Capitolo 2 – La Donna Che ComandaQuesto fatto di dover dare del lei a Perrone stava diventando strano: che senso poteva avere? Non si stava forse creando tra lei ed il dirigente della Maribor una sorta di complicità, di alleanza, per cui sarebbe stato più naturale darsi del tu? Inoltre Elfrida era convinta che la serata si sarebbe conclusa con un approccio esplicito da parte dell’uomo. Però le istruzioni erano chiare: lui le avrebbe dato del tu, lei invece avrebbe sempre dovuto usare la terza persona nei suoi confronti. Del resto lo stipendio era ottimo ed aveva accettato, non poteva lamentarsi. Era ancora eccitata per quanto avvenuto all’interno del ristorante. Si sentiva bagnata tra le gambe e le sembrava addirittura che si potesse sentire l’odore della propria eccitazione. Si vergognò per un istante temendo che Perrone potesse accorgersene: entrando nell’auto, si era seduta e la gonna era leggermente svolazzata spargendo intorno il profumo dei suoi umori più intimi. Il pensiero di essere senza mutandine la fece restare senza respiro ma, subito dopo, le tornarono per l’ennesima volta in mente le parole di Filippo: “Più disinibita, più troia…”, per cui anziché coprirsi socchiuse leggermente le gambe. La gonna era a metà coscia; resistendo alla tentazione di tirarla più giù chiese a Perrone, che armeggiava con la leva del cambio per uscire in retromarcia dal parcheggio: “Ma quest’uomo, non so come chiamarlo…””Chiamiamolo l’osservatore” la interruppe lui, che aveva capito.”Ecco. Chi è? Continuerà ad osservarmi sempre?”Perrone sospirò. “Non posso dirti chi è” disse. “Come ti ho detto, è un pezzo molto grosso, uno molto in alto.” L’auto stava percorrendo la strada del ritorno.”L’osservatore è un voyeur raffinato, capisci? Ha un sacco di soldi. La mia segretaria, tradizionalmente, è l’oggetto delle sue osservazioni.” Mentre Perrone guidava sicuro, Elfrida ascoltava affascinata.”Quindi io sono l’unica, in tutta l’azienda, sotto osservazione” concluse.”Esatto” confermò il dirigente. “Ma sei anche l’unica segretaria a guadagnare così tanto.”Erano arrivati nei pressi dell’abitazione di Elfrida. Perrone parcheggiò distante da ogni lampione, fermando l’auto in una zona d’ombra. Si volse a guardarla e con una mano le accarezzò la nuca. “Mi raccomando” disse: “ascoltami bene. Tieni sempre presente che l’osservatore potrebbe stare lì a guardarti. Potrebbe anche non essere presente fisicamente, potrebbe osservarti tramite una telecamera nascosta, per esempio.” La mano di Perrone era morbida. Elfrida quasi sperò che l’uomo prendesse l’iniziativa e le chiedesse di fare l’amore con lei. Aveva provato, è vero, sensazioni nuove, però le sue intenzioni sarebbero state di rendere la pariglia a quel vigliacco di Filippo ed invece lei ancora non l’aveva fatto. In fondo in fondo, si era limitata a mostrare la passera ad un cameriere. Perrone poi era un bell’uomo, dai gusti raffinati, la voce calda e suadente. “Quindi, dottor Perrone” domandò, “l’osservatore vuole vedere…””L’osservatore vuole vederti vivere la tua sessualità in modo spregiudicato” concluse. “Tanto più lo soddisferai, tanto più potrai fare carriera.””Mi sembra un lavoro più da prostituta che da segretaria” commentò Elfrida.”Ehi, che ti viene in mente!” esclamò Perrone. “Tieni presente che sei assolutamente libera. Nessuno ti costringe. Puoi anche non farlo. Non verrai licenziata, non è mai successo. Semplicemente, mi cercheranno un’altra segretaria, e tu verrai trasferita ad un altro reparto.”In quel momento l’attenzione di Elfrida venne colpita da una vecchia Fiat 127 blu parcheggiata poco lontano, proprio di fronte all’ingresso della sua abitazione: Filippo! Suo marito la stava aspettando al varco. Non temeva azioni violente, lo conosceva e sapeva che non era il tipo da menare le mani. Tuttavia non aveva nessuna voglia di incontrarlo e