Rimasi abbracciato a mia madre, desiderando che la dolcezza immensa del contatto con il suo corpo nudo e bollente non avesse mai fine. E’ vero, ne ero consapevole, io l’amavo come nessun altra persona al mondo. Era mia madre, certo e quindi l’amavo come ogni figlio ama la sua mamma, ma non mi ero innamorato mai di nessuno perché sapevo che il mio amore, quello vero, profondo ed infinito, era interamente dedicato a lei e soltanto a lei.Ero certo di non aver commesso alcuna azione riprovevole, le avevo solo manifestato il mio grande amore; l’inganno con il quale lo avevo fatto, quello sì mi dava dei sensi di colpa, ma da tanto tempo ero in attesa dell’occasione per confidarle che l’amavo e l’avevo finalmente trovata.Mia madre era ancora scossa dai brividi:”Oh, Signore” disse piano, con la faccia immersa nei cuscini “sono una donna perduta, ho fatto una delle cose più terribili e proibite della vita. Non ci possono essere scusanti per quello che ho fatto, mi capisci, René? Anche giudicandolo razionalmente non ci sono giustificazioni. E poi tu, lo hai fatto a tradimento, io non ho avuto la forza di insistere nel mandarti via dal mio letto.””Mamma….” cercai di consolarla, ma non avevo molte parole da dirle in quel momento.”La cosa che mi sconvolge di più, piccolo mio, è che mi è piaciuto tanto. Questo manda all’aria tutti i principi morali sui quali è fondata la mia esistenza. Invece di insistere nel mandarti via ho permesso che tu continuassi, addirittura dopo aver depositato nella mia vagina il tuo seme dopo quello di tuo padre! Ti ho pregato io stessa di leccarmi ancora! Ma ti rendi conto di ciò che ho fatto?”Si prese la testa tra le mani e continuò: “Dio mio, se Julien ci avesse trovati insieme, che cosa avrebbe fatto? A parte la sua gelosia, il solo vederci assieme lo avrebbe distrutto, lo avrebbe mandato fuori di testa”.Si sollevò a sedere sul letto ed io potetti godere ancora della vista del suo seno meraviglioso ed enorme che dondolava, con le areole rosa chiaro e i capezzoli ancora inturgiditi per l’orgasmo che l’aveva appena travolta. “Sono tormentata, ora, capisci? Ho fatto una cosa che non avrei mai creduto potesse accadere nella mia vita, avrei rifiutato persino l’idea che accadesse. Invece mi è piaciuto, ho avuto l’orgasmo più lungo e intenso che mi sia mai capitato di avere e ti confesso che la mia vita sessuale, sino ad oggi, era molto intensa e soddisfacente! Ma non avevo mai provato prima quello che ho provato oggi.”Le sue parole, più che mortificarmi, mi inorgoglivano.”Non è una semplice questione di sessualità, ma piuttosto il fatto che stavo facendo una cosa tanto proibita mi ha eccitata da morire; l’ho fatto con lo stesso istinto selvaggio con il quale lo avevo visto fare a quelle danzatrici al villaggio. Quando ho fatto l’amore prima, con Julien, è stata una cosa bella, come sempre, ma naturale. Dopo, invece, ho goduto tanto da svenire. Sono sconvolta, Renè.”Io ero altrettanto sconvolto, sia per le sue parole, sia per lo spettacolo offertomi dalle sue tette e dai suoi capezzoli: non riuscivo a distogliere lo sguardo. Mia madre mi guardò e sul suo viso comparve un leggero sorriso. Era una donna molto intelligente e si rendeva conto che i simboli del suo sesso potevano far perdere la testa a chiunque, persino al proprio figlio.Scese dal letto e la vidi per la prima volta in tutto il suo splendore, completamente nuda. Aveva ormai superato la soglia del pudore: mi aveva concesso ormai tutto, non aveva più senso coprirsi ora.Si guardò allo specchio: “Mi hai detto che sono bella, che sono più desiderabile di tutte le ragazze che conosci anche più giovani di me. Lo apprezzo molto, anche se non sono convinta che sia del tutto vero. Però è bello per qualsiasi donna sentirsi desiderata ed io pare che lo sia da più uomini, ormai. Ma come usciamo da questa situazione, ora?””Non usciamone mai, ti prego, mamma” la implorai “io ti amo, non negare il mio amore per te, non vivrei più. Non pensare che sia una infatuazione di un adolescente, io ti ho sempre amata e continuerò a farlo per tutta la vita, che tu lo accetti o no!””Bambino mio, è difficile pensare a te come il mio amante, anche se nella realtà questo è successo. Anch’io ti amo, ma sono tua madre e non so proprio come sbrogliare questa matassa intricatissima, te lo confesso”.Si avvicinò e mi abbracciò stretto: eravamo tutti e due completamente nudi, ma non ebbi più il coraggio di imporle nulla. Mi godetti quel lungo abbraccio aderendo come potevo a tutte le curve del suo corpo ed aspirai il suo profumo come quello di un fiore meraviglioso.”Ora penso che dovremo ricomparire in mezzo alla gente, sei d’accordo?” disse mia madre con un sorriso, riprendendo in qualche modo il controllo di sé, “altrimenti qualcuno comincerà davvero a pensare a male”. Mi dette un ultimo bacio sulla guancia e mi spinse delicatamente verso la porta. Ricambiai il bacio e quando mi chinai per riprendere i miei vestiti lei mi dette un leggero schiaffo sul sedere:”Devo complimentarmi, piccolo mio, ti ho costruito proprio bene”.Le sorrisi ancora una volta ed uscii dalla sua cabina, con la testa che mi ronzava come se avessi dentro un alveare. Mamma mia che cosa fantastica mi era capitata!Tornai nella mia cabina, ma non rifeci un’altra doccia, volevo tenere ancora sul mio corpo tutto il profumo di mia madre. Avevo fatto l’amore con lei, io l’amavo così tanto, non potevo credere che una cosa tanto bella potesse essere immorale.Mi distesi sul letto, con le braccia sotto la testa. guardando il soffitto. Ero cresciuto molto, mi era capitato, in poco tempo, più di quanto accadeva ad altri in tutta la vita: non potevo affatto lamentarmi.Dopo circa mezz’ora salii in coperta per dare una mano a mio padre e in quell’attimo realizzai il tradimento nei suoi confronti: anche lui amava mia madre e sebbene io non avessi avuto alcuna intenzione di portargliela via, non era affatto normale che io facessi l’amore con lei. Ma ritenevo che il problema, allo stato, non avesse soluzioni.Era una splendida giornata tropicale, giusta temperatura, brezza leggera, sole caldo, una meraviglia. Sul ponte trovai mio padre che discuteva con mio nonno e zio Marcel sulle prossime tappe della crociera. Zio Marcel, con un sorriso allusivo stava dicendo: “Sai, Julien, dovremmo trovare altri villaggi e scoprire altre abitudini degli isolani. Se il tema è quello sella scorsa notte ci sarà davvero da divertirsi !”.Mio padre gli dette uno spintone scherzoso e Marcel fece finta di andare a sbattere contro il nonno, che lo abbracciò per fermarne la corsa.”Papà André, che mi dici, sarà stata contenta, la nonna stanotte, eh? Ti sei fatto onore?” Marcel prendeva così in giro il nonno, il quale, di rimando, gli appioppò una sonora pacca sulla schiena e gli disse: “On y soi qui mal y pense ! Pensa a quello che hai fatto tu, non essere irriverente e rispetta le persone anziane. Comunque puoi chiederlo direttamente a tua nonna, non temo confronti, io!””Hai ragione tu, vecchio leone!” lo apostrofò mio padre.Scoppiammo tutti quanti a ridere.Iniziarono a salire sul ponte, alla spicciolata le altre “croceriste”. Le accomunava una espressione languida, testimonianza di sfrenate avventure notturne, sulle quali non avevo il coraggio di indagare. Per quanto mi fosse apparso del tutto naturale aver fatto l’amore con mia madre, mi dava un senso di disagio pensare a cosa potesse essere accaduto fra zio Marcel e le sue, o addirittura le mie sorelle e le mie amiche di “giochi”, Edith e Annette.Ma la curiosità e naturalmente l’ansia più grande per me era provocata dall’aspettativa della comparsa di mia madre. Come si sarebbe comportata? Ero sicuro che la sua grande personalità non avrebbe mai consentito a nessuno di sospettare, nemmeno lontanamente, che cosa fosse accaduto giù nella sua cabina. E così fu: lei fece la sua comparsa accompagnata da un sorriso radioso diretto a tutti gli astanti. E da tutti fu accolta come la regina del gruppo.Mio padre spiegò quindi il programma della giornata, che comprendeva un’altra visita ad un atollo, più lontano da quello presso il quale ci eravamo ormeggiati e che ci aveva offerto quello spettacolo unico, che penso nessuno di noi avrebbe mai dimenticato.Nonno André, con aria sorniona, esordì: “Per favore, Julien, le emozioni della scorsa notte sono state sufficienti! Quindi, cerca di organizzare una visita tranquilla, altrimenti per la nonna Sophie subire altri assalti sarà fin troppo sconvolgente!” Dicendo questo fece l’occhiolino a mio padre. “André” replicò nonna Sophie, “sempre spregiudicato, il lupo perde il pelo… però non credi che anch’io debba un ringraziamento al capo villaggio? Dopo anni mi ha fatto nuovamente sognare…!”L’uscita della nonna provocò una risata generale ed un gesto di affetto del nonno, che, non sentendosi affatto rimproverato, anzi complimentandosi per la sua uscita, andò ad abbracciarla stretta. Mio padre accese i motori e li lasciò girare al minimo per farli riscaldare. Poi, come di consueto, mi occupai con zio Marcel di mollare gli ormeggi. Quando la barca fu libera mio padre, che era già al timone, diede gas leggermente e si discostò dal pontile. La prua si sollevò e la barca si diresse verso il mare aperto. Mio padre decise di fare il giro dell’isola per portarsi, stavolta per mare, verso il villaggio dove eravamo stati ospiti la notte precedente, che era visibile, ma non accessibile, dal mare. Giunti in vista del villaggio mio padre rallentò e puntò la prua verso la riva. Si scorgevano distintamente le capanne con i tetti di fogliame di palma e lo spiazzo che ci aveva ospitato. Ma strategicamente gli isolani avevano collocato il villaggio in una zona inaccessibile dal mare, in quanto protetta da una parete non alta, ma completamente liscia e perpendicolare alla riva, difficilmente scalabile di nascosto da chi potesse avere cattive intenzioni. Anche se non era terra di pirati, non si poteva mai sapere.Attirati dal rumore della barca gli isolani si affacciarono sul terrazzo naturale, ci scorsero e ricambiarono i cenni cordiali di saluto che gli indirizzavamo dalla barca. Ci riconobbero e, ad un cenno del capo villaggio, si riunirono sul ciglio del dirupo per salutarci. Erano stati affettuosi come pochi. Il loro ricordo non ci avrebbe abbandonato mai, in ogni senso. Annette, Edith e zia Juliette, in particolare, si affacciarono alla murata della barca per cercare di scorgere i muscolosi isolani che ci avevano offerto quello spettacolo così straordinario ed una volta scorti lanciavano loro dei saluti calorosissimi, sbracciandosi a più non posso. Io immaginavo che cosa avrebbero fatto anche ad uno soltanto di loro, se solo avessero potuto averlo tra le mani…La giornata era, come al solito, splendida. La primavera tropicale ci solleticava la pelle con la sua calda carezza, il sole era caldo, ma non insopportabile, e pregustavo un bagno in quel mare tiepido e cristallino. Navigammo per tutta la mattina e la barca si comportò davvero bene: solcava le onde che appena increspavano il mare, sotto la spinta della brezza leggera. I miei familiari si dedicarono alle attività preferite: le donne a prendere il sole, zio Marcel e nonno André giocavano a carte, mio padre pilotava la barca ed io svolgevo i miei compiti di navigatore, controllavo la rotta che mio aveva mia aveva comunicato e lo avvertivo di ogni scostamento. Ma la cosa che mi divertiva di più era osservare il profilo dei fondali che veniva disegnato sullo schermo dell’ecoscandaglio a mano a mano che la barca procedeva sul mare. Potevo notare l’andamento del fondo, generalmente piatto, ma talvolta interrotto da piccoli rilievi e, soprattutto, il passaggio di branchi di pesci, che venivano indicati sul video proprio da piccoli pesci generati dai cristalli liquidi dello schermo. Qualche volta lo schermo veniva attraversato da pesci di dimensioni ragguardevoli, che identificavo senza alcun dubbio come squali o barracuda. Ragazzi, mi dicevo, chi poteva essere più felice di me! Un posto paradisiaco, in compagnia delle persone che amavo di più al