Parte IIIPurtroppo scoprii che il motorino aveva bisogno di serie e costose riparazioni, per poter camminare autonomamente per strada come i suoi simili: in poche parole, capii che ero stato bidonato, o meglio ulteriormente sbeffeggiato, dalla banda di Fiammetta. E tale constatazione tornò a… incendiarmi il sedere, come la sera in cui ero stato percosso. Pur tra mille dubbi, sentivo che non dovevo farla passare liscia a quelle carognette; quindi mi decisi a rivolgermi ad un mio lontano zio, che lavorava nella polizia, per chiedergli consiglio ed eventualmente per denunciare Fiammetta e le sue complici.Zio Arturo, dopo aver ascoltato la mia dettagliata esposizione dei fatti, mi disse di stare tranquillo e promise di intervenire. E infatti, stando a quel che mi disse poi, quella sera stessa, ottenute a tempo di record le autorizzazioni del caso, effettuò una perquisizione nel garage di via Cumugnani, ma… non trovò assolutamente nulla!* Niente, Nello, credimi! Vuoto e pulitissimo – mi assicurò zio Arturo.* Ma come? Come hanno fatto? Ti assicuro che era pieno di roba… tutta di provenienza sospetta, sicuramente – obiettai.* Non so che dirti… Evidentemente quei figli di puttana hanno subodorato qualcosa e hanno portato via tutto – argomentò lui.* Ma come hanno fatto, in poco più di ventiquattr’ore?* Eh, Nello, quella è gente che sa il fatto suo. Sarebbero capaci di fare sparire un autobus in pieno centro, in mezzo alla folla. Secondo me, la figlia di don Pino ti ha dato appuntamento là proprio sapendo che dopo avrebbero fatto portare via tutta la roba. Sicuramente avevano già deciso di cambiare covo. Lei non era certo così scema da mettersi a rischio di venire denunciata e beccata lì come una principiante, con tutta la refurtiva.* Però capisci che la cosa mi fa rabbia… – commentai amaramente.* Sì, certo… La prossima volta però cerca di stare con gli occhi aperti.Fatti furbo, non andare ad appuntamenti con gente dubbia. E se rivedi quelle lì per strada, fammelo sapere. A quanto pare, Fiammetta si è resa irreperibile; don Pino addirittura dice che vuol denunciarne la scomparsa, ma è chiaro che è tutta una mossa. Mi raccomando a te: se la vedi, avvertimi.* Sì, zio. Grazie.* E di che?Facendo la solita strada per andare a scuola, speravo di incontrare nuovamente Fiammetta, prima o poi. Ma passavano i giorni e lei sembrava svanita nel nulla. Probabilmente sapeva che il terreno ormai le scottava sotto i piedi e aveva dunque deciso di eclissarsi. Il fatto che fosse riuscita a fregarmi e a farla franca, non mi andava proprio giù; ma non potevo far altro che aspettare, purtroppo.Un giorno, mentre, uscito da scuola, stavo camminando per una via secondaria che facevo spesso per arrivare prima a casa, un gruppetto di ragazze, che apparentemente stazionava per i fatti suoi davanti ad un bar, mi si parò davanti non appena mi ebbe a tiro. Dopo lo stupore iniziale, mi sembrò di riconoscere alcune di loro. In particolare, quella che mi rivolse la parola era Miriam, la morettina vivace della banda di Fiammetta: non c’erano dubbi.* Ciao, ma perché vai sempre così di fretta? – mi disse. – Lo sai che ci devi alcune spiegazioni?* Perché? – feci io.* L’hai fatta grossa, bello! – replicò lei. – Ti sei permesso di andare alla polizia, eh?* Voi… voi l’avete fatta grossa, non io! – esclamai, sentendomi tuttavia piuttosto preoccupato.* Mm… Fiammetta sperava che tu avessi capito come ci si comporta, dopo quella punizione – affermò Miriam, – ma a quanto pare tu sei testardo. Beh, noi lo siamo più di te, sai?* Non mi piacciono queste minacce – commentai.* Ah, non ti piacciono? Avete sentito, ragazze? Non gli piacciono! – rise Miriam, e le fecero eco gli sghignazzi delle sue complici. Subito dopo, l’espressione della mia interlocutrice si fece tesa, mi mise davanti al naso un coltello a serramanico, e ne fece scattare la lama con un rumore sordo e sinistro, dicendo: – Vuoi vedere se sappiamo usarlo bene o ti fidi sulla parola?* Che volete? – domandai con la poca voce che mi rimaneva in gola, dopo lo spavento causatomi dalla comparsa dell’arma.* Che la smetti di fare lo stupido! Questa volta lo sgarbo è stato troppo grosso… Non possiamo lasciartela passare così.* Sei un pezzo di merda, una spia! – intervenne Caterina, che sulle prime non avevo notato. – Come hai potuto farlo?* Certe cose si pagano! – aggiunse Alessandra, una biondina dallo sguardo torbido, mostrandomi anche lei il suo bel coltello.* No… ma siete impazzite? Ragioniamo, scusate… – dissi, con la fifa che mi saliva in corpo a gran velocità.* Tu devi imparare a comportarti, una buona volta – dichiarò Miriam, accarezzandomi una guancia con la parte piatta e innocua della lama. – Hai capito o no?* Carogna… – sibilò Caterina, lanciandomi uno sguardo ostile e terribile.* Meriteresti di affogare nella tua stessa merda.* Stavolta il segno che ti vogliamo lasciare è più profondo – continuò Miriam, divertendosi ad accarezzarmi dolcemente la guancia e il collo col suo coltello: – Fiammetta ti aveva avvertito. Scegli tu… Dove vuoi che te lo lasciamo il ricordino?* Vi prego… – balbettai, non riuscendo ad aggiungere altro.* Non siamo mica la madonna, noi… Vai a pregare qualcun altro! – replicò Alessandra, con occhi torvi e impietosi.* Peccato per queste tue belle guancette – disse Miriam, accarezzandomele stavolta con la mano, con derisoria tenerezza. – Che dite, ragazze? Gli facciamo vedere che abbiamo sempre un cuore?* E’ un bastardo – insisté Caterina, evidentemente assetata di vendetta.* Vogliamo proprio rovinargliele, queste guancettine tonde da secchione? – chiese ancora Miriam. – In fondo, possiamo accontentarci anche di un po’ di soldi, no?* Mm… Fammele vedere bene da vicino, ‘ste guance – replicò Alessandra, e mi si avvicinò, cominciando anche lei a sfiorarmi il volto con la lama.* Che ne dici, Alessa’? Non è un peccato? – fece Miriam.* Sì, però lui è uno stronzo, non merita niente – rispose la bionda, appoggiandomi la lama sotto la gola. – E se gli lasciamo un ricordino, righerà dritto, finalmente, secondo me… perché ogni volta che si guarderà allo specchio si ricorderà di noi.* Facciamo così – propose Miriam: – se lui ci paga un pranzo e una cena, e viene a trovarci da solo dove noi gli diremo, lo lasciamo andare. Naturalmente, se cercherà di fare il furbo, pagherà tutto… e con gli interessi. Che ne dite?* Diamo retta a Miriam, ragazze – intervenne un’altra complice, castana e dal viso candido, di cui non ho mai saputo il nome: – secondo me, anche Fiammetta si regolerebbe così… E poi questo qua fra un po’ si caca sotto, se noi lo accarezziamo ancora coi nostri ferri…* Sono d’accordo – disse Morena. – E tu? – chiese poi a Caterina, la quale bofonchiò qualcosa d’incomprensibile, e poi decretò:* Va bene, mi associo… Ma quel pezzo di merda non se lo merita!* Ok, te la cavi con poco, per stavolta – mi disse Miriam, dandomi un invadente pizzico alla punta del naso. – Quanto hai in tasca?* Beh, io in genere non porto mai molto con me a scuola… Ecco… – risposi, cavando dalle tasche cinquemila lire, tutto ciò che avevo. – Mi servivano per la colazione di domani, ma… fa niente – spiegai.* Mm… Molto male, secchio’! – fece Miriam, scuotendo la testa e afferrando le banconote che le porgevo. – Dovrei proprio incazzarmi per questa specie di elemosina, ma lasciamo perdere…* Ma io di questo qui non mi fido mica – dichiarò Morena; quindi mi si accostò, dicendomi: – Vediamo cos’hai nelle tasche, bello!Detto fatto, infilò disinvoltamente le mani nelle tasche anteriori dei miei jeans e me le perquisì; nel compiere tale operazione, mi sfiorò più volte il cazzo, non so se volutamente, ma comunque la cosa mi provocò un principio di erezione, che mi turbò come la volta in cui ero stato sculacciato da Fiammetta. Evidentemente mi eccitava essere frugato da quella donna, anche in una situazione così tesa.Quando passò a frugarmi nelle tasche posteriori, mi sembrò che indugiasse un po’ troppo nel palparmi le natiche; e la vidi sorridere beffardamente, come se volesse farmi capire che si stava divertendo un mondo a mettermi in imbarazzo.Mostrandomi poi ciò che aveva trovato nelle tasche (fazzoletti di carta, un biglietto dell’autobus e roba simile), Morena commentò insolente:* Te ne vai in giro così? Non ti porti nemmeno i soldi per giocare a flipper e per gli sfizi!… Solo i soldi per la colazione, si porta, ‘sto bravo ragazzo. Ma che cazzo aspetti a farti mettere nel museo delle cere?* Comunque Fiammetta vuole parlarti – m’informò Caterina: – ti aspetterà al “Winner’s Paradise” domani pomeriggio… diciamo alle cinque. Sai dov’è?* Di nome… Ma non ci sono mai stato – affermai, e non mentivo: sapevo solo che si trattava di una famosa sala giochi, che si trovava in una zona che io non frequentavo.* Non mi meraviglio – commentò ironica Morena, che mi diede l’indirizzo esatto del locale.* E mi raccomando: vieni da solo… e guai a te se spifferi qualcosa alla madama – concluse Miriam, con espressione minacciosa, mostrandomi ancora il coltello.* Ehi… – mi sussurrò Morena, avvicinandomisi: – fai il bravo… e vai a casa a cambiarti le mutande, perché sicuramente da quel bel culetto ti sarà scappato qualcosa – e così dicendo, me lo tastò ancora una volta, con aria divertita e complice al tempo stesso. Fu il suo modo di salutarmi…All’appuntamento preferii non andare: temevo che Fiammetta, incazzata con me per la denuncia, potesse farmela pagare cara, con una “punizione” esemplare. Comunque, non avvisai neppure mio zio: se avesse mandato i suoi uomini alla sala giochi, mi dicevo, non solo non avrebbe preso Fiammetta o la sua banda, ma la ragazza avrebbe trovato il modo di vendicarsi duramente con me, di persona o per procura (magari incaricando suo padre dell’operazione…). Insomma, mi sentivo tra due fuochi e così… scelsi di evitarli entrambi; scelta, come si può immaginare, scellerata, dato che di solito “tertium non datur” (eh, magari fosse così facile: sceglieremmo sempre il “tertium”!). Da quel momento, quando andavo e tornavo da scuola, cominciai a seguire percorsi tortuosi, per evitare le strade solite e scongiurare il rischio d’incontrare Fiammetta o qualcuna della sua banda. E per un paio di settimane, infatti, non si verificò nessun incontro spiacevole, tanto che il timore che avevo nei primi giorni dopo l’appuntamento mancato, man mano calò, fin quasi a scomparire. Mi credevo ormai “fuori pericolo”, o press’a poco.Una sera stavo passeggiando nei pressi di casa mia, col mio cane, un “bastardino” di piccola taglia e di colore scuro, con un musetto simpatico, le orecchie che io definivo “da cocker” e due occhietti vispi ed espressivi, che a volte sembravano tristi. L’aria era fresca e io ero rilassato e spensierato: mi piaceva vedere la contentezza di Sax (il cagnolino), che stava pregustando una bella corsa nei giardinetti: infatti lui sapeva bene che la strada che stavamo percorrendo ci avrebbe in pochi minuti condotto lì. Ad un tratto, però, mi sentii chiamare da una voce alle mie spalle: era una voce femminile, che non mi sembrava di conoscere. Mi voltai, stupito, e vidi venire verso di me, a passi rapidi, Alessandra, una delle componenti della gang di Fiammetta. Sulle prime io non la riconobbi, forse perché era già buio.* Dove cazzo vai? – mi disse con voce alterata, quando mi ebbe raggiunto.* Scusi, chi è lei? – dissi a mia volta, sorpreso dal suo tono aggressivo.* Non fare lo stronzo, ché lo sai benissimo! Sono Alessandra… Ti ricordi adesso? E ti ricordi anche chi ci ha presentati, eh? Vogliamo sapere a che gioco stai giocando.* Ma… io quel giorno non ho potuto… – balbettai, vedendo che alle spalle di Alessandra sopraggiungevano altre complici di Fiammetta, a me ben note.* Senti, poche chiacchiere! – m’interruppe la mia interlocutrice. – Fiammetta ti ha aspettato per oltre un’ora e tu ti sei permesso di non venire. Vuol dire che la volta scorsa siamo state troppo buone: avremmo dovuto dare una raschiatina a quella faccia di culo che hai!* A noi non va di essere prese per il culo: siamo fatte così – intervenne Miriam, che insieme a un’altra decina di ragazze ci aveva nel frattempo raggiunto.* Lo sgarbo è troppo grosso! Mo’ è il momento di pagare! – sentenziò Gioia, guardandomi negli occhi.* Forse sei così scemo che credevi di poterci scappare – commentò Miriam: – ebbé, allora anche per questo meriti di pagare, perché fesse non siamo, hai capito?* Sentite… ditemi quanto volete… – dissi. – Casa mia è vicina, vado a prendere un po’ di soldi e ve li porto…* Ma stai zitto! – replicò Miriam, adirata. – Stavolta non te la cavi con l’elemosina!* Per favore… Vi chiedo scusa! Ma vi giuro che quel giorno sono stato male… non son potuto venire all’appuntamento… Ve lo giuro, è così! – mi difesi disperatamente.* Tu sei solo un pezzo di merda! – mi alitò in faccia Alessandra. – Devi ancora imparare a stare al mondo!