nessun desiderio di parlarci.”Cosa c’è?” chiese Perrone, che aveva notato un cambio di espressione nel volto.”Mio marito” si decise a raccontare lei, dopo un attimo di imbarazzo. “Questa mattina l’ho sorpreso a letto con un’altra, e l’ho mollato. Vede quell’auto blu, dottore? È la sua. Mi sta aspettando.””Capisco” annuì Perrone. “E tu…?””Non voglio vederlo mai più” rispose decisa.Entrambi osservarono lo sportello lato guida della 127 aprirsi e Filippo scendere, venire verso la Porche di Perrone.”Ti ha visto” disse il dirigente. “Cosa vuoi fare?””Mi aiuti, Dottor Perrone” supplicò Elfrida, con tono deciso. Gli gettò le braccia al collo: “E’ tutta la sera che voglio rendergli occhio per occhio e dente per dente.”Lui si ritrasse un po’. “Bisogna rifletterci un po’, Elfrida.””L’osservatore sarà felice” concluse lei, e lo baciò.La risposta di Perrone al bacio non fu delle migliori. Ma, ciò che maggiormente contava, Filippo si era avvicinato ed era rimasto come imbalsamato nel vedere la scena.”Lo vuoi umiliare?” le sussurrò Perrone all’orecchio. Elfrida mosse convinta il capo: sì.Allora Perrone scostò appena la camicetta di Elfrida, quel tanto che bastava per portare alla luce uno dei seni, che nell’oscurità del buio brillò candido come solo certe spiagge d’estate rilucono al fioco bagliore della luna. Un debole gemito di piacere uscì dalle labbra di Elfrida quando sentì la mano di Perrone carezzare l’interno delle cosce. Inebetito, Filippo osservò attraverso il parabrezza sua moglie a gambe larghe rivolta verso la strada, quindi verso di lui, con un seno completamente scoperto e la testa all’indietro in segno di grande godimento, le gambe larghe e la fica aperta, mentre quell’uomo le carezzava la clitoride e la baciava sul collo e sui capezzoli.Rimase così, sentendo freddo più del freddo di quella notte. Aveva notato come Elfrida non portasse le mutandine e questo fatto, più di tutto il resto, l’aveva sconvolto.Perrone si voltò a guardarlo. Filippo non resse quello sguardo, lanciatogli nell’ambito di una situazione che lo vedeva perdente, per cui si voltò e corse alla sua auto. Accese il motore e se ne andò.Perrone smise immediatamente di amoreggiare. “Soddisfatta?” chiese.”Per quanto riguarda Filippo, sì” rispose stupita per il fatto che Perrone avesse interrotto ogni attività. “Ma…”Si bloccò, non trovando le parole adatte.Il suo stupore aumentò quando vide Perrone scendere dall’auto ed aprire con galanteria lo sportello. “Eccoti arrivata” disse. “Domani dovrai recarti al “Fleurs du Mal”. C’è un conto già pagato per te.” Elfrida conosceva il Fleurs du Mal. Era uno dei negozi di abbigliamento più esclusivi della città. “Ricorda” aggiunse Perrone: “eleganti, ma sexy. Ti accoglierà Elisabetta, sa già tutto e ti aspetta.” Le prese una mano ed accennò un baciamani. “Ciao Elfrida. Domani il tuo lavoro consisterà nel crearti un guardaroba adeguato.” Fece per risalire in macchina, fermandosi a metà. “Ah, dimenticavo: ad Elisabetta dovrai dare del lei, non azzardarti a tenere un contegno non adeguato. Ma lei ti darà del tu.””Come da copione” pensò Elfrida.”Ciao” concluse Perrone.”Arrivederci, dottore” salutò lei.Perrone accese il motore e partì sgommando. Elfrida, una volta in casa, estraendo gli slip ed il reggiseno dalla borsetta, non poté fare a meno di pensare che era stata proprio una bella serata, ma che il finale l’aveva lasciata con l’amaro in bocca. “Eh sì, vecchia mia, la scopata ti è mancata. Ci avevi fatto più che un pensierino.” L’atteggiamento di Perrone era stato per certi versi incomprensibile. Nel complesso inappuntabile, gentilissimo, educatissimo, tutti gli issimo di questo mondo, ma quando c’era stata la possibilità di venire al dunque, si era come tirato indietro. Elfrida aveva ben stampata in mente l’immagine di Perrone che le chiedeva: “Soddisfatta?”, subito dopo che