L’ultima eclisse totale di sole del ventesimo secolo sarà visibile in un ristretto corridoio che attraversava l’Europa, nella mattinata di martedì undici agosto, poco dopo mezzogiorno. Un cono d’ombra lunare attraverserà l’Europa centrale fino al medio Oriente e l’India. La notizia è riportata a caratteri cubitali sul numero di Luglio di Focus. Non posso perdere l’occasione di ammirare questo stupendo fenomeno, tanto più che la distanza che separa la mia città dalla fascia centrale dell’eclisse è di poche centinaia di chilometri. L’entusiasmo per questo evento è tale che sono riuscita a coinvolgere la mia amica Paola nell’avventura. Abbiamo preparato ogni spostamento nei minimi dettagli, individuando sulla cartina geografica le località dove l’eclisse oscurerà per più di due minuti il cielo. La fascia è ampia e non abbiamo avuto che l’imbarazzo della scelta. Potremmo andare in Austria, in Francia, o in Germania. La scelta è caduta su quest’ultima. Ci siamo organizzate alla perfezione, munendoci degli strumenti necessari all’osservazione del fenomeno. L’eclisse, infatti, non va guardato a occhio nudo, ma utilizzando un adeguato filtro a protezione degli occhi. Nei giorni precedenti la partenza ci siamo procurate dei frammenti di vetro, che abbiamo provveduto ad affumicare con la fiamma di una candela. La sera precedente la partenza porto il mio Wolkswagen California davanti a casa. Ci carichiamo sopra tutto il necessario per il viaggio, biciclette da corsa comprese. La domenica mattina, alle prime luci dell’alba, lasciamo la città verso la nostra meta. L’autostrada del Brennero che da Mantova sale fino al confine è intasata d’auto d’ogni tipo, soltanto dopo Vipiteno il traffico si fa più scorrevole. Alle tre del pomeriggio, dopo aver attraversato l’Austria, raggiungiamo Schwangau. Dall’alto di una cima l’incantevole castello di Ludwing domina la valle sottostante ricca di boschi millenari e di una miriade di piccoli laghi, come in un paesaggio da fiaba. Ogni volta che mi capita di visitare questo posto mi prende una sensazione interiore di pace e tranquillità che nessun altro luogo sa suscitarmi. Soggiorniamo due giorni in uno dei tanti campeggi che si affacciano lungo le rive dei laghi. Appassionate di cicloturismo percorriamo le piste ciclabili che s’intrecciano lungo i diversi itinerari e mettono in comunicazione i laghi fra di loro. Alterniamo le passeggiate con lunghe ore trascorse sui prati in riva ai laghi a prendere il sole. Lasciamo con rammarico quei posti incantevoli nel tardo pomeriggio di lunedì. Ci dirigiamo col camper verso Augsburg, che dista solo un centinaio di chilometri lungo la Romantische Strasse. Augsburg è una città di centomila abitanti situata nel mezzo di una vasta pianura ai cui limiti s’innalzano sterminate colline ricche di prati, pini ed abeti. Dopo avere attraversato la tangenziale della città usciamo dall’autostrada dirigendoci in direzione delle colline. Il primo cartello stradale che incontriamo indica un paese: Wertingen a 4 Km. E’ sera quando parcheggiamo il camper in una piazzola di un supermercato illuminata dalla luce dei lampioni. Questa è una soluzione che adotto quando pernotto al di fuori di aree custodite o campeggi. Paola ed io siamo molto amiche, la considero una sorella. Questo viaggio è l’ennesima prova di quanto siamo legate da vera amicizia. Di comune accordo ci siamo spartite i diversi compiti: io guido il camper, lei si occupa della preparazione dei pasti. La notte trascorse tranquilla. Il mattino seguente ci svegliamo di buon ora. Dopo avere consumato una ricca colazione scarico le biciclette dal camper e insieme a Paola, andiamo alla ricerca di un posto panoramico dove assistere all’eclisse. Abbandonata la strada asfaltata c’inerpichiamo lungo un sentiero sterrato che s’inoltra nel fitto bosco, fino a ritrovarci in un vasto spiazzo verde da cui si scorge una stupenda vista panoramica della città di Augsburg, distante una decina di