Parte VI* Adesso vedi che fine facciamo fare al tuo pisellone… – disse, dopo avermi percosso nuovamente. – Scommetto che se ti batto ancora un po’, finirai per bagnarti tutto. Voglio vedere di cosa sei capace… Peggio per te, ormai mi sono gasata!La sua mano mi colpì ancora varie volte, sei o sette almeno, e forse anche di più, con intensità crescente; Fiammetta rivelava una energia inaudita e ad ogni colpo lanciava un: “Ah!” che sembrava tanto un piccolo urlo aggressivo-liberatorio quanto un forte gemito di godimento. Per quanto il culo mi facesse ormai un gran male, la grande eccitazione che provavo non scemava, anzi si accentuava ad ogni percossa, quando il breve attimo in cui il cazzo era indotto a strusciarsi sulla calda pelle della boss mi donava un piacere inatteso, che mi confondeva; mi stupivo ad attendere il colpo successivo, per riafferrare la corsa del mio desiderio, e in quei momenti mi sembrava quasi di trovarmi su un’auto scoperta, tipo cabriolet, in fase di accelerazione. E così ogni colpo era per me come una folata di vento che rinvigoriva la mia ebbrezza.Ad un certo punto però Fiammetta si fermò, forse stanca e ipereccitata, a giudicare dal suo respiro, e invitò Caterina a riprendere il suo “lavoro”. Ero terrorizzato dalla prospettiva di ricevere altre dure nerbate con l’oggetto non identificato di cui costei si era servita a… mio danno qualche minuto prima. Ma non potei starci troppo a pensare, perché nello spazio di un sospiro accusai sulle natiche il paventato colpo, fortissimo, che mi fece lanciare un grido; e subito dopo intorno a me udii solo risatine di scherno.* Per godere bisogna soffrire, bello! Te l’ha mai detto la mamma? – commentò Caterina, prima di tornare a colpirmi.* Ma dai, sozzone, non fare tante scene… In vita tua non l’hai mai avuto duro come stasera – disse Fiammetta, afferrandomi per le orecchie e tirandomi su la testa, dopo che ebbi gridato di nuovo. – Stai calmo, perché più gridi e più noi ci prendiamo gusto – aggiunse poi con voce più bassa, quasi confidenziale. Per qualche attimo, mentre parlava, sentii il suo alito sul collo e fremetti tutto per l’eccitazione.* Guarda, Fiamme’! Guarda come ce l’ha rosso! – esclamò Miriam, che evidentemente si era avvicinata parecchio per godersi la scena.* Sì, ma non basta ancora – decretò l’interpellata: – questo qua è proprio ‘nu porco, perciò lo dobbiamo arrostire veramente come si deve; non è giusto, raga’?* Eh già, quello è un fetente, un cornuto! Si è permesso di prenderci per il culo! – intervenne Gioia.* Con quella faccia da angioletto del cazzo – chiosò Alessandra, suscitando ancora ilarità.* Embé, la faccia gliela risparmiamo, ma ci rifacciamo con tutto il resto, e soprattutto col culo; non è poco, no? – disse Fiammetta.* Allora vado? – domandò a sua volta Caterina, a quanto pareva impaziente di suonarmele.* E che aspetti? – la rimbrottò bonariamente Miriam.Non passarono neppure due secondi dall’esortazione di costei, che sentii un’altra atroce nerbata sulle chiappe; gridai ancora per il dolore, e in risposta Alessandra mi canzonò:* Uh poverino! Si sta facendo la bua, il ciccio…* Ah sì? Embé, chi se ne frega! – esclamò Caterina, colpendomi nuovamente e senza compassione.* Dai, stai buono, ché ora ti curiamo noi – fece Alessandra, dopo il mio ennesimo urlo.* Vi prego… Per favore, davvero non ce la faccio più! – le supplicai a quel punto.* Te l’ho detto che sei una scamorza – replicò Fiammetta, accarezzandomi con inattesa dolcezza le doloranti natiche: – sei già crollato… mi deludi. Speravo che ce la facessi ad arrivare a bagnarti mentre ti lisciavamo per bene le chiappe. Peccato… Sai, non voglio continuare a sentire le tue urla, perciò adesso si cambia sistema.In fondo, se avesse voluto, avrebbe potuto imbavagliarmi e continuare a… divertirsi tranquillamente a spese del mio deretano; ma non credo che fosse stata la pietà a farle cambiare programma: semplicemente si doveva essere annoiata della situazione e aveva già pensato alla successiva. O forse… chissà?Comunque, continuò a carezzarmi i glutei e la schiena per almeno un minuto, tenendomi ben desto l’uccello, che continuava a pulsarle smanioso sulle gambe.* Bene – decise: – il rosso te l’abbiamo fatto venire, quindi possiamo dirci soddisfatte. Adesso, “chiappe di fuoco”, alzati.Con imbarazzo mi sollevai e notai che tutte mi osservavano divertite tanto il culo arrossato quanto il cazzo duro, e facevano commenti impietosi e osceni. Fui di nuovo incatenato per il collo alla tubatura, col sedere per terra e le mani costrette dietro la schiena dalle manette. “Che altro vogliono farmi?” pensai.Tanto per cominciare, la boss mi si avvicinò con un ghigno inquietante, forse simile all’espressione di trionfo che compare sul volto di un cacciatore quando si rende conto che la sua trappola sta per scattare sulla preda designata. Fiammetta si chinò dunque su di me e mi sussurrò:* Adesso il culo ti si rinfrescherà un po’, a contatto col pavimento… e magari ti si rinfrescherà anche il cervellino bacato che ti ritrovi, maiale sozzo che non sei altro. Intanto noi continuiamo a mangiare quel bendiddio là… – disse indicando il tavolino pieghevole, sul quale c’era ancora in effetti parecchia roba appetitosa da ingollare, quindi aggiunse: – Ma non illuderti, perché la festa per te non è mica finita, vero, raga’?* Anzi, deve ancora cominciare il bello – le fece eco Alessandra.