Estate. Stagione che accende la passione e surriscalda i sensi, a maggior ragione se si ha diciotto anni, una tempesta ormonale in corso e poche esperienze sessuali all’attivo. Per questo, già prima di partire per le vacanze, la mia mente partoriva situazioni e futuri incontri così eroticamente dettagliati che finivano con la conseguente, inevitabile, prepotente erezione da dover accontentare. La mia mano si dedicava con le più intime carezze nell’ancestrale arte dell’autoerotismo, amplessi maturati in un onirico harem dove non c’era ragazza capace di resistermi ed ognuna di loro era pronta ad accogliere in qualsiasi angolo del proprio corpo il caldo e denso frutto del mio desiderio, che invece finiva per essere accolto o dalla tazza del water o da qualche fazzoletto di carta preparato per l’occasione. Ero un ragazzo carino e sebbene non fossi appariscente quanto il “fusto” di turno che le ragazzine ammiravano e se ne contendevano le attenzioni, avevo le mie ammiratrici. Nonostante tutto, però, i momenti che dedicavo a me stesso avevano qualcosa di speciale, di intimo, che ancora non ero riuscito a provare durante i momenti di sesso che fino ad allora avevo avuto con le ragazze. Forse perché ad alimentare le mie fantasie c’era una particolare fissazione che diventava sempre più insistentemente presente: avevo una autentica passione per i piedi femminili! È insolito, certo, perché la mèta naturale dei miei coetanei, per chi ancora non l’aveva provato, era il sesso completo con la propria ragazza, mentre il mio punto di esaltazione era quello di avere tutti per me un paio di piedini da “consumare” di baci e carezze. Non so dire esattamente quando si presentò per la prima volta il desiderio, ne cosa lo avesse generato, sta di fatto che sempre più spesso il culmine dei miei orgasmi solitari lo raggiungevo immaginando che fossero un paio di piedi attraenti ad abbracciare e scuotere il mio membro fino a portarlo al traguardo del piacere, anziché la mia mano. Ero arrivato persino a mettermi in bocca in mio alluce e leccavo, per quanto potevo, il mio piede sognando che fosse l’estremità di una delle tante donne che vedevo ogni giorno e che, quasi a volermi stuzzicare intenzionalmente, indossavano provocanti sandali o scarpe aperte catturando la mia attenzione. All’inizio avevo provato a condividere questa fantasia con le ragazze con cui flirtavo, nella speranza che, incuriosite, l’accontentassero, ma gli esiti si erano rivelati più o meno disastrosi; si passava dal “ma che sei, una specie di pervertito?” a “perché, non ti piace quello che ho tra le gambe?” e così via. Dopo di solito calava il gelo, o iniziavano a ridere, o si mettevano a piangere. Non capivano; ma del resto, io stesso non riuscivo a spiegarmi la natura di quella morbosa attrazione e visti gli esordi decisi di lasciar perdere covando dentro di me quel desiderio che sfumava lentamente in una frustrante privazione. Pensai che l’imbarazzo dato dall’inesperienza fosse la causa di tutto, che mi faceva concentrare su una parte del corpo solitamente non presa in considerazione, forse temendo di non riuscire a fare una bella figura nei rapporti convenzionali. ma ancora non avevo neppure intuito la vera natura di quella “mancanza” che di li a poco si sarebbe rivelata in tutta la sua chiarezza. Quella estate di tanti anni fa, come ogni anno, avevamo progettato le vacanze di famiglia scegliendo una località che offrisse l’opportunità di rilassarsi ai nostri genitori e abbastanza svaghi per me e Claudia, mia sorella gemella. Decidemmo per il terzo anno consecutivo di passare le vacanze sul lago di Garda, dove ormai avevamo