Una luce fioca illuminava la stanza. Ad uno spettatore, che si fosse sorpreso ad osservare quella scena alzando appena lo sguardo al di fuori dell’accecante oscurità di quella notte, dietro quella finestra, dalle imposte appena socchiuse, sarebbero apparse solo pallide figure, sottili come volute di fumo modellate dal leggero tremolio di una candela. Guidavo ormai da molte ore e quel posto isolato mi era apparso davanti all’improvviso, come un’ ancora di salvezza in quel tratto di costa, in cui l’unica cosa possibile da fare era godere appieno del respiro del mare. Un piccolo motel su un costone roccioso sembrava sfidare l’orizzonte, come la tolda di un antico galeone proiettato dentro l’anima di una tempesta perfetta. Scesi dall’auto e finalmente le mie gambe, al contatto con la terra dura, iniziarono a risvegliarsi dal loro doloroso torpore. Avevo solo voglia di fare una doccia e di buttarmi direttamente sotto le lenzuola senza altri passaggi. Un profondo senso di spossatezza mi stava velocemente precipitando verso il centro di un buco nero, alla ricerca di una dimensione d’infinito abbandono. Mi fermai un istante a contemplare il paesaggio, in quella notte nera e senza stelle una leggera brezza calda saturava l’aria di un’intensa fragranza di gelsomino, mentre il rumore della risacca in lontananza, su quella piccola baia di sabbia scura, accompagnava il lento fluire delle nuvole che lasciavano intravedere a tratti una luna smunta. Attorno a me un ingombrante silenzio regnava sovrano e solo quella luce scarna e tremolante mostrava un debole e rassicurante segnale di vita. Era molto tardi e come pensavo non trovai più nessuno ad attendermi, un cartello messo in evidenza sul banco della reception invitava i gentili ospiti di passaggio a servirsi da soli rimandando il disbrigo delle formalità al giorno successivo, e cosi, trattenendo a stento un lungo sbadiglio, afferrai la prima chiave che mi capitò a portata di mano, conquistando a fatica la prima rampa di scale che portava al piano superiore. Gradino dopo gradino mi trascinavo su stancamente, solo il pensiero di un bel letto morbido riusciva a non farmi crollare, facendomi desistere dal proposito di lasciarmi andare ad un bel sonno rigeneratore lì, direttamente sulle scale. Sul corridoio a malapena illuminato si affacciavano varie stanze, trovai a tentoni la porta della numero tredici facendo ruotare con forza la chiave nella serratura. Uno scatto secco mi annunciò che l’operazione era riuscita e con le ultime forze residue mi aggrappai alla maniglia cercando di aprirla, fu in quell’attimo che un flebile alito di vento salmastro, addolcito da quell’intenso profumo di gelsomino, mi costrinse a girare indietro la testa. Sembrava provenire dal fondo del corridoio, così come quel barlume di luce tremolante che filtrando da sotto lo stipite di una porta appena accostata lo rendeva meno buio nel contrasto con quella notte nera e senza stelle. Facendo ricorso a tutte le mie ultime energie provai a mettere a fuoco quell’immagine sbiadita, ma per quanti sforzi producessi, i miei occhi, ormai impastati da un sonno incipiente, non riuscivano a distinguere altro che insignificanti ombre. Stavo quasi per desistere, quando un alito di vento, più sostenuto degli altri, costrinse la porta a compiere un impercettibile movimento in avanti consentendo così alla luce di infilarsi un po’ di più in un quell’insperato spiraglio. Ora lentamente, ma in maniera sempre più nitida riuscivo a inquadrare gli elementi all’interno di quella scena. