato, che sembrava sempre sul punto di far esplodere i jeans che di solito indossava: ma credo che nessun uomo, al di fuori del suo ambiente, osasse spingere le mani su… quel territorio. Anzi, per dirla tutta, penso proprio che qualsiasi uomo “timorato” e dalla vita “normale” si guardasse bene dallo sfiorarle anche soltanto un braccio, dati i suoi modi rudi e minacciosi e la sua permanente voglia di attaccar briga. Qualcosa di me doveva averla colpita: evidentemente, mi dicevo, mi trovava buffo, con la mia faccia “perbene”, dall’aria indifesa, e ciò provocava la sua ilarità e la voglia di dileggiarmi. Ma forse, come avrei capito in seguito, c’era dell’altro, una qualche forma di attrazione, anche se molto particolare.Ad ogni modo, ogni mattina mi rivolgeva, con forte inflessione dialettale, frasi come:* Ehi, bello, anche stamattina vai a fare il secchione a scuola? Ti guardi allo specchio qualche volta?O anche:* Ma come cazzo ti vesti? Ti metti addosso la roba di tuo nonno?O ancora:* Ce l’hai la ragazza? O vai sempre in bianco, secchio’?Oppure:* Se vuoi, ti presento qualcuna, così ti fidanzi, finalmente. Ma tu datti da fare, non farmi fare brutte figure… Di solito a voi secchioni non funziona tanto bene…Ricordo anzi ciò che disse la prima volta che mi si rivolse:* Ehi, bello, come fai a portarti quella tonnellata di libri nello zaino? Lo sai che a scuola non si va mica per studiare? Noi negli zaini ci portiamo il fumo e i giornaletti. A te la mamma non te l’ha ancora dette ‘ste cose? E ci hai pure gli occhialetti da secchione sfigato!Alcune amiche, che in genere l’accompagnavano, ridacchiavano, quando lei mi apostrofava così. Io cercavo di far finta di niente, anche perché avevo intuito al volo che si trattava di un tipo “poco raccomandabile”, col quale era meglio non avere rapporti, e un giorno in cui decisi di risponderle a tono, perché esasperato dai suoi pesanti motteggi, ne ebbi una prima conferma.* Senti, la devi smettere di prendermi in giro! Io non so nemmeno chi sei! – esclamai.* Ah… e se non la smetto, tu che mi fai? Sentiamo un po’… – ribatté lei, più spavalda che mai. – Avete sentito, ragazze? – continuò. – Il secchione mi minaccia… Sai quanta paura mi fa?Le sue amiche risero, come di consueto, e mi osservarono. Lei, con le mani sui fianchi in atteggiamento di sfida, aggiunse:* Sto aspettando. Allora, cosa mi fai? Mi dai una lezione, secchio’?Io, che non ho mai picchiato nessuno, e che non intendevo certamente cominciare da una ragazza, risposi semplicemente:* Voglio sapere che vuoi da me. Io nemmeno ti conosco!* Se è per questo, ti accontento subito: mi chiamo Fiammetta, ho diciannove anni e mezzo, e frequento l’ultimo anno dell’istituto tecnico “Wllsstz”. Naturalmente ho ripetuto già un paio d’anni e me ne vanto – specificò ridacchiando.Mi tese la mano, perché gliela stringessi, mentre le sue amiche continuavano a sghignazzare.* Piacere… Io sono Nello – bofonchiai. – Ho… appena compiuto i diciotto e sono anch’io dell’ultimo anno, ma al liceo “Dwzxrl”.Speravo in una tregua, ma Fiammetta mi fece un sonoro pernacchio, che mi lasciò allibito. Le sue amiche si sganasciarono all’unisono e io me ne andai con la coda tra le gambe.Da quel giorno, presi l’abitudine di cambiare strada: preferivo allungare il percorso, pur di non incontrare ancora quella minaccia ambulante alla tranquillità. Quando però ero in ritardo, mi vedevo costretto a rifare la solita strada e puntualmente m’imbattevo nella gang di Fiammetta, che non perdeva occasione per deridermi.Certo, avevo intuito che quella ragazza fosse “fuori della norma”, ma non immaginavo fino a che punto. Lo avrei scoperto presto. Un pomeriggio mi trovavo in un fast food, e come sempre ero solo: stavo tranquillamente mangiucchiando il mio panino e sorseggiando una coca. Ad un certo punto, sentii aprirsi rumorosamente la porta alle mie spalle e subito dopo uno sguaiato vociare.”Sarà entrata una banda di teppistelli: speriamo che non rompano