Filippo se ne era andato a bordo della propria 127. I capelli spettinati, la fronte sudata, il respiro affannoso, ma non come può esserlo quello di uomo eccitato: semmai sembrava il respiro di un uomo affaticato.”Forse l’osservatore non vuole che io e Perrone scopiamo insieme” pensò. Cosa aveva detto infatti lui? “La mia segretaria, tradizionalmente, è l’oggetto delle sue osservazioni.”Mentre si spogliava per andare a letto, squillò il telefono. Solo una persona avrebbe potuto chiamarla a quell’ora: Filippo. Evidentemente non si era arreso. Voleva parlarle.E se invece fosse stato Perrone? Quell’uomo le piaceva. Ma no. Certamente Filippo. Staccò la spina. Avrebbe chiesto di poter cambiare numero di telefono. Avrebbe acquistato un cellulare, con il primo stipendio.”Vieni, vieni” le disse Elisabetta.Elfrida era entrata all’interno della boutique Fleurs du Mal sentendosi a disagio. Non era mai stata in quel negozio così lussuoso ed era consapevole di non avere il look della cliente tipo. Per fortuna, non aveva fatto neanche in tempo a guardarsi intorno che una donna giovane, di bell’aspetto, con i capelli tagliati cortissimi, si era subito presentata: “Elisabetta.””Salv… buongiorno” aveva contraccambiato Elfrida.La donna aveva spiegato che tutto il magazzino era a disposizione, e che per stare più tranquille si sarebbero recate al piano sotterraneo, “come con le clienti più importanti.” Infatti, a suo dire, al piano superiore era esposta solo la merce più dozzinale.Erano perciò entrate in un ascensore ed alla fine della discesa, quando la porta si era riaperta, Elfrida si era trovata di fronte ad uno spettacolo alquanto insolito. Il piano sotterraneo era piuttosto grande, ma lussuosamente arredato. C’erano, ovviamente, numerosissimi abiti accuratamente disposti ed alcune poltrone in pelle. Tappeti di valore ricoprivano il pavimento ed alcune bottiglie di ottimi vini e liquori facevano bella mostra di sé. Delle abatjour di stile antico illuminavano con toni caldi l’ambiente. Ma soprattutto erano i manichini a sorprendere Elfrida.Ce n’erano almeno cento, forse duecento o trecento. Cosa stranissima, erano tutti rivolti con lo sguardo verso lo stesso punto, come una folla di persone reali che assiste ad uno spettacolo.”La nostra folta schiera di manichini” disse Elisabetta, indicandoli a mano aperta come per una presentazione.”Sono tantissimi” constatò Elfrida. “Non avrei mai creduto che questo negozio avesse un sotterraneo così grande.”Elisabetta la condusse accanto ad un tavolino. Sembrava che i manichini guardassero proprio nella loro direzione.”Spogliati” disse con voce decisa. Elfrida iniziò a svestirsi. “Mi sento osservata” disse, pensando che la frase potesse suonare spiritosa.”Chissà che in mezzo a tutti quei manichini, non ci sia una persona vera” sentenziò Elisabetta. “La cosa non ti ecciterebbe?”Come un flash, l’idea balenò nella mente di Elfrida. Cazzo, l’osservatore! Sicuramente era mischiato tra i manichini. Cosa aveva detto, Perrone? “Ricordati sempre che l’osservatore può stare lì a guardarti”, o qualcosa del genere.”Anche il reggiseno e gli slip” disse con voce perentoria Elisabetta. Elfrida, anche se titubante, slacciò il reggiseno. Una sottile eccitazione cominciò a vibrare nel suo corpo: la conosceva bene, l’aveva sempre provata spogliandosi. L’idea che l’osservatore fosse lì, poi, non faceva che accrescere quel piacere a fior di pelle.Sfilò quindi anche le mutandine. A parte i manichini, Elisabetta la guardava con insistenza e non disinteressatamente.”Ora prendiamo le misure” disse. “Sei carina, davvero.””Grazie.”Elisabetta prese un metro da sarto e lo fece passare dietro la schiena di Elfrida, prendendo la misura sul petto. Le mani indugiarono un po’ sul seno.”Ho le mani fredde?” chiese Elisabetta. “Sei rabbrividita.””Un po’” rispose Elfrida.”Che capezzoli duri” commentò