Capitolo 4 – Una Puttana Sul BiliardoOrmai si vedeva con Elisabetta molto spesso, la sera. A volte veniva contattata per telefono (“Ciao, troia. Questa sera dobbiamo vederci”) oppure con messaggi sul GSM (“Puttana. Chiamami per istruzioni. E.”); l’ipotesi più frequente era però una email che scaricava sul suo PC la mattina, al lavoro (“Zoccola, ascolta ed esegui. Questa sera debbo presentarti a due miei amici. E.”). Il tono era sempre quello di chi non ammette repliche; nonostante una parte del suo cervello si ribellasse, Elfrida era costretta ad ammettere che solo a sentire la voce di quella donna, o al solo leggerne le “istruzioni”, il respiro le si spezzava in gola diventando affannoso ed avvertiva fisicamente, e pesantemente, come nel caso di un riflesso condizionato, l’eccitazione. Spesso era costretta a correre in bagno a togliersi le mutandine che si erano troppo bagnate. Quella mattina, dopo aver salutato Perrone, si era seduta alla scrivania e dopo aver scaricato la posta elettronica si era messa a scorrere le intestazioni dei messaggi, in tutto una ventina, in massima parte cose di competenza di Perrone tranne tre o quattro lettere che sarebbe stata in grado di evadere da sola. Una delle email riportava il seguente soggetto: “Ordini da eseguire prima di questa sera.”Ebbene, aveva dovuto porre un fazzolettino di carta avanti la bocca per soffocare un ansito, nel timore che Perrone potesse sentirla. Era stata costretta a stringere le cosce per attenuare l’irrefrenabile voglia di toccarsi sopraggiunta all’improvviso.Non si era mai chiesta fino in fondo come mai Elisabetta avesse il suo indirizzo di posta elettronica. Ma doveva esserci un legame tra lei e la Maribor, tra lei e l’osservatore.Il testo della email era questo: “Depilati la fica. Questa sera devi essere nuda come mai sei stata. E.”Era subito schizzata alla toilette (dopo aver cancellato il messaggio) e si era chiusa accuratamente all’interno. Si era tolta in fretta gli slip, talmente umidi ed appiccicosi da fare schifo. Li aveva appesi alla maniglia della porta. Si era poi seduta sul water ed aveva allargato le gambe cominciando a masturbarsi, giocherellando con la clitoride già eretta e quindi già sensibilissima. Aveva arcuato i piedi sui tacchi a spillo e chiuso gli occhi. D’un tratto le era venuto in mente l’occhio sul ciondolo. Lo aveva quindi guardato: era aperto. Ma come poteva l’osservatore guardarla anche mentre era al bagno? Non riteneva possibile che ci fossero telecamere nascoste persino nei cessi aziendali. Eppure l’occhio era aperto, quindi in qualche modo l’osservatore la stava spiando ed aveva certamente notato che aveva smesso di masturbarsi per guardarsi attorno smarrita, con la mente altrove che non il sesso. Il sentirsi osservata aveva fatto tornare prepotente il desiderio. Aveva perciò ripreso a masturbarsi ed aveva raggiunto l’orgasmo poco dopo; al culmine si era penetrata con tre dita ed aveva allargato più che poteva le cosce in modo da mostrarsi il più possibile all’osservatore. Alla fine l’occhio sul ciondolo si era spento, non appena il suo respiro si era normalizzato. Non essendosi sentita più spiata, Elfrida si era guardata intorno cercando di scoprire se ci fosse stata una telecamera nascosta.C’era. Almeno, credette di averla individuata celata dietro una finta presa d’aria.Telecamere persino dentro i cessi. Figuriamoci cosa sarebbe successo, se lo si fosse saputo. Ma Elfrida sapeva, o almeno così le aveva detto Perrone, di essere l’unica sotto osservazione: era stata al gioco, aveva stipulato una specie di tacito contratto con l’osservatore, che era un pezzo grosso, grossissimo della Maribor. Elfrida sapeva, doveva sapere di essere guardata, le