chilometri. Scendo dalla bicicletta, tolgo dallo zainetto una tela cerata e la stendo sul prato. Dispongo il materiale che mi sono portata appresso per gustare l’eclisse sopra il telo. Mentre Paola mi imita e scarica il suo bagaglio nel prato. Il silenzio del bosco è interrotto dal rumore di rami secchi che cadono dagli alberi frantumandosi sul terreno e dal fruscio dell’erba alta, mossa dal vento. Il cielo, che nel primo mattino sembrava orientato verso il sereno, prende a oscurarsi. Nubi nere, cariche di pioggia, scorrono veloci nel cielo, coprendo a sprazzi il sole. Paola ed io abbiamo intrapreso il viaggio in funzione dell’eclisse e ora corriamo il rischio di non vederlo a causa delle nubi che minacciano di oscurare il sole. Seduta sul prato guardo in lontananza con il binocolo. La città da quel punto di osservazione sembra più piccola di quando l’avevamo attraversata in camper. Col binocolo scruto i prati sottostanti al nostro punto di osservazione. Poco distante, a qualche centinaio di metri, c’è un accampamento di tende. Per quanto la cosa sia insolita non si nota alcuna presenza di persone. Ciò che mi colpisce è lo strano spiazzo che sta al centro del bivacco. E’ circoscritto da una serie di grossi massi di pietre, a forma di cerchio, del diametro di una decina di metri. Probabilmente si tratta di un gruppo di persone che come noi si sono appostate in quel luogo nell’attesa dell’evento. Verso le dieci prendo un vetro affumicato, lo porto davanti agli occhi e guardo il sole. I contorni della superficie del pianeta appaiono perfettamente tondi: è evidente che il fenomeno non è iniziato. Prendo dallo zainetto un libro di Carver che mi sono portata appresso e inizio a leggerlo dal punto in cui l’ho interrotto il giorno precedente. Mi piace andare in vacanza con Paola, ci compendiamo a vicenda. Io espansiva, lei di poche parole, ma ognuna, pur nel rispetto dell’altra, è libera di fare ciò che più gli aggrada, anche inseguire la compagnia di altre persone. Paola ed io ci conosciamo da tre anni, anche lei fa l’infermiera. La nostra amicizia è nata quando presi servizio nel reparto in cui lei lavorava. A lei confido tutti segreti della mia vita, anche le cose più intime. Non avendo il fidanzato, sento il bisogno dell’amicizia di una persona cara e amica: lei è tutto questo. Il sole fa capolino fra le nubi inondandoci di calore. Ci spogliamo dei nostri abiti e restiamo in costume ad abbronzarci. Una musica dalle modulazioni sconosciute viene ad interrompere la quiete del posto. E’ una nenia che riproduce i suoni della natura. Distinguo il rumore dell’acqua dei fiumi, quello del vento e anche quello della legna che brucia. Prendo il binocolo e lo punto verso l’accampamento di tende. E’ da lì, che sembrano provenire i suoni. Scruto l’area del campo e le zone limitrofe, ma non scorgo anima viva. Se c’erano persone probabilmente se ne stavano al riparo sotto le tende in attesa del fenomeno astrale. Scrutiamo il cielo. L’eclisse è iniziato. Grazie ai vetri affumicati, possiamo seguirne la lenta evoluzione. Dopo la prima osservazione ci sdraiamo sul prato e ricominciamo a leggere. All’improvviso, coperti dall’erba alta e dal rumore del vento, una quindicina di persone, tra cui anche alcune donne, ci assalgono. Non abbiamo il tempo di tentare la benché minima resistenza. L’unica cosa che ci lasciano fare è urlare, con tutte le nostre forze, per poco tempo. C’imbavagliano la bocca con una benda, divaricando mascella e mandibola. Veniamo sollevate di peso e portate a spalla lungo un sentiero che scende per la collina. Durante il tragitto ho modo di osservare attentamente i nostri aggressori.Indossano un lungo camicione nero che gli giunge fino ai piedi. Il capo è coperto da un cappuccio appuntito verso l’alto. Sul petto hanno dipinto un cerchio di colore rosso con all’interno una specie di stella a cinque punte, rovesciata. Mi sembra di aver già visto quello strano simbolo, ma non ricordo dove e in quale