mondo, una vita sessuale straordinariamente intensa ed avevo solo 18 anni! Se lo avessi raccontato ai miei amici non mi avrebbero mai creduto.Viaggiammo per tutta la giornata. Mio padre ed io ci demmo più volte il cambio alla guida della barca, incrociammo le solite barche di pescatori maori con i bilancieri e da una di queste acquistammo del pesce appena pescato, che Annette e Edith si offrirono di cucinare. Infatti, nonostante avessimo in barca una dispensa piena di cibo era certamente più gustoso mangiare pesce fresco.Passammo nelle vicinanze di atolli pieni di vegetazione, ma deserti, e di isolotti pieni di capanne e di attrezzature ricettive. Ma nessuna di esse era ricompresa nel nostro itinerario; infatti, la nostra meta era un isolotto nell’arcipelago delle Tuamotu, nei pressi dell’isola di Rangiroa, ma meno frequentato, famoso per la raccolta delle ostriche. Vi giungemmo nel pomeriggio. Anche in quest’isola, come nella precedente, era stato realizzato un pontile in legno, comodissimo per l’attracco, anche di grosse imbarcazioni. Ed anche lì, come nell’isola precedente, il comitato di accoglienza fu dei più gradevoli. Bellissime ragazze, di età indefinibile, ma certamente adolescenti, con un sorriso cordiale che mostrava una dentatura candida, ci accolsero cingendoci il collo con le classiche coroncine di fiori variopinti. Nonostante la ripetitività del rituale non ero affatto annoiato: le ragazze erano bellissime e sorridenti e mi cinguettavano intorno come colibrì attorno ad un cespuglio di fiori. Per fortuna anche con loro riuscivamo a comprenderci. Ringraziai muto la politica colonialista francese che per secoli aveva diffuso la nostra cultura e la nostra lingua in tutto il continente australe e non solo lì. Accompagnandoci come in processione, le ragazze ci condussero al villaggio, questa volta più vicino del precedente al pontile di attracco. Anche questo insediamento indigeno aveva la struttura per così dire urbanistica identica al villaggio precedente: grande radura e capanne con tetto di foglie di palma, la più grande delle quali forse riservata al capo.Giunti nella radura, sempre accompagnati dal comitato di accoglienza, vi trovammo schierati, appena un passo dietro al capo villaggio, coloro che apparivano i notabili. Tutti portavano vesti sgargianti, evidentemente segno del rango, ed apparivano sinceramente contenti ed interessati per la nostra visita. Il capo si presentò stringendo la mano a tutti e poi portando le mani incrociate al petto, seguite da un inchino, in onore di ciascuno di noi.Poi ci presentò i suoi famigliari, sua moglie, una polinesiana bruna ed affascinante, diversa dalle altre che avevo visto, e ci fece visitare il villaggio, che mi accorsi era più grande di quello che appariva a prima vista. Ma la cosa che mi sorprese davvero era l’organizzazione democratica perfetta in cui era strutturato il villaggio. La capanna più grande che avevo identificato come la capanna riservata al capo, in realtà era l’ambiente riservato alle riunioni, nel quale si assumevano, con rigorosa maggioranza, le decisioni più importanti per la vita e l’economia del villaggio. Dimenticate ormai da anni le incursioni dei pirati, che avrebbero giustificato riunioni a fini di sicurezza, la capanna era divenuta la sede amministrativa del paese e, quando non vi erano decisioni da prendere, un semplice luogo di ritrovo privilegiato per gli abitanti, il posto ideale per tenere feste e celebrare cerimonie.Anche in occasione di questa visita potei apprezzare l’elevatissimo grado di cultura del capo villaggio, che parlava un perfetto francese verosimilmente acquisito all’università della Sorbonne ed era dotato di un carisma notevole nei confronti dei suoi sudditi. La sua serenità e la sua forza sorridente mi fecero ricordare un famoso film con John Wayne e Lee Marvin: “I quattro della croce del Sud”. Si respirava la medesima atmosfera di regalità e di gioia del film.Approfondendo la conoscenza, infatti, il capo rivelò a me ed ai miei che sua moglie era la discendente dell’ultima regina Maori. Ecco perché sin da quando l’avevo vista per la prima volta non mi era parsa una semplice popolana. L’aura di regalità che la circondava la collocava in una posizione del tutto diversa rispetto a quella degli altri. Il capo, che mi aveva preso davvero in simpatia, mi confessò che pur non essendo anch’egli un discendente di re era entrato nelle grazie della principessa, la quale aveva acconsentito di sposarlo per le sue doti di condottiero e di medico. Infatti il capo aveva spiccate doti di sciamano, curava gli abitanti del villaggio e chiunque avesse richiesto il suo intervento, anche dalle isole vicine.In realtà ci disse con un sorriso che aveva studiato prima a Parigi, poi all’università di Sydney ed era realmente laureato in medicina. Così erano in tanti a venire a trovarlo. Lui si era dedicato soprattutto alla medicina naturale, conosceva le proprietà di tutte le erbe che crescevano nell’isola e praticamente non aveva bisogno di farmaci prodotti chimicamente. Incredibile: un medico omeopata in Polinesia! Solo in casi estremi decideva di chiamare per radio il soccorso sanitario ed una eli-ambulanza veniva a prelevare l’ammalato per portarlo in ospedale a Papeete o a Rangiroa.Esauriti i convenevoli di accoglienza, il capo ci invitò ad un rinfresco, che per l’occasione fu preparato appunto nella grande capanna, in nostro onore. Sembrava che gli isolani ci stessero aspettando da giorni, ma ci misero un attimo ad imbandire una enorme tavola ricolma di cibi, soprattutto pesce, frutti di mare e frutta. Facevano bella mostra di sé delle enormi ostriche dall’aria estremamente appetitosa. Il capo ci invitò ad accomodarci ed offrendoci, appunto, la specialità dell’isola, ci chiese se fossimo interessati a pescare di persona delle ostriche, oltre che per il piacere di una immersione in acque non molto profonde, anche per la possibile, gradevole sorpresa, di trovarvi dentro una perla. Non c’è bisogno di indovinare chi accettò e con tale