* La serata per te sarà lunga… lunghissima, secchio’! – soggiunse Morena.A quel punto le ragazze si spostarono tutte verso il tavolino sul quale erano sistemate le cibarie e le bevande, e cominciarono a trangugiare tutto ciò che era rimasto dopo la “prima puntata”, dalle focaccine ai tramezzini, dai panini ai dolcetti… Sembrava che mi avessero dimenticato; e me ne stavo nel mio angolo, col culo ancora in fiamme, che dopo un po’ cominciò però ad avvertire una certa sensazione di freddo. Non avevo proprio idea di cosa quelle scatenate avessero in serbo per me; ero tuttavia certo che le parole di Morena corrispondessero a verità: mi aspettava senz’altro una serata molto, molto lunga, dalla quale non sapevo in che condizioni sarei venuto fuori.Improvvisamente sentii esclamare: – Prosit!Sollevai lo sguardo e notai che Miriam mi si era avvicinata e mi stava osservando, con la sua solita espressione ambigua e maliziosa; era stata lei a parlare, e ora stava sollevando un bicchiere che conteneva chissà che intruglio (magari era solo aranciata, non saprei dirlo…), come se brindasse alla mia salute.* Vuoi assaggiare? – mi domandò dopo aver bevuto.* Ma che cos’è?* Non fare domande. Dimmi solo: sì o no?* Sì – decisi incautamente.Miriam mi sorrise allora in modo strano, quindi andò a riempire il bicchiere. Tornò dopo qualche secondo e mi si avvicinò, facendomi credere che volesse portarmi il bicchiere alle labbra; invece, con mossa repentina e inattesa, me lo rovesciò sulla testa. Sentii il liquido (qualsiasi cosa fosse) colarmi lungo le guance, la nuca rasata da poco, il collo e poi ancora più giù, per la schiena e il petto.* Ah, ah, ah! – rise la maledetta. – Ma credevi veramente che ti facevo bere? A te?* Eh già, mo’ diamo da bere al primo stronzo che capita, secondo lui – le resse il gioco Alessandra, sopraggiunta nel frattempo a godersi la scena.* Devi dire: “al primo pezzo di merda”, perché è il suo vero nome – la corresse Miriam.* Già, già: giusto! – convenne l’amica. – Bisogna chiamarlo col suo nome, come no!* Non per altro: se no si offende – disse l’autrice del gesto. – E’ vero che tu ti offendi, se non ti chiamano “grandissimo pezzo di cacca”? – fece poi, insopportabilmente insolente, rivolgendosi a me.* Siete due stronze – borbottai, non riuscendo più a contenere la rabbia per l’umiliazione che mi stavano infliggendo.* Ma sì, ha ragione – replicò Alessandra, trattenendosi a stento dal ridere:* il nome giusto non è quello, è… “grandissimo pezzo di cacca schifosa rinsecchita”. Come hai fatto a confonderti così, Miriam?* Mannaggia, è vero! – reagì quest’ultima, con simulata costernazione. – Scusami, scusami tanto, sai, “cacchetta schifosa rinsecchita”! – disse poi, rivolta a me.* Stronze – ripetei a mezza voce.* Beh, dai, adesso lo fai apposta, Miriam! – finse di rimproverarla Alessandra. – Lui non è una “cacchetta” qualsiasi, ma un “lurido grandissimo pezzo di cacca schifosa rinsecchita”. Per forza poi si arrabbia… Non ho ragione? – mi chiese, stringendomi a tradimento il naso tra indice e medio, tanto da costringermi ad aprire la bocca per respirare.* E’ che non gli abbiamo dato abbastanza da bere, Alessa’! – disse Miriam. – Ma adesso ci penso io.Detto ciò si allontanò; ma la cosa non mi rassicurava per niente. La vidi tornare infatti qualche minuto dopo, tenendo fra le mani l’estremità di una pompa per irrigazione. Ad un suo cenno, qualcuna azionò l’acqua, e un getto notevole m’investì in pieno viso. Miriam mi si avvicinò di qualche passo e continuò a inondarmi, indirizzando il getto ora sul petto, ora sulle gambe, ora sul pube, bagnandomi – o per meglio dire inzuppandomi – completamente.* Mo’ non puoi dire che non ti abbiamo rinfrescato – commentò Caterina, che aveva assistito divertita al mio innaffiamento.A quel punto preferii tacere, per non provocare ulteriormente le mie aguzzine: sarebbe stato inutile e controproducente, poiché con frasi inopportune avrei solo potuto peggiorare la mia situazione. Era chiaro che l’acqua era solo un “primo avvertimento”; avrebbero potuto fare ben di peggio, se avessero voluto.Alcune ragazze mi osservavano attente e divertite, e tra esse c’era Manuela, in piedi a pochi passi da me, col suo sacchetto di patatine in mano: le sgranocchiava pigramente e mi fissava.* Peccato, sono quasi finite – disse a un certo punto, – non te ne posso offrire. Però ti offro qualcos’altro… scommetto che ti va…Ancor prima di terminare la frase, si era seduta davanti a me; un istante dopo la vidi intenta ad infilarmi l’uccello nel sacchetto di patatine ormai vuoto. Con la mano manteneva il cazzo “imbustato” nel sacchetto capovolto, facendomi al contempo una sega. Sebbene mediata dalla plastica, la sua mano riusciva comunque a stimolarmi potentemente: cominciò a muoverla piano su e giù, poi accelerò il ritmo gradualmente, soffermandosi sempre più sulla cappella, che stringeva per qualche attimo con dolce decisione, per poi riprendere a percorrere freneticamente l’asta.* Voglio farti venire qui dentro… mi piacerebbe che tu me lo riempissi tutto… o almeno metà – mi sussurrò la ragazza.* No, lascialo stare – intervenne Caterina, che nel frattempo le si era avvicinata: – giocaci, ma non farlo venire, perché vorremmo divertirci un po’ anche noi. Sai, non ci va di trovarlo spompato prima del tempo.* Mm… dai, eppure mi piacerebbe farlo venire così… – insisté Manuela, che era riuscita a farmelo tornare vigoroso e all’insù.* Si vede che non hai tanta esperienza: i serbatoi degli uomini si esauriscono presto, sai? – le spiegò ridendo l’amica. – E dopo, il motore non riparte facilmente.* Vabbé – fece Manuela, delusa, prendendomi ripetutamente la cappella tra pollice e indice, come se pigiasse una pompetta. – Mm… quanto ti si gonfia… – commentò, evidentemente eccitata. E questa sua stimolazione ebbe un prodigioso effetto sui miei sensi: mi sentivo quasi sul punto di scoppiare, di liberarmi… ma lei si fermò in tempo, liberandomi il membro dall’insolito cappuccio col quale l’aveva ricoperto. La ragazza si fece poi da parte, a quanto pareva per lasciar posto ad altre.* Adesso guarda cosa ci faccio, col suo cazzo – le disse Caterina, avvicinandomisi: notai che si era calata jeans e mutandine, mettendo allo scoperto la sua fica discretamente pelosa. Si accoccolò lentamente, sino a sfiorarmi la punta dell’uccello con la clitoride. Quindi lo afferrò e se lo strofinò accuratamente su quest’ultima, gemendo, per poi spingerlo leggermente in giù, tra la sua peluria già bagnata, ad incontrare la sua intima bocca.Puntellandosi sulle mie spalle, si abbassò appena un po’, in modo da far entrare la punta del mio cazzo dentro di lei; e vibrò tutta, mordendosi intensamente le labbra, non appena quello fece il suo ingresso nella passera favolosamente umida.