la donna. “Che belle tette, sode.”Visto che Elfrida non rispondeva, Elisabetta fece scivolare il metro sino alla vita. Nel prendere la misura, passò nuovamente le mani dietro la schiena indugiando sulle natiche. A sentire quel contatto esplicito ed insistente, Elfrida trasalì.”Quindi ho le mani fredde” decise Elisabetta. Accostò il suo corpo a quello di Elfrida. Fece aderire il suo corpo a quello nudo dell’altra. Le bocche vicinissime.”Sei bella” sussurrò Elisabetta. Fece cadere il metro, ed aprì le mani per toccarle il culo. In mente ad Elfrida cominciarono ad agitarsi pensieri confusi.”Più disinibita, più… più troia.” (Era la voce di Filippo).”L’osservatore è lì, è lì, è lì, è lì…” ripeteva, come all’infinito, la voce di Perrone. Che ammoniva: “Ricorda: più gli farai vedere, più avrai.”Però non si sentiva pronta per un rapporto saffico. Per cui, pur sentendosi ridicola per il fatto di dover dare del lei, si scostò dicendo: “Mi scusi, ma io non…””Stupida!”La mano di Elisabetta era schizzata velocissima e l’aveva schiaffeggiata. Sbalordita, stupita e come scioccata per quel gesto inatteso ed imprevedibile, Elfrida era crollata a terra sulle ginocchia. Si teneva la guancia con una mano come per far cessare il bruciore, la bocca socchiusa per la meraviglia.”Sciocca.” Elisabetta con un piede la spinse sul torace facendola cadere a terra. Come in un film al rallentatore, Elfrida venne pervasa dal profumo della donna e vide la scarpa elegante di Elisabetta, dal tacco lunghissimo e nera, infilarsi tra i suoi seni. Le gambe socchiudersi, nel movimento: gli slip bianchi rivelarsi per un istante come un bagliore. Le calze autoreggenti.Ma già Elisabetta si era seduta sul suo ombelico.”Senti carina” iniziò a dire. “Io non sono la lesbichetta che supplica ed implora un ditalino. Io ti comando, capisci? Io ti comando, e tu devi ubbidire.”Prima che Elfrida potesse ribattere qualcosa, appiccicò la propria bocca a quella dell’altra, esplorando con la lingua. Con le braccia teneva quelle di Elfrida larghe sul pavimento. Con i suoi seni spingeva i seni di Elfrida.I manichini guardavano, apparentemente impassibili, nella loro direzione.Elfrida si agitò un po’ per divincolarsi. Poi, non l’avrebbe mai creduto, cominciò a provare un insolito piacere, sia nel sentire la lingua di Elisabetta nella propria bocca, ma soprattutto nel sentirsi dominata e sopraffatta. Smise quindi di divincolarsi e rispose al bacio.Elisabetta mugolò di soddisfazione ed allentò la presa. L’aveva dominata, l’aveva addomesticata. L’aveva sedotta. Alzò il capo guardandola vittoriosa.Elfrida non si mosse: aveva gli occhi chiusi. Pensava anche all’osservatore, che con tutta probabilità se ne stava, immobile, a guardare nascosto tra i manichini. Sarebbe rimasto soddisfatto.Elisabetta slacciò la propria camicetta mostrando ad Elfrida i seni.”Ti piacciono?” chiese.”Sì” rispose Elfrida.”Sì cosa, sgualdrina?””Mi piacciono i suoi seni.” Aveva voluto dire “i suoi” proprio per accentuare la sua sottomissione, che la eccitava.”Allora lecca i capezzoli.” Elisabetta, sempre seduta sul corpo nudo di Elfrida, si sporse in avanti. “Su, lecca.”Elfrida dovette allungare la lingua. Prima di toccare i capezzoli, si chiese quale sarebbe stata la sensazione tattile provata.Di piacere. Sentì l’eccitazione salire inebriante, aumentare vertiginosa. Suo malgrado il respiro si fece grosso.Elisabetta se ne accorse e per un istante perse il suo aspetto da padrona. La bocca le tremò e si mise lei a succhiare i capezzoli di Elfrida, che chiuse le gambe. Troppo forte il desiderio che avvertiva, da far torcere le carni.Elisabetta improvvisamente riacquistò il controllo e si alzò in piedi. Lo sguardo era severo.”Alzati” ingiunse.Elfrida si mise in piedi.”D’ora in avanti, rispondimi dicendo: sì, signora. Hai capito?””Sì.””Come?””Sì, signora.””Brava” concluse