Era la prima volta che vedevo quella sigla su un ‘memo’: da B.C. a..e seguivano alcuni nomi, a me in ‘blind copy’ per conoscenza. Pigiai il tasto dell’interfono che mi connetteva alla mia segretaria. “Mariella, per favore, chi è B.C. che mi ha mandato in copia un memo?” “E’ un ingegnere in addestramento temporaneo, fra due mesi dovrà tornare molto probabilmente in Zimbabwe, suo Pese, o andare in altro plant.” “Grazie.” Strano, di solito le persone in addestramento non inviano note, soprattutto blind, cioè segrete, al Company Manager. Volevo proprio conoscerlo questo ingegnere del Zimbabwe. Lo feci avvertire di venire da me a fine turno, alle 12,30. Con precisione cronometrica, all’ora stabilita ronzò l’interfono. “Ingegnere, c’è l’ingegner Calder, può entrare?” “OK” Un piccolo tocco all’uscio. “Avanti.” La porta si aprì, apparve una figura che, malgrado la mortificazione della tuta, appariva snella ed elegante. Era una donna di colore, molto giovane, con un viso perfetto, lunghi capelli che, portava raccolti certamente per farli stare nel casco protettivo quando era in servizio, uno splendido sorriso. Si fermò sull’uscio, in un perfetto inglese, e con ottima pronuncia, si presentò. “Sono Barbara Calder, ingegnere petrolchimico in periodo di addestramento.” M’alzai, le tesi la mano. Mi porse la sua, lunga, affusolata, perfettamente curata, con un leggerissimo strato di smalto sulle unghie. L’invitai a sedere. Le dissi che avrei voluto incontrarla prima, ma ero stato preso da noiosi problemi. Non so perché, ma mi venne da giustificarmi. “Prego, si accomodi.” Le indicai l’angolo dov’era un piccolo salotto: un divano, due poltrone, un tavolino basso con dei fiori. Sedette su una poltrona, io sull’altra. Quindi, BC, l’ingegner Calder era una donna…e che donna! Non sapevo da che parte cominciare. Ero sorpreso. “Ben arrivato ingegner Calder…” “Per favore, Barbara.” “Well, bene arrivata, Barbara. Come si trova?” “Benissimo, grazie, signore, sono stata accolta cordialmente ed ogni mio interesse, o curiosità, è gentilmente e premurosamente soddisfatto.” “Ritiene utile questo periodo?” “Prezioso, del resto i vostri impianti sono all’avanguardia e siete rinomati per la vostra capacità addestrativi.” “Quanto durerà il periodo di training?” “Gli accordi sono per tre mesi, ma mi piacerebbe poterli prolungare. Il vostro Paese è splendido, e Venezia è incantevole, impareggiabile.” “Vedremo cosa si può fare. Si è sistemata bene?” “Ottimamente, la vostra guest house è quanto di meglio potessi sperare.” “La mensa?” “E’ una mensa, signore, a mess is always a mess. Everywhere..” Sorrise. “Vero, una mensa é sempre uguale, dovunque. Ma la sera?” “Ho i vostri buoni pasto, e ci sono molti ristoranti che li accettano. In conclusione sono soddisfatta per quanto riguarda alloggio e vitto…e di tutto!” Mi parli un po’ di lei, non ho letto il suo curriculum. Per favore, non mi chiami ‘signore’, per me sa di militare. Io sono un suo collega, un po’ più esperto e… molto più anziano. Mi chiamo Piero Martini. Vorrei che mi considerasse un amico, magari un po’ suo padre, credo che io abbia più o meno la sua età.”Ci proverò, ma creda che non è facile. Mio padre, ad Harare, non consentirebbe mai a una giovane di chiamarlo per nome. Comunque ci proverò. Grazie Vengo dal Zimbabwe, una volta Rhodesia, sono di razza zulu, cattolica. Prima di sei figli. Siamo originari del North Matabeleland, di Hwange, dove mio padre dirigeva un centro siderurgico prima di trasferirsi