occasione. In passato ho visitato parecchie cattedrali durante i numerosi soggiorni in Francia: forse quel simbolo l’ho visto nel sotterraneo di una vecchia chiesa, a… Rennes-le-Chateau. Ma dove cavolo sono capitata, penso. E questi da dove sono saltati fuori? Non può trattarsi di uno scherzo, tanto più che né Paola né io conosciamo persone che abitano da queste parti ed è improbabile che i nostri amici ci abbiano seguito dall’Italia per giocarci un simile scherzo. Il gruppo scende in fila indiana lungo il sentiero come si trattasse di una processione. Se fino a poco prima la mia unica preoccupazione è stata di capire chi sono queste persone, ora sono terrorizzata al pensiero di ciò che potrebbe accadere. Sbuchiamo in una radura del bosco dove stanno allineate alcune tende, le stesse che poco prima avevo individuato col cannocchiale dalla mia postazione. Ci fanno stendere per terra, al centro dell’area delimitata dal cerchio di pietre e sassi, dopodiché divaricano le nostre gambe e ci fanno allargare le braccia. Fissano le estremità a dei picchetti di ferro precedentemente piantati nel terreno. Tutt’intorno riecheggia la strana musica che poc’anzi avevo ascoltato dal punto in cui stavo ad osservare l’eclisse. Sembra provenire dalle casse di un registratore portatile posto davanti a una delle tende. Una donna, che individuo sotto la tunica per le chiare forme femminili, mi viene vicino. Con una forbice mi taglia l’elastico dello slip e la cordicella del reggiseno, lasciandomi nuda. Poi fa la stessa operazione su Paola. Ho perso ogni cognizione del tempo. Soltanto quando li vedo osservare il sole mi rendo conto che la messinscena è in relazione con l’eclisse. Appare evidente che quelle persone devono appartenere ad una setta che ha come fine d’immolare vittime sacrificali dando sfogo alle proprie perversioni erotiche. Alcune gocce di pioggia interrompono lo stato di monotonia creata dal suono della musica. Uno degli incappucciati mi si è messo dinanzi. Dall’atteggiamento intuisco che gradisce la vista della mia fica, che sta aperta in bella mostra. Di colpo la musica cambia ed assume un ritmo incalzante, ossessivo. I nostri rapitori si liberano dei camicioni neri che portano indosso e restano nudi, con il solo cappuccio sul capo. Da quello che posso osservare si tratta di persone giovani. Le donne, infatti, hanno i seni sodi. I peli del pube, quasi tutti biondi, sono privi di striature grigiastre, tipiche delle persone anziane. Alcune hanno dei segni di smagliatura nelle gambe e sui glutei. Gi uomini, a giudicare dalla consistenza della sacca dello scroto, non sono anziani. Lo so bene, perché col mio mestiere sono buona intenditrice di particolari anatomici. I nostri rapitori tengono il cappuccio sopra il capo. E’ evidente che non vogliono essere riconosciuti: Questo è un buon segno, forse hanno intenzione di lasciarci libere. D’improvviso uomini e donne si afferrarono gli uni agli altri per le mani. Le innalzano verso il cielo ed iniziarono a danzare al suono della musica, disegnando un cerchio attorno a noi due. Li sento cantare frasi nel loro idioma che dall’accento deve essere teutonico. La danza s’interrompe. Gli affiliati si riuniscono davanti ad una tenda dove esce una donna con in mano un tegame. Maschi e femmine intingono le mani nel recipiente cospargendosi il corpo con l’unguento. Come per gioco iniziano a sfiorarsi l’uno contro l’altro. Queste manovre li eccitano lo intuisco dal volume dei cazzi degli uomini che s’innalzarono pulsanti , stimolati dalle movenze delle compagne. La voglia di giocare e di fare all’amore è ben espressa dalla voracità delle loro mani che scivolano nei recessi più nascosti dei corpi delle persone con cui vengono a contatto. E’ evidente il loro stato di eccitazione, ma non riesco a capire a quale scopo siamo destinate io e la mia amica. La donna che poc’anzi aveva portato il tegame con l’unguento mi si avvicina. Con fare sapiente cosparge il liquido in ogni