* Stai attento perché stasera siamo veramente pericolose… potremmo decidere sul serio di tagliartelo, se non ci fa divertire come diciamo noi – mi sussurrò all’orecchio, infoiata; lo sguardo le brillava, chissà cosa aveva preso… Non prometteva niente di buono; come le sue amiche, del resto.* Adesso tocca a me – dichiarò Morena, a un tratto: anche lei si era sbarazzata degli indumenti dalla vita in giù.Prese il posto di Caterina, accovacciandosi prontamente sul mio pube. Afferrò il cazzo e se lo strofinò lentamente sulla clitoride e sulle grandi labbra.* Mm… raga’, avete capito allora la storia com’è?… – commentò, con un tono che tradiva la sua eccitazione. – ‘Sti uomini ci scassano le palle a non finire, fanno un sacco di casini… Solo quando sono costretti a darci quello che vogliamo noi, e come vogliamo noi, senza tutte le loro menate, servono veramente a qualcosa.* Eh sì… solo loro possono darci un bell’uccello caldo, e farci sentire il vero desiderio salire nella pancia e riempirci tutte, con certe ondate che ti travolgono – concordò Caterina.* A patto che stiano zitti e muovano appena un po’ il bacino… come questo porco del nostro secchione, qua – disse Morena, che rivolta a me aggiunse: – Quando lasci fare al tuo cazzo, è molto meglio, capito?* Per me l’uccello è pure meglio della moto o di una sbronza – confessò l’amica, che nel frattempo si toccava furiosamente osservando Morena che faceva scomparire ritmicamente nella sua fica la mia cappella. – Ma non devono fare a modo loro, perché rovinano tutto… La lingua, poi, invece di usarla per dire le loro stronzate, dovrebbero imparare a passarcela come si deve sulla fica, tra le cosce e sulle tette.* I maschi non capiscono una sega di ‘ste cose! – sentenziò a sua volta Miriam, che si stimolava la passera, aspettando il suo turno.* Forse perché se ne fanno troppe senza di noi – osservò Alessandra, suscitando l’ilarità della amiche.* Tu dovresti sentirti onorato perché delle tipe toste come noi stanno dando una scaldatina al tuo uccello arrugginito – mi disse Morena, e sospirò subito dopo per il piacere, sentendo il cazzo che s’introduceva per l’ennesima volta nella sua calda vagina.* Già… non abbiamo niente da spartire con le imbranate secchione che di sicuro frequenti tu – sottolineò Alessandra, osservandomi beffarda.* E da quando quelle fighette stronzettine sanno cosa vuol dire “scopare”? – fece Miriam.* Ficcarsi un cazzo dentro non vuol dire scopare – affermò Morena, mentre faceva su e giù col bacino, lentamente, con vera maestria, in modo che l’uccello le desse le sensazioni che lei desiderava.* Giusto! – approvò Alessandra, che si stava stuzzicando la clitoride a più non posso.* A proposito, More’… Mo’ te lo sei goduto abbastanza, tocca a me – le fece notare Miriam.Nessuna di loro giungeva alla penetrazione completa; evidentemente avevano deciso di dividere equamente ciò che io stavo “offrendo”, senza farmi venire; ma questo comportava la rinuncia, da parte loro, ad un amplesso completo con tanto di orgasmo. Si accontentavano di un “assaggio”: “qualcosa per tutte”, insomma, anziché “tutto solo a qualcuna”. Forse era una specie di rito collettivo, per loro, che contava più del sesso in sé; comunque, non sapevo se avessero mai fatto prima, con altri ragazzi, ciò che quella sera stavano facendo con me, quella specie di “rito di gruppo”, intendo.* Ti avverto che a me piace cavalcare forte – mi annunciò Miriam, sistemandosi il cazzo all’imboccatura della fica. – Dato che ho pochi colpi a disposizione, devono essere come dico io!Fu di parola: s’impalò sul mio membro con un colpo deciso del bacino, che mi fece anche un po’ male.* Tu non ti muovere: voglio solo sentirmelo salire dentro… Mi va così, stasera – disse, e s’impalò nuovamente con un colpo secco, dandomi quasi la sensazione che me lo volesse risucchiare dentro il suo ventre. Il suo viso concentrato rivelava l’intenso piacere che lei stava provando.* Basta così, Miriam – la redarguì Alessandra: – sei la solita ingorda; di questo passo, lo farai venire in pochi secondi. E invece anche noi vogliamo divertirci.* Ma dai, scommetto che a questo porco, con la fame arretrata di scopate che ha, si drizzerebbe di colpo anche dopo due o tre sborrate, appena glielo sfioriamo con un dito – obiettò Miriam, impalandosi con ardore per l’ultima volta, con un colpo netto, prima di alzarsi e lasciare il posto alla bionda Alessandra, evidentemente già calda e impaziente.* Non dimenticare che siamo NOI che dobbiamo divertirci, non lui… – affermò quest’ultima. – Non ce ne frega un cazzo se lui gode o no: anzi, ricordati che il simpaticone deve pagare per i casini che ci ha combinato. Stasera – aggiunse, afferrandomi il mento – ce la spassiamo e facciamo col tuo uccello quello che ci pare, chiaro? Non penserai mica che tu ce l’abbia speciale, o che io e le mie amiche sbaviamo per te: noi di cazzi ne troviamo quanti ne vogliamo, secchio’! Anche più grossi del tuo…Sentii qualche canonica risata oscena di approvazione, mentre Alessandra prendeva possesso del mio cazzo duro e cominciava a strofinarselo languidamente sull’interno cosce; sospirava e nei suoi occhi accesi era dipinta la libidine. Poi si voltò, dandomi le spalle e commentando:* Non voglio guardare la tua faccia di culo, m’interessa solo il tuo uccello.Forse questa frase mi ferì più di tutte le altre; ma non ebbi il tempo di affliggermi, perché sentii poco dopo la fica di Alessandra, umida e accogliente da non dire, che risucchiava letteralmente il mio membro, due, tre, quattro volte in rapida successione; non riuscivo a vedere granché del suo culo, data la scarsa luce e la