troppo le scatole” mi dissi.Purtroppo presero posto proprio al tavolino accanto al mio, e così potei vedere che si trattava di Fiammetta e della sua “banda” (il termine è appropriato). Oltre alle solite tre amiche inseparabili, c’erano un’altra decina di ragazze con lei, tutte all’incirca sue coetanee. Io voltai subito le spalle all’allegra brigata, cercando di passare inosservato, ma ahimè sentii Fiammetta apostrofarmi a gran voce:* Ciao, secchione, che ci fai qua? Sempre solo soletto? La fidanzata dove l’hai lasciata?Io accennai timidamente un saluto, perché non avevo la minima intenzione di attaccar briga o di scatenare le sue feroci punzecchiature.* Non sapevo che questo fosse un posto da secchioni – insisté lei, tra le risate delle compagne. – Di solito a quest’ora i bravi ragazzi stanno a casa a fare i compiti, non lo sai?Accennai un freddo sorriso e non risposi nulla. Ma Fiammetta non demordeva.* La mamma lo sa che sei qui? – fece, sempre più insolente. Poiché insistevo a non darle retta, esclamò: – Ehi, sto parlando con te, cazzo! I secchioni non conoscono più l’educazione? Mi deludi…* Lasciami in pace – replicai, cercando di finire il più in fretta possibile il mio spuntino.* Ma perché non mi guardi in faccia? Che c’è? hai paura di noi? Ma come?Siamo grandi amici! – mi schernì. – Lo sanno tutte le mie amiche, io gli parlo sempre di te.* Sì, ok… – dissi, – ma lasciami almeno finire le mie patatine in pace.* Dai, non fare così… Stringiamoci la mano.Prima che potessi ribattere, lei si era già alzata e veniva verso di me.* Non aver paura, non ti sto sfottendo… Dammi la mano – insisté. Non mi restava altra scelta: le strinsi la mano.* Oh, bravo! – commentò lei. – Perché non vieni al nostro tavolo, ché ti offriamo qualcosa?* Ma no… Ho già mangiato; stavo praticamente andando via – cercai di sgattaiolare.* Ma perché? Non vuoi accettare qualcosa da noi? Guarda che le mie amiche si offendono!Il suo volto si faceva vagamente minaccioso; ma io feci resistenza. Quando lei cercò di trascinarmi per un braccio, dissi risoluto:* No, per favore, lasciami stare!* Ehi, raga’, questo fetente ci ha offeso! – esclamò Fiammetta in puro dialetto, rivolta alla sua banda. Le vidi alzarsi dal loro tavolo tutte insieme e venire verso di me con aria determinata.* Ehi, ma insomma, che volete? – reagii. – Io non vi ho fatto niente, stavo semplicemente mangiando qui per i fatti miei!* Tu ci hai fatto uno sgarbo – sibilò la ragazza, sempre in dialetto, con espressione seria – e mo’ devi pagare.Nonostante la sua giovane età, sembrava già una consumata capobanda, per l’atteggiamento, la gestualità e il modo di muoversi e di esprimersi. La cosa faceva seriamente impressione. Evidentemente doveva avere già una notevole esperienza nel… settore.Quel che accadde dopo la “sentenza” di Fiammetta fu così rapido che non ebbi quasi il tempo di accorgermene. Mi ritrovai per terra, dolorante e sbalordito, e mi accorsi, qualche secondo dopo, che al polso non avevo più il mio cronografo che “valeva una cifra”, regalo di compleanno dei miei zii. Vidi accorrere premurosi alcuni inservienti del fast food, che mi aiutarono a rialzarmi; della banda di Fiammetta non c’era più traccia: si era dileguata in pochi secondi. Il presunto sgarbo era stato provocato ad arte per derubarmi. Quando finalmente mi ripresi dallo choc e dall’incredulità che mi faceva mormorare ogni minuto: “Non è possibile”, capii come si erano svolti i fatti: alcune componenti della gang (forse un paio) si erano portate alle mie spalle e avevano repentinamente afferrato la spalliera della mia sedia, spingendola verso la mia sinistra, facendomi cadere al suolo lateralmente; la stessa Fiammetta, che si trovava accanto a me, proprio dal lato in cui ero caduto, doveva, con abilità diabolica, avermi afferrato il polso, sfilandomi nell’arco di un secondo l’orologio, prima ancora che io avessi il tempo di accorgermene. E subito dopo tutta la banda era fuggita via dal locale a gran velocità. E in effetti, mentre cadevo, mi era sembrato di sentire una mano che mi afferrava il polso…* Sono teppiste – mi diceva il gestore del fast food, offrendomi un cordiale per farmi riprendere: – l’ho capito appena sono entrate. Ormai ho l’occhio clinico… Qui siamo in balia di queste bande, non sappiamo più come fare. Fra poco dovremo guardarci anche dai ragazzini dell’asilo… Ma le conoscevi?