avevano dato persino uno strumento per poterlo sapere con certezza: il ciondolo. Inoltre, Elfrida aveva ricevuto il primo stipendio: una somma imbarazzante, se la si fosse saputa. Una somma così alta da riempirla di gioia, in un primo momento; subito dopo era stata colta da fortissimi dubbi. Cosa aveva fatto di così eccezionale per meritarla? Con in testa tutti questi pensieri, decise che quella mattina ne avrebbe parlato con Perrone.Bussò alla porta del suo ufficio. “Dottore?””Vieni Elfrida, vieni pure.”Era vestita con una lunga gonna che nascondeva uno spacco vertiginoso. Lo spacco diventava visibile quando camminava e quando si metteva seduta. Per cui, accettando l’invito di Perrone, quando si sedette accavallando le gambe, offrì al dirigente della Maribor una vista approfondita delle proprie cosce e degli slip bianchi, leggermente trasparenti. Sperò in cuor suo che non fossero ancora troppo bagnati.”Ti vedo molto disinvolta, Elfrida” commentò Perrone. “Molto bene, stai acquistando sicurezza. Sono fiero di te.”Elfrida voleva porre delle domande precise, ma non sapeva come cominciare. Tossicchiò.”Dottor Perrone, ho ricevuto il mio stipendio. Altissimo.””Vuol dire che te lo sei meritato, Elfrida” disse il dirigente, senza mostrare meraviglia.”Senta, dottore. Elisabetta è per caso una dipendente della Maribor?””Elisabetta della boutique, eh?” fece Perrone. “Per quanto io ne possa sapere, no. Ci sono però degli accordi commerciali molto ampi. Non ne conosco comunque l’esatta portata. Perché me lo chiedi?”Elfrida si strinse nelle spalle. “E’… è un tipo strano.””Tutti abbiamo qualcosa di strano, se si scava in fondo” commentò Perrone.(“Te la fai con quel frocio?” aveva chiesto Filippo).”Anche lei, dottore?” domandò Elfrida.Perrone scattò in piedi. “Se hai sentito qualche voce sul mio conto, Elfrida” disse, “sappi che…””Dottore, io…” cercò di interromperlo. Aveva l’intenzione di negare ogni pettegolezzo. Ma invece con una mano Perrone le fece cenno di tacere. “So cosa potrebbero averti detto sul mio conto.” Appariva calmissimo, passeggiando su e giù per la stanza, la mano sul mento, meditabondo. “Del resto, è difficile tenere nascosti i propri gusti sessuali, se questi sono fuori dalla norma.” Guardò Elfrida. “Come i miei” concluse.”La capisco, dottore” disse Elfrida.”Non sforzarti, non mi interessa che tu capisca o no” concluse Perrone. Non aveva voglia di proseguire.”L’osservatore” cambiò discorso Elfrida. “Perché mi vuol guardare e basta?””E’ la sua perversione” spiegò Perrone. “Non gli interessa averti, non gli interessa toccarti. Non l’ha mai fatto con nessuna.””A proposito, dottore” insistette: “che fine hanno fatto le altre? Quelle che mi hanno preceduto?””Stanno a godersi la loro ricchezza” rispose il dirigente. Ma dopo un po’ aggiunse: “Non tutte. Quelle che lo hanno meritato.””E le altre? Sì, insomma: quelle che non lo hanno meritato?””Si sono licenziate dopo un po’, senza aver capito.””Capito cosa?””Tu forse lo capirai” fu la risposta. Quella sera, verso l’ora di cena, squillò il cellulare.”Pronto.””Ti sei depilata?”Ancora una volta la voce di Elfrida sembrò vibrare per l’emozione nel rispondere a quella che ormai considerava la sua padrona.”No, signora. Non l’ho ancora fatto.”Una pausa di silenzio, dall’altra parte. “Grave. Hai disobbedito.””Mi sono dimenticata, signora.””Non esiste. Non esiste la fatalità. Il caso. Il destino. Per te, Elfrida, esistono solo due alternative: l’obbedienza e la sottomissione, oppure la punizione.””Sì, signora.” Se ne stava incollata all’altoparlante del telefonino stringendo le gambe nel sentirsi vigliaccamente in balia di Elisabetta. La sensazione era simile a quella che provava quando aveva estrema