posizione sacrificata, ma quel poco che vedevo bastava a eccitarmi… Alessandra andava su e giù con decisione, ben salda pur in quella scomoda posizione, accoccolata con le cosce larghe e senza appoggi, evidentemente intenzionata ad assaporare ogni atomo del piacere che il mio uccello poteva darle, e questo spettacolo mi scombussolava, alimentando a dismisura il mio desiderio. Si alzò poi in piedi quasi di scatto, allontanandosi senza degnarmi di uno sguardo o di una parola e lasciando il posto a Gioia, la quale mi soffiò in faccia sfrontatamente il fumo della sigaretta che teneva con noncuranza tra indice e medio della mano destra. Quindi rise e disse:* Io voglio vedere che sai fare con la lingua… Un uccello grosso che mi soddisfa ce l’ho già, non so che farmene di quella specie di grissino che ti ritrovi fra le gambe tu.Dopo tale premessa, si sistemò in modo da portare la vulva all’altezza della mia bocca e, con indice e pollice della mano sinistra, divaricò le grandi labbra e avvicinò quella calda e rosata area del suo corpo alla parte del mio viso dalla quale lei si aspettava di ricevere un sostanzioso omaggio.* Che cazzo aspetti? Tirala fuori, fammela sentire – mi sollecitò bruscamente, aspirando subito dopo voracemente un’altra boccata di fumo. Io, all’epoca ancora privo di vere esperienze, feci quello che potei, facendo scivolare e saltellare la mia lingua qua e là, piuttosto disordinatamente, lungo il solco delle grandi labbra che Gioia mi porgeva. E subito lei protestò:* Ma no, no, nemmeno questo sai fare? Stronzo di un imbranato, fammela sentire sul clitoride… Cli-to-ri-de, capito?Non vedevo nulla, ero costretto a procedere a casaccio… e così la parte più sensibile dei suoi genitali gliela lambii forse solo per combinazione, un paio di volte; Gioia in effetti emise due brevi e intensi sospiri, ma pochi attimi dopo, gettandomi ancora il fumo in faccia, dichiarò:* Sei una frana, secchio’! Hai bisogno di parecchie ripetizioni…* Sì, vai a lezioni private, vai, secchione imbranato di merda! – soggiunse un’altra voce non meglio identificata.* Ma che cazzo la tiene a fare, la lingua, questo qui? – fece Gioia, rivolta alle complici. – E’ quella che gli dovremmo tagliare!…* Di questo passo, la dovremmo tagliare a più della metà degli uomini di nostra conoscenza – osservò Fiammetta.Parte VIILa boss era di nuovo accanto a me: non sapevo se questo fosse un bene o un male; c’era da aspettarsi di tutto da lei, ormai lo sapevo bene… Certo è che la sua vicinanza mi elettrizzava particolarmente, anche se non volevo ammetterlo neppure con me stesso: non facevo che ripensare al contatto del mio membro eccitato e umido con la pelle calda delle sue cosce… Non potevo scacciare dalla mia mente quella sensazione, ne ero attratto e affascinato. Fiammetta doveva averlo intuito; forse anche lei provava una qualche attrazione per me… Non che ne fossi certo, ma l’espressione dei suoi occhi mi suggeriva questa ipotesi. Non era infatuazione, la sua, questo no, e men che mai innamoramento; ma il suo sguardo esprimeva soddisfazione, godimento, sottile complicità, e al tempo stesso, per quanto potesse sembrare contraddittorio, sarcasmo e senso di potere.* Magari te lo insegno io, come si usa la lingua – mi sussurrò, sistemandosi nella stessa posizione assunta da Gioia un minuto prima. – Se fai il bravo, non te la taglio… Altrimenti servirà da pasto per il tuo cane, insieme al tuo ridicolo salsicciotto.E dopo questo terribile monito, mi schiacciò la fica contro la bocca e m’incitò brutalmente a “darmi da fare”. Col cuore che mi batteva forte per la paura, presi a leccarla, con ardore, con disperazione, infine con passione. La sentivo gemere, fremere tutta, mormorare languidi “Mmm!” a bocca chiusa.* Sei bravo solo quando ti minacciamo, eh? Stasera ti faremo cacare sotto, stai tranquillo – sussurrò a un tratto, mentre continuavo a leccarla. – Non ho mai visto uno stronzo più divertente di te…Mi strofinò quindi la fica sul naso, sulla bocca e sul mento, e qualcuna tra le sue complici rise a crepapelle osservando la scena.* Ora vi faccio vedere io come si ottiene dagli uomini quello di cui abbiamo bisogno – annunciò a un certo punto Fiammetta, più gasata che mai, dopo avermi riempito la faccia dei suoi umori vaginali (continuavo a chiedermi che razza di roba avessero preso lei e molte delle sue amiche, quella sera… o forse, chissà, loro erano così “al naturale”). Una delle ragazze, forse Lori, mi tolse la catena dal collo; poi venni fatto alzare e condotto nel mezzo del capannone da altre due componenti della banda; Fiammetta ordinò loro di farmi stendere per terra e quindi mi si avvicinò, muovendosi con tutta calma. Mi osservò per un istante, poi ordinò a Lori di incatenarmi le caviglie. Subito dopo, la boss prese posto a sedere, sempre con calma, sulla mia faccia… Sì, proprio così: si sistemò ponendo praticamente le sue natiche sotto il mio naso.* Muovi la lingua, forza, sbrigati – disse Fiammetta, e la sua voce, in quella situazione, aveva un che di spietato. – Cazzo, giuro che te la taglio, pezzo di merda, se non la muovi! – aggiunse immediatamente dopo, con un tono di seria minaccia che mi raggelò.Benché non molto pesante, il suo corpo comunque mi schiacciava la bocca e mi riusciva perciò difficile muovere la lingua, in quelle condizioni; del resto, anche respirare, con le chiappe della boss sotto il naso, non era agevole. Tuttavia lei si mosse appena un po’, in modo da far incontrare la punta della mia lingua con la sua fica.