* No – dissi, mentendo, perché in quel momento non me la sentivo di parlare.* Ti sei fatto male? Vuoi che chiami il pronto soccorso?Feci segno di no con la testa; e lui:* Sicuro?* Sì.* Ma non vuoi sporgere denuncia?* No… non me la sento, voglio solo andare a casa.* Ma non era di valore il tuo orologio?* Non fa niente…In realtà, benché provassi rabbia per quello che mi era appena capitato, avevo anche paura di Fiammetta, perché ero certo che dietro di lei dovesse esserci qualche potente famiglia della mala: e poiché lei sapeva il mio nome e che scuola frequentavo, correvo il concreto rischio di subire ritorsioni se l’avessi denunciata.Ma non avevo perso la speranza di poter riavere l’orologio: ero sicuro di incontrare la ragazza come sempre, la mattina, andando a scuola, e in quell’occasione mi ripromettevo di chiederle una spiegazione. Infatti, già il giorno dopo il fatto, la incrociai che se ne andava a scuola in compagnia delle solite tre “fedelissime”. Nel vedermi, mi rivolse un sorrisetto di scherno, senza mostrare il minimo turbamento.* Ehi… chi non muore si rivede! Bello, come stai? – mi disse in dialetto.La sua sfrontatezza m’irritò come non mai e non potei trattenermi dal risponderle:* Stavo meglio prima che mi rubassi l’orologio. Me lo sentivo che eri capace anche di questo! E poi potevate pure spezzarmi una gamba! Ma che razza di gente siete?* Eh, che paroloni! – fece lei, con l’aria del gatto che si diverte a giocare col topo. – A quanto vedo non ti sei fatto niente: non sei mica di burro, su! E comunque tu non mi hai neanche visto di prenderti l’orologio. Come fai a dire che sono stata io?* Perché lo so! E lo rivoglio indietro, chiaro?* Eh, e statti calmo, su! Proprio stamattina, mentre venivamo qua, stavo dicendo a queste amiche mie che dovevo parlare di affari con te. Ero sicura di incontrarti: ve l’ho detto o no?Una delle sue amiche, una brunetta, confermò: – Sì, come no? l’hai detto!* Hai visto che non dico bugie, bello? – riprese Fiammetta. – E mo’ che t’ho incontrato, ti dico che per il tuo orologio ci possiamo mettere d’accordo.* Ah sì? In che senso?* Nel senso che… devi venire stasera verso le otto, in via Cumugnani 59.E’ una villetta, non ti puoi sbagliare: tu devi bussare quattro volte alla porta del garage… noi saremo lì dentro. Ah, e mi raccomando: devi portarci duecentomila. E’ tutto chiaro?* Mm… se rivoglio il MIO orologio, vi devo dare duecentomila lire. E’ così?* Bravo secchio’! Sei sveglio, quando vuoi!* E… se invece non vengo?* E che fai? Mi deludi proprio mo’ che ti ho fatto un complimento? Se non vieni, troveremo qualcun altro che ce le dà le duecentomila, e pure di più, magari… E sarebbe un peccato, no? Che dirai ai tuoi se non ti vedono più l’orologio al polso?* Vabbé, vabbé: basta così. Non voglio più sentirti. Ci vediamo stasera – tagliai corto, stizzito.* Sei un ragazzo intelligente – concluse Fiammetta, con un ennesimo sorrisetto di scherno, e si prese anche la libertà di darmi un pizzicotto sotto il mento.* Tieni giù le mani – sibilai, allontanandomi nervoso, mentre le ragazze ridevano alle mie spalle.Parte II”Via Cumugnani”… non c’ero mai stato, ma sapevo vagamente che doveva trovarsi in una zona poco raccomandabile della città. E infatti, mi resi conto che percorrere quella strada all’imbrunire era un’impresa da temerari, per chi veniva dai quartieri della gente “a posto”. Ad ogni passo che facevo, mi sentivo cento occhi sospettosi ed ostili addosso; gli uomini appostati fuori dai bar, che si trovavano quasi ad ogni incrocio, mi squadravano con sguardi terribili, minacciosi: identificavano all’istante l’intruso; lo fiutavano al volo ed era come se gli ringhiassero contro, per consigliargli caldamente di sloggiare. Arrivai dunque al posto indicatomi da Fiammetta col cuore in gola per l’agitazione. Quando vidi la villetta cui lei aveva accennato, capii che doveva trattarsi dell’abitazione di un “personaggio importante” della zona, poiché il suo aspetto appariscente contrastava fortemente con i cadenti e precari edifici che l’attorniavano. Dunque non dovevo essermi sbagliato sul conto della ragazza… Fu perciò con una certa apprensione che spinsi il cancello e m’introdussi nel cortile della deliziosa villetta. Stava facendo ormai buio, e mentre calpestavo la ghiaia del cortiletto, temevo ad ogni pie’ sospinto di veder saltar fuori qualche figura minacciosa. Ero quasi senza fiato quando bussai, coi concordati quattro colpi, alla porta del garage.Dopo qualche interminabile secondo, venne ad aprirmi una delle “fedelissime” di Fiammetta, una ragazza dai capelli castani ricci, che appena mi vide, si volse verso l’interno, annunciando alla gang:* Uhe’, è arrivato!* Gioia, fallo entrare!La riconobbi: era la voce di Fiammetta. Quando varcai la soglia, rimasi stupefatto ad osservare l’interno, che aveva dimensioni enormi (almeno dieci metri per dieci): più che un garage, sembrava proprio un ritrovo, o un covo, tappezzato di manifesti di rockstar e pieno di oggetti disparati – dovevano esserci almeno una decina di impianti stereo di marca, una ventina di biciclette, svariati ciclomotori, innumerevoli console per videogiochi, videoregistratori, televisori… più varie casse, che dovevano contenere oggetti più piccoli, e che fungevano anche da sedili. La banda sembrava al gran completo: c’era infatti una ventina di ragazze, tutte mie coetanee suppergiù (magari qualche mesetto in più, ma non in meno), alcune vestite con maglietta, jeans strappati e scarpe da ginnastica, altre con mise più provocanti e aggressive (camicette leggere, minigonne e stivaletti). Quando entrai, erano quasi tutte sedute sulle casse-sedili; qualcuna di loro, in un angolo, stava guardando un telefilm davanti ad un piccolo televisore; qualcun’altra era immersa in un videogioco “tascabile”; qualcuna sorseggiava cola da una lattina; e così via.* E bravo il secchione, che è venuto all’appuntamento – disse Fiammetta, venendomi incontro. – Questo è il nostro piccolo regno, come vedi… Ci abbiamo tutto. Se vuoi posso pure offrirti qualcosa. Noi siamo ospitali, che credi? Sai, gli affari sono affari…Parlava proprio come una “boss” consumata, e la cosa mi dava abbastanza fastidio… anche se in quel momento, il timore di trovarmi nel covo di qualche “mammasantissima” mi procurava sudori freddi. Dovevo stare ben attento a come muovermi. Mi presentò alcune delle sue complici, poi, come se mi leggesse nel pensiero, si premurò di informarmi:* Questa che vedi è tutta roba nostra, eh! Giusto qualcosa è preso qua e là… quando c’è una cosa che ci piace, ce la prendiamo, ci mancherebbe… Dico bene, ragazze?Alcune di loro, che stavano seguendo la nostra conversazione, e che mi squadravano con attenzione, scherno e diffidenza sin da quando ero entrato, replicarono al loro boss ridendo scompostamente.* Mm… come il mio orologio? – osai a mia volta.* Ma ti sei guardato intorno? Hai visto quanta roba c’è qua? – ribatté Fiammetta. – Il tuo orologio ci fa una pippa, ci fa… Ci serve giusto per gli spiccioli.* Ma… è tutto frutto del vostro… lavoro? – chiesi, accennando agli svariati oggetti che ci circondavano.* La maggior parte sono regali, che credi? Te l’ho detto: è roba nostra – rispose lei, e una ragazza le fece eco, confermando tra le risate delle altre: – Sì, sono regali…* Vabbé, adesso ti offro una birra. Cateri’, me la vai a prendere una birra dal frigo per l’amico nostro? – fece Fiammetta.E una ragazza dai capelli rossi in minigonna, dotata di seni evidenti, le rispose, masticando una gomma:* Immediatamente… per l’amico nostro!Quindi si alzò e si diresse verso un piccolo frigorifero che si trovava in fondo al garage, prima ancora che io potessi dire: “No, grazie”.