* Però è bello ‘sto cane… – disse una ragazza dal volto grazioso, che credo si chiamasse Luisa, e che nel frattempo si era chinata ad accarezzare Sax. – E’ tuo?* Sì… – risposi.* Ce l’hai da molto?* Beh… è già un anno.* Allora immagino che gli vorrai molto bene…* S… sì – ammisi. Non so se l’avessero già deciso, o se maturarono la decisione in quel momento, ma sta di fatto che a quel punto le ragazze della banda compirono ai miei danni un’altra delle loro azioni fulminee: alcune di loro mi spinsero violentemente da dietro, e un’altra (forse proprio Alessandra) mi fece lo sgambetto; io quindi persi l’equilibrio e caddi in avanti; cercando di parare con le mani l’impatto col suolo, mi feci sfuggire il guinzaglio di Sax, che fu prontamente afferrato da Luisa. Immediatamente dopo, gran parte della banda fuggì via col mio cane; mi rialzai e, pur dolorante, feci per inseguire le ladre, ma mi si pararono davanti minacciose Miriam, Alessandra, Gioia e un’altra ragazza di cui non ricordo il nome, tutte coi coltelli spianati, pronte a colpirmi.* Stai calmo, è meglio per te – esclamò Miriam, fissandomi con aria determinata. – Se vuoi rivedere il tuo cane – aggiunse, – devi venire a parlare direttamente con Fiammetta, nel posto che già sai. Domani alle sei. E se stavolta non vieni, sarà peggio per il tuo amichetto…* Naturalmente devi portare la grana – disse Alessandra. – Ma non te la cavi con cinquemila. I cinque e i deca noi li usiamo giusto per soffiarci il naso, chiaro?* E quanto, allora? – domandai, allarmato per la sorte di Sax, la sola cosa che mi occupasse la mente in quel momento.* Visto che è solo un bastardino… e conoscendo le tue tasche vuote, diciamo un trecentomila – stabilì Miriam.* Ma è tanto! Come faccio a trovare una somma così entro domani?* Al massimo puoi pagare in due tranche… metà domani e metà un’altra volta.* Magari domani ti diamo mezzo cane… e l’altra metà alla fine – propose Gioia, con macabra ironia. Le altre risero.* Dai, non disperarti, te lo ridaremo tutto intero, il tuo amichetto, se rispetterai i patti. Altrimenti ce lo terremo noi: che credi? A noi piacciono gli animali! – mi assicurò Miriam. – E adesso vattene a casa, bimbo!Le quattro rinfoderarono quindi i coltelli e raggiunsero con calma le loro moto, con le quali si dileguarono.Là per là, infuriato per l’affronto subito, mi dissi che avrei dovuto immediatamente riferire tutto a zio Arturo; ma poi, riflettendo sulla situazione, mi andai convincendo che l’unica soluzione sensata era quella di pagare il riscatto: ne andava della vita di Sax. In fondo, non potevo sapere come si sarebbe comportata la gang di fronte a un’irruzione della polizia: e se avessero deciso di far fuori il cane, per farmela pagare, con un ragionamento del tipo: “Bene, non avremo niente noi, ma non avrai niente nemmeno tu”?Parte IVNon avevo mai messo piede al “Winner’s Paradise”: quando entrai, mi sentii spaesato e d’altronde le facce che vedevo in giro non contribuivano a mettermi a mio agio. Mi sentivo osservato, squadrato con sospetto da decine di occhi; perciò mi aggiravo per la sala con estrema circospezione, come se per terra ci fosse un tappeto di bicchieri di cristallo e io dovessi stare attento ad ogni passo a non infrangerli.Finalmente, quasi in fondo al locale, individuai tre ragazze della banda di Fiammetta, che si accanivano su un videogioco di battaglie spaziali. Mi avvicinai a una di loro, quella che mi ispirava maggiore fiducia, Rossana, e le toccai un braccio per attirare la sua attenzione. Si voltò bruscamente verso di me, ed esclamò:* Ah, sei venuto, questa volta!* Porca miseria! E’ il terzo gettone che mi mangia, ‘sta fetente! – commentò nel frattempo Caterina, dando un pugno sullo schermo del gioco.* Ehi, vedete chi c’è qua: l’amico nostro! – annunciò Rossana, indicandomi alle amiche.* Ti sei degnato, eh? – fece Caterina, sbirciandomi in cagnesco.* Aveva scommesso che non venivi – mi spiegò Rossana sottovoce: – ora ci deve una partita a “Moon Battles”.* Beh, non perdiamo tempo – riprese la rossa: – vieni con noi da questa parte.Seguii le ragazze nel retrobottega della sala giochi: evidentemente a loro era consentito l’accesso.* Hai portato i soldi? – mi domandò Caterina.* Solo duecentomila… Sapete, non ho proprio potuto trovare di più – spiegai.* Ok, va bene: spiegherai tutto a Fiammetta – replicò la mia interlocutrice.* Adesso dobbiamo farci un viaggetto in moto, per raggiungerla – aggiunse: – ti dispiace?* L’importante è che risolviamo la faccenda – risposi.* Allora spicciati – disse Caterina laconicamente, mentre Lori, la terza ragazza del gruppetto, apriva una porticina che dava su una strada secondaria, alle spalle della sala giochi.* Vieni, ti porto sulla mia moto – mi propose Rossana.* Ma no, lui viene sulla mia! – s’intromise Caterina, al che l’amica replicò:* Non credo che Nello sia abituato alla tua guida da matta… Dai – disse poi, rivolgendosi a me, – se ci tieni ad arrivare intero e senza vomitare, ti consiglio di venire con me.* Ma andate a cagare – commentò Caterina stizzita, sistemandosi sulla sella della sua moto.E così presi posto, non senza timore, sulla moto di Rossana, alle spalle di quest’ultima. Le altre due ragazze partirono a razzo, mentre la mia accompagnatrice cercò di guidare con attenzione e prudenza, forse proprio per non mettermi a disagio. Comunque cominciai a preoccuparmi, quando notai che stavamo uscendo dalla città: mi chiedevo dove mi stessero portando quelle svitate…Percorremmo certamente un paio di chilometri fuori dell’abitato, prima di arrivare ad un capannone dove vidi che si fermò la moto di Caterina, che era davanti alle altre. All’interno di quello che aveva tutta l’aria di essere un vecchio magazzino industriale dismesso, trovai la banda probabilmente al gran completo: c’erano infatti almeno una trentina di ragazze. Appena mi vide, Fiammetta mi venne incontro, esclamando:* Il simpaticone nostro, eccolo qua dove sta!Mi diede quindi un buffetto sulla guancia, e soggiunse:* Te n’eri andato in vacanza, eh? Ti eri scordato delle amiche tue… Tu sai bene che abbiamo un po’ di conti da regolare… e io sono peggio di una calcolatrice. Riporto tutto al centesimo!La sua faccia, a questo punto, si fece seria; disse: – E mo’ abbassati, pezzo di merda! In ginocchio, hai capito?Sapevo bene che non era il caso di contrariarla. Inginocchiandomi, chiesi soltanto:* Il mio cane dov’è?* Non pensare al cane. Lo faremo venire al momento giusto. Adesso stai zitto! E pensa a non farmi incazzare… Tanto per cominciare, ti sei dimenticato di una cosa.* Che cosa?* Come che cosa? Il saluto, grandissimo animale! Te l’ho insegnato l’altra volta e tu già te ne sei scordato!Così dicendo, si abbassò i jeans e si voltò, mettendomi letteralmente il culo in faccia.* Sai quello che devi fare, no? – commentò sarcastica.Certo che lo sapevo… Mi affrettai a baciarle le chiappe, per potermi liberare al più presto di quell’umiliante incombenza.* Lo sai fare proprio bene: ti viene così naturale… – osservò Fiammetta, aggiungendo: – E siccome con le mie amiche condivido tutto, voglio che anche loro provino il piacere di sentirsi baciare lì da un formidabile leccaculo come te.Le risate intorno a me si sprecarono… La boss, gasata dall’ilarità generale, continuò:* Avanti, stronzo, non fare aspettare le signore! Avvicinati a Luisa: non vedi che si è già calata i pantaloni? Che aspetti? Vai da lei, camminando in ginocchio! Quelli come te non dovrebbero mai stare in piedi…Muovermi sulle ginocchia era un tormento, perché il pavimento non era regolare: c’era un’infinità di pietruzze e calcinacci che certo quando si calpestano con le scarpe neppure si notano; ma camminando in quel modo avvertivo ogni minima asperità e facevo smorfie di dolore, che le presenti si divertivano ad osservare.Omaggiai anche le posteriori rotondità di Luisa; poi toccò a un’altra; e a un’altra ancora… Le ragazze si abbassavano a turno i calzoni o la gonna, attendendo il mio bacio; fui costretto a fare ginocchioni il giro del magazzino, per accontentare tutte. Infatti loro non si erano sistemate una accanto all’altra, ma, per complicarmi la vita, si erano posizionate in modo disordinato, sperdendosi nell’ampio stanzone. Mi misi a baciare quei culi quasi meccanicamente, perché sentivo le gambe doloranti e non vedevo l’ora che cessasse quel supplizio. Eppure, di tanto in tanto, quando mi avvicinavo a qualcuna di quelle chiappe, sentivo svegliarsi in me il desiderio, e mi sembrava così strano che mi accadesse in una situazione tanto penosa. Ricordo che baciai con particolare trasporto le abbondanti natiche di Caterina, dalla cui carnale sensualità ero stato sempre affascinato. Ma chissà se le riconobbi davvero, in quel turbinio di sederi, tutti simili e tutti diversi, che mi capitarono davanti agli occhi e alla bocca quella sera…Alla fine del “tour”, la mia smorfia di dolore era diventata una maschera tragica, e Fiammetta mi permise di sedermi per terra, ponendo fine al primo atto della punizione che aveva architettato a mio danno. Dopo qualche minuto di tregua, m’interrogò:* Hai preso un po’ di fiato? – e sorridendo sinistra, mi fece: – Dai, adesso viene il meglio… Non senti caldo? Ora le mie amiche ti faranno stare più fresco, senza tutta quella roba addosso.* No, vi prego… Che cosa volete fare? – implorai allarmato, vedendo che varie sue complici, forse sette o anche otto, venivano in gruppo verso di me.* Rilassati, non ci pensare: è uno sforzo inutile, per te – mi consigliò con cinica ironia Fiammetta. – E poi non ti dobbiamo spiegare proprio un bel niente, dopo quello che ci hai fatto. Non credi?A un cenno della boss, le sue sette complici s’inginocchiarono attorno a me, mi costrinsero a stendermi sul pavimento e cominciarono ad armeggiare coi miei abiti: capii che volevano spogliarmi. Non sapendo dove volessero arrivare, avevo una gran paura.* Ma che volete fare? – insistei a chiedere; ma non ebbi risposta. Provai ad impedire alle ragazze di sfilarmi i pantaloni, ma ancora una volta il numero prevalse. Mi denudarono completamente, quindi mi fecero alzare e mi ammanettarono con le mani dietro la schiena.* Queste siamo riuscite a procurarcele proprio oggi, in tuo onore – affermò Fiammetta, riferendosi alle manette. Quindi mi spinse personalmente verso il muro, accanto a un tubo di metallo alquanto arrugginito, che dal soffitto scendeva sino al suolo.* Adesso mettiti seduto – mi ingiunse. Appena mi fui sistemato come desiderava, m’incatenò il collo al tubo, utilizzando una catena non molto lunga, come quelle che talvolta si adoperano per chiudere i cancelli o per impedire (quando ci si riesce) il furto di moto o biciclette. Quando sentii lo scatto del lucchetto, un brivido di terrore si arrampicò su per la mia schiena.* Cosa credi che vogliamo farti, eh? Scommetto che non riesci nemmeno a immaginarlo – disse Fiammetta, con un sorriso cinico.* Te la stai facendo sotto? Bada che non vogliamo sentire l’odore della tua merda – soggiunse Caterina, che mi si era avvicinata, come tante altre, per godersi lo spettacolo che involontariamente offrivo, nudo e incatenato.* Ah, un consiglio… è inutile che urli e strilli, perché non ti può sentire proprio nessuno: qui dentro ci siamo solo io e le mie amiche – precisò Fiammetta. – Non è un divieto, eh, sia ben chiaro: se ti va di urlare, fallo pure… può darsi anzi che, per ciò che ti faremo, sarai tentato di gridare come un matto… Solo sappi che nessuno verrà in tuo aiuto.Le parole della ragazza accentuarono la mia paura: forse era proprio ciò che lei e le sue amiche desideravano; ma non avevo scampo. Ero costretto ad attendere gli eventi, col sudore che cominciava a scendermi freddo lungo la fronte.* Bene… Per prima cosa, dobbiamo lasciarti un bel segno addosso, di quelli che non puoi fare a meno di notare. Così ti ricorderai una volta per tutte di noi, visto che hai la memoria troppo corta. Non siete d’accordo, ragazze? Propose la boss, e tutte le complici approvarono divertite e gasate.* Ecco qua, allora… – riprese lei: – io direi…Sembrò interrompersi; si chinò su me e mi sfiorò il petto con l’indice; fece indugiare il dito sui miei capezzoli, poi me lo infilò tra i peli del torace, giocandoci un po’; e finalmente terminò la frase:* Sì, direi che potremmo togliergli questo inutile boschetto che ha addosso.Ora ti depiliamo per bene, simpatico’! Non sei contento? – fece, guardandomi con aria insolente.Ebbi solo la forza di scongiurare: – Vi prego… – poi non riuscii ad aggiungere altro. Le ragazze erano evidentemente già al corrente dei desiderata del capo, perché alcune di loro portarono l’occorrente per procedere alla depilazione.* Stasera ci divertiamo… è meglio della discoteca – commentò Fiammetta, mentre alcune delle sue amiche si piazzavano intorno a me, fornite di alcuni oggetti dall’apparenza tutto sommato innocua, che però, date le circostanze, mi sembravano inquietanti.Morena cominciò a strapparmi i peli del torace con una specie di foglio che non avevo mai visto: mi fece però discretamente male, tanto che lanciai gli urli che Fiammetta aveva previsto.