entusiasmo che il capo, con un sorriso, mi invitò almeno a terminare il pranzo. Poi, mi disse, mi avrebbe fatto accompagnare da alcune delle sue più brave pescatrici di ostriche.La cosa più deliziosa che il capo ci offrì, oltre a tutto il ben di dio messo a nostra disposizione, fu una bevanda freschissima, una specie di cocktail che sembrava essere composto da latte di cocco, erbe ed altri aromi deliziosamente dissetanti. Mi ripromisi di farmi dare la ricetta, ma poi mi resi conto che in Francia sarebbe stato difficile prepararlo, se non fossi riuscito a trovare tutti gli ingredienti.Terminato il rinfresco, non mi feci sfuggire l’occasione di approfittare dell’invito del capo alla raccolta delle ostriche. Con un grande sorriso, che evidenziava il compiacimento per aver accolto l’invito, il capo sollecitò un gruppo di ragazze, bellissime, tra le quali mi sforzavo di riconoscere quelle che ci avevano accolto al nostro arrivo, a prepararsi. Io avevo già il costume da bagno (che costituiva praticamente il mio indumento principale, anzi unico), feci una corsa verso la barca per procurarmi la mia attrezzatura da sub (pinne, maschera e boccaglio) e mi accinsi a seguire il gruppo, che mentre si preparava a raggiungere la spiaggia, si ingrossava sempre più, con l’aggiunta di altri componenti, ragazze e ragazzi. Anche le mie zie, in particolare zia Juliette, si mostravano interessate alla battuta di pesca. Alla fine il gruppo, abbastanza nutrito (della mia famiglia, oltre me c’erano zia Juliette e zia Jeneviève, zio Marcel e Annette, mentre tutti gli altri avevano preferito rimanere al villaggio per chiacchierare con il capo e con sua moglie), raggiunse la spiaggia con sabbia candida e mare chiarissimo, palme da cocco che si protendevano verso il mare, piantate dalla natura sin sulla riva, quasi come ombrelloni naturali. Ci tuffammo nell’acqua tiepida, che si mantenne bassa, alle ginocchia, sino a quando raggiungemmo una scogliera appena affiorante. Dopo la scogliera il colore del mare virò improvvisamente verso l’azzurro cupo, segno di una diversa profondità. Le ragazze ed i ragazzi dell’isola, che al contrario di me non avevano attrezzature da sub, ci indicarono che era quello il posto per immergerci. Con la stessa leggerezza degli uccelli marini che si tuffano per pescare, gli isolani si immersero nell’acqua limpida e calda; io lo feci con meno garbo, spargendo tutt’intorno gli schizzi provocati dal mio tuffo e… cambiai dimensione. Mi trovai improvvisamente in un acquario, con tutti i pesci tropicali che potevano ritrovarsi in un manuale di ittiologia: pesci palla, pesci Napoleone, pomodori di mare, oloturie, quegli strani esemplari che assomigliavano ad un grosso pisello e che avevano la capacità di lasciar partire di colpo fuori il proprio apparato digerente, proprio come un violento schizzo di sbora… solo se strizzati un pochino tra le mani.Le ragazze ed i ragazzi nuotavano come pesci, senza pinne, senza maschera, portando, oltre ad un ridottissimo costume da bagno, che copriva l’essenziale, solo una leggera reticella attorcigliata intorno ai fianchi e, rispetto a me, resistevano almeno il doppio del tempo sott’acqua senza doversi rifornire di ossigeno. Sul fondale, che non era più profondo, calcolai ad occhio, di tre-quattro metri, si stendeva un tappeto di alghe di tutte le sfumature di verde, dal quale facevano capolino le anemoni di mare, coloratissime. Seguii gli isolani, non sapendo dove cercare. I ragazzi, ma soprattutto le ragazze, sembravano invece abilissimi ad aprire con le mani quella chioma verde formata dalle alghe e, se non trovavano nulla, si spostavano veloci in un’altra zona vicina. Fui contratto a risalire perché ero in debito di ossigeno, presi aria e dopo una intensa iperventilazione mi rituffai insieme ad una ragazza. Poteva avere la mia età e, come le sue coetanee, un corpo ben fatto, non tozzo come tante maori, ma con gambe affusolate, forse perché allenatissime al nuoto e soprattutto, un colore della pelle meraviglioso, come un’ambra luminosa e gli occhi nerissimi.Aveva la capacità, oltre che di tenere gli occhi aperti, quella di sorridere in acqua. Mi precedeva ed io potevo avere una visione completa delle sue bellissime gambe che la spingevano verso il fondo e del suo culetto rotondo appena coperto dal perizoma attorno al quale era avvolta la reticella nella quale avrebbe dovuto essere riposto il “bottino”. Girò la testa verso di me e mi invitò a seguirla nell’acqua così luminosa, a causa dei raggi solari, che sembrava vi fosse acceso dentro un faro. Raggiungemmo il fondo e cominciai a cercare tra le alghe, imitando i suoi movimenti svelti e leggeri. Avevo ancora riserva di aria, grazie alla iperventilazione, e mi spostavo di fianco a lei, sfiorandola con il mio corpo. Ad un certo punto lei mi indicò il fondo, segno che aveva trovato qualcosa: cercò tra le alghe ed estrasse un’ostrica grande più della sua mano. Io ero abituato a quelle che in Francia siamo abituati a consumare e questa, come quelle che ci aveva offerto il capo villaggio, era grande almeno il doppio. Io imitai la ragazza e tra le alghe cominciai a trovare qualcosa: una, due, tre ostriche. Le passai alla ragazza, che mi sorrise e le infilò nella reticella. Realizzai che l’eccitazione di aver trovato le mie prime ostriche mi aveva fatto dimenticare la mia apnea e risalii immediatamente: meno male che il mare era poco profondo. La mia compagna mi seguì, anche se pensai che non avesse bisogno di aria come me e ci ritrovammo entrambi a pelo d’acqua, sorridenti.”Bravissimo” mi disse con entusiasmo “hai imparato prestissimo, sei un pescatore di perle molto abile!””Grazie a te” le risposi, sinceramente e non per ricambiarle il complimento, “ma se non mi avessi insegnato tu come fare a quest’ora starei ancora cercando non so che cosa”. Le feci una leggera carezza sui capelli nerissimi, poi le dissi: “Ritorniamo giù?””Ci hai preso davvero gusto” mi rispose lei “dai, andiamo”.Ricominciai l’iperventilazione, ma mi interruppi. Lei mi guardò