fatto conoscenza con altre famiglie divenute abitudinarie di quel posto e sia io che mia sorella eravamo riusciti a ritagliarci una serie di amicizie estive che ritrovavamo ogni anno. Dopo circa quattro giorni di villeggiatura, finalmente ebbi il coraggio di osare e scoprii che se solo non avessi esitato così tanto avrei potuto avere già l’anno prima un incontro intimamente ravvicinato con Karin, una ragazza tedesca conosciuta l’estate precedente e che sembrava ansiosa quanto me di approfondire questa conoscenza. Stavamo facendo una passeggiata lungo il lago quando le nuvole hanno cominciato a prendere possesso del cielo e inutilmente mi augurai che la pioggia non rovinasse la serata. Avevo appena infilato la mano destra sotto la maglietta di Karin , risalendo lungo la pancia fino ad incontrare il piccolo ma appagante seno ed ero perso nell’accarezzarlo, sentivo il battito del suo cuore che accelerava e andava a tempo con il mio. Con i polpastrelli le stuzzicavo e stimolavo i capezzoli, che adesso erano diventati duri e lievemente sporgenti; intanto mi godevo la delicata mano tutt’altro che inesperta di Karin che, infilatasi nei miei pantaloni, si prendeva cura del mio membro. Quasi volesse rendermi la piacevole tortura che le stavo infliggendo, ricambiava i miei movimenti sul suo capezzolo con altrettanti identici sulla cappella che sussultava di piacere. Ed ecco il lampo, seguito dal tuono, gli araldi dello scroscio che dal cielo avrebbe lavato via la speranza di concludere nel migliore dei modi la serata! Provai a trattenerla ma non ci fu verso, così l’accompagnai per un tratto finché non raggiunse il campeggio e dopo un fugace bacio corsi a mia volta verso l’albergo dove alloggiavo. Entrando vidi qualche cliente ancora in giro, alcuni che giocavano a carte, altri semplicemente intenti a scambiare le ultime chiacchiere prima di ritirarsi in camera. Salutai e appena arrivato nel corridoio notai mia sorella, era rientrata anche lei a causa della pioggia, e i nostri genitori che stavano andando nella loro camera. Demmo loro la buonanotte e ci accingemmo a fare lo stesso. – Sono fradicia. – disse Claudia entrando nella stanza e togliendosi le scarpe – Ma tu guarda ‘sto cavolo di tempo. – Io intanto ero andato a fare pipì nel bagno della camera. – Come sei silenzioso… serataccia? – – Era partita bene, e se non fosse stato per la pioggia sarebbe finita anche meglio! – le dissi a mezza bocca mentre facevo cadere le ultime gocce. Era già successo altre volte e come temevo stava succedendo di nuovo; quando venivo stimolato senza poi concludere con l’eiaculazione, cominciavo ad avvertire un dolore all’inguine, che lentamente si concentrava sui testicoli fino a diventare insopportabile. Normalmente mi masturbavo per lenire il fastidio ma con mia sorella che si apprestava a viaggiare dalla camera al bagno l’unica soluzione era stendermi sul letto e sperare che si placasse da solo. Non potevo certo menarmelo di fronte a lei. – Dai, racconta! – continuò Claudia – Voglio sapere tutto! – era entrata in bagno in reggiseno e mutandine per appendere i vestiti bagnati. Non era certo la prima volta che vedevo mia sorella seminuda, anzi, era capitato più volte di vederla come mamma l’ ha fatta mentre di cambiava o andava a farsi il bagno; il prurito che avevo al basso ventre di quella sera, però, mi fece avere un piccolo, quasi impercettibile impulso e per un attimo anziché mia sorella fu una ragazza decisamente attraente che vidi coperta da quel delizioso completino intimo. Durò meno di un secondo e subito mi scese addosso una sensazione di disagio, come se avessi violato la sua