* Ma non fare la tragedia: non ti stiamo mica scuoiando! – rise la mia torturatrice.Ad un certo punto, dopo un lungo armeggiare, quando probabilmente le ragazze avevano deciso che mi avevano tosato a dovere il petto, Fiammetta mi si avvicinò e, con una certa aria di mistero, mi disse:* Adesso c’è la parte più importante…Dopo qualche attimo la vidi affrontare i miei peli pubici, e capii che era arrivato il loro turno.* Stai attento – mi mise in guardia ridacchiando, – perché se fai movimenti bruschi, rischi di perdere il tuo bel gioiellino.Lei però non usò i metodi di Morena: infatti adoperò le forbici, limitandosi ad accorciarmi i peli; poi, quando ebbe ottenuto una peluria molto corta, si fece dare un rasoio a lametta da Gioia, e con quello lavorò per parecchi minuti, anche se non capivo cosa stesse facendo. Me ne resi conto soltanto alla fine, quando si alzò e annunciò:* Ora ci hai anche il marchio: dovunque andrai, sapranno che sei passato dalle mie mani. E stavolta proprio non potrai far finta che io non ci sia, perché ogni volta che ti toglierai le mutande ti ricorderai di me.C’era un’incontenibile ilarità sui volti di tutte le presenti, e dandomi un’occhiata al pube potei capirne la ragione: Fiammetta aveva infatti disegnato coi miei peli, proprio sopra l’uccello, appena accennata ma abbastanza chiara, una “F”, l’iniziale del suo nome. Come fosse riuscita a realizzare un'”opera” del genere, non sapevo spiegarmelo… evidentemente doveva avere una certa pratica…La boss mi s’inginocchiò di nuovo davanti e dichiarò:* Guarda che è un’opera d’arte, non te la devi prendere… e secondo me s’intona anche col tuo ciccetto… Tanto tu ce l’hai quasi sempre moscio, no?Così dicendo, sistemò il cazzo sul palmo della mano, stesa in orizzontale e aperta, e lo tirò leggermente su, con delicatezza.* Ehi, guardate – disse rivolgendosi alle amiche, – non vi fa tenerezza, per quanto è piccolo?* Ma sì, è così cucciolo e indifeso… Tesoro! – concordò beffarda Miriam.* Sì, ma è troppo piccolo per farci qualsiasi cosa – obiettò Gioia, unendosi al gioco.* Ma dai, non spaventare il pupo! Che cosa vorresti farci con un pisellino così, se non prenderlo tra le mani come una creatura indifesa, proprio come sto facendo io? – replicò Fiammetta.* Mm, ma come? – intervenne Caterina. – Ci sono un bel po’ di cose che si possono insegnare a un cazzetto così. Ci vuole solo un po’ di fantasia…* Dai ragazze, ora me lo state risvegliando, coi vostri discorsi… – disse Fiammetta.Infatti, stavo cominciando ad avere un’erezione; e la boss osservava divertita il mio cazzo crescere sul palmo della sua mano.* Crescono proprio in fretta, questi bei cazzetti – commentò Caterina. – Una non fa in tempo a sospirare, che se li trova già grandi tra le dita. Neanche il tempo di coccolarli un po’, che diamine!* Meglio, così gli si possono insegnare tutti i trucchi – sostenne Miriam.* Allora, ragazze, visto che parlate di fantasia… Che cosa ci fareste con un uccello così? – domandò Fiammetta, mentre me lo accarezzava lievemente, con il palmo stesso sul quale era appoggiato, assecondandone l’erezione, che intanto si faceva sempre più decisa ed evidente.* Certo che sei proprio un grande zozzone, se ti arrapi in queste condizioni… – mi sussurrò la boss. – Lo sai che fine potrebbe fare il tuo uccello, eh? Lo sai? Mentre voi pensate, ragazze, mi diverto un po’ io – aggiunse, prendendo da una tasca il suo coltello a serramanico, e facendomelo scattare vicino al viso, per godere della mia reazione spaventata.* Sai cosa potrei fare, io, al tuo ciccetto, al tuo prezioso pisello, eh? – disse poi, strofinandomi sul cazzo la superficie piatta della lama: il freddo del metallo mi diede uno strano brivido, che esprimeva ad un tempo il mio terrore e la mia eccitazione. Speravo che Fiammetta volesse soltanto giocare; ma non potevo esserne certo… Non capivo dai suoi occhi se volesse solo vedere la paura nei miei o se la follia si fosse impadronita di lei al punto di indurla a farmi male sul serio; e quest’incertezza mi dava una sensazione mai provata. Ero spettatore dei miei stessi stati d’animo: stavo a vedere come reagivo ed ogni attimo ne valeva centinaia, in virtù della mia esasperata attenzione; in simili condizioni, del resto, non avrei potuto avere il ruolo di protagonista-decisore. Non avevo alternativa, dunque mi lasciavo semplicemente andare a ciò che mi era concesso.* Guarda che maiale che sei – mi ripeteva Fiammetta, continuando a sfiorarmi il pene col suo coltello: – ce l’hai duro, mentre ti ci passo sopra la lama con la quale potrei tagliartelo… E chi ti dice che non ci stia già pensando? Chi ti dice che non avrei voglia di staccartelo? Hai paura?Mi guardava con aria di sfida: nei suoi occhi c’erano divertimento e minaccia. Sentivo il metallo che mi accarezzava il cazzo di sotto in su, con lentezza esasperante; poi sentivo che rifaceva la strada in direzione opposta, verso il basso, sempre molto lentamente… Mi sembrava d’impazzire, e non sapevo neppure bene per quale motivo; non capivo come mai avessi un’erezione in un momento così poco piacevole. Mi accorsi che Fiammetta, con la mano libera, si stava toccando: dunque ciò che stava facendo la eccitava fisicamente.* Non sapevo che fosse così piacevole – si lasciò scappare la ragazza. – Qualche volta avevo avuto delle strane fantasie, ma ora che le sto realizzando mi piace da morire! Però tu non sai fino a che punto voglio spingermi… Tu sei solo un bastardo che mi ha mancato di rispetto; uno stronzo che voleva mandarmi in galera… perciò mi piace l’idea di potermi vendicare… Mi fa godere! e non sai quanto…Man mano che passavano gli attimi e poi i minuti, la mia paura cresceva: quel coltello era sempre a contatto con le mie parti intime; mi accarezzava con sinistra delicatezza la cappella, poi mi lisciava l’asta e di tanto in tanto andava persino a stuzzicarmi lo scroto. Guardandomi attorno, notai ad un certo punto che una decina di ragazze si erano sistemate intorno a noi, a godersi la scena; e soprattutto mi accorsi che la maggior parte di loro si stava masturbando. Vedevo i loro volti contratti per il piacere, mentre le mani andavano a stuzzicarsi le passerine; sentivo persino gemere alcune di loro. Ma tutto questo lo notavo molto distrattamente, come immerso nella nebbia, perché ciò che Fiammetta mi stava facendo non mi consentiva distrazioni: non potevo staccare la mia mente dalla lama che la ragazza impugnava e alla quale era legato in quel momento il mio destino, per così dire.E improvvisamente Fiammetta scostò il coltello dai miei genitali e me lo portò alla bocca, ingiungendomi:* Adesso leccalo! Tira fuori quella lingua, avanti, se non vuoi che m’innervosisca… e finché ho questo in mano, non ti conviene troppo che io perda la calma, no?Il cuore mi batteva all’impazzata, sentivo il terrore farsi strada nella mia mente a rapidi passi; la mia stessa eccitazione vacillava… e io, per scacciare il primo e riattizzare la seconda, assecondai la mia aguzzina. Lei mi avvicinò repentinamente il coltello alle labbra, di piatto, fin quasi a schiacciarmelo sulla lingua, non appena la tirai fuori, ed esclamò:* Forza! Stai attento ché te la taglio veramente, stronzo!In quelle condizioni avevo paura di farmi male sul serio, ma affrontai il rischio e cominciai a leccare l’arma, lentamente, quasi con passione. Fiammetta e le altre sembravano galvanizzate dallo spettacolo: sentivo che ansimavano e gemevano e, da quello che potevo intuire, si stavano masturbando furiosamente. Riuscivo a intravedere gli occhi di Fiammetta, di tanto in tanto, e notai che brillavano di piacere.* Lecca, bastardo – mormorò la ragazza: – giuro che stasera ti farò cacare per la fifa… Per quello che mi hai fatto, nessuna punizione è abbastanza severa.I pensieri più foschi mi attraversarono il cervello, mentre continuavo a leccare il coltello: mi andavo convincendo che non sarei uscito “intero” da quel posto e da quella sera. Poi, ad un tratto, sentii Fiammetta ansimare più intensamente, come se stesse arrivando all’apice del piacere, e quindi fermarsi bruscamente: finalmente allontanò il coltello dal mio viso e lo rinfoderò.* Avanti, sotto a chi tocca, ragazze – disse, rivolta alle complici: – vi siete fatte venire qualche idea?* Io – rispose Gioia, facendosi avanti: – ragazze, passatemi le forbici!* Che hai in mente? – le domandò Miriam, ridacchiando.* Guarda e lo saprai – replicò sibillina l’amica.Parte VFiammetta si fece da parte per lasciar posto a Gioia, la quale, non appena ebbe in mano ciò che aveva chiesto, cominciò a… tagliarmi i capelli.* Che cazzo stai facendo, Gio’? – chiese ancora una volta Miriam, piegandosi in due per le risate.* Lo sto rapando a zero, il signorino… così avrà un altro bel ricordino… e questo non lo può neanche nascondere nelle mutande! – rispose l’altra. – Stai tranquillo – aggiunse poi, rivolta a me, – adesso va anche di moda. Mo’ anzi, sai che faccio? Ti creo una bella cresta, tipo punk, così piacerai di più… e magari riesci a portarti a letto finalmente qualche povera sventurata…Man mano che la ragazza procedeva nell’improvvisato taglio della mia chioma, le sue amiche si divertivano a incitarla, sghignazzando di gusto.* Non ci ringrazi, simpatico’? – mi schernì Miriam. – Guarda che grazie a Gioia potrai tenere in esercizio il tuo cazzetto e farlo stare un po’ al caldo in qualche bella patatona accogliente, dopo tante seghe!Questa battuta divertì particolarmente le presenti, tanto da farle sganasciare per le risate. Quando ebbe finito la sua “opera”, Gioia mi diede un buffetto sulla guancia, commentando:* Ti ho fatto un capolavoro, simpatico’! Vedessi che bella cresta che hai!La sola idea che mi avessero conciato in quel modo i capelli mi deprimeva; ero certo che per almeno un mese mi sarei vergognato di uscire di casa. E poi, chissà i commenti dei miei, non appena mi avrebbero visto tornare a casa conciato così! Non volevo neppure pensarci… e non ne ebbi d’altronde il tempo, perché rapidamente Gioia si fece da parte, lasciando il posto a Caterina, che si abbassò con gesto repentino i calzoni e le mutandine e, mostrandomi la passera, disse:* L’avevi mai vista così da vicino, eh? Stampatela bene nella testolina, visto che non la frequenti spesso…Sentii ridere le sue amiche, mentre lei mi avvicinava praticamente la fica al naso, aggiungendo:* Mm… Guarda, servizio completo! Ti faccio anche sentire che odore ha…Che fai, non mi ringrazi? Ehi, stronzone, dico a te! Io ti sto facendo annusare la mia fica e tu nemmeno mi dici “grazie”?Nel pronunciare quest’ultima frase, Caterina allargò leggermente la vulva e me la strofinò prepotentemente sul naso. Sentii tra l’altro distintamente la sua clitoride turgida sulla punta del mio organo olfattivo. Era la prima volta che facevo caso a quella particolare e sensibile protuberanza del sesso femminile: la scoperta mi spiazzò e mi eccitò.* Ecco là – commentò la ragazza scostandosi da me: – ti sta tornando duro.* Lo sappiamo tutti ormai che sozzone è – le fece eco Fiammetta. – Non si stanca mai di esibirlo…* Ragazze, adesso vi faccio vedere io a che serve quando diventa duro e grosso – intervenne Manuela, una falsa bionda dallo sguardo provocante, che si sfilò prontamente la minigonna e, con mia sorpresa, la gettò verso il mio uccello dritto all’insù, sul quale l’indumento… rimase appeso (discreta mira, da quasi due metri di distanza…).Molte delle presenti, a quel punto, scoppiarono a ridere, mentre Manuela spiegava: – Come? Non lo sapevate? E’ un attaccapanni!* Ma no, Manue’! Che attaccapanni? Non hai capito niente – intervenne Miriam: – guarda me e impara a cosa serve veramente l’uccello duro…Ciò detto, la ragazza terminò rapidamente di scolare l’aranciata che stava bevendo e quindi mi si avvicinò. Non avevo assolutamente capito che intenzioni avesse; e del resto, come avrei potuto indovinare? Appena mi si fu accoccolata davanti, tolse rapidamente la minigonna di Manuela e al suo posto, sul mio cazzo, mise, capovolto… il bicchiere di plastica nel quale aveva da pochissimo bevuto. Immediatamente sentii sull’uccello una certa sensazione di freddo e di bagnato, a causa delle gocce di aranciata rimaste nel bicchiere, che colarono lungo l’asta e sulle palle. Ma soprattutto sentii le risate raddoppiate delle ragazze, alle quali fece da controcanto l’intenso senso di imbarazzo che provai in quel momento.* Ah, ah, ah! Avete visto? Imparate, ignoranti! – sghignazzò Miriam.* Ma dai! Che cos’è ‘sta roba? Mi meraviglio di te!… Non è mica l’unico gioco che si può fare, coi bicchieri… Ce ne sono di più divertenti – dichiarò a sua volta Morena.* Ah sì? E facci un po’ vedere, tu che sai sempre tutto! – la sfidò l’amica.Morena raccolse all’istante l’invito: afferrò un bicchierino da liquore che era appoggiato con altri su un tavolino pieghevole (evidentemente, di lì a poco le ragazze si sarebbero date ai bagordi) e venne verso di me, con un sorriso poco promettente.