ad Harare, una volta Salisbury, presso il Ministero dell’industria. Ho studiato ingegneria chimica, ho frequentato la vostra Petrol School, in Italia, ed eccomi qui. Ventiquattro anni, e lieta del lavoro che svolgo.” “Quali sono i suoi programmi?” “Occuparmi di raffinazione, più che di estrazione, possibilmente in Europa, preferibilmente in Italia, e più volentieri qui.” “Brava Barbara, è stata sintetica, precisa, esauriente. Senta, che ne dice se oggi tradiamo la mensa e andiamo in un ristorantino casereccio dove si pranza molto bene?” Mi guardò, credo sorpresa, ma piacevolmente sorpresa. “Grazie, signore.” “Come?” Sorrise, incantevole. “Grazie, Piero.” “Non ci vuole neanche il grazie, se mai sono io a ringraziarla per la sua compagnia. Sta imparando un po’ l’Italiano?” “Sto facendo del mio meglio perché desidero apprenderlo, E’ una lingua bellissima, musicale.” “Bene, andiamo…let’s go.” “Posso cambiare tenuta?” “Scusi…certo… faccia pure con comodo, quando è pronta mi avverta telefonicamente, ci vediamo al garage. Sa dov’è?” “Lo so. Sarò pronta in due minuti.” Infatti non passo’ molto tempo quando trillò il telefono. “Ingegner Piero, sono Barbara, sono al garage.” ‘Ingegner Piero’ lo aveva detto in italiano. Era davanti al garage. Un leggero vestito rosa, alquanto sportivo, stretto in vita, svasato nella gonna, con una camicetta che si intrecciava su di un lato.Mi venne subito alla mente come chiamavano Josephine Baker, la venere nera, e mi sembrò di vedere Barbara vestita con un gonnellino di banane e un minuscolo reggiseno che mostrava, più che nascondere, un paio di solide e provocanti tette d’ebano. In quel momento vedevo la donna, la femmina, un magnifico modello della venustà africana. Tratti del volto regolari, tanto che era difficile ravvisare l’origine camitica. La gonna tentava invano di non rivelare il risalto di un procace e certamente solido fondo schiena. Sarebbe certamente stato stimolante sentirlo sulle proprie ginocchia. Possibilmente nudi. Stavo eccitandomi. Mi sorrise con piccoli denti smaglianti, un lieve ammiccare degli occhi. Ci avvicinammo all’auto, aprii lo sportello. “Prego, Barbara, si accomodi.” Attesi che salisse, sperando di dare una sbirciatina alle sue gambe. Fui ricompensato. Lo spettacolo di quelle forme statuarie, fino alla coscia, premiò la mia speranza. Uscimmo lentamente dal plant, ci avviammo alla periferia della vicina cittadina, dove un casolare, sotto gli alberi, ospitava il ristorante al quale ero diretto. Fummo accolti cordialmente dal proprietario che dirigeva il locale, mentre sua moglie, la signora Marietta, si interessava delle cucine. I soliti saluti, e fummo condotti ad un tavolo, al fresco, in un posticino molto riservato. “In attesa del menù, ingegnere che ne dice di uno ‘sprissetto’ fresco?” Annuii. Barbara, curiosa, mi chiese cosa fosse. Le spiegai che era del vino frizzante, in genere allungato con un po’ di selz. Si mostrò entusiasta. Guardava in giro, come a fissare ogni dettaglio. Arrivò il menù. Barbara lo rifiutò, disse che si affidava a me, voleva assaggiare le specialità del luogo. “Che ne dice di un risotto al nero di seppia, e di una bella granseola?” “Cosa sono?” Le spiegai cosa fosse un risotto col nero del cuttle fish e che tipo di crab fosse la granseola. Si dichiarò entusiasticamente d’accordo e con ancor maggior calore accolse gli sprissetti. Era bello, vederla pranzare. Assaporava con gusto, esprimeva cogli occhi la sua approvazione. Il bianco del