intimità, e mi sentii un idiota. – Allora…ci sei? Certo doveva essere proprio speciale questa ragazza, guarda come ti ha ridotto. Dai, sono troppo curiosa! – stava armeggiando con le mollette e si era voltata nel dire le ultime parole. – No, niente di speciale, è solo…beh, è piuttosto carina e sembrava anche molto spigliata. – cercai di troncare il discorso, il mio uccello era talmente sensibile che il solo ripensare a Karin lo faceva sussultare con il conseguente risultato di un ritorno di erezione, imbarazzante dato il momento, e l’aumento del dolore che riuscivo sempre meno a mascherare. – Come siamo freddi! – mi disse ironica – Sei sicuro che va tutto bene, a parte il mancato divertimento?- Dato il rapporto molto unito che avevamo avuto fin da piccoli,non c’erano stati mai stati grandi segreti tra di noi, perciò ci raccontavamo ogni cosa, anche delle esperienze con l’altro sesso, era normale quindi che fosse sorpresa dal mio atteggiamento. – Si, scusa Claudia… va tutto bene… – Mentii. – …ho solo un po’ di fastidio alla pancia e allo stomaco, forse ho esagerato col bere. – Almeno avevo una scusa per il dolore. – Oh, mi dispiace, posso fare niente? Ti vado a prendere qualcosa, un tè magari…spero sia ancora aperto il bar. – – No, davvero, grazie, adesso mi vado a stendere e vedrai che mi passa. – la tranquillizzai. – Se hai bisogno del bagno dillo, non ti fare problemi…hai la nausea? – Era sempre stata premurosa nei miei confronti, questo il motivo della sua insistenza, ma in questo modo risultava sempre più difficile reggere la storia che avevo montato. Non ero mai stato capace di dirle bugie e alla fine cedetti. – A dire il vero non ho bevuto…è solo che… – non sapevo come dirglielo. – …pancia e stomaco sono a posto, il dolore è di altra natura. – Claudia era di fronte a me, con un espressione risentita, preoccupata e interrogativa allo stesso tempo. – Ma allora…stai male o no? – mi disse ora in tono deciso. – Va bene, tanto più ci giro intorno e peggio è; il fatto è che stasera con Karin ci siamo abbandonati a delle carezze sempre più intime e sul più bello si è messo a piovere, quindi non abbiamo concluso, capito? – L’avevo detto tutto d’un fiato, senza pensare che in quel modo non avevo chiarito granché. – Si, questo l’avevo intuito, quello che non capisco è perché stai male. Avrai un’altra occasione domani, mica ti devi disperare. – Ora il suo sguardo faceva tenerezza, non ci arrivava proprio o forse non era molto esperta di problemi maschili. Le dovevo una spiegazione migliore. – Non so se è una cosa comune, ma mi succede che quando vengo stimolato per un po’ senza…sfogarmi, mi prende un dolore all’inguine, in particolare ai testicoli, e ti assicuro che mi piego in due! – Un po’ di rossore sulle guance tradì l’imbarazzo che Claudia provò nel sentirmi dire quelle cose. Come ho detto ci eravamo sempre confidati ma con la crescita le nostre confidenze intime erano diventate meno dettagliate; era pur sempre una persona del sesso opposto che avevamo davanti, perciò non era come confidarsi con l’amico o l’amica. – Se era solo questo potevi dirlo subito. – disse spiazzandomi, con un tono che tentò di sembrare sicuro. – Non devi farti problemi, sono tua sorella, mica un estranea. – Era sincera e adesso stava anche acquistando disinvoltura. – Hai ragione, ma sei pur sempre una ragazza e mi imbarazza parlare esplicitamente di sesso con te. Almeno così credevo…in effetti sono più spontaneo di quanto pensassi. – la guardai e le sorrisi. Lei ricambiò il sorriso, che fu ancora più ampio del mio, e mi abbracciò teneramente. Poi si mise a sedere sul suo letto, accanto al mio, con