con aria interrogativa. “No, nulla” risposi io “volevo soltanto chiedere il tuo nome, io mi chiamo René.””Loanai”, mi rispose con un sorriso.”Il tuo nome è come una musica” le dissi.”Grazie”, mi rispose, sorridendo e subito si rituffò.Mi affrettai a raggiungerla: era bellissima, si muoveva sott’acqua come se volasse.Continuammo a cercare e ogni volta che ci immergevamo la reticella si arricchiva di altri esemplari di ostriche. Il mare era così limpido che ci consentiva di vedere i movimenti dei nostri compagni, degli isolani, delle mie zie di Annette, che non aveva perso l’occasione di immergersi in compagnia di un muscoloso isolano.Ci immergemmo ancora per circa un’ora. La reticella portata da Loanai era ricolma di ostriche. Era il momento di ritornare sulla spiaggia. Il sole era quasi al tramonto e raggi dorati facevano assumere al mare colorazioni diverse. Giungemmo sulla spiaggia bianca. Io mi lasciai cadere sulla sabbia candida e Loanai sedette vicino a me. Le guardai il volto: era davvero bella. Quando tutti giunsero sulla spiaggia tutte le ostriche raccolte furono riversate su di un grande telo a rete che una ragazza aveva disteso sulla sabbia. Era stata una pesca davvero notevole. Dopo alcuni attimi si avvicinarono gli altri ragazzi e sedettero vicino a noi. Il chiacchiericcio delle ragazze era come un cinguettio, ma per rispetto agli ospiti ripresero a parlare francese. Sembravano tutti quanti molto amici, ma tra alcuni di loro era evidente un legame sentimentale molto forte: lo si notava dagli sguardi, da come si toccavano, da una confidenza particolare.Chiesi a Loanai se fossero fidanzati e se anche lei avesse un fidanzato, quasi scusandomi per averla costretta a farmi compagnia rinunciando alla sua. “No, nulla di tutto questo” mi rispose, con aria comprensiva “non siamo poligami, ma non abbiamo nemmeno un principio di esclusiva sentimentale. Conosco le abitudini della tua terra, e ti assicuro che le nostre non sono del tutto diverse. Ma i nostri usi differiscono per la maggiore libertà, nel senso che fino al matrimonio, che ci vede rigorosamente monogami, possiamo scegliere di stare con chi ci piace di più. Vedi, a me piace Noami, quel giovane alto che sta tenendo compagnia alla tua zia, ma non pretendo nessuna esclusiva da lui. Alla nostra gente il sentimento della gelosia è completamente sconosciuto.”In effetti vedevo che zia Juliette aveva gli occhi incollati in quelli del giovane e gli accarezzava dolcemente il petto bagnato. Sembrava che a Noami quel trattamento non dispiacesse affatto.Anche zio Marcel si era sdraiato accanto a due ragazze, che ridevano ascoltando qualcuna delle sue storie spiritose. L’atmosfera non era intrisa di erotismo come quella della notte scorsa. La stanchezza del bagno prolungato e la soddisfazione per la raccolta delle ostriche pareva avessero intriso di languore tutto il gruppo, disteso sulla sabbia calda e bianchissima.La vicinanza di Loanai, ma soprattutto la sua delicata carica erotica, mi avevano provocato una visibile erezione. La ragazza se ne accorse e mi guardò con un sorriso. “Sei eccitato! Ma sono proprio io a farti questo effetto?””E chi altri? Non vedo altre ragazze nelle vicinanze” le risposi un po’ imbarazzato. “Scusami, ma tu sei così bella e dolce…””Guanìa, Neali !” chiamò con voce bassa e dolce Loanai. Staccandosi dal gruppo si avvicinarono altre due ragazze, non belle quanto Loanai, ma altrettanto piacevoli e sorridenti. Le ragazze si accoccolarono vicino alla loro amica.”Al nostro ospite la raccolta delle perle ha fatto un effetto speciale… e senza che abbia assaggiato il frutto dell’amore !” disse con un sorriso Loanai, rivolta alle sue compagne, alle quali stava indicando il rigonfiamento che, ad onta dell’imbarazzo che provavo, diveniva sempre più evidente. Le due ragazze, con un sorriso dolcissimo, mi presero ognuna per una mano e mi fecero sollevare, poi mi accompagnarono, tirandomi leggermente, lontano dal gruppo disteso sulla sabbia, dietro una duna. Le seguivo docilmente, come ipnotizzato dai loro sorrisi, dai corpi dorati seminudi che luccicavano ancora al sole del tramonto, dal contatto delle mani calde sulle mie.Scavalcata una duna piena di vegetazione profumata, ci inoltrammo, io e le tre ragazze, verso una boscaglia non molto fitta; percorsi circa duecento metri, scorsi una radura, con al centro una capanna con il tetto formato da enormi foglie di palma, che assicuravano un’ombra quasi totale all’interno del tucul. Le ragazze mi fecero entrare e mentre Neali e Guanìa mi tenevano compagnia, Loanai scomparve. Eravamo tutti e tre seduti sulle ginocchia, nel fresco della capanna. Io sinceramente non sapevo come intavolare un discorso con quelle ragazze sino a qualche istante prima per me del tutto sconosciute, ma loro sinceramente facevano di tutto permettermi a mio agio, con i loro sorrisi ed una sincera manifestazione di disponibilità che traspariva dai loro volti. Non passarono nemmeno due minuti che Loanai rientrò con una foglia simile ad un vassoio, ricolme di frutti rossi, che rassomigliavano ai corbezzoli. Porse il vassoio a me, perché ne prendessi, ma io, con fare galante, lo porsi alle ragazze, perché si servissero prima di me. Mamma ci teneva molto che io fossi una persona educata in ogni situazione. Le ragazze mi ringraziarono ed anche Loanai iniziò a mangiare: erano dolcissimi, il sapore era simile ad un’essenza concentrata di cocco, fragole e prugne, ma molto più buono, dolce ma non troppo, un vero frutto tropicale mangiato ai tropici. Noi europei eravamo abituati a mango e papaia con il sapore del sedano perché erano frutti colti troppo acerbi per gustarne il vero aroma. Ne mangiai uno, due, poi di seguito tantissimi, imitato dalle ragazze, che mostravano di gradirli tantissimo.Terminammo soltanto quando la foglia-vassoio non ne contenne più alcuno. Conservavo ancora in bocca il sapore dolcissimo dei frutti. Chiesi a Loanai: “Potrei portarne qualcuno con me quando andrò via?””Certamente” mi rispose lei, con un sorriso “Ne potrai portare via con te quanti ne vorrai, qui crescono in grande quantità, anche spontaneamente e ti darò anche dei semi, che potrai utilizzare in molti modi, non ultimo quello più naturale, cioè piantarli ed ottenere delle piante che produrranno altri frutti. Dovrebbero crescere bene anche nel tuo paese. Le piante crescono e si diffondono con grande facilità”Non mi pareva vero: un frutto talmente buono e così facile da far nascere e da coltivare ! Mentre pensavo a come mettere a dimora le piante sul nostro terrazzo di Parigi, avvertivo una strana sensazione che mi pervadeva, un leggero calore che si irradiava dallo stomaco a tutto il corpo, formicolante, piacevole, stimolante. Avvertivo che le mie guance stavano divenendo paonazze non solo dal calore che sentivo toccandole, ma soprattutto dai risolini che le ragazze si scambiavano mentre mi guardavano. Quella sensazione stava riempiendo il mio corpo ad ondate successive sempre più imponenti. Sinceramente iniziai a preoccuparmi di aver fatto una indigestione di frutta, ma Loanai mi tranquillizzò: “Non aver timore, René, noi lo chiamiamo Riali, il frutto dell’amore. E’ lo stimolo più efficace, per chi ne ha bisogno, per essere molto teneri con i propri innamorati ed è anche un aiuto per chi ha problemi appunto con i propri innamorati. E’ efficace per gli uomini come per le donne. E’ un innocuo afrodisiaco”.In effetti il calore che emanava dal mio ventre si era sparso dappertutto, trasformandosi in una eccitazione irrefrenabile. Il mio pisello, già tormentato tutto il pomeriggio dalla visione paradisiaca del corpo di Loanai, era divenuto un randello rovente e duro come il ferro che tendeva il tessuto elastico degli slip da bagno come se volesse schizzare fuori. Ma evidentemente la sensazione che stavo provando era la stessa delle mie accompagnatrici, le quali mostravano visi paonazzi, occhi luccicanti, labbra tumide e si accarezzavano leggermente. Io pensai che un’occasione come quella non si sarebbe mai più ripresentata nella mia vita: le ragazze avevano mangiato anche loro quella bomba afrodisiaca e quindi non mi avrebbero respinto, forse. Mi avvicinai a Loanai e la baciai, dolcemente. Lei non mi dette nemmeno il tempo di respirare, mi infilò la lingua tra i denti, si impadronì della mia e me la succhiò come se stesse bevendo il latte da un biberon. Feci appena in tempo a ritirarla, altrimenti penso che me l’avrebbe mangiata.Ricambiai subito il bacio appassionato ed entrambi iniziammo una frenetica esplorazione dei nostri corpi con le mani. Realizzammo all’improvviso di essere ancora coperti dei piccoli quadratini di stoffa dei nostri costumi da bagno e ce li strappammo letteralmente di dosso; io aiutavo le ragazze, godendomi lo spettacolo unico dei loro corpi progressivamente nudi.Erano stupende, muscolose e piene di curve, con i seni di dimensioni generose ma così sodi da sfidare la legge di gravità. Le areole brune si notavano appena sull’epidermide dorata abituata all’abbronzatura integrale. Mi gettai a capofitto sui capezzoli di una di loro e cominciai a succhiarli, alternativamente, penso con lo stesso impegno che Loanai ci aveva messo con la mia lingua e strappai a Guanìa gemiti di piacere: “Ancora, succhiami, mi piace…. mmmmmhhh… aaaahhh!”Vedevo che Loanai e Neali mi guardavano come imbarazzate e subito mi dedicai a loro, riservando lo stesso trattamento di Guanìa. Non mi sentivo affatto imbarazzato per la presenza contemporanea delle tre ragazze, anzi, mi sentivo certamente all’altezza di tenere testa a tutte: dopo aver collaudato gli assalti di Annette e Edith non penso ci fossero ancora molte cose delle quali meravigliarmi. I corpi delle tre ragazze erano imperlati di sudore, la loro eccitazione (come la mia del resto, era divenuta un fenomeno palpabile, l’aria nella piccola capanna era divenuta arroventata e piena del profumo dei nostri corpi. Non ci preoccupavamo ormai di nulla, ma eravamo presi da un’unica ossessione; fare l’amore. Eravamo tutti infoiati, le nostre lingue ormai si incontravano nell’aria, disordinatamente, le mani vagavano sui corpi accarezzandoli. Ad un tratto Neali si buttò avidamente sul mio pisello come se fosse l’ultimo boccone di cibo sulla terra per un affamato, lo scappellò completamente e cominciò a giocarci con la lingua, come se stesse ubbidendo ad un rituale di danza tribale. Guizzi velocissimi accarezzavano la punta, poi la lingua scendeva sempre più giù. fino a raggiungere le palle, che Neali introduceva in bocca alternativamente, procurandomi un godimento estremo.Io e Guanìa, intanto, ci dedicavamo a leccare Loanai dappertutto. La ragazza era scossa da un tremito che la rendeva ancora più bella ed eccitante. Le baciai la fica, come ero abituato a fare con Annette, esplorando dappertutto quel fiore dorato e profumato di mare: le aprii le labbra e introdussi la lingua in un anfratto caldissimo e grondante di umori. Non avevo mai visto una donna così bagnata. Loanai gemeva di piacere: io le leccavo la fica, mentre Guanìa aveva infilato la lingua nel suo buchino posteriore. Mi ritrovai a pensare con disappunto che forse il merito della eccitazione parossistica di Loanai non era né mio, né di Guanìa, ma piuttosto del frutto afrodisiaco. Comunque, quando le solleticai il clitoride con la punta della lingua Loanai schizzò quasi fino al soffitto della capanna, mi prese la testa fra le mani e me la spinse contro la sua fica. Continuai con grandissimo piacere la mia opera ed il fremito che attraversava il corpo di Loanai si fece incontrollabile. Era come priva di volontà, divaricava le gambe e chiedeva lamentosamente: “Oh….. sì….. sì, leccami, leccami dentro, ti prego, mi fai impazzire… aaaahhhhh !”