* Allora, l’orologio ti interessa ancora? – mi chiese quindi Fiammetta, passando a parlare degli “affari seri”.* E me lo chiedi, scusa? Sono venuto fin qui…* Noi te l’abbiamo tenuto bene, come vedrai. Te l’abbiamo pure lucidato!* Ma guarda!…* Ma dicevo… se t’interessa qualcun’altra delle cose che vedi qui in giro, non fare complimenti. Sono tutte grandi occasioni: ti facciamo risparmiare, noi.* Lascia perdere… non ho soldi – ammisi, cercando di tagliar corto.* Ma come? E le duecentomila? Puoi darci quelle, e in più ci fai tenere l’orologio… e in cambio ti posso dare… ecco, lo vedi quel motorino? Te ne intendi, no? E’ un 50 cc ultimo modello. E’ tuo. Così vai a scuola finalmente come si deve. Eh? Ci stai?* No, senti… lascia stare, voglio solo il mio orologio – tenni duro.* Ma è un affare, secchio’… anzi, scusa, Nello… Ti chiami così, no?Vieni, vieni a guardarlo bene da vicino, il motore, se no come fai a giudicare?* Ma se ti ho detto che non m’interessa!… Voglio l’o-ro-lo-gio! – ribadii ancora una volta, scandendo le sillabe.* Ah, ma sei duro, eh! Io ti garantisco che è un affare… Non ti fidi?Ecco, intanto beviti la birra alla salute nostra!Caterina, la rossa vistosa, mi porse proprio in quel mentre una bottiglietta di birra, snocciolandomi un sorriso che poteva essere amichevole, ammiccante e beffardo al tempo stesso, e mormorando:* Bevi, se no diventa calda…* Sei un caso senza speranza! – commentò Fiammetta, che si era avvicinata al ciclomotore che stava cercando di rifilarmi. – Ma come? Non ti piacciono i motorini? E vieni qua, dagli almeno un’occhiata!* Ma come te lo devo dire? Uff… – feci, avvicinandomi di malavoglia all’oggetto del contendere.La ragazza prese ad illustrarmi le meraviglie del veicolo, con dovizia di dettagli tecnici, e aggiunse:* Se vuoi, possiamo anche far truccare il motore, così provi qualche brivido vero… Non c’è problema, basta che ci paghi un piccolo supplemento. Quanto hai in tasca?* Senti, come devo dirti che non m’interessa?* Ma sei una frana, secchio’! Com’è possibile che non t’interessa un affare del genere? Dai, parliamo seriamente: quanto hai in tasca? In base a quanto mi puoi dare, ti posso aggiungere qualche optional.* Falla finita: portami il mio orologio! – m’impuntai.In quella, avvertii qualcosa di inaspettato… Non riuscivo a crederci:qualcuna delle presenti mi aveva dato un pizzicotto al sedere.* Bello sodo, il culetto, eh? – sentii dire alle mie spalle: mi volsi istintivamente e vidi una bella brunetta sul metro e settanta che mi sorrideva sfacciata.Mi stavo ancora riprendendo dalla sorpresa, quando mi si avvicinò un’altra delle ragazze della banda, e per la precisione Gioia, quella che era venuta ad aprirmi. Aveva in mano un orologio e me lo porse, dicendo:* Eccotelo, il tuo orologio. Mo’ dacci i soldi!* Ma ragazze, state scherzando? Non è mica il mio! – protestai. – Questa è robetta dozzinale da diecimila lire al chilo… Il mio sapete bene che vale.* Senti, l’orologio te l’abbiamo dato, adesso caccia i soldi! – insisté Gioia, con un grugno minaccioso.* Siete impazzite? – ribattei, mentre già cominciavo a sudare freddo: parecchie componenti della banda stavano infatti accerchiandomi minacciose.* Se proprio vuoi saperlo, il tuo ce lo siamo già venduto! – disse Fiammetta, guardandomi con aria di scherno. Di nuovo udii alle mie spalle la voce di Morena, la brunetta sfacciata, che commentò:* Peccato che fai i capricci, con un culetto così…Fu una sorta di segnale convenuto, perché una frazione di secondo dopo mi sentii agguantare per le spalle e per i fianchi da una dozzina di mani, che mi spinsero con forza al suolo: cercai di divincolarmi, ma loro erano in tante ed ebbero facilmente ragione di me. Non appena fui supino per terra, alcune di loro mi tennero bloccato, mentre altre mi strappavano di dosso i jeans.Ed ero ancora bloccato al suolo da cinque o sei energumene quando mi si avvicinò Fiammetta, che, china leggermente verso di me, spiegò:* Mi hai fatto un altro sgarbo, secchio’… e con questo fanno due!