Collio, a giusta temperatura, le piaceva moltissimo. Eravamo al dessert: fragoline con panna. Mi guardò con occhi sfavillanti. “Non avevo mai mangiato così bene, ingegner Piero, è una vera delizia. Sarà difficoltoso riprendere il lavoro.” Era stupenda. E certe fantasie tornavano insistentemente a tentarmi. “Ha lasciato pending qualcosa?” “No. Stavo solo scorrendo dei tabulati.” “Allora, che ne dice di fare un salto in riva al mare?” Spalancò gli occhi, sbalordita, “In riva al mare?” “Certo. Torniamo in raffineria e ci facciamo portare al Lido. C’è già stata?” “No, mai. Ma come ci si va?” “Motorboat.” Battè le mani, elettrizzata, si alzò, venne dov’ero seduto, mi schioccò un sonoro bacio sulla guancia. “Meraviglioso, emozionante, yes very exciting!” Mi venne spontaneo posarle la mano sul fianco, mentre gli occhi si perdevano nella generosa scollatura. Rientrammo, lasciai l’auto in garage, feci avvertire lo scafista che volevo uscire in mare. Dopo pochi minuti mi attendeva al nostro imbarcadero. Era una barca nuovissima, moderna, veloce. Nane, lo scafista, sgranò gli occhi quando vide Barbare e, salendo a bordo, mi sussurrò, con la confidenza che ormai era suo costume. “Xe proprio un tocco de mona nera, sior ingegnere!” Senza alcuna espressione del volto, mise in moto, si avviò al largo. Barbara era fuori dell’abitacolo, appoggiata al corrimano d’ottone. “Possiamo rimanere qui, ingegner Piero?” “Si, certo, ma basta con ‘so ingegnere. Piero e basta. OK?” “As you like it, come vuole, OK! Il driver, cosa ha detto, mentre salivamo a bordo?” Come avrei potuto tradurglielo fedelmente, dirle che l’aveva definina mona nera, black cunt? “Ha detto che lei è proprio una bella ragazza.” “Grazie!” Mi rivolsi a Nane. “Ndemo al Lido, all’Excelsior.” Il motoscafo aveva acquistato velocità, il vento scompigliava i capelli di Barbara, le faceva svolazzare la leggera gonna. Era vicinissima a me. Le cinsi la vita e l’attirai con molta disinvoltura. Ora sentivo il tepore della sua carne. Come a difenderla dal sobbalzare del natante, salii sotto l’ascella. Ecco, le dita sentivano la pienezza del seno, rigoglioso e saldo, e ne seguivano il contorno curiose di comprenderne la forma. Barbare guardava avanti. Una tetta magnifica, appena oblunga… e un capezzolo lungo e duro come il marmo. Le dita non riuscivano a star ferme, ed era il movimento della barca a far muovere la ragazza. L’attirai ancora di più a me. Sentivo il suo fianco contro il mio e m’andavo eccitando. Alla mia età, come un adolescente. Mona nera…si. La bella Beatrice Calder, la B.C. del memo… B.C. Già, black cunt! Non lasciai la sua bella tetta, anzi…, fino a quando non giungemmo dinanzi all’Excelsior, che Barbara guardava incantata. Scendemmo, dissi a Nane che, se voleva, poteva andar via e tornare tra un paio d’ore. “Se, permette, sior ingegnere, cerco di fare un bagno. Consegno la barca al guardiano e sarò qui come ha detto lei.” “D’accordo.” Presi amichevolmente Barbara sottobraccio, ed andammo verso il bar dell’Hotel. “Le piace questo mare?” “E’ un sogno, per me. Mi piacerebbe tanto fare un bagno.” “Non credo sia prudente. E’ troppo vicino al pranzo, ma se vuole può prendere un po’ di sole?” “Come…nuda?” “Sarebbe uno spettacolo paradisiaco, ma… Allora sa che facciamo? Cerchiamo un costume. Venga.” Entrammo nella Hall, e andammo nella galleria dov’erano alcune boutiques. Nella vetrina di una di esse c’erano costumi da bagno di tutti i tipi. “Entriamo, Barbara.” “Ma…?” “Nessun