.Un ultimo brivido annunciò il primo orgasmo di Loanai, che strinse forte le gambe intorno alla mia testa, costringendomi, si fa per dire, a sospendere il mio lavoro di lingua sulla sua fica. Poi cadde esausta sul pavimento ricoperto di foglie della capanna. Potei quindi dedicarmi alle altre due ragazze che erano addirittura ancor più infoiate di Loanai. Neali era inginocchiata davanti a Guanìa e china su di lei la stava leccando. Mi inginocchiai anch’io dietro Neali e in un solo colpo le infilai il pisello nella fica che era completamente aperta davanti ai miei occhi e lucida di umori che le scendevano lungo le cosce. Nonostante Neali avesse una fica strettissima, il mio cazzo scivolò dentro senza alcuna difficoltà e venne immediatamente risucchiato dalle pareti della sua vagina, che lo stringevano come in una morsa. Era la prima volta che provavo una sensazione simile. Cominciai a muovermi su e giù nella fica di Neali, prima con movimenti lenti e lunghi, mentre accarezzavo il corpo della ragazza, le spalle, le natiche, poi passavo una mano davanti e stringevo le sue tette a coppa tra le mani. Le prendevo i capezzoli e li rigiravo tra le dita. Neali muoveva il bacino come se stesse danzando uno di quei rituali di sesso che avevo visto nel villaggio che avevamo visitato appena il giorno prima. Non ero io che la stavo scopando, ma il suo bacino che scopava il mio cazzo. Incredibile: dovevo venire in Polinesia per imparare queste cose!Però nemmeno io riuscivo a conservare la lucidità. L’eccitazione mi aveva fatto perdere ogni freno inibitore, però con uno degli ultimi barlumi di coscienza realizzai che oltre alla foia esagerata i frutti afrodisiaci producevano uno strano effetto: ritardavano l’orgasmo, almeno per me: mi sentivo eccitato da impazzire, ma ero consapevole che sarei durato tanto a lungo.Così iniziai a dare colpi all’impazzata nella fica di Neali. Mi eccitava ancor di più il “ciac, ciac” prodotto dall’urto del mio bacino contro le sue natiche, un rumore reso umido dagli umori abbondanti che uscivano dalla fica di Neali e che lubrificavano sempre più il movimento del mio cazzo dentro la sua vagina. Più spingevo e più sentivo la punta del pisello toccare qualcosa dentro di lei, in fondo alla sua vagina. Un effetto straordinario, non credevo che far l’amore potesse essere così diverso ed eccitante. I miei movimenti facevano impazzire ancora di più Neali, che urlava: “Ahhhh….. sì….. io……arghhh….. sì….. sì”, accompagnate poi da altri suoni incomprensibili. Erano parole sconnesse, gutturali, primitive. Un atto sessuale di aborigeni, selvaggio, senza freni.Neali ebbe un orgasmo, lungo, squassante. Me ne ero accorto sia dalle sue grida, sia perché il mio pisello venne strizzato con movimenti alternati dalle fortissime pareti della sua vagina, che, a ondate, si contraeva e si rilassava ritmicamente. Non avevo mai assistito ad un orgasmo simile. La fica di Neali avrebbe potuto stritolare un serpente, se si fosse infilato dentro…Dopo l’ultima contrazione usci da lei per dedicarmi ora a Guanìa, la meno bella del terzetto, ma con l’eccitazione tremenda provocata dal frutto dell’amore non era il caso di fare lo schizzinoso. Guanìa aveva già le gambe divaricate per l’intervento di lingua praticatole da Neali e così era rimasta. Mi avvicinai a lei che, con occhi sbarrati, sembrava attratta dal mio pisello come da una visione paradisiaca e mi distesi sul suo corpo. Anche in questo caso non vi fu alcuna difficoltà a penetrarla: il suo liquido gelatinoso rendeva il suo canale liscio come la seta e caldo come il pane appena sfornato. Guanìa profumava appunto di pane, di erbe aromatiche, di buono. Sentivo sotto il mio corpo la rotondità del suo ventre, il seno appuntito. La baciai sul collo e, come per Neali, iniziai un lentissimo movimento di va e vieni nella sua fica: ultimamente ero alleatissimo… Anche in questo caso l’iniziativa non dovette partire solo da me: il bacino di Guanìa sembrava essere dotato di vita propria: come in una danza del ventre, si muoveva attorno al mio cazzo come se lo volesse costringere in posizioni persino innaturali. Le sensazioni che mi provocava sono indescrivibili. A proposito di pane mi sembrava di aver immerso il mio pisello in un forno da pane, tanto calda era la fica di Guanìa, ma non asciutta come un forno, bensì allagata di umori dell’eccitazione. Lo sciacquio del pisello dentro la fica riempiva con il suo rumore il silenzio della capanna, rotto ora anche dai gemiti di Guanìa, che si godeva la scopata con degli “ah.. ah.. ahh”, emessi ogni volta che il mio pisello si infilava in fondo alla sua fica. Era come se i suoi gemiti mi imponessero il ritmo, che si faceva progressivamente sempre più veloce e le spinte verso di lei sempre più forti. Guanìa pronunciava parole che credevo fossero frasi sconnesse, ma poi compresi che erano espressioni nella sua lingua, inframmezzate da parole in francese: “Guanìa tscilei, Guanìa ramei tu col; dai, fai forte, più forte, fai godere la piccola Guanìa”. Guanìa se la stava davvero godendo, il suo bacino si alzava per incontrare il mio pisello e consentire che le spinte lo facessero arrivare sempre più in fondo e le sue mani mi cingevano il sedere per governare i colpi; quando mi avvicinavo a lei mi tirava per imprimere maggiore forza e sentirmi di più. Mamma mia che sballo. In quel momento non pensavo nemmeno alla mia mamma ed ai momenti meravigliosi e sconvolgenti trascorsi con lei. Avevo solo uno scopo: far godere al massimo la piccola Guanìa. Dovetti spingere ancora una decina di volte, poi le gambe di Guanìa mi abbrancarono il bacino, imprigionandolo contro di lei, scossa da un orgasmo travolgente: “Uhhhh…. arghhhhh…. sì…..sì…..così mi piace….riempimi del succo dell’amore…..sì..”Ma io non avevo alcuna intenzione, o meglio, il mio pisello non aveva alcuna intenzione di finirla, quindi attesi paziente dentro di lei la fine dell’orgasmo di Guanìa. La ragazza fu scossa da un tremito più forte degli altri, mi abbracciò e mi dette un lungo bacio appassionato. “Grazie, è stato bellissimo”.Non ebbi la presenza di spirito di ringraziarla io per le sensazioni meravigliose che mi aveva fatto provare, ma soprattutto perché fui distratto da Loanai, che, terminato l’effetto del primo orgasmo, evidentemente pretendeva di partecipare nuovamente alla festa. Si avvicinò alle compagne, distese languidamente