le gambe incrociate. – Anche a me quando vengono le mestruazioni capita di essere piegata in due dal dolore, vado avanti a moment…ma sei sicuro che non ci puoi fare niente? – – Beh, l’unico modo che conosco è quello di finire…da solo, mi spiego? – – Devi masturbarti? Ma allora fallo, scusa, chi te lo fa fare di tenerti il dolore. Bastasse questo per calmare i dolori mestruali avrei risolto tutti i problemi. – Il mio sguardo attonito era eloquente. – Perché ti stupisci? Credevi che solo i maschi si masturbassero? – – No…non so…non credevo che fosse una pratica molto diffusa tra le ragazze, tutto qui.. – – Siamo più riservate, è vero, ma il fatto di non sbandierarlo ai quattro venti non vuol dire che non lo facciamo. – – E… ti piace molto? – domanda stupida! Ma ero curioso e la barriera inibitoria che avevamo implicitamente costruito negli anni era crollata, sgretolando le vergogne relative. Sembravamo essere in vena di confidenze molto intime, adesso. – Che discorsi, certo che mi piace, perché a te no? – – Sicuro, anzi, spesso riesco a provare più piacere da solo. – inconsciamente mi stavo aprendo, pian piano, come se parlassi con me stresso. – Anche a me succede lo stesso, a volte, figurati che… – si interruppe un attimo e indicando con l’indice il mio basso ventre disse – Senti… ma se parliamo dopo che hai fatto non è meglio? Lo dico per te. – – Hai ragione, solo che adesso mi sembra una situazione troppo grottesca. Insomma, dovrei andare in bagno e toccarmi sapendo che sai quello che sto facendo, per poi tornare di qua a parlare con te? – – Non dirmi che non l’hai mai fatto a casa! – – Si, ma almeno a casa non sapevi che mi stavo masturbando… dai, così mi vergognerei! – – Mmm…vediamo…ho trovato! E se lo facessi qui, davanti a me? – – Ma sei matta?? Ti ho detto che mi vergogno a farlo in bagno con te di qua, figurati se mi stai vicino e mi guardi! – – Ma dai, sarebbe una specie di gioco, insomma, tu risolveresti il problema e condivideresti questa cosa con me. Secondo me sarebbe meno imbarazzante. – – Sarà meno imbarazzante per te, forse, ma credi che mi sentirei a mio agio a menarmelo con te che osservi la scena? – Passò un attimo in cui Claudia sembrò concentrata nel cercare una soluzione. – E se fossi io a…toglierti il dolore? – la frase le uscì in completa naturalezza, come se fosse la cosa più comune di questo mondo. – Ma ti rendi conto di cosa dici?? – avevo capito bene? Non poteva averlo detto realmente. – Beh, che c’è di male? In questo modo non starei solo ad osservare la scena. – – Non ci credo! Mi stai dicendo che vuoi farmi una sega? Ma sei mia sorella! – – Io non ci vedo niente di male, mica andiamo a letto insieme, sarebbe solo un massaggio in una parte che ti fa male, quante volte mi hai massaggiato la schiena, o il collo. Comunque, senti, mi sono rotta di essere trattata da pervertita, io volevo darti una mano, fai come ti pare! – Si alzò e fece per andare in bagno. – Vuoi… darmi una mano? – Ci guardammo, di colpo il mio sguardo allibito svanì, così come mutò quello risentito di Claudia. Un sorriso si affacciò sulla bocca di entrambi pensando all’ironia involontaria della frase, e di colpo scoppiammo a ridere! – Ma…sei sicura? – le chiesi serio non appena le risa si placarono. Ero disteso sul mio letto con la schiena appoggiata al muro. Contrariamente all’esuberanza che aveva voluto dimostrare poco prima Claudia si avvicinò incerta, tradendo un po’ di imbarazzo ora che effettivamente tutto ciò che aveva detto sembrava accadere davvero. Comunque non si tirò indietro, si sdraiò su un fianco accanto a me, mi passò una mano nei capelli e disse – Si, sono