ma, entriamo.” La commessa ci venne incontro sorridendo, chiese a Barbara che tipo desiderasse. Scelse un bikini, bianco. Voleva il contrasto, disse ridendo. “Sono confusa inge.., scusi, Piero, non doveva…” “Non dovevo ma volevo. Adesso, le faccio assegnare una cabina, lei va a cambiarsi, io, invece, vado sotto un ombrellone e l’aspetto per bere qualcosa di fresco. Intanto mi tolgo questa inutile giacca.” Quando Barbara uscì dalla cabina ebbi la sensazione che tutta la spiaggia fosse ammutolita e impietrita ammirandola. Il ‘contrasto’ era magico: l’ebano della sua pelle, il candore dei due piccoli pezzi che ponevano in stuzzicante risalto la floridezza del seno e l’ammaliante attrattiva delle natiche. Camminava sulla sabbia con movenze feline, e venne verso me sorridendo. Mi alzai estatico e lei, correndo, venne a rifugiarsi tra le mie braccia. “Barbara, è una vista che abbaglia, stordisce, stimola.” “Grazie, lei mi fa sentire davvero felice, e le sue parole mi fanno insuperbire. E’ piacevole essere ammirata da lei. Grazie.” Malgrado la forma, il tono della voce e gli argomenti, dimostravano che, pur nell’ambiguità dell’inglese, eravamo passati evidentemente al tu. Dovevo sondare il terreno. “Anche essere desiderata?” “In fondo, il desiderio è il naturale frutto dell’apprezzamento. Si desidera indossare un bel vestito, assaporare un piacevole dolce, dissetarsi alla fonte fresca e limpida quando si ha sete…” “Si, hai ragione. Se è irresistibile vincere la smania di carezzare un serico tessuto, come e quanto di più lo é per una pelle liscia e vellutata… specie se di un tono che ti affascina? Se una pesca matura non ti fa desiderare che addentarla, cosa mai di susciterà un seno rigoglioso?” Barbara mi guardava estasiata, sembrava che le parole l’ accarezzassero, la lusingassero, la infiammassero. Le sue labbra erano appena dischiuse, il suo ventre sembrava palpitare. Allungò la mano, prese la mia, la portò sul suo cuore. “Le tue parole, Piero, mi sconvolgono, hanno su me un effetto che non avevo mai provato. Mi sembra di conoscerti da sempre, e prima di questa mattina non c’eravamo mai visti. Hai espressioni e sfumature di voce che sembrano fatte perché io le percepisca in me, intimamente.” “Forse è solo perché l’età mi consente di manifestarti apertamente e con maggiore proprietà quanto altri vorrebbero dirti,” “Non credo. E’ una questione di feeling, emozionale, non saprei come dire…” “E che io abbia cinquant’anni?” “Non capisco cosa c’entri l’età.” “Ho un figlio a Boston, al MIT, ha quasi venti anni.” “Allora? Io ho un padre ad Harare, in un lussuoso appartamento allo splendido Meikles, ha poco più della tua età?” “E il tuo fidanzato?” “Non ho nessuno, ora. E’ stato un breve incontro. Non eravamo fatti l’uno per l’altra. E…. mistress Martini?” “E’ a Boston, dal figlio.” “Well, siamo entrambi temporary free. Liberi, per ora. Hai sentito il mio cuore?” “Splendido..come tutto.” Cercai di distendere l’atmosfera. “Un gelato?” “OK.” Chiamai il cameriere, e dopo poco Barbara era alle prese con una monumentale coppa, ma prima di iniziare a gustarla pose la mia mano sulla sua bella coscia, poco più su del ginocchio. Mi sentivo alquanto a disagio, cosa avrebbe detto la gente? Al diavolo la gente!. Aveva un po’ di panna sotto al labbro, glielo dissi. Avvicinò il suo volto alla mia bocca. “Taste..assaggia…” Le mie labbra s’attardarono a suggere quella goccia, incurante degli astanti che, però, erano ben distanti da noi. La ragazza mi stava