* Io? Ma che ho fatto?* Come, che hai fatto? Non hai voluto concludere l’affare del motorino. Non hai avuto fiducia in me, e questo proprio non mi è andato giù…* Ma cosa vuoi da me? Altri soldi?* Non è solo questione di soldi… Tanto per cominciare, adesso devi subire la punizione, così imparerai a rispettarmi.Prima di lasciarmi alzare, le energumene mi sfilarono anche la maglietta.Con un tono che non ammetteva repliche, Gioia mi disse:* Adesso fai quello che ti diciamo noi, e non fare storie, se non vuoi passare un guaio. Andiamo!Mi fece cenno di seguirla in fondo al locale, dove ci attendeva Fiammetta.Mi sentivo imbarazzatissimo, a dover sfilare in mutande fra tante ragazze.* Queste ovviamente ce le teniamo noi – fece la boss, mostrandomi le trecentomila lire che aveva trovato nelle tasche dei miei jeans. – Qualcosa in contrario? – aggiunse beffardamente. – Bene – continuò, – oggi imparerai una cosa nuova, molto importante, secchio’… Poi mi ringrazierai per avertela insegnata. Vuoi sapere cos’è? Il rispetto che si deve alla gente come me. E non scordartelo mai, d’ora in poi…Non aveva ancora finito di pronunciare la frase che la vidi calarsi i jeans e mostrarmi il culo, molto poco coperto dal perizoma che indossava.* E adesso inginocchiati e baciaglielo, stronzetto – mi ordinò Gioia, con forte cadenza dialettale.Ero titubante, ma diedi un’occhiata alle ragazze che mi circondavano, e i loro volti ostili e determinati mi convinsero ad obbedire. Mi sembrava tutto così assurdo… Mi ero fatto gabbare da Fiammetta, mi dicevo mentre avvicinavo la bocca alle sue natiche. Non avrei dovuto accettare quell’appuntamento: ero stato proprio un pollo, pensavo nel baciarle il culo.* Anche sull’altra chiappa – pretese lei: – è come un bacio sulle guance.Eseguii, mentre le sue amiche ridevano scompostamente.* Va bene così? – domandai timidamente, alzandomi. – Potrei riavere i miei pantaloni adesso, per favore?* Perché? Hai fretta di andartene? – ribatté Gioia sgarbatamente.* Guarda che questo era soltanto il saluto: la punizione non è ancora cominciata – mi avvisò Caterina, la rossa.* Già… – le fece eco Fiammetta, aggiungendo: – Adesso ti devi abbassare le mutande, bello!* Perché? – chiesi smarrito, sentendo addosso una certa inquietudine.* Tu fai troppe domande. Lo sai chi sono io, eh? Lo sai o non lo sai? – replicò la ragazza. – No, tu non l’hai ancora capito chi sono io… Ragazze, voi lo sapete, no? E diteglielo un po’, a ‘sto fetente!* Ehi tu – mi apostrofò Gioia, – lo sai chi è don Pino Prudaciochi?* S… sì, vagamente – risposi con un fil di voce: il suo nome ricorreva nelle pagine della cronaca nera locale, come uno dei “capoclan” della zona, uno dei più potenti, per giunta.* Ebbé, sappi che Fiammetta è la figlia di don Pino. E ho detto tutto! – mi spiegò Gioia con un’espressione molto eloquente, che voleva suggerirmi:”Vedi tu in che guaio ti sei andato a cacciare…”.* Hai capito, bello? E mo’ credo che avrai capito pure chi le fa le domande, qui – chiosò Fiammetta, aggiungendo: – E adesso non farmi perdere altro tempo e abbassati quelle mutande!* Ma… ma che volete farmi? – titubai ancora, preoccupatissimo. Al che la boss si spazientì:* Ah, allora non hai capito niente ancora, eh? Ragazze, avanti, pensateci voi…Per la seconda volta mi sentii toccare da numerose mani (forse quattro, forse sei), che mi abbassarono le mutande, nonostante la mia (disperata) resistenza. Non appena fui completamente nudo, Fiammetta, che nel frattempo s’era seduta, m’invitò ad avvicinarmi a lei. Poiché esitavo, alcune ragazze mi spinsero a forza verso la boss e mi costrinsero a stendermi di traverso, a pancia in giù, sulle sue cosce nude (i suoi jeans erano infatti rimasti abbassati alle caviglie). Il mio culo si trovò così completamente esposto e indifeso e cominciai a capire quali fossero le loro intenzioni. Difatti, dopo pochi secondi, Fiammetta cominciò a sculacciarmi. Il primo colpo non mi fece un gran male, fisicamente, ma comunque mi prostrò moralmente. Era un’umiliazione terribile, per me! Non avevo mai immaginato, prima di allora, che un giorno avrei vissuto una situazione del genere. E sentire tutte quelle risate divertite, alle mie spalle, mentre quella ragazza continuava a percuotermi il sedere, fu una tortura che si aggiunse al dolore, che si faceva sempre più forte, un colpo dopo l’altro.