Elisabetta.Si accostò nuovamente ad Elfrida possedendo la bocca di lei con la sua. Elfrida contraccambiò l’abbraccio e le lingue si rincorsero ora nella bocca dell’una ora dell’altra.Scivolarono quindi nuovamente per terra. Pur rimanendo con la gonna e le calze, Elisabetta si tolse le mutandine e si posizionò a cavalcioni di Elfrida, che si ritrovò con la fica della donna proprio avanti gli occhi.”Leccami” ordinò.Elfrida fece per obbedire, ma Elisabetta le mise una mano avanti la bocca. “Dimentichi qualcosa, mi sembra, sgualdrina.””E’ vero, signora, mi scusi.”Elisabetta liberò la bocca di Elfrida. “Leccami, dunque.””Sì, signora.”Elfrida ancora una volta si chiese quale sensazione si potesse provare nel leccare la fica di un’altra donna. La curiosità durò pochi secondi.Piacere. Nuovamente venne pervasa da brividi imperiosi di voluttà, ed il respiro si fece ansante. Ma questa volta non se ne preoccupò.Elisabetta si mise cavalcioni in senso contrario: Elfrida poteva vedere, oltre la fica aperta, anche il buco del culo.”Leccami la fica ed il culo” intimò Elisabetta.”Sì, signora.””Vorresti che ti leccassi anch’io, forse, sgualdrina?”Dopo un attimo di silenzio, Elfrida rispose: “Vorrei che mi leccasse anche lei, signora, sì.” Lo desiderava davvero. Avvertiva uno spasmodico bruciore tra le gambe che stava diventando insostenibile.”Scordatelo” disse Elisabetta. La frase suonò come una frustata ed ancora una volta quell’umiliazione aumentò la voluttà di Elfrida. Non ebbe il tempo di riflettere su quel masochismo finora latente. Si mise a leccare con la punta della lingua il culo dell’altra donna, con forza, quasi a volerla inculare in quel modo.Elisabetta mugolò di piacere: non solo per l’azione della lingua di Elfrida, ma soprattutto per la sottomissione cui l’aveva costretta.”Ora tocca a te, sgualdrina” disse rialzandosi. Andò sino ad un armadio; aprì uno sportello e mostrò una serie di falli di gomma all’interno. “Scegline uno.”Elfrida si avvicinò all’armadio. “Senti, troia” spiegò Elisabetta. “Scegline uno adatto a quella fogna che sei, capisci?”Aveva capito. Ebbra di voglia, indicò il fallo più grosso.”Quello, signora.””Ne sei certa? Ti spacco in due, con quello.””Sì, signora.””Allora chinati sul tavolo.””Come, signora?” chiese.”Alla pecorina, sgualdrina.””Sì, signora.”Elisabetta si legò il cazzo alla vita e si avvicinò. Mise la punta a contatto della fica di Elfrida movendolo su e giù.”Sei pronta, puttana?””Sì, signora.”Elisabetta la penetrò e cominciò a fotterla con forza. Con le mani le carezzava la schiena ed afferrava i seni.”Ti piace?” domandò.”Sì, signora.” Finalmente un po’ di sollievo per il desiderio fortissimo che provava.”Che zoccola che sei.” Estrasse il fallo artificiale dalla vagina e premette contro il buco del culo. “Sei pronta?”Con voce tremante, “Sono pronta, signora” confermò Elfrida.”Ci vuole un po’ di lubrificazione.” Elisabetta si sputò sul palmo di una mano, e spalmò la saliva sul buco del culo. “Così potrebbe andare.” Infilò il dito nel buco. Elfrida sussultò. “Questo non è niente, puttana” disse Elisabetta.”Lo so, signora.”Mise la punta del grande cazzo di gomma in posizione.”Dimmi che lo vuoi fare.”Elfrida non l’aveva mai fatto, neanche con Filippo. L’osservatore, tra i manichini, avrebbe gioito. “Lo voglio fare, signora.”Il dolore ben presto lasciò il posto al piacere. L’orgasmo venne velocissimo e poco importava il pensiero che quell’enorme fallo potesse provocare danni irreparabili.Elisabetta per fortuna era stata abbastanza delicata. Estrasse con cautela il cazzo di gomma e se lo tolse di dosso.”Sei una vera puttana” disse.Elfrida non rispose. Con l’orgasmo se ne era andata la voglia di tutto.”Pensiamo ai vestiti” impose Elisabetta. Aveva già tra le mani un completino intimo molto elegante. “Che ne dici di questo? Provalo.””Sì, signora” annuì Elfrida.