facendo perdere la testa, il controllo. Divenivo sempre più eccitato e impaziente. “Barbara,,,” “Yes..” “Domani è venerdì, che ne diresti di anticipare il week end?” “In che senso?” “Ho una villetta, a pochi chilometri da Cortina, a Borca. Ti piacerebbe trascorrere un paio di giorni sulle dolomiti?” “La montagna dopo il mare. Non so, però, se sono attrezzata.” “Basta un pullover per questa sera. Il resto lo troveremo a Cortina.” “Really do you want me to come with you? Vuoi veramente che venga con te?” “Con tutto il cuore?” “Just your heart? Solo col cuore?” “Con tutto me stesso!” “You’re so lovely: a lovely man, a lovely meal, a lovely present, and now a lovely little house is waiting for us!” Per lei era incantevole tutto: io, il pranzo, il dono.. e adesso la casetta che ci attendeva. “E’ meglio che torniamo. Ti accompagnerò a casa per prendere le tue cose e…via!” Mi dette la mano e s’avviò alla cabina, mi fece entrare. Con naturalezza, come se fossimo insieme da sempre. Rimase nuda, di fronte a me, guardandomi negli occhi. Una visione incantevole. Un corpo statuario. Un minuscolo triangolo di crespo nero tra le sue gambe. Un lunghissimo bacio, appassionato, con la mia prepotente eccitazione che premeva nel suo grembo, e le mani che carezzavano quello scultoreo culo d’ebano. Mi guardò, bellissima. “Later, darling, later…” Si, più tardi. Nel motoscafo sedemmo nell’abitacolo, vicini, come due adolescenti al loro primo incontro, facendo parlare le nostre dita curiose e intriganti. “Scusa, Piero, invece di passare per casa, prima di partire, non potrei farmi accompagnare, con la scusa di prendere un incartamento? Non vorrei che mi vedessero con te alla guest house.” “Benissimo, ma dirai che devi partire improvvisamente. Quindi prendi la tua roba e fatti portare alla stazione degli autobus. Sarò li.” Il susseguirsi degli eventi mi disorientava. Ero andato in stabilimento, quella mattina, sereno e disteso, come al solito. Poi quel memo firmato BC, iniziali che erano divenute le sigla Black Cunt, la mona nera di Nane. Niente da dire, era proprio una bella mona e certamente nera. Ma apprezzamenti del genere, anche se un po’ rozzi, si facevano spesso, perché di belle mone ce n’erano dovunque, anche in stabilimento, per non parlare delle pantegane dell’Excelsior. Ma perché Barbara aveva subito compreso e accettato, anzi provocato, le mie avances? Che c’entrasse il suo desiderio di restare in questo plant e aggarbarsi il boss non era una mossa sbagliata. Allora apparteneva alla schiera di quelle che ‘davano il davanti per andare avanti’? Mah! Dovevo cercarlo di capirlo. Eccola li, stupenda come sempre, in jeans e camicetta, con un pullover legato alla vita. Accostai, aprii lo sportello, la feci salire, ci avviamo lentamente verso la A 27. C’era una strana aria di mutismo. Di disagio? “Pentita, Barbara?” “Quite the opposite. Tutt’altro, e tu?” “Non ti nascondo che mi sento come il bambino attratto dalla marmellata. La desidera, molto, ma poi?” “Poi cosa? Lasciamo che le cose accadano, viviamole momento per momento. Io oggi sono qui, domani chissà dove, e chissà se potrò rivederti ancora.” “Non vuoi restare in questo impianto?” “Credo sia un sogno e, tra l’altro, non so se sia opportuno…” La strada era abbastanza libera, il traffico scorrevole. Stavamo per lasciare l’autostrada e inserirci nella 51, di Alemagna. Le posi la mano sulla gamba, la coprì con la sua. Notai che sotto la camicetta non indossava altro. Me ne accertai con