* Vedrai come te lo farò diventare rosso, secchio’! Voglio lasciarti il segno, così ti ricorderai della lezione che ti ho dato! – disse Fiammetta, mentre mi colpiva il culo con crescente foga.Ma ciò che m’imbarazzò e mi disorientò oltre ogni dire fu la strana reazione del mio istinto: infatti, dopo i primi colpi, cominciai ad avvertire una inattesa eccitazione e sentii che stavo avendo un’erezione. E quel che più mi dannava era la certezza che se ne stesse accorgendo anche la mia aguzzina: per la posizione in cui ci trovavamo, il mio membro strisciava sulle sue cosce e lei certamente stava notando il suo… repentino cambiamento di dimensioni. Mi sentivo confuso, annullato; temevo di subire un’altra tremenda derisione da parte di Fiammetta e di tutta la sua banda, a causa della mia inspiegabile (e purtroppo ben visibile!) eccitazione. Mentre il mio cazzo si faceva duro, Fiammetta continuava a sculacciarmi, apparentemente senza dar peso a quel che certamente avvertiva. Avevo però la sensazione che ci stesse provando gusto: credo che la mia erezione stesse in qualche modo eccitando anche lei, perché cominciai a notare nelle sue parole e nel modo stesso di percuotermi una sfumatura lasciva.* Mm… Ti stai riscaldando, eh? – le sentii dire a un tratto. – Bada che al prossimo sgarbo che mi fai, me la prendo direttamente col tuo coso… te lo stacco! Mi sa che sei più zozzone di quanto pensassi, secchio’!In effetti smise di picchiarmi sul sedere soltanto dopo che il mio uccello ebbe raggiunto la sua massima espansione: senz’altro lei lo sentiva pulsare voglioso sulle sue cosce… Anche ciò che seguì faceva evidentemente parte della sua particolare “punizione”: dietro preciso ordine di Fiammetta, alcune ragazze mi si avvicinarono e mi fecero alzare; dopo di che, la boss indicò il mio cazzo duro, commentando:* Ehi, guardate là! A quanto pare, al secchione fanno bene un po’ di sculacciate!La sala fu invasa dall’ilarità generale, e altre componenti della banda vollero aggiungere i loro motteggi.* Vieni quando vuoi – fece Caterina: – ti dò io tutte le sculacciate di cui hai bisogno, tesoro…Certo, guardare la rossa dai floridi seni che mi osservava con un’aria maliziosa e divertita contribuiva a tenere ben desta… la mia asta. Altre voci tuttavia si aggiunsero…* Ma di’ un po’… scommetto quello che vuoi che il tuo uccellino non ha mai conosciuto una bella passera, fino ad oggi! – dichiarò Morena. – E allora? Non è così?* Sai, è inutile che bari, perché ce ne accorgiamo subito – mi fece presente Miriam, un’altra bella e procace morettina, dal volto fiero e spavaldo.* Ragazze, guardate come diventa rosso il ragazzino: è chiaro che abbiamo indovinato – fece Morena.* Eh sì, adesso devi darci un premio: ci spetta – intervenne Rossana, una ragazza dal fisico slanciato, che mi colpì per lo sguardo furbo e attento col quale mi squadrava.* Le ragazze hanno ragione… avevano scommesso e adesso devi premiarle. Non te ne puoi andare se non le accontenti – mi disse a sua volta Fiammetta.* Che altro volete da me? – replicai, ormai rassegnato.* Vai da lei, che ha proposto la scommessa – mi rispose Fiammetta, indicando Morena.