a godersi i postumi degli orgasmi che le avevano sfiancate e disse loro qualcosa in polinesiano, che io, ovviamente, non raccolsi.Poi si distese sul fianco sinistro, volgendomi le spalle, tirò a sé le ginocchia e mi aderì contro. Dapprima non capii bene quali fossero le sue intenzioni, poi sentii la sua mano che si impadroniva del mio pisello e se lo avvicinava alla fica. La sua posizione quasi rannicchiata favoriva tantissimo la penetrazione e, una volta che le fui dentro, subito avvertii che la punta toccava un punto in fondo a lei provocando, in lei e in me, contemporaneamente, una specie di scossa elettrica. Loanai modificò la posizione delle gambe, tirando le ginocchia ancor più verso il suo torace, come se fosse piegata in due, mentre il mio pisello ricominciava a muoversi come un pistone nel cilindro di un motore ben lubrificato. I mugolii di piacere di Loanai ben presto si diffusero nella capanna. La sua mano destra accarezzava la mia coscia. Ricominciai il mio lavoro di va e vieni, ma le sensazioni erano ancora diverse da tutte le altre che avevo provato in quel pomeriggio d’incanto. Era proprio il “riali”, ovviamente con la complicità di Loanai, Neali e Guanìa, che aveva creato un’estasi unica. Il respiro di Loanai si faceva sempre più affannoso; aveva un modo di gemere sotto i miei colpi che non faceva che aumentare l’eccitazione di quel momento. Neali e Guanìa, stremate dall’intensità del rapporto appena terminato, si avvicinarono lentamente a Loanai, che aveva gli occhi chiusi per il godimento e cominciarono ad accarezzarla: si vedeva che per loro Loanai era una donna di rango più elevato, destinataria quindi del loro rispetto e con quelle carezze timide, ma precise le tributavano la loro deferenza. Neali, si infilò pian piano tra le ginocchia ed il seno di Loanai e cominciò a succhiarle i capezzoli, uno alla volta. Loanai scuoteva la testa come se fosse invasata, mentre io affondavo inesorabilmente dentro di lei il mio pisello bollente e duro come una spranga di acciaio. Ognuno dei miei colpi faceva spostare il corpo di Loanai sul pavimento della capanna e Neali si muoveva con lei per non perdere il contatto con i suoi capezzoli. Ad un tratto, quasi all’improvviso, Loanai lanciò un urlo di piacere: “Oui, oui, mon petit garçon, je vien, je vieeeeeen !”. Il suo corpo fu scosso da tremiti irrefrenabili così forti che la costrinsero ad abbracciare Neali che continuava a masturbarle le tette. Nello stesso tempo la sua fica cominciò a pulsare, come se il suo canale d’amore fosse scosso da brividi: che sensazione! Mi chiedevo, con l’ultimo barlume di lucidità che mi era rimasto, se fosse una sua capacità particolare o era stato il “riali” a dare alla sua fica quella particolare caratteristica. Certo è che quel tremolio mi contagiò, scatenando dentro di me un rimescolio bollente che avvertivo saliva sempre più. Sfilai il mio pisello dalla fica di Loanai, che dava gli ultimi spasmi di godimento ed in quel momento, con lento languore, le tre ragazze se ne impadronirono, avvicinandosi con le bocche alla punta che era divenuta di un rosso violaceo e lucida degli umori di Loanai. Uno schizzo di sperma colpì Neali in pieno viso e lei, sorpresa, lanciò un “Ohhhh” di gioia e passò subito il testimone a Guanìa, che si beccò nella bocca aperta il secondo ed il terzo fiotto di liquido, che era più cremoso e lattiginoso di quanto non fosse mai stato. Loanai, con lo stesso sorriso che mi aveva mostrato sott’acqua, quando raccoglievamo le ostriche, si offrì ad essere colpita dai successivi getti di sbora. Ma il fenomeno che mi fece sbalordire è che pareva che l’eiaculazione non dovesse avere mai fine. Gli schizzi di sbora si susseguivano e le ragazze continuavano a passarsi il mio pisello per gustarsene tutta la quantità enorme che ne usciva. Sei, sette, otto, dieci! E tutti cremosi, abbondanti come il primo. Non pensavo che le mie sacche ne potessero contenere tanto: era una fontana impazzita e ogni getto mi faceva godere da pazzi. Non avevo mai avuto un orgasmo così lungo e così abbondante in tutta la mia vita e non credevo fosse possibile che un uomo, sia pure un ragazzo come me, potesse avere tanto sperma dentro di sé.Alla fine, stremati, ci lasciammo cadere sulle stuoie che costituivano il pavimento della capanna, abbracciati e sorridenti, le ragazze con i visi, i capelli, le bocche piene di sbora. Annette non sarebbe stata nella pelle a vedere una cosa simile: ne avrebbe bevuta a litri.Dopo diversi minuti cominciammo a muoverci e la prima cosa che domandai a Loanai fu come mai avessimo avuto degli orgasmi tanto intensi, se cioè era stato tutto merito del “riali”. “Bè, non proprio tutto merito suo. Ci sai fare anche tu, sei stato bravissimo a farci godere così. Soltanto l’eccitazione e l’abbondanza del tuo seme sono state determinate dal riali, che stimola la produzione di liquido seminale come nessun altro farmaco al mondo. Per questo lo chiamiamo il frutto della fecondità: dopo che lo hai mangiato è difficile che una donna non rimanga incinta”.Quelle parole dovettero provocare un mutamento della mia espressione, che dovette manifestare preoccupazione. “Non ci sono problemi, René, noi prendiamo un altro frutto, che ha proprietà anticoncezionali, fino a quando non decidiamo che è arrivato il momento di mettere al mondo tanti bei figli e per noi questo momento non è ancora giunto”.Mi rilassai: non era giunto nemmeno per me il momento di avere delle responsabilità così gravi. Ci rialzammo a fatica, raccogliemmo le i nostri vestiti e ci avviammo sorridendo e scherzando, come si conviene a ragazzi della nostra età, verso il villaggio. Mentre camminavamo chiesi a Loanai come credeva fosse andata a finire tra zia Juliette e quel giovane fusto che le era accanto e, soprattutto, a zio Marcel, che notoriamente non si faceva sfuggire un’occasione.”E tu come credi che sia andata?” domandò con un sorriso sornione Loanai. “Credi che non abbiamo assaggiato anche loro il riali…?”
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