sicura. – in tono altrettanto serio. Non si era ancora messa niente ed aveva ancora il solo intimo addosso, percepivo il contatto del seno con il mio braccio, della sua coscia che sfiorava la mia, e inaspettatamente provai una sensazione diversa nei suoi confronti, che andava oltre il normale rapporto tra fratello e sorella, ma neppure paragonabile a quello che avevo provato con altre ragazze. C’era un alone di complicità che ci avvolgeva e faceva apparire il resto del mondo lontano anni luce, un gioco di intesa che ancora doveva realmente prendere vita ma che entrambi avvertivamo e al quale ci andavamo pian piano abbandonando. Stavamo vivendo forse uno degli aspetti ignoti del complicato legame che unisce due gemelli, un indissolubile unione nata nel ventre materno che avevamo condiviso nello stesso momento e che ci aveva posto in una condizione di intimità che andava al di là della comprensione umana, racchiudendo aspetti dell’esistenza destinati a sconvolgere il corso della nostra vita, se solo avessimo provato ad assecondarli. Ed eravamo ancora inconsapevoli di quanto lontano ci avrebbe condotto questo percorso. Un attimo di incertezza, poi, con un timido sorriso, Claudia spostò lo sguardo dal mio viso lungo il mio corpo e finalmente si posò sul mio sesso. Avevo indosso solo gli slip ed il piacere che il contatto con il corpo di mia sorella mi provocava si rispecchiava, ed era perfettamente intuibile, sul mio fallo, anche se coperto dal leggero strato di cotone. Per un istante entrambi aspettammo che l’altro facesse la prima mossa e vista la maggior sicurezza dimostrata fin dall’inizio mia sorella si rese conto che spettava a lei. La sua mano sinistra si lasciò andare al primo esplicito contatto con il mio corpo, lentamente cominciò ad accarezzare il mio pene senza spogliarlo, con movimenti delicati, premurosi. Quando incontrò i miei testicoli ebbi un piccolo irrigidimento. – Ti fanno molto male? – mi disse senza interrompere le sue carezze. – Adesso sono molto sensibili. – le risposi. Claudia spostò il bordo degli slip lasciandoli scoperti, sembrava contemplarli. – Sembrano molto gonfi. – mi disse mentre li massaggiava amorevolmente con movimenti circolari usando i polpastrelli. – Normalmente non sono così. – le risposi, e la mia voce tradì l’emozione che quel tocco mi procurava. Mia sorella stava prendendo sempre più confidenza con la situazione. – Vediamo come sta l’ammalato. – mi sussurrò nell’orecchio. E così dicendo tolse l’indumento che ostacolava e impediva la vista del mio uccello ormai agonizzante e desideroso di attenzioni. Imbarazzato la osservai, la faccia si era fatta più seria, forse si era pentita? Il timore che tutto sfumasse in un imbarazzante disagio fece rilassare la mia zona calda che rapidamente stava abbandonando il temprato vigore verso una condizione di rilassamento. Come se avesse letto nella mia mente, Claudia volle tranquillizzarmi e mi stupì dicendo – É bellissimo, sai? – Con estrema naturalezza cominciò ad accarezzarlo, con il palmo, con il dorso della mano ed infine lo impugnò con una tenerezza che mi colpì. Scoprì il prepuzio, esponendo la cappella alla luce dell’abat-jour. Cominciò un lento movimento, poi accelerò, rallentò di nuovo, lo sentiva crescere nella sua mano, fece passare il pollice sul glande, ormai paonazzo, che luccicava per la fuoriuscita del liquido. Mi faceva sussultare ad ogni movimento, sapeva come prenderlo e muoverlo, come se fossi io a farlo. Non ci parlavamo, forse entrambi temevamo di spezzare l’incantesimo di cui sembravamo essere rimasti vittime. Ma i nostri sguardi si incrociavano, si contemplavano, mentre