* Dai, muovila, muovila, coglione, avanti! – m’incitava Fiammetta, nella cui voce si avvertiva l’eccitazione che stava provando nel sentirsi la passera stuzzicata dalla mia povera lingua.Doveva essersi tolta gli scarponi che indossava quella sera, perché ad un tratto avvertii i suoi piedi, piuttosto freddi, sullo stomaco; poi sentii che il suo piede destro si spostava lentamente verso il mio cazzo, che se ne stava steso sulla pancia, ancora abbastanza duro. Cominciò a strofinare quindi il piede sul mio uccello, mentre io mi dannavo per leccarle la fica e avvertivo sulla lingua una sensazione di salato.La mia eccitazione crebbe di nuovo rapidamente; e quando il membro, allettato da quel piede sfregato dolcemente sull’asta, era ormai notevolmente e trionfalmente rigido, Fiammetta rese il gioco più intrigante, infilando il piede sinistro tra il cazzo e la pancia e mantenendo il destro a “presidiare” la sua posizione.* Ho messo la salsiccia nel panino, raga’! – annunciò la boss, e qualcuna delle complici commentò divertita: – Uh, è vero! E che aspetti a mangiartela?* No, aspetto che si riempia di maionese, poi la faccio assaggiare a voi – rispose Fiammetta.In effetti, il mio uccello faceva da “ripieno” del “sandwich” formato dai piedi della ragazza: li muoveva lentamente e in modo costante, in modo da far ruotare lievemente il cazzo ora da un lato ora dall’altro, e di tanto in tanto li spingeva piano in su, insieme col loro “contenuto”. Le manovre di Fiammetta mi inebriarono a tal punto che dopo pochi minuti mi sentii prossimo all’orgasmo. Non so dove avesse imparato a usare i piedi per masturbare il partner, ma era favolosa. Un talento naturale… Beh, di certo in quell’atto c’era anche l’intenzione di deridermi; ma che me ne importava, in quel momento? Una ragazza stava dandomi piacere, ed era ciò che contava. Sulle soglie dell’orgasmo, si smarrisce, con la ragione, anche l’orgoglio.* Non ci penso proprio a toccartelo con le mani, l’uccello – dichiarò Fiammetta, mentre i suoi piedi continuavano a massaggiarmelo deliziosamente.* E’ che mi è venuta voglia di vederti schizzare la sborra. E’ troppo divertente fartelo diventare duro e farti schizzare a mio piacimento. Ti piace scoparti i miei piedi, eh? Tanto, ti devi accontentare di quelli, simpatico’… Non voglio mica riempirmi le mani o la pancia di quella cosa appiccicosa. Perché poi, sfigato come sei, ne avrai sempre tanta nei coglioni…* E vorrei vedere! Nessuna si scopa un cesso imbranato come quello! – intervenne Gioia (la riconobbi dalla voce e… dalla particolare “gentilezza” delle parole).Probabilmente Fiammetta aveva compreso che ero ormai sul punto di venire, perché cominciò a muovere i piedi in maniera leggermente più rapida; io ormai pensavo solo ad assaporare quel momento, e non riuscivo neppure più a muovere la lingua sulla passera fradicia di umori della boss.* Mmm… guarda là quanta ne avevi! Mi hai fatto un lago tra i piedi – osservò quest’ultima, mentre ero ancora intento a sborrare. – Raga’, ora il panino è bello pieno di maionese – annunciò quindi alle complici. – Qualcuna di voi vuole assaggiare?* Fate venire Lori, Mariangela e Simona… sono loro quelle a cui piace quella… maionese là – disse Alessandra, e fra divertiti applausi d’incitamento le tre ragazze evocate dovettero farsi avanti e prodigarsi effettivamente nel leccare via un po’ dello sperma che avevo appena depositato sui piedi di Fiammetta.Io ovviamente non potei vedere la scena, ma sentii i cori d’incitamento delle altre ragazze; inoltre, Fiammetta mi tenne impegnato, perché mi ordinò di continuare a leccarla. E a un tratto le sentii dire:* Ehi, lasciatene un po’ anche per l’amico nostro: è giusto che l’assaggi pure lui.Deglutii preoccupato, nell’udire ciò: non avevo mai assaggiato la mia… produzione e avevo un gran timore che potesse risultarmi sgradevole. Ma quella sera non mi era consentito rifiutare alcunché. Finalmente la boss si alzò, e avvertii una sensazione di sollievo al viso, accaldato e un po’ indolenzito. Respirai quindi profondamente, ma non ebbi il tempo di rilassarmi ulteriormente, perché Fiammetta mi schiaffò un piede sotto il naso, ingiungendomi di leccarglielo.* Toglimi via ‘sta roba! Tu l’hai fatta e tu ora pulisci! – esclamò impaziente, facendo pressione sulle mie labbra con la pianta del piede, bagnata della mia sborra.In realtà, si accontentò di poco, perché mi fece dare solo due o tre leccate, dopo di che osservò, rivolta alle complici:* Ehi, guardate che smorfie fa, l’amico nostro… Proprio non gli va giù, la crema che gli abbiamo offerto.* E dire che l’ha fatta lui stesso – commentò a sua volta Miriam.* Fa bene a non fidarsi: sa benissimo di essere un imbranato; anch’io al suo posto sospetterei delle mie stesse palle – rincarò la dose Alessandra.Mentre le ragazze ridevano dell’ultima facezia della loro bionda amica, Fiammetta tolse il piede dalla mia faccia e me lo strofinò sul petto e sulla pancia, bagnandomeli di sborra (quella che era rimasta, s’intende).* Ecco fatto – disse, e annunciò immediatamente dopo: – Questo è solo il primo strato…Che cosa intendeva dire? Cos’altro le era venuto in mente? Là per là non capii, anche se cominciai a preoccuparmi… Poco dopo vidi che le ragazze si davano un gran da fare: ciascuna prendeva in mano qualcosa e generalmente si trattava dei resti del loro banchetto di poco prima. A un certo punto, come se avessero ricevuto un segnale, si diressero tutte verso di me e si scatenarono a turno in un nuovo “gioco” a mio danno. Ad aprire le danze, stavolta, fu Caterina, che compresse un paio di dolcetti che aveva in mano, sino a far fuoruscire la crema che essi contenevano, e mi spalmò abbondantemente quest’ultima sulla pancia, sull’inguine e sull’uccello ormai rientrato nei ranghi. Le diede rapidamente il cambio Miriam, che ebbe il potere di sbriciolarmi una fetta di torta alla panna sulle cosce e sul petto, spalmandomela per bene sulla pelle. Gioia ebbe invece la perfida idea di istoriarmi la testa, le guance, il collo e le scapole col ripieno di alcuni tramezzini avanzati: doveva trattarsi di crema di tonno e di qualche salsetta tipo ketchup. Alessandra, dal canto suo, si divertì a “decorarmi” le palle con un po’ di gelato (che a giudicare dal colore, doveva essere al cioccolato o al caffè): l’improvvisa sensazione di freddo in quella parte così delicata del mio corpo mi procurò un intenso brivido, che rasentò l’eccitazione.