necessità di orinare. Ma in più le carni bruciavano.”Voglio essere punita, lo merito, signora” disse Elfrida. Dopo averlo detto, si sentì mancare per lo stordimento, per l’umiliazione che si era autoinflitta chiedendo di essere punita.Anche Elisabetta, in quell’occasione, trasalì. “Vuoi essere punita” ripetè, mentre l’eccitazione subiva una forte impennata. “Sì. Lo merito.””Incontriamoci tra mezzora in Piazza Stefanini” intimò Elisabetta.”Piazza Stefanini, va bene” disse Elfrida, prendendo mentalmente nota.”Non indossare calze. Metti minigonna, autoreggenti, slip bianchi trasparenti.” “Sì, signora.””Niente reggiseno.””Sì, signora.””Voglio che tu indossi una maglia attillata trasparente. Sopra, una giacca che porterai sbottonata.””Va bene, signora.””Truccati vistosamente, come una troia.””Sì.””Perché tu cosa sei?””Una troia, signora.””Una vacca. Una grande vacca, e questa sera ti comporterai di conseguenza.””Sì, signora. Sono una vacca.” Elfrida mezzora più tardi era puntuale in Piazza Stefanini. Si trattava di un quartiere che non era solita frequentare.Elisabetta l’aspettava. Vicino a lei c’era un uomo.”Giacomo, questa è Elfrida” disse Elisabetta. “E’ docile e sottomessa, ma questa sera mi ha fatto incazzare.””Grave” commentò Giacomo, guardando intensamente Elfrida.”Ma tutto sommato è una brava schiava” proseguì Elisabetta. Carezzò Elfrida lungo il collo, poi dopo essere scesa sulle spalle indugiò sui seni che si intravedevano generosamente sotto la maglietta trasparente. Elfrida si era vestita come lei aveva ordinato, notò con soddisfazione. “Che bel ciondolo, e che belle tette” osservò Giacomo. Era anziano, con i capelli brizzolati.L’occhio si aprì in quel momento. “Ehi!” esclamò. “Ma cos’è, un orologio?””Siamo in eurovisione” disse Elisabetta. Ovviamente, l’uomo non fu in grado di capire, ma non fece altre domande: pregustava quello che gli era stato promesso.Quindi Elisabetta sapeva dell’esistenza dell’osservatore; Elfrida l’aveva sempre sospettato, sin da quando l’aveva incontrata la prima volta. In quell’occasione, di fronte a tutti quei manichini, aveva fatto cenno della possibilità che tra di essi potesse celarsi un uomo in carne ed ossa.”Elfrida, saluta Giacomo facendogli vedere quanto sei troia.” Il tono della voce era perentorio come sempre, tale da non ammettere repliche. Elfrida sapeva già che non si sarebbe privata del piacere di essere dominata: avrebbe obbedito e basta.”Aprigli la lampo dei pantaloni ed infila la mano dentro. Questa deve essere la tua stretta di mano con tutti gli uomini che ti presenterò questa sera.””Sì, signora” disse Elfrida. Nella piazza c’era un po’ di gente: qualcuno che portava a spasso il cane. Un bar poco distante con pochi clienti. Alcune auto in sosta con qualcuno dentro. L’osservatore forse era tra questi. Senza curarsene, o meglio usando quelle presenze per aumentare psicologicamente il proprio godimento, Elfrida infilò la mano nei pantaloni di Giacomo. Sentì il tessuto delle mutande e lo scostò, afferrando il pene. Era già abbastanza duro, ma non durissimo. L’età non freschissima di quell’uomo faceva sentire il suo peso, evidentemente. Manipolò un po’ quel cazzo facendo scorrere su e giù la mano.”Hai la mano fredda” disse l’uomo.Uno schiaffo partì immediatamente da Elisabetta. Risuonò per tutta la piazza, qualcuno si soffermò brevemente a guardare. Elfrida si ritrovò con una guancia infuocata, il volto rigato da una lacrima.”Puttana” le stava dicendo Elisabetta. “La prossima volta mettiti dei guanti, da togliere subito prima di stringere la mano come ti ho ordinato di fare.””Sì, signora” disse ancora una volta, completamente sottomessa e soggiogata dalla propria volontà di essere succube.”Non