* Sì, vieni qua – fece quest’ultima: – voglio che mi guardi bene mentre ti fai una sega… Voglio vedere in quanti minuti un pesce lesso come te riesce a venire guardandomi. Secondo me, arrapato cronico come sei, ci metterai pochissimo… Ecco, osserva bene – disse, togliendosi la maglietta e slacciandosi il reggiseno: – ti piacciono le mie tette, eh? Come le trovi? Toccati, avanti, fetente! che aspetti?Morena mi faceva ballare maliziosamente le sue tette sotto gli occhi: se le soppesava, se le schiacciava, se le accarezzava… Pur non essendo voluminose, erano tuttavia sode e la loro vista aumentava la mia eccitazione. Mi menavo l’uccello, mentre lei commentava:* Guardare e non toccare… Ti piace ‘sto gioco? Vorresti di più? Ma stai fresco se credi che io mi faccio toccare da uno come te… Guarda, guarda qua… Le hai mai viste due tette così? Te le avvicino di più, così prendi nota… Te le metto proprio sotto gli occhi… Ti faccio anche sentire il loro profumo… Lo senti, eh? Ti piace? E allora sborra, dai… facci divertire. Facci vedere come sei arrapato, come mi desideri. Voglio vederti sborrare senza avermi nemmeno sfiorato…Le altre ragazze erano tutte in cerchio intorno a noi, a godersi lo spettacolo, e a fare salaci commenti su me; ma io non le vedevo e le loro parole mi sfioravano appena le orecchie, perché ero concentrato sul seno che Morena offriva alla mia vista: me lo metteva praticamente sotto il naso, ridendo, e poi repentinamente lo allontanava, facendomi impazzire. Sentivo a tratti l’odore della sua pelle… Per pochi attimi, quando lei mi si accostava, sentivo il suo respiro sul collo.* Sborra, zozzone, sborra, che aspetti? Lo vediamo bene che sei arrapatissimo! – mi provocò Morena, continuando a dimenare le tette sotto i miei occhi. Improvvisamente le si accostò Caterina, che si era già tolta la maglietta scollata, si sfilò il reggipetto, e mise quindi in mostra il suo seno abbondante, dotato di capezzoli grandi e vistosi.* E queste qui come ti sembrano? – mi disse, reggendosi le tette con le mani. – Ti piacerebbe mettere il naso dentro questi bei meloni, eh?Mentre le altre ragazze ridevano praticamente in coro, assistendo divertite allo spettacolo, e gradendo le provocazioni delle compagne, Caterina mi venne vicino, e con sguardo malizioso mi fece annusare i suoi colossali tesori, senza permettermi di toccarglieli. Nel frattempo, Morena si era portata alle mie spalle e aveva cominciato a tastarmi le chiappe, che già prima aveva mostrato di apprezzare, dicendomi:* Lo sappiamo che non resisti più… Vogliamo vederti sborrare, avanti…Sbrigati!In effetti, neanche volendo avrei potuto resistere più a lungo, dopo tante provocazioni, e così le feci contente, spruzzando il mio seme verso le tette di Caterina, che prontamente si scansò. La mia eiaculazione fu accolta da risatine e applausi di scherno, anche se qualcuna tra le presenti si era toccata durante tutta la scena. I commenti pesanti si sprecarono…* Si vede che sei pratico di seghe – disse qualcuna.* Oggi però ti è andata meglio, perché almeno ti sei rifatto gli occhi – le fece eco un’altra.* Incredibile: non sapevo che anche ai pesci lessi diventa duro e sborra – soggiunse una terza.* C’è sempre da imparare! – ridacchiò una quarta.Questo solo per dare un’idea del tenore delle loro osservazioni…* Beh, adesso rivestiti e vattene – m’ingiunse infine Fiammetta, mentre Gioia mi porgeva i miei abiti. Quindi aggiunse: – E la prossima volta, non te la caverai con una sculacciata a mani nude…Quando finalmente stavo per lasciare quel posto, con la minaccia della giovane boss che mi ronzava nelle orecchie, Gioia mi raggiunse, e indicandomi il ciclomotore che volevano rifilarmi, disse, col suo solito volto da “dura”:* Quello è tuo, portatelo via.Notando la mia faccia perplessa, Fiammetta spiegò:* Non vogliamo mica buggerarti… Per quello che ci hai pagato, il motorino è tuo. La parola di Fiammetta Prudaciochi è una sola!Ancora col culo che mi bruciava per le percosse che aveva subito, uscii finalmente dal loro covo, trascinando un ciclomotore la cui provenienza non era affatto garantita… Almeno non andavo via a mani vuote, mi dissi per consolarmi.
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