* Stammi bene a sentire… – mi sussurrò, quando, inginocchiatasi davanti a me, si apprestava a togliere il bicchiere di plastica che in quel momento ricopriva beffardamente parte del mio cazzo. – Ora ti propongo una scommessa… Prima, però, devo ridarti un po’ di carica, perché ti si sta ammosciando – aggiunse; quindi cominciò a menarmi l’uccello, e contemporaneamente a darmi languidi baci sfiorati sul collo e sotto l’orecchio.La sua stimolazione ebbe un impatto fortissimo sui miei sensi, tanto che in pochi secondi il cazzo riprese quota e anzi mi sembrò di sentirlo duro e teso come non mai.* Ecco… ora ci siamo – commentò sottovoce Morena, smettendo di masturbarmi; subito dopo, sistemò il bicchierino da liquore, capovolto, sul mio cazzo.Il recipiente era abbastanza piccolo e stretto: poteva infatti contenere soltanto la parte superiore della cappella; dunque il suo equilibrio era precario… Di qui, la “scommessa” che la ragazza mi proponeva:* Se riuscirai a tenere su il bicchiere, diciamo così, per dieci minuti di fila, senza farlo cadere, noi ti libereremo subito e ti lasceremo andar via col tuo cane; se invece lo farai cadere, resterai qui fino a domani e dovrai pure sottoporti a una punizione. Ci stai?In realtà non avevo alcuna scelta… e così mi sottoposi a quella “prova”. In pratica, avrei dovuto mantenere duro e pressoché immobile il cazzo il più a lungo possibile, per evitare di far cadere il bicchiere, che vedevo già in equilibrio abbastanza instabile intorno al glande. Alla minima oscillazione del pene, il piccolo recipiente sarebbe finito rovinosamente al suolo. Non potevo aiutarmi con le mani, che erano fuori gioco, immobilizzate dietro la schiena. Dovevo dunque fare affidamento soltanto sull’eccitazione e sulla fantasia. E, per rendermi più difficile il compito, le ragazze si allontarono da me e si diressero verso il piccolo buffet che avevano allestito sul tavolino pieghevole: cominciarono a mangiare e a bere, scherzando fra loro e ignorandomi completamente; io dal mio canto facevo sforzi inauditi per mantenere dritto l’uccello: ripensavo alla fica di Caterina, al suo odore intenso, che sapeva di terra e di pioggia, di mare e di sabbia… chiudevo gli occhi, mi concentravo… Ripensavo ai baci di Morena, alla sua mano che mi provocava, alla sua leggera e impudica stretta al pene… Allo sguardo acceso di Fiammetta mentre il suo coltello percorreva, placido e minaccioso ad un tempo, le mie parti intime indifese… Alle sue cosce, sulle quali ero adagiato mentre mi sculacciava… le sue cosce calde, sulle quali il cazzo mi si faceva grande e duro, sfuggendo ad ogni mia razionale censura, in preda ad un selvaggio impulso che non conoscevo, come se si sentisse finalmente fiero e liberato sotto le percosse della ragazza e a contatto con la pelle liscia delle sue gambe.Constatai che stavo riuscendoci: il cazzo rimaneva duro, all’insù, e indomito reggeva ancora il bicchierino, che però vedevo oscillare leggermente. E le ragazze continuavano a ingozzarsi, lontano da me… I minuti passavano, sì, ma sembrava che se la prendessero fin troppo comoda, quei bastardi. Che cosa potevo fare per prolungare l’estasi? Provai a concentrarmi sulla situazione, serrando ancora le palpebre. Ero lì, immobilizzato, nelle mani della banda di Fiammetta… e la cosa mi procurava un’inspiegabile eccitazione… Ma sì, certo, era così… e allora dovevo pensare solo a quello. Ero completamente abbandonato ai loro voleri; avrebbero potuto persino farmi la pelle, quella sera, se avessero voluto, e io non mi sarei certo potuto difendere… Ero il loro zimbello, in quel momento, il loro oggetto di scherno, il loro bersaglio… Cos’altro avrebbero potuto farmi?… Provavo a immaginarlo; e intanto il cazzo, fortunatamente, faceva il suo dovere e stava su, come un bravo animaletto ammaestrato, per la gioia del padrone. Del resto gli stavo fornendo un bel po’ di materiale, con la mia immaginazione. Erano proprio integrati bene, la mia fantasia e lui; un vero team! Ma sul più bello sentii una voce che turbò i miei sforzi funambolici: era Morena, che mi si era avvicinata per comunicarmi, con intento provocatorio:* Ehi, siamo quasi a cinque minuti… te ne mancano altri cinque, non so se ce la farai; comunque vedo che ti stai impegnando, bravo!”Stronza!” pensai io di rimando; e mi resi subito conto che ero sul punto di cedere. Basta poco a far crollare quel castello di carte che è la nostra fantasia erotica… Me ne accorsi per la prima volta con tragica evidenza quella sera. Pochi secondi di vuoto e… “pluf!”, il pisello comincia inesorabilmente a perdere colpi, magari soltanto per una sciocchezza, per un’inezia; e quando comincia l’atterraggio d’emergenza, puoi dannarti quanto ti pare, non riprende quota. Lo devi lasciare andar giù e riposare… E se ne parla alla prossima corsa! In quel caso, in teoria avrei anche potuto rimediare: avessi almeno avuto libera la mano (non dico tanto: una sola!), mi sarei aiutato con quella e lui sarebbe tornato su. Ma con la sola forza del pensiero, miracoli non se ne possono fare… nemmeno per un uccello. Bastò poco, un leggero cedimento del mio organo virile (quasi uno sbadiglio di stanchezza, direi), e quel dannato bicchierino perse l’equilibrio, cascando sul pavimento con un rumore leggero sì, ma avvilente ed enorme per ciò che rappresentava per me.Subito accorse un bel gruppo di ragazze, con in testa Morena, che mi schernì:* Si vedeva benissimo che non eri capace… Non hai esperienza, sei ancora un poppante. E adesso lo sai cosa ti aspetta?* Prepara il culo, secchio’, ché stasera te lo facciamo a strisce! – mi annunciò eloquentemente Miriam.Le sue parole mi fecero l’effetto di una scossa, che sentii attraversarmi rapidamente la schiena dal sedere al collo. Avevo paura, temevo che mi avrebbero fatto male sul serio… Alcune di loro avevano anche bevuto. Inoltre, ricordavo l’avvertimento che Fiammetta mi aveva dato la volta precedente: “La prossima volta, non te la caverai con una sculacciata a mani nude”. Intuii dunque che dovevo cominciare a preoccuparmi seriamente… o quantomeno, in effetti, dovevo seguire il consiglio che mi era stato appena dato e preparare il culo al… peggio.Alcune ragazze mi si avvicinarono, quindi aprirono il lucchetto della catena per mezzo della quale il mio collo era legato alla tubatura; una di loro mi tolse le manette.