posso tollerare che tu abbia le mani fredde.””Ha ragione, signora.””E adesso andiamo” concluse Elisabetta. “Cammina avanti a noi, a due metri di distanza.”Elfrida obbedì mettendosi a camminare lungo il marciapiede. Una volta distante un paio di metri, i due si incamminarono anche loro.Giacomo non sembrava capace di distogliere lo sguardo dal culo di Elfrida.”E’ fantastica” commentò, rivolto ad Elisabetta. “Come hai fatto ad addomesticarla?””E’ tendenzialmente masochista. In più” precisò, “ha il suo tornaconto.””La pagate?” chiese Giacomo.”Non proprio” rispose Elisabetta.Ora erano usciti da Piazza Stefanini e stavano percorrendo un lungo viale. Poco più avanti c’era un bar aperto, con alcuni uomini che schiamazzavano fuori, parlando di donne, sport, motori e politica.”Elfrida” chiamò Elisabetta.”Sì, signora” rispose.”Quando passiamo avanti quel bar, devi fare alcune cose.”Elfrida si fermò, per ascoltare gli ordini.”Fermati a comprare un cono gelato. Dovrai buttarti poi il gelato sulla maglietta.” Elfrida rabbrividì, pensando al gelato sul suo seno ed a quanto fosse sottile e trasparente la maglietta attillata che le era stata imposta.”Lo farò, signora.””Ascolta” proseguì Elisabetta. “Dovrai poi chiedere all’inserviente di pulirti la maglietta. Chiaro?””Certo, signora.””Allora vai. Non deludermi. Devi far capire a Giacomo quanto sei puttana, ok?””Sì, signora.”Il bar aveva una gelateria che si apriva sulla strada. Elfrida si avvicinò decisa, mentre Elisabetta e Giacomo la seguivano a breve distanza, osservando la scena. L’inserviente era un tipo grassoccio dall’espressione vagamente impacciata.”Un cono” disse Elfrida.”Da quanto?” fu la risposta. Gli occhi del commesso indagarono sotto la giacca che Elfrida portava completamente slacciata, così come Elisabetta aveva ordinato; al di sotto si vedevano i seni affiorare dalla trasparenza della maglietta attillata che era stata imposta come completamento del vestiario. “Il più grosso.” Il tono della voce era normale, senza sottintesi. Tuttavia, nell’accingersi a preparare il gelato, la mano dell’inserviente tremò leggermente.Quando Elfrida impugnò il cono, un po’ di gelato le cadde sulla mano. Si portò il dito alla bocca per succhiarlo. Il commesso sembrò ipnotizzarsi nell’osservare rapito quel gesto fortemente allusivo: la sua bocca si mosse impercettibilmente come a voler imitare Elfrida. Poi una dose non piccola di gelato cadde dal cono finendo sulla maglietta, scivolando, lasciando una scia appiccicosa e macchiata dietro di sè, percorrendo il promontorio del capezzolo ed infine schiantandosi a terra. Al contatto con il freddo, il capezzolo divenne più compatto, più sodo ed eretto, sino quasi a bucare il sottile tessuto della maglia.”Oh, mio dio, che sbadata!” esclamò Elfrida, entrando nel bar e portandosi proprio di fronte al commesso. Allargò la giacca, mostrando la maglietta divenuta trasparentissima per via del bagnato, con quel capezzolo provocatoriamente eretto: “La prego, non ha qualcosa per pulirmi?”L’inserviente impallidì di fronte a quella che gli parve una ostentazione sfrontata. Tuttavia disse, balbettando confusamente: “Ecco, forse… un po’ di borotalco.””No, ci vuole una salviettina imbevuta d’acqua” disse Elisabetta, che era entrata a sua volta nel bar insieme a Giacomo. Si portò accanto ad Elfrida: “Povera cara, la tua maglietta nuova.” Poi, rivolgendosi al commesso: “Cosa sta a fare, lei? Perchè non la pulisce, dopo averla sporcata?”L’uomo non replicò, come pure avrebbe potuto fare, dicendo che non era stato lui a sporcarla: troppo confuso. Prese invece una salviettina di carta e la inumidì sotto l’acqua della cannella del bancone. “Devo… devo pulirla io?” chiese incredulo.”Certo” confermò