parte del mio corpo, insinuandosi con le dita in ogni orifizio. Asciuga le mani con la stoffa di uno dei camici neri abbandonati sull’erba. Afferra una zampa di gallina e l’intinge ripetutamente in un barattolo che sembra contenere un denso liquido di colore rosso: probabilmente sangue di animale. Adopera la zampa come si trattasse di un pennello dipingendomi sul petto una grossa croce rossa. Terminata l’operazione toglie da un cesto dei petali di rose rosse e ricopre per intero il mio corpo. Tiro un sospiro di sollievo. Ho temuto che la cosa potesse finire in modo cruento. La donna si allontana e lo strano rituale preparatorio è completato. Contrariamente a quanto mi era parso d’intuire non ripete la manovra sul corpo di Paola. E’ evidente che la vittima sacrificale sono io. L’avvento dell’eclissi è imminente. I rapitori iniziano a congiungersi in sfrenati atti orgiastici. Il tutto avviene all’interno del perimetro delimitato dal cerchio di pietre. Sono impaurita da quell’eccesso orgiastrico, ma anche incuriosita dalla novità, non mi è mai capitato di assistere o partecipare ad amplessi di quel tipo. Un’infinità di cazzi penetrano le fiche di quelle donne in un clima boccaccesco. Uomini che si congiungono con altri uomini. Donne che succhiano fiche e culi di uomini. Donne intente a masturbare cazzi e uomini a leccare fiche. Una varietà di situazioni da far invidia al migliore edizione del Kamasutra. Come d’incanto si separarono. I maschi prendono da un contenitore un preservativo e lo infilano sul cazzo. Non comprendo il motivo della manovra, poiché fino ad allora vi erano stati contatti sessuali non protetti. All’improvviso il sole si oscura completamente lasciando nel cielo, ben visibile, una corona luminosa tutt’intorno il pianeta. La luna ha coperto per intero il sole. E’ l’eclisse. Uomini e donne si prendono per mano e riprendono a danzare formando un cerchio. I preservativi che al sole, apparivano trasparenti, nel buio s’illuminarono di una luce fosforescente e di colori diversi. Sdraiata come sono vedo volteggiare sopra di me i loro uccelli luminosi. E’ uno spettacolo fantastico, quasi indescrivibile. Nel buio più completo non riesco a vedere i loro corpi, ma le appendici luminose dei cazzi, di diverse dimensioni, muoversi libere come farfalle in un rito propiziatorio e magico. La scena dura alcuni interminabili minuti, tanto quanto l’eclisse. Al ritorno della luce uomini e donne esultano e gridano in segno di giubilo. Li vedo avvicinarsi verso di me. Le dita delle loro mani affondano nella mia pelle, accarezzandomi e solleticandomi in ogni parte. La loro non è una violenza, ma un’arte di seduzione. Lo comprendo dalla delicatezza dei loro movimenti e dal tipo di carezze. Queste continue attenzioni servono a prepararmi ad un successivo e più intenso piacere. Non posso sottrarmi ai loro gesti. Se prima ero terrorizzata ora sono diventata succube dei loro riti magici. L’eclissi e l’orgia mi hanno messo in evidenza una parte della mia personalità sconosciuta. Ai loro toccamenti faccio corrispondere i movimenti del mio corpo, incapace di restare neutrale a quelle particolari attenzioni. La mia passerina s’inumidisce al passaggio di ogni carezza. Un uomo, dopo essersi sfilato il preservativo colorato, infila le dita dentro la mia fica. Tasta la mucosa, si corica su di me e inizia a chiavarmi. Il suo cazzo è duro come il marmo. Si muove nella mia fica senza fretta, con sapienza. Una delle sue compagne si pone dietro di lui e da sotto gli accarezza le palle. Contemporaneamente altri due uomini si mettono in ginocchio di fianco al mio capo e iniziano a masturbarsi. Le mani di alcune donne accarezzano delicatamente i miei capezzoli che, deliziati da quei toccamenti, sono diventati turgidi e scoppiano di piacere. Alle mie spalle qualcuno mi libera la bocca dal bavaglio. Posso sentire l’ansare del respiro degli astanti mentre si sollazzano sul mio corpo. Non sono più spaventata. Aspetto con