* Alzati – mi ordinò Gioia e mi fece cenno di seguirla. Mi portò al centro della sala, dove c’era Fiammetta, seduta come la volta precedente, con le gambe nude.* Mi pare che sai già quello che devi fare – commentò la boss, guardandomi negli occhi, sfrontata e provocante.* Sì… ricordo tutto – le assicurai, stendendomi di traverso sulle sue cosce, col culo per aria.* E ricordi anche cosa ti dissi?* Certo. Sono pronto – le risposi, cercando di ostentare tranquilla sicurezza: non volevo mostrarmi fifone, perlomeno.* Stavolta sarà Caterina a occuparsi del tuo culo… Ha già in mano lo strumento adatto – mi avvisò Fiammetta, al che ebbi un fremito di paura, che forse lei notò. – Mi pare che te le sei proprio andate a cercare, anche stavolta, secchio’ – continuò la boss. – Sono incazzata peggio di una bestia. Hai avuto pure la sfortuna di perdere la scommessa con Morena, non te ne va bene una… Ho voluto far divertire un po’ le ragazze, perché comunque ero sicura che una scamorza come te non era capace di tenere su il bicchiere con l’uccello. Ma mo’ è arrivato il momento che devi pagare tutto… Avanti, Cateri’, cominciamo!A queste parole, io strinsi i denti, preparandomi a ricevere il primo colpo. I secondi di attesa sembravano eterni; e poi, improvvisamente, un sibilo sottile si udì nell’aria e… “zac!”.Istintivamente gridai “Ah!” per il dolore; un dolore istantaneo, breve, ma acuto.* Fa male? – mi domandò Fiammetta, sarcastica e divertita. – Questo era per la denuncia: così impari a fare la spia alla madama, stronzo! – aggiunse, e poi, rivolta a Caterina: – Vai col prossimo. Senza risparmio!Forse Caterina esitava di proposito; certo è che l’attesa era insopportabile; poi ci fu ancora il sibilo, e quindi il colpo. Il secondo fu più violento del primo: mi fece anche sussultare.* Ah, ah! Come va il culetto? Brucia? – fece Fiammetta, impietosa, massaggiandomi leggermente le chiappe. Sentendo le sue mani sul culo, fui tutt’a un tratto preso dall’eccitazione, come la prima volta.* E ti deve bruciare – proseguì la ragazza: – è quello che voglio. Deve diventarti tutto rosso! Il secondo colpo sai per cos’era? – mi chiese, facendomi un altro piccolo massaggio ai glutei. Lei stessa si diede la risposta: – Il secondo era per il bidone che mi hai fatto la scorsa volta; ti avevo dato un appuntamento e tu non ci sei venuto. Oltre che secchione, sei pure cafone! Vai, Cateri’; vai giù dura!Mentre aspettavo il colpo, mi chiedevo che razza di attrezzo stesse usando Caterina per colpirmi: giunsi alla conclusione che doveva trattarsi di un arnese di legno; non so perché, ma pensai così. Probabilmente andai per esclusione, dicendomi che non poteva trattarsi di qualcosa di metallico… E comunque il colpo arrivò, e fu più forte degli altri due messi insieme; o forse fu il dolore già accumulato a darmi quest’impressione.* Questo era per la scommessa che hai perso poco fa – mi spiegò Fiammetta, divertendosi a far scivolare le dita lungo il solco tra le mie chiappe. – Possibile che il tuo cazzetto non è abbastanza allenato? – mi provocò. – Che c’è? Non mi dire che non te lo meni almeno due volte al giorno… O è proprio vero che a voi secchioni non vi tira?…Mentre parlava, la sua mano mi percorreva le natiche in lungo e in largo, con la chiara intenzione di mandarmi su di giri. Il cazzo cominciò a crescermi, stendendosi ancora lascivamente sulle cosce della ragazza, che ovviamente percepì quel che mi stava succedendo e commentò:* Mmm… ma io sento qualcosa. Ti sta succedendo come l’altra volta, eh?Allora ti piace proprio prenderle… Appena ti lisciamo un po’ il sederino, il pisello si sveglia. Sei proprio ‘nu fetente. Ti piace quello che stiamo facendo, eh? Cateri’, dacci dentro, ché voglio vedere quanto gli si allunga se gli facciamo il culo tutto rosso.Appena Fiammetta ebbe terminato di pronunciare l’ultima frase, la sua complice cominciò a dare giù colpi energici a ripetizione sul mio povero sedere; il dolore si fece rapidamente più intenso e io non potei trattenere una serie di brevi urli, in concomitanza coi colpi che ricevevo. A un certo punto, forse dopo una decina di sculacciate, che mi sembrarono molte di più per quanto mi fecero male, Fiammetta fece fermare l’esecutrice materiale della punizione, mi accarezzò dolcemente il culo, che ormai sentivo ardere, e mi disse:* Cominciano a vedersi i segni, sai? Forse adesso capirai che non scherzo.* Sì, l’ho capito… ma ora, ti prego, basta; mi fa male da impazzire – la supplicai.* E’ come se te l’avessimo arrostito, è vero? – infierì lei, tornando a percorrermi con un dito (forse l’indice) le natiche ed il solco che le separa.In conseguenza delle manovre di Fiammetta, l’eccitazione si riaccese in me:sentii il cazzo, in preda ad un’intensa erezione, scivolare rapidamente sulle cosce accaldate e sudate della ragazza, e raggiungere la dimensione valida per l’amplesso. Se ne stava schiacciato tra la mia pancia e le gambe di Fiammetta, pulsando smanioso.* Guarda guarda – osservò lei, – è proprio vero: più le prendi e più ti diventa duro. Com’è questo fatto, simpatico’?* Non lo so… Non so che mi succede, giuro – replicai, cercando di giustificarmi per qualcosa che in quel momento mi sembrava una colpa, o quantomeno un’onta.* Non lo sai, eh? Però la cosa potrebbe anche starmi bene, perché pure io ci sto prendendo gusto – confidò la boss, ridacchiando divertita. – Ma questo sai che vuol dire? Che te ne devo dare ancora altre… Mi dispiace per il tuo culo, secchio’!Da quel momento, cominciò a sculacciarmi con la sua mano destra aperta, come la prima volta; ma, avendo il culo già tragicamente in fiamme, ogni minimo colpo era ormai una tortura, per me. Ed ogni volta la botta mi faceva sussultare alquanto, sicché l’uccello strisciava leggermente tra le cosce della ragazza, accentuando la mia eccitazione e, a quanto pareva, anche quella della sculacciatrice, che però aveva un modo ben singolare di manifestare il proprio stato.* Mm… ti sta crescendo, il salsicciotto, eh? – la sentii mormorare. – Lo vogliamo bello grande, mi raccomando, perché deve bastare per tutte… ce lo rosoliamo e poi ce lo dividiamo, un pezzetto ciascuna. Però manca il tuo olio ancora: la salsiccia la voglio bagnata come si deve…Rise sarcastica, dopo questa frase, prima di colpirmi ancora; ma nelle sue parole avvertivo un tono strano, sembravano contenere un misto di crudeltà e passione, un sentimento ibrido che non conoscevo ancora e che mi spaventava.
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