Elfrida.Sotto lo sguardo attento di Giacomo, il commesso accostò la mano al seno di Elfrida e cominciò a sfregare. Tutta la mammella si mosse delicatamente sotto quella leggera spinta.Elfrida avvertiva lo sguardo di Giacomo ma sapeva che anche l’osservatore, in qualche modo, si godeva la scena. Di nuovo sentì la fica sciogliersi tra le gambe e le mutandine bagnarsi. Provò fortissimo il desiderio di toccarsi e per la prima volta emerse nitidamente la necessità di andare oltre, di fare di più, di osare l’inosabile, di immaginare l’inimmaginabile. In un crescendo di eccitazione, si disse che avrebbe stupito la sua stessa padrona. Questo pensiero le fece bruciare le carni; dovette stringere la muscolatura delle gambe in uno spasmo.Si morse le labbra. “Mi sento poco bene” ansimò. Fece finta di svenire, cadendo tra le braccia dell’inserviente, che non poté fare a meno di trovare imbarazzante il pur piacevole fardello.”Cosa accade?” chiese frenetico. “Ha bisogno di stendersi, presto” disse Elisabetta. Non era certa che Elfrida simulasse. Possibile che la fanciulla, la “sua” fanciulla avesse un tale spirito di iniziativa?”Cosa accade… si sente male…” dissero altre voci. Un gruppo di quattro uomini, che sino a quel momento erano stati seduti od in piedi all’aperto, si precipitarono dentro.”Ha una crisi, le passerà” spiegò Elisabetta. “Ha bisogno di stare sdraiata un po’.””Il biliardo!” esclamò l’inserviente. “Aiutatemi.”Un tizio con i capelli lunghi afferrò Elfrida per i piedi. Quando la donna fu pressoché orizzontale avanti a lui, lo sguardo si incuneò naturalmente al di sotto della corta minigonna. Dietro le mutandine semitrasparenti, spiccava la peluria del pube. Per giunta gli slip erano bagnati ed aderivano alla pelle, ripercorrendo le curve delle grandi labbra.Un altro uomo mise le mani dietro la schiena, per sorreggere il corpo. Inevitabilmente indugiarono sulle natiche.La misero lunga su un biliardo. I giocatori smisero opportunamente di giocare.”Starà male veramente?” sussurrò Elisabetta a Giacomo. Che scosse la testa in senso di diniego: “E’ fantastica” rispose.Elfrida era in preda ad un’eccitazione enorme. Se ne sarebbero accorti quegli uomini che la circondavano intorno al tavolo da biliardo, oppure avrebbero continuato a pensare che stesse ansimando per una non meglio specificata “crisi”? Dischiuse leggermente le cosce e godette ancora di più nel pensare che tutti avrebbero visto gli slip umidi di passione, dopo l’elastico delle autoreggenti.”Ma… sta male davvero?” chiese un tipo muscoloso ad Elisabetta.”Sta malissimo” rispose a voce alta. “Dicci di cosa hai bisogno” proseguì, rivolta ad Elfrida.”Chiu… chiudete la porta” rispose la donna sul biliardo.”Co… cosa?” balbettò l’inserviente, che pure aveva sentito bene.”La porta” disse Elisabetta. “Sente freddo, vuole che si chiuda la porta.””A chiave” aggiunse Elfrida. Schiuse le labbra pesantemente evidenziate in rosso; il seno si gonfiò e si mosse su e giù in sincronismo perfetto con i sospiri. Le tette si vedevano nitidamente sotto la maglietta trasparente e le cosce erano socchiuse, mostrando gli slip intrisi di umori. Allungò una mano e, quasi a voler togliere ogni dubbio, la infilò da sopra la cintura della minigonna fin dentro le mutandine. Si vide il tessuto muoversi, si intuirono le dita massaggiare la clitoride. “Mmmmmm…” mugolò Elfrida, alzando il bacino.A questo punto, il tizio muscoloso scostò l’inserviente, che se ne stava a bocca aperta, e chiuse lui a chiave la porta di ingresso al bar. “Signora” disse burbero, rivolto ad Elisabetta, “la sua amica non sta male: ha solo voglia di cazzo.””Scopatela, allora” disse Elisabetta per tutta risposta. “Straordinaria” commentò