* Stasera sei tu il nostro bidone della spazzatura – decretò Fiammetta, osservandomi con soddisfazione. – C’è altro, raga’? – disse poi, rivolta alle complici. – Forza, tutto quel che c’è da buttare, portatelo qui. Fra poco dobbiamo andarcene.* Già – replicò Caterina: – dopo quell’antipasto a base di pisello, mi è venuta voglia di scatenarmi alla grande, in disco, stasera.* Eh, ma se non ci sbrighiamo, rischiamo di far tardi – ribadì la boss. – Io quattro salti e magari una sana scopata non me li voglio perdere, raga’. Facciamo presto!Ed ecco che Morena e Manuela, coadiuvate da altre tre ragazze, cominciarono a quel punto a rovesciarmi addosso di tutto: patatine avanzate, sacchetti vuoti, fazzoletti e tovaglioli di carta usati, piatti di plastica… Ero stato davvero trasformato in un deposito di rifiuti. Ma il peggio non era ancora arrivato: lo capii soltanto quando Fiammetta domandò alle amiche, piazzandosi accoccolata a gambe larghe sul mio petto:* Raga’, qualcuna di voi ha da pisciare?Feci per girarmi sulla schiena, per limitare i danni, ma Miriam mi si sedé prontamente sulle gambe, impedendomi qualsiasi manovra. Tra grandi risate, sentii scrosciare il poco gradevole liquido che veniva direttamente dalla vescica di Fiammetta e che mi si depositò addosso, insieme a tutto ciò che, mio malgrado, già ospitavo. Per fortuna non ne aveva tanta, in corpo; il guaio fu che anche Caterina e Gioia vollero seguire il suo esempio. Le altre, forse per un residuo di scrupolo che era rimasto chissà come annidato nei recessi delle loro coscienze, preferirono astenersi e limitarsi a fungere da divertite spettatrici allo show finale delle tre più disinibite amiche.* Mo’ spero che ti ricorderai chi è Fiammetta Prudaciochi – disse quest’ultima, con un ghigno sarcastico, accingendosi ad allontanarsi.* Un momento, ma che fate? – chiesi preoccupato. – Mi lasciate qui, in queste condizioni?* Dobbiamo finire la serata in bellezza – mi rispose, senza neppure degnarmi di uno sguardo: – non possiamo mica sprecarla a fare la balia a te. Tanto, ti abbiamo appena dato la compagnia che ti meriti…* Ma almeno liberatemi le caviglie e i polsi, datemi i miei vestiti – insistei.* Mica puoi andartene in giro così: ma ti sei guardato? – ribatté Gioia, suscitando qualche altro facile sghignazzo.* Io sono venuto qui per riavere il mio cane – sbraitai a quel punto: – i soldi ve li siete presi; vi siete anche divertite, ma adesso dovete onorare l’impegno: ridatemi il mio cane, subito!* Certo che te lo ridiamo, non strillare come un’oca – dichiarò Alessandra:* ma prima dobbiamo fare quattro salti. Vogliamo spassarcela, chiaro?Festeggiamo l’affare che abbiamo fatto con te. Quando torniamo, riavrai il tuo cane e te ne potrai andare, dopo che ti avremo dato una bella lavata.* Ma quanto devo aspettare?* Oh, chi lo sa? – fece Fiammetta. – In questi casi, comunque, non se ne parla prima delle cinque…* Le cinque? E io devo stare tutta la notte qui? così? – protestai, ma non ci fu verso: le ragazze si diressero tranquille verso l’uscita, senza più darmi ascolto.Dopo che la porta si fu chiusa dietro l’ultima di loro, sentii un gran silenzio in quell’enorme capannone; avevano lasciato accesa una piccola luce, che bastava appena a illuminare un piccolo settore del magazzino. Io a quel punto cominciai a dimenarmi disperatamente, per cercare almeno di alzarmi. Non era affatto facile, in quelle condizioni. Mi voltai su un fianco e spinsi le ginocchia verso il petto; ma poi, per quanti sforzi facessi, non riuscii a voltarmi ancora, in modo da poggiare per terra con le ginocchia, come avrei voluto.Sul più bello, mentre mi accanivo in questi tentativi, vidi un’altra luce accendersi nel magazzino, in fondo, verso l’uscita; intravidi la porta aprirsi, ma ero troppo lontano per distinguere i particolari, e quindi non capii chi stesse entrando. Cominciai anche a temere che si fosse introdotto qualche altro malintenzionato, e perciò me ne stetti immobile, in silenzio, come per nascondere la mia presenza (benché la cosa fosse alquanto difficile, in quanto mi trovavo nel bel mezzo del locale). Sentii dei passi, abbastanza leggeri, che si avvicinavano. Non sapevo proprio che fare, cosa pensare; il respiro mi si era quasi bloccato per il panico. Sussultai, lanciando un grido, quando fui investito, dopo pochi attimi, da qualcosa che lì per lì non identificai, tanto mi colse di sorpresa: ma una frazione di secondo dopo, mi fu chiaro che si trattava di un getto d’acqua. Qualcuno mi stava “innaffiando”. Mi voltai, rimettendomi supino, e potei vedere finalmente chi era la misteriosa presenza che si era introdotta nel locale: Rossana.Parte VIII* Ti sto dando una sciacquata: ne hai bisogno – sorrise la ragazza, indirizzando il getto d’acqua erogato da una pompa (la stessa che mi aveva “inondato” prima) ora sul mio petto, ora sul pube, ora sulle gambe.Per tutta la serata, Rossana se n’era stata in disparte: non aveva partecipato ai “giochi” che le altre avevano escogitato a mio danno; si era come eclissata, eppure era stata presente anche lei, doveva aver visto tutto ciò che era successo. Lei doveva essere diversa dalle sue compagne; e ora quel suo gesto amorevole nei miei confronti lo dimostrava.* Ma tu sei rimasta qui? Non sei andata con le altre a divertirti? – le domandai.* Beh… mi ero offerta di rimanere qui a guardia – rispose, continuando a bagnare il mio corpo.* Per controllare che io non me ne scappi? E come potrei? Non riesco neanche ad alzarmi! L’avete detto proprio voi che sono un imbranato…Lei sorrise nuovamente, a queste mie parole. Chiuse il rubinetto dell’acqua e venne verso di me.* Ti aiuto ad alzarti – disse, e sorreggendomi da dietro per le ascelle, mi consentì in effetti di mettermi in piedi. Avevo le gambe piuttosto indolenzite, e perciò mi reggevo quasi a stento.