la mano di Claudia pompava il mio uccello con una prepotente dolcezza che nessuna ragazza prima di allora mi aveva fatto provare. La guardavo, il suo volto ora era fisso, completamente assorto nell’ammirare il mio membro, abbassai lo sguardo e mi soffermai sui suoi capezzoli, che sporgevano dal reggiseno. Provai la tentazione di stringerli tra le dita, di strizzarli, ma senza rendermi conto che la soglia del lecito si stava sgretolando di attimo in attimo, mi trattenei dal farlo. – Ti piace? – la voce di Claudia ruppe il silenzio. – É bellissimo…tu sei bellissima. – ormai non sapevo neanche quello che dicevo e le frasi uscivano senza filtro. Sentivo lo sperma che montava dai testicoli, il respiro farsi sempre più affannoso e come se anche lei provasse le stesse sensazioni, la sentii ansimare debolmente. Aveva messo, probabilmente senza rendersene conto, la sua coscia sinistra a cavallo delle mie gambe, lasciando l’altra distesa, e ora sentivo il calore del suo sesso, coperto dalle mutandine, sulla mia pelle. Ero vicino, stavo per esplodere, e non riuscivo a parlare, immerso in quell’oasi di piacere. Claudia aveva impugnato il membro alla base con una mano mentre con l’altra mi carezzava e grattava lievemente i testicoli. Aveva appoggiato la testa sul mio torace e non perdeva un attimo di vista lo spettacolo che lei per prima aveva messo in scena, intanto muoveva il bacino e il suo inguine compiva un ritmico sfregamento contro la mia coscia. Ero in balia degli eventi, il razionale aveva dichiarato la sua sconfitta e le mie azioni erano istintive; senza accorgermene la mia mano era andata a sfiorare la schiena di Claudia, e poi sempre più giù, verso l’abisso, incontro al luogo dove ogni dogma sarebbe stato stravolto e nel quale la parola fratelli avrebbe avuto un significato diverso, o forse dove il significato di ogni parola si sarebbe perso, affogando nell’oblio dell’estasi. La mia mano era tra le sue natiche, sode e morbide, ancora “protette” dalle mutandine, e senza violare quella sottile barriera, come un treno in corsa senza controllo, la mia non-volontà guidò il braccio ancora più giù, fino a sentire il contatto con l’antro della perdizione, dove le mie dita condivisero le umide tracce del piacere che mia sorella stava versando. Osai, ed assaporai il contatto con la sua carne, aggirai l’ostacolo e una volta trovata la chiave, esplorai il suo scrigno sul quale, sconfitto e inebriato dai sui umori, ricambiai le carezze che lei con tanta premura mi stava donando; e come disse il poeta “… il naufragar m’è dolce in questo mare”. Un onda di calore mi avvolse, il cuore pompava più forte; Claudia se ne accorse e con un filo di voce cominciò ripetere – Vieni, dai, vieni! – e finalmente il mio pene ebbe lo spasmo decisivo che fece schizzare fuori tutto il mio seme. Il mio vulcano in eruzione sprigionava un caldo fiume di lava bianca, che si andava ramificando sulla mano di Claudia, perseverante nel suo movimento, intenta a far uscire fino all’ultima goccia che scendeva lungo il mio pene come la cera da una candela accesa. La sentii stringere sempre di più le sue gambe in una morsa che imprigionava la mia gamba mentre l’orgasmo mi appagava, scuotersi in spasmi frenetici e la mia mano, tra le sue gambe, cominciò a bagnarsi ancora di più. – Ahh…non smettere, ti prego. – le dissi. Mi sentivo esausto, svuotato, ma non volevo che mia sorella abbandonasse la presa, privandomi di quel tenero abbraccio. – Quanto ne avevi… – realizzò con voce roca -…povero piccolo, era un tormento tenerlo tutto dentro eh? Adesso come stai? – – Credo di non essere mai stato meglio! – risposi con un