Giacomo, sottovoce.L’uomo muscoloso salì con le ginocchia sul biliardo e cominciò a toccare le cosce di Elfrida. Con la mano giunse sino al bordo della minigonna, che spinse più in alto sino a raggiungere gli slip bagnati. Il tizio con i capelli lunghi si pose invece all’altra estremità. Carezzò i capelli ma poi tirò la maglietta verso di sè, accartocciandola sotto il mento di Elfrida. Ora i seni erano liberamente esposti agli sguardi libidinosi di tutti i presenti. Più di una mano si mosse per toccarli.Elisabetta contò mentalmente le persone. Oltre all’inserviente, c’erano i quattro uomini che erano entrati per prestare soccorso, più i due che stavano giocando a biliardo e non sembravano affatto dispiaciuti per l’interruzione. In tutto, sette. In più c’erano Elisabetta e Giacomo.Elfrida si chiese solo per un istante se anche all’interno di quella sala da biliardo, chiusa a chiave, l’osservatore avesse potuto vederla. La sua fonte principale di godimento (un godimento profondo, osceno, vergognoso ma inebriante) consisteva nella presenza di Elisabetta e Giacomo. Cosa aveva ordinato, la padrona? “Non deludermi, fai vedere a Giacomo quanto sei troia.” E lei l’avrebbe fatto, sarebbe andata quella sera oltre ogni aspettativa. Cosa aveva detto inoltre Filippo, suo marito? “Più… più aperta, più puttana.” “La puttana è sul biliardo” pensò. Non oppose alcuna resistenza quando, tra gli schiamazzi, alcuni anche volgari, l’uomo muscoloso le strappò quasi gli slip e infilò due dita nella fica. Che si aprì docilmente.Nel frattempo l’altro, quello con i capelli lunghi, si era tirato fuori il cazzo e l’aveva accostato alla bocca di Elfrida. La donna l’aveva accolto assaporando la cappella con le labbra, lasciandovi tracce di rossetto. Aveva poi preso il membro dentro di sè mentre l’uomo muscoloso, dopo aver giocherellato con le dita, aveva anche lui sfoderato il pene e la stava scopando in fica, succhiandole i capezzoli.”E’ veramente straordinaria” disse Giacomo, ad Elisabetta.”Sorprende anche me” confessò lei, eccitatissima. Scansò uno dei due giocatori di biliardo che, con il pene proteso, stava venendo verso di lei. “Io no” fece. “Ma non sei eccitata?” le domandò Giacomo.”Moltissimo” fu la risposta. “Ma mi sfogherò a modo mio.””Mi sporcate il biliardo!” piagnucolò l’inserviente, quando l’uomo muscoloso venne contraendo le natiche a più riprese ed alcune gocce di sperma caddero sul panno verde. Anche il tizio con i capelli lunghi sborrò in bocca ad Elfrida che raccolse tutto lo sperma sulla lingua.Fu la volta quindi del giocatore che era stato respinto da Elisabetta. Salì anche lui sul biliardo e mise entrambe le mani sui fianchi di Elfrida, che si girò. L’uomo cominciò a penetrarla da dietro; l’altro giocatore si infilò sotto.”Lasciami la fica libera” disse al compagno, che sputò sulla propria mano un coacervo di saliva e catarro. Spalmò il liquido vischioso sul buco del culo di Elfrida ed inumidì alla meglio la punta del cazzo.”Ti inculo” disse. Siccome Elfrida non protestò, inarcandosi anzi per favorire l’introduzione anale, la puntò decisamente. Non era uno sprovveduto e sapeva che per inculare bisogna spostarsi a cavalcioni molto in avanti. Si aiutò con una mano per indirizzare il membro con la giusta inclinazione. Dopo aver trafficato un po’, finalmente il cazzo cominciò ad entrare. Elfrida chiuse gli occhi ed un gemito sfuggì dal profondo del suo corpo. L’altro uomo da sotto la stava scopando in fica e l’inserviente stava sfregando la cappella del pene sulla sua bocca. Elfrida estrasse la lingua e quel contatto lo fece immediatamente sborrare, sporcando ancora di più il tappeto verde del biliardo. Rassegnato ed esausto, si abbandonò su una sedia.Giacomo