una lieve carezza. Strinse la mia mano sul petto seducente. Girammo a destra, ancora pochi metri, ed ecco la mia villetta. Era sera. Presi le chiavi, aprii, entrammo. “Siamo a casa, Barbara. Benvenuta.” “E’ molto graziosa.” “Non è molto grande, ma ci si sta abbastanza bene, sia d’estate che in inverno. Vieni, ti indico le poche cose che ci sono.” Le mostrai la camera da letto matrimoniale, l’altra con due lettini, la cucina, il tinello, il bagno. Mi guardò con aria assorta. “Dove devo mettere la mia roba?” Fu come una doccia fredda, sentii mancarmi la terra sotto i piedi. “Dove vuoi tu.” Prese la borsa e s’avviò verso la camera matrimoniale. Trassi un sospiro di sollievo. Andai ad aprire il frigo, c’era tutto quello che avevo ordinato: melone, prosciutto, cocktail di gamberi, salmone, roastbeef già affettato, fragoline, acqua minerale, champagne. Nella credenza c’erano dei panini, grissini. Sentii dei rumori nel tinello. Barbara era di fronte alla televisione e ne ammirava il grande schermo. “Senti, Barbara, preferisci andare fuori a cena, o cercare se c’è qualcosa nel frigorifero?” “E’ bello restare qui. Posso andare a vedere cosa c’è?” “Certo.” Tornò con un sorriso smagliante. “Possiamo stare qui, senza uscire di casa, fino al ritorno… Sei proprio imprevedibile.” Avevo acceso la televisione, ero seduto sul divano di fronte. “Vieni?” “Solo un momento, vado a togliere i jeans, non si sopporto per casa.” Riapparve avvolta in una specie di sciamma candida, morbida e leggerissima, elegantemente drappeggiata. “Splendida, Barbara.” Piroettò civettuola, così i lembi si dischiusero e lasciarono intravedere lo splendore del suo corpo affascinante. Venne a sedere al mio fianco. “Vuoi che prepari la cena? Apparecchi la tavola?” “Mi lasci subito.” “Per esserti più vicina dopo.” “OK” “Cosa preferisci?” “Mi affido a te. Nella credenza c’è tutto il necessario per apparecchiare.” Mi carezzò la mano che avevo posto sulla sua gamba, e si alzò. Agile, scattante. Scossi la testa. Era una bambina, ed io un matusa! Sembrava essere stata qui da tempo, aprì i cassetti giusti, gli sportelli esatti, e in pochissimi minuti venne a inchinarsi di fronte a me. “La cena è servita, signore.” Lo sciamma s’era aperto mostrando la visione conturbante del suo seno, scuro e rigoglioso. Aveva preso i gamberetti, il roastbeef, le fragole, lo champagne. “Ho indovinato?” “Perfettamente.” Mi raccontò di quando andava, alla ricerca di piccoli frutti selvatici, nella riserva di Christon Bank, o lungo l’ Umzingwane. E gustava golosamente le piccole fragole innaffiandole con sorsi di champagne. “Ora, Piero, va a metterti un po’ in libertà, io rassetterò tutto.” Quando rientrai, indossando una camiciola sportiva sui pantaloni di tela, era intenta a guardare la televisione. Le andai accanto. Non appena fui seduto, venne sulle mie ginocchia, alzando disinvoltamente lo sciamma. Sentii il suo tepore attraverso la sottile stoffa dei pantaloni, e non poté non percepire il mio desiderio. Anzi, si acconciò in modo che il mio gonfiore fosse accolto tra i suoi favolosi glutei. Ebbi una reminiscenza goliardica: chiappette prensili. Sembrava seguire quanto era trasmesso: una vecchia pellicola sentimentale. Intrufolai la mia mano sotto la stoffa bianca che le copriva le cosce, salii a sentire il calore del suo grembo, a frugare nel piccolo cespuglio, a carezzarla delicatamente tra le gambe, il morbido delle grandi labbra che andavano intumidendosi, e le piccole che palpitavano al minimo sfioramento. Barbara si alzò, s’avviò verso la camera da letto. Giunta sull’uscio si voltò a guardarmi con le narici frementi. La raggiunsi. Con gesti incerti sbottonò la mia camiciola, slacciò la cinta, lasciò cadere i pantaloni che liberarono la mia violenta erezione. Si liberò dello sciamma e si riversò sul letto, nell’ incantevole offerta di sé. Il petto ansimante, gli occhi socchiusi, le gambe appena divaricate. Quando posi le mie mani sulle sue cosce, alzò le ginocchia, poggiando i talloni sulla sponda del letto, e il bacino s’alzò, voglioso. Desideravo guardarla, carezzarla ancora, scostai le sue grandi labbra nere, il cui interno cambiava in rosa scuro, ed ecco il tenue rosa delle piccole labbra, il ricamo della ammaliante vagina che si dischiudeva come un bocciolo in fiore. Non s’aspettava, credo, di essere così ammirata, non credeva che la mia lingua la frugasse, curiosa e invadente, lì, nel tempio della sua femminilità, insistendo sul piccolo bottone d’amore che s’ergeva prepotente ed pretenzioso. La lambii lungamente, sentendola sempre più ondeggiare. Ora le sue mani erano nei miei capelli e assecondavano i movimenti del mio capo. Percepii la linfa del suo godimento, mentre il suo respiro si tramutava in un gemito lungo e soffocato che aveva qualcosa di selvaggio, di primitivo, fino all’urlo che disse del suo liberatorio orgasmo. Mi strinse la testa tra le sue gambe. Spossata. Sciolse la sua presa e alzò la testa, guardandomi. “Now Piero, now… adesso…adesso.” Posi il glande su quell’orifizio imperlato dei suoi umori, ed entrai in lei, accolto focosamente. Che strano che mi venivano in mente le parole di Boccaccia: metti lo tuo diavolo nello mio inferno. Ma questa volta lo mio diavolo era in paradiso, nel paradiso nero di cui non avevo contezza. Sembrò delirare quando, dopo un ulteriore orgasmo, sentì invadersi dal mio seme. Diceva parole che non comprendevo, mi tratteneva in sé, con le gambe, con le braccia. S’era impossessata della mia lingua…. Ero convinto che mia performance, molto più lusinghiera di quanto potessi immaginare, mi avrebbe tenuto fuori combattimento per chissà quanto. Ma non avevo tenuto conto delle arti di Barbara, delle sue magnifiche tette che l’accolsero tra di esse, del suo infiammarsi… Per cui, quando si accorse che i miei anni svaniti di fronte alla sua abilità, mi fu sopra e con ingorda maestria si impalò fin quando la natura glielo consentì. La guardavo, estasiato, e la paragonavo al ghepardo che correva nella savana, inseguendo la preda che l’avrebbe saziato. Ecco, Barbara aveva in sé la sua preda e l’assaporava insaziabile, ne suggeva fino all’ultima stilla. Giacque su di me. Il respiro andava divenendo regolare, poi s’appesantì, rivelò l’assopimento che l’aveva conquistata. Le carezzavo la schiena, le natiche, e mi sembrava di percorrere matasse di seta. Sentivo il tepore umido del suo sesso sulla mia coscia. Non so quanto durò questo. si mosse, sempre nel sonno, e mi volse la schiena. Allungò la mano dietro di sé, mi volle vicino, molto vicino, col mio sesso tra le sode natiche, e di quando in quando lo stringeva forte, nel sonno, istintivamente, naturalmente. BC, voleva dire anche ‘bel culo’. Era quello che mi veniva in mente -black cunt… bel culo- ogni volta che su un memo leggevo la sua sigla. Era bello, ma ancor più ogni volta che, durante la sua troppo breve permanenza, potevo stringerla tra le mie braccia, entrare in lei, dolcemente, perdutamente.
Aggiungi ai Preferiti