ansia il sopraggiungere dell’orgasmo ormai imminente. Non ci vuole molto. L’utero si contrae mentre anche l’uomo che mi sta chiavando è al culmine del piacere. Vengo stranamente prima di lui, che continua a pomparmi. Urlo al cielo il mio appagamento come se fossi indemoniata. I due che stanno di lato al mio viso intenti a masturbarsi, eccitati dallo spettacolo che sto offrendo col mio orgasmo bestiale, accelerano i movimenti della mano fino ad eiaculare, innaffiandomi la bocca di sborra. Assatanata e fuori di testa inizio a inghiottire lo sperma leccando il cazzo ad entrambi, succhiando ciò che rimane del seme sulle cappelle. L’uomo che mi sta chiavando inizia a tremare e mi sborra nella fica irrigidendosi in tutto il corpo. Ho un nuovo orgasmo, vaginale. Le donne, intorno a me, invidiose dalla mia accondiscendenza, iniziano a graffiarmi sull’addome, lungo le tracce della croce di sangue che avevano dipinto poco prima sul mio corpo. Una di loro s’inginocchia dinanzi alla mia fica e prende il posto dell’uomo che poc’anzi mi ha chiavato. Solleva parzialmente il cappuccio lasciando intravedere le labbra, che subito affondarono sul mio clitoride. La lesbicona ci sa fare, eccome! Sa bene come prendermi. Con le dita allarga le pareti della fica e s’intrufola con la lingua sui tessuti interni. A quelle sollecitazioni rispondo innaffiandola di piscia, tanta é la mia eccitazione. Tutto il corpo si contrae sotto l’influsso dei canti mistici e della musica. Mi trovo a borbottare frasi sconnesse in una lingua a me sconosciuta. Nel frattempo altri due uomini hanno sostituito i due che hanno sborrato nella mia bocca. Anche loro iniziano a masturbarsi vicendevolmente tenendo fra le mani il cazzo dell’altro. La lesbicona continua imperterrita a leccarmela. Con un colpo deciso infila due dita nella mia fica e inizia a farle muovere. Prende fra le labbra il mio clitoride che sembra scoppiare tanto è turgido ed inizia a succhiarlo. Sto perdendo i sensi, tanto è profondo il mio turbamento. Inizio ad avere allucinazioni e sono in uno stato di confusione mentale indescrivibile. Mentre la lesbicona tiene allargata la mia fichetta con le dita, fremiti di piacere mi percorrono le cosce e le contrazioni della figa mi provocano capogiri. Non so quante volte sono venuta, quello che so è che d’improvviso mi ritrovo ancora ad ingurgitare lo sperma dei due maschi che stanno di fianco al mio viso. Difficile dire quanto tempo è durata l’orgia. Tutto ha preso a rotearmi davanti agli occhi sempre più vorticosamente, le mie sensazioni si sono fatte sempre più confuse ed a un certo punto sono svenuta. Una pioggia scosciante mi risveglia dal torpore. I nostri amici hanno levato le tende e se ne sono andati lasciandoci sole ed inermi sul prato. Verso sera riusciamo a liberarci dalle corde che ci tengono legate. Anche Paola ha subito lo stesso trattamento. E’ dura riuscire a ristabilire un contatto umano con la mia amica. Pur apparendo in buone condizioni ha lo sguardo spento e sembra essere in stato catatonico. Decidiamo di comune accordo di non denunciare il fatto alla polizia: ci creerebbe non pochi problemi e grane a non finire. Stabiliamo di tacere e di tornare in Italia. Guido tutta la notte. La mattina siamo a casa. Accompagno Paola fino sulla porta di casa e nel farlo capisco che non la vedrò per molto tempo. Io invece mi sento stanca e stranita, ma non certo depressa. A casa, mi ficco nel letto e mi addormento in un sonno profondo, privo di sogni. Mi sveglio che è sera: sto benissimo. Non risento in alcun modo della “violenza” subita. Il mio subconscio non la riteneva affatto tale. – Mamma mia, che gran troia che sono – penso mentre compiaciuta guardo il mio corpo nudo davanti allo specchio. Un segno dell’avventura mi e’ rimasto. E un piccolo tatuaggio sulla spalla che qualche componente della setta ha inciso quando ero incosciente. Il disegno raffigura una farfallina.
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