* Sai… io… mi sento imbarazzato, in queste condizioni – le rivelai, senza avere la forza di guardarla in viso.* Dai, adesso ti pulisco un po’ meglio – ribatté Rossana, con un tono calmo e rassicurante. Cominciò quindi a strofinarmi addosso un panno bagnato, per togliere tutta la roba che mi era rimasta appiccicata sulla pelle. – Abbi pazienza, ho trovato solo questo, qui – si giustificò, con una certa dolcezza nella voce.* Ma davvero mi volete tenere qua tutta la notte? – le chiesi, rinfrancato dalla sua inaspettata gentilezza. – Vi siete presi tutti i soldi che avevo in tasca, le duecentomila più gli spiccioli che tenevo per l’autobus e la colazione, e non mi avete ridato il mio cane. Che fine ha fatto? dimmi la verità: è ancora vivo?Investita dalle mie domande, la ragazza sorrise appena, poi scuotendo la testa rispose:* Fiammetta in queste cose è terribile… Andava dicendo da giorni che avrebbe voluto darti “una lezione come si deve”, in maniera che tu capissi che con noi si scherza poco. E’ fatta così, ci tiene a essere rispettata; ci ha detto che dovevamo lasciarti qui tutta la notte, perché così avresti imparato una volta per tutte…* Ma io che cosa le ho fatto?* Te l’ho detto: è fatta così; ora ti ha preso di mira, devi avere pazienza… le passerà. Anzi, sicuramente, dopo essersi sfogata per bene stasera, ti lascerà in pace.* Ma io non voglio stare qui tutta la notte… – protestai quasi frignando.* Se avessi le chiavi delle manette e del lucchetto che ti lega la catena alle caviglie, ti libererei subito – confessò Rossana, con mia grande meraviglia. La guardai negli occhi: non credevo alle mie orecchie; il suo sguardo era sereno, tranquillo, come se avesse detto la cosa più naturale del mondo.* Tu… davvero lo faresti? – le chiesi.* Certo.* E… Fiammetta come la prenderebbe?* Semplice: s’incazzerebbe di brutto – rivelò la ragazza, senza mostrare la minima preoccupazione; sembrava anzi leggermente divertita all’ipotesi di provocare l’ira della sua boss.* Ah… e tu saresti disposta a farla incazzare? Non temi conseguenze spiacevoli per te?Rossana scrollò le spalle e commentò semplicemente:* Un po’ d’incazzatura fa bene alla salute; dicono che rimette il sangue in circolo.* Non ti facevo così – dissi, aggiungendo subito dopo: – Il mio cane come sta?* Dopo te lo faccio vedere… – mi promise. Il suo tono mi parve estremamente confidenziale, quasi affettuoso. Ci scambiammo uno sguardo, che mi parve sottintendere un’intesa. Ma era proprio così o si trattava soltanto di una mia impressione, favorita dall’intenso desiderio che quella serata tremenda giungesse a una svolta?Già… Tutto questo mi è tornato in mente, piuttosto confusamente, quando la settimana scorsa l’ho rivista. Soltanto poco alla volta, mentre le parlavo, ho ricordato diversi dettagli. Non che avessi mai dimenticato quella assurda serata; ma parecchi particolari li avevo rimossi.A dire la verità, dopo tanto tempo, Rossana non l’avevo proprio riconosciuta: è cambiata parecchio, in quasi vent’anni. Sono entrato in un negozio di telefonia e ho notato che una donna mi fissava con insistenza. Dopo un po’, mentre davo un’occhiata agli articoli esposti, mi si è avvicinata.* Scusami… tu sei per caso Nello? – mi ha domandato, con un sorriso incerto.Era proprio Rossana… e chi se la ricordava più? Abbiamo quindi attaccato discorso e ho saputo che lei adesso è proprietaria di quel negozio. Non ha voluto farmi tutta la storia della sua vita; mi ha detto però che, appena un mese dopo quella famosa serata, lasciò la banda di Fiammetta e si mise a lavorare come benzinaia. Mi ha confessato che la vita della schedata ormai le andava stretta; che “non si divertiva più” a fare “certe cose” e che desiderava condurre un’esistenza completamente diversa.* Sposata? – le ho chiesto, così, tanto per soddisfare una curiosità. E lei, alzando le spalle (proprio come faceva quella sera), ha replicato:* Separata…* L’importante è vivere bene la propria condizione.* Certo. Non mi lamento.Non dev’essere cambiata molto, mi sono detto, tranne che nel fisico: è ancora una bella donna, comunque. Sempre fiera e calma, di poche parole. Io invece non sono cambiato granché, a giudicare da quel che mi ha detto lei.* E’ per questo che ti ho riconosciuto – mi ha confidato. E ha tuttavia aggiunto, con un po’ di malizia: – Chissà però se questo è un bene o un male…Ho sorriso, incassando il colpo: tutto sommato, mi ha fatto piacere ritrovarla; e soprattutto sapere che non ha fatto una brutta fine.* E… lei, l’hai più rivista? – le ho domandato, riferendomi a Fiammetta.Rossana ha capito bene il riferimento, e ha scosso la testa, senza parlare.* Io la rividi qualche tempo dopo quella assurda serata – le ho rivelato, sorridendo. – Mi trovavo nell’atrio di un cinema, di fronte alla biglietteria, in attesa di un paio di amici. A un certo punto sentii un vociare, che presto si trasformò in un vero e proprio alterco: erano lei e cinque o sei ragazze della sua banda che pretendevano di entrare in sala senza biglietto. Cominciarono a insultare gli addetti del cinema, tirarono fuori i coltelli, com’erano abituate a fare…* Io forse non c’ero già più, perché non lo ricordo – ha voluto precisare Rossana.* Infatti non ti vidi. Insomma, arrivò la polizia, dovettero rimandare la proiezione del film… Io e i miei amici, che nel frattempo erano arrivati, preferimmo a quel punto andarcene in un altro cinema. Da allora comunque non ho più saputo nulla di lei.* Mah… cosa vuoi farci? – è stato il laconico commento di Rossana: ho capito, dal tono di questa frase, che c’era poco da indovinare… e ho capito anche che Rossana non mi avrebbe detto di più. Su quella parte della sua vita ha sistemato una bella e robusta pietra. Non le dò torto, sia chiaro.* Ti ricordi? – l’ho provocata, incrociando il suo sguardo.Lei ha capito a cosa mi riferivo e ha riso. Una piccola, timida risata.Forse è tornata anche lei con la mente all’ultima parte di quella sera…* Allora ricordi quando mi hai messo con le spalle contro il muro e hai cominciato a baciarmi il petto – le ho sussurrato.