osservava estasiato: “Non male come fuori programma, vero?”Elisabetta non rispose. L’eccitazione aveva lasciato il posto ad un nervosismo, una rabbia stizzosa, un risentimento nei confronti di Elfrida, che non sapeva spiegarsi.”Sta esagerando” disse dopo un po’.Giacomo la guardò, sorpreso. “Sta sfuggendo al tuo controllo?” chiese.Elisabetta reagì in modo eccessivo: “Cazzo dici! Non è questo. È imprudente andare con tutti questi sconosciuti” spiegò. Squillò il cellulare di Elisabetta. “Pronto.””Elisabetta.” Era Lotar. “Stiamo tutti aspettando. Perché non venite?”Elisabetta accese una sigaretta ed impaziente batté con il piede per terra. “C’è stato un fuoriprogramma” spiegò. Si vedeva lontano un chilometro che era incazzata. Soffiò via il fumo dalle narici. “Sarà bene che vieni qua a prenderci, subito. Al bar… non so come si chiama. Vicino piazza Stefanini.””Ma cosa è successo?””Elfrida si è messa a fare la puttana sul… sul biliardo.” Dopo un attimo di silenzio, “Arrivo” disse Lotar, e chiuse la comunicazione.Nel frattempo, i sospiri avevano lasciato il posto ai gemiti stupiti. Gli uomini si toccavano la testa massaggiandosi la nuca, increduli per quanto era successo. L’impeto selvaggio che li aveva accompagnati aveva lasciato il posto ad una sorta di stupita consapevolezza.”Cretina!” disse Elisabetta, rivolta ad Elfrida, che si era seduta sul bordo del biliardo. “Pulisciti.” Le porse un paio di Scottex.Elfrida non capì subito la rabbia di Elisabetta. Eppure, la padrona era furente.”Puttana!” sibilò Elisabetta. Questa volta, l’insulto non era formale come tutte le altre volte: era sentito, veniva dal profondo di un risentimento apparentemente inspiegabile.L’inserviente aveva riaperto la porta del bar. Elisabetta afferrò Elfrida per un braccio e la trascinò fuori. “Non farlo mai più. Hai disobbedito agli ordini, capito?”Elfrida non rispose.”Capito?!” insistette Elisabetta, scotendole il braccio.Finalmente, “Sì, signora” disse Elfrida.Un auto si fermò accanto a loro, a fianco del marciapiedi. Alla guida, Lotar. Elfrida lo riconobbe subito. Non appena Lotar ebbe aperto il finestrino elettrico, Elfrida si sporse all’interno dell’abitacolo, aprì la patta dei pantaloni del negro e ne impugnò il cazzo. La stretta di mano che le era stata ordinata.”Buona sera, signor Lotar” disse.”Ah! Ciao bella” rispose.Quindi Elfrida si rialzò e fissò Elisabetta negli occhi.Avvertivano entrambe che c’era qualcosa di strano, in tutto.Elisabetta guardò Elfrida soffermandosi sui segni dell’umiliazione: le calze strappate, senza slip, grumi di sperma sul volto ed agli angoli della bocca; una donna appena sodomizzata e scopata da sconosciuti, spettinata, la minigonna fuori posto e gli abiti sgualciti, la maglietta sottile e trasparente lacera. Ma l’aveva fatto di proposito, per la prima volta. Quella donna stava crescendo oltre ogni aspettativa. Era sottomessa e della sua sottomissione stava facendo un punto di forza. Appariva una regina e Giacomo ne era stato conquistato.Ad Elfrida, invece, Elisabetta apparve come una donna ferita nell’animo. Capì che il suo atteggiamento spregiudicato di quella sera, aveva portato alla luce l’altra faccia della medaglia, il lato oscuro della luna, una caratteristica fino a quel momento rimasta nascosta del loro rapporto. Elfrida capì in quel preciso momento che attraverso la sottomissione, che pure appariva indispensabile per provare piacere, si poteva anche finire con il comandare, con il primeggiare.”Andiamo, signora?” chiese.Elisabetta sospirò. “Entra” intimò, aprendo la portiera dell’auto. “La seconda parte della notte deve ancora venire. Sarai punita.””Sì, signora.”Lotar ingranò la marcia e l’auto schizzò via con stridio di gomme.