filo di voce. Era vero. Mia sorella era riuscita a farmi godere di più di quanto fossero riuscite a fare le ragazze che avevo avuto fino ad allora o di quanto riuscissi a fare io stesso nei miei paradisi di solitudine. Solo in quel momento mi resi conto di non aver pensato alla mia ossessione, ma di essermi goduto quei momenti con la mente completamente sgombra da ogni cosa. Mia sorella mi sorrise, con superba maestria non aveva interrotto bruscamente il contatto, ma rallentando poco alla volta i movimenti stava rendendo meno traumatico il distacco della sua mano con il mio pene, ormai appagato. La guardavo giocarci, osservavo le sue mani completamente bagnate e appiccicose dalla mia crema che continuavano ad accarezzarmi la pelle. Quando entrambi ci fummo ripresi, e la poesia del momento si stava nuovamente mischiando con la realtà, mia sorella si staccò da me. – Vado a prendere qualcosa per pulirti, non ti muovere. – e dopo avermi dato un fugace bacio sulle labbra, andò in bagno. La sentii aprire l’acqua del rubinetto, poi un cigolio, ed ecco riapparirla con della carta igienica. Feci per prenderla ma Claudia mi bloccò – Lascia, faccio io, tu continua a rilassarti. – Non obbiettai. E lasciai che ripulisse minuziosamente ogni angolo del mio corpo dove c’erano le tracce del mio orgasmo. – É piaciuto anche a me, sai? – lo aveva detto continuando a pulire, senza guardarmi, a voce bassa, quasi temesse di svegliare qualcuno – …era come se lo facessi per la prima volta, anzi, è stato ancora più bello della prima volta che l’ho fatto. – – Ti…sei eccitata? – la frase mi era uscita senza pensarci. Si fermò un attimo, poi mise da parte la carta igienica, guardandomi. – Sono venuta insieme a te! – Fu un colpo in pieno stomaco. – Io…ti ho toccata tra le gambe, non ho saputo resistere…ho sentito che ti sei bagnata… – non sapevo che dire! – …non ho potuto fare a meno di accarezzartela. – Ero impacciato, mia sorella mi aveva appena confessato di avere goduto grazie a me e non riuscivo a capire dal suo tono se questo oltre ad esserle piaciuto da morire l’aveva anche messa a disagio. Per questo le mie parole sembravano quasi volerle chiedere scusa per un gesto che non era stato deciso ma era nato sul momento. – Guarda che mica ti devi giustificare. Sei stato dolcissimo, sensuale, sembrava sapessi esattamente quali erano i movimenti che la mia piccola desiderava. – – Allora non sei pentita? – – Pentita? No, affatto. Sono solo scossa perché quello che è nato come un gioco mi è piaciuto più di quanto immaginassi…e ho bisogno di assimilare questo fatto. – Le diedi un attimo perché riordinasse i suoi pensieri. Avrei voluto abbracciarla, dirle che le volevo bene, che mi sentivo vicino a lei più di qualsiasi altra persona. Ma qual’era la cosa giusta da dire, o da fare? Era una situazione inverosimile quella in cui ci trovavamo, e non c’erano stati amici o genitori o libri ad averci preparato ad affrontarla, com’era successo per altre cose. Era la vita certo, ma una parte di quella vita che molti rifiutano, alcuni negano persino che possa esistere, che però esisteva in quel momento, esisteva per noi, e ciò bastava e renderla più “vera” di qualsiasi tappa presente, passata o futura che avremmo dovuto affrontare. – Cosa vuoi che faccia? – le chiesi infine – Voglio che tu mi stia vicino. Abbracciami, ti prego. – La risposta alla mia domanda era la più semplice, e come nella maggior parte dei casi, la più efficace. La strinsi tra le mie braccia, e fummo una persona sola, come quando eravamo nella pancia di nostra madre, indissolubilmente uniti.
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