* Ero eccitatissima… Avevo aspettato tutta la sera quel momento. Ma volevo essere da sola con te – mi ha confessato. – Mi eccitava l’idea di prenderti così, in quel posto, mentre eri nudo e indifeso, incapace di muoverti.* Infatti ci rimasi male, quando alla fine mi rivelasti che le chiavi delle manette e del lucchetto ce le avevi eccome!* Davvero ci rimanesti male?Nel pormi questa domanda, mi ha lanciato un’occhiata di ironico rimprovero, come per dire: “A chi la vuoi dare a bere?”.* Beh… non del tutto – ho dovuto ammettere. – In realtà ho gradito molto la tua… iniziativa.* Ah, ecco: ora va bene…Com’è affascinante, il suo sorriso: è ancora quello di una volta…* Ho imparato molto da quella sera – le ho confessato.* Ah sì? In che senso?* Ho… imparato qualcosa in più… su ciò che c’è dentro di noi, nel nostro profondo… Nell’oscurità dei nostri abissi. O almeno, nei miei. Gli altri ce li hanno sicuramente, ma chissà se si agitano le stesse ombre, laggiù. Sai quello che voglio dire?* Mah… sì. Almeno credo…* E… in te, cosa è rimasto di quella volta? – le ho domandato, ma lei mi ha guardato a lungo con un mezzo sorriso, senza rispondere.* Ma, almeno, ci siamo amati o no? – ho insistito, con una gran voglia di sapere cosa ne pensava lei, finalmente. Poiché si ostinava nel suo enigmatico sorriso, l’ho provocata:* Anche tu, come Fiammetta?* Come sarebbe? – mi ha chiesto allora lei, imbronciata.* Ti sei solo divertita un po’? – ho precisato, sorridendole a mia volta.* Fiammetta ti voleva… ed era incazzatissima perché pensava che la snobbassi. E così si è vendicata – mi ha rivelato Rossana, con mio grande stupore. Dopo un po’, ha aggiunto: – Ma io invece ti ho avuto davvero; mi piacevi e sono riuscita ad avere anche il tuo cuore, in barba a quella prepotente. L’ho sempre saputo che ci siamo amati… – ha concluso compiaciuta.* Che fai? Ti spogli? – le chiesi, meravigliato. Lei sorrise maliziosa e non mi rispose. Mi mise con le spalle al muro e cominciò a baciarmi il petto, ardentemente, insistentemente, scendendo sempre più giù. Il suo primo morso ai capezzoli mi colse di sorpresa e lanciai un breve grido; ma mi stavo eccitando. Sospiravo, gemevo, mentre i suoi baci si facevano sempre più fitti, sui fianchi e sulla pancia.Ad un tratto prese ad accarezzarmi l’interno cosce, con mano lieve, sfiorandomi appena la pelle, e facendomi sussultare per il piacere.* Ti voglio… – mi sussurrò, toccandomi il petto con le sue tette morbide, calde, rosee. Sentivo i suoi capezzoli che mi si strofinavano languidamente addosso. Si strinse a me, riprese a baciarmi, salendo questa volta dal petto al collo. Stavo impazzendo, il respiro mi si bloccava in gola per l’inebriante sensazione che provavo.Cominciò a mordicchiarmi una guancia, poi il lobo dell’orecchio, quindi di nuovo i capezzoli… Mi sembrava quasi un sogno. Un sogno ad alta intensità erotica…Il cazzo ormai stava diventando duro e strusciava contro la sua pancia; ad un tratto sentii che una sua mano mi accarezzava le palle, per poi strizzarmele un po’.* Ne hai ancora tanta, vero? – mi chiese languidamente Rossana, a mezza voce, quasi soffiandomi nell’orecchio. – Ora me la darai tutta, ma proprio tutta quanta, mi raccomando… La voglio tutta per me.Quindi mi leccò la base del collo, con rapidi e stuzzicanti guizzi della lingua, facendo scivolare più volte la mano lungo l’asta, ormai dritta e turgida. Mi scappellò poi con decisione il cazzo e le sue dita si soffermarono sul glande: lo accarezzavano teneramente, diventando sempre più rapide e impazienti. A un certo punto, afferratomi il membro con maggiore energia, ne introdusse la punta nella fica, e mosse lievemente il bacino, per fare scorrere un po’ dentro di lei il mio uccello eccitato e voglioso.* Ti sento…Ti sento dentro, mm… Lo sento fremere, mi riscalda… – mi disse quasi sospirando.Poi, siccome trovava un po’ scomoda quella posizione, mi fece sdraiare supino sul pavimento, e prese a cavalcarmi. Ogni volta che il cazzo penetrava in profondità nella vagina, Rossana sollevava il viso verso l’alto ed emanava un lungo: “Ooh” di piena e lubrica soddisfazione. Mentre lei faceva su e giù con sempre maggor vigore, vedevo le tette che le ballavano e, avendo le mani costrette dietro le spalle dalle manette, non potevo soddisfare il desiderio di palpargliele. Però lei dovette comprendere il mio cruccio, perché ad un tratto mi tirò un po’ su il busto e avvicinò le mammelle alla mia bocca, facendomele baciare e leccare. I suoi affondi divennero sempre più rapidi, finché lei non venne, con un breve e intenso urlo; subito dopo, comprendendo che anch’io ero quasi giunto al capolinea, tirò l’uccello fuori dalla fica e se lo strofinò ripetutamente sulla coscia, vicino al ginocchio, fino a farmi schizzare tutta la sborra che mi era rimasta in corpo. Rimanemmo immobili per un minuto a goderci i benefici postumi dell’amplesso; passata la doverosa pausa, ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere…Dopo avermi liberato finalmente polsi e caviglie e sciacquato un’altra volta per bene da cima a fondo, Rossana mi ridiede i vestiti e un sorprendentemente tranquillo Sax, che a quanto pareva non doveva aver sofferto molto in quell’avventura…Fu sempre lei a riaccompagnarmi in città, sulla sua moto: l’unica difficoltà fu il cane, che si adattò malamente a fare da terzo “incomodo” (proprio nel senso di “scomodo”).Chissà cosa avrebbero detto i miei, vedendomi tornare a quell’ora e con la testa da punk, mi chiedevo lungo la strada… Ma per il momento, aggrappato alle spalle di Rossana, mi godevo (Sax permettendo…) il suo profumo e il suo contatto, che continuava a eccitarmi. Avrei voluto che non avesse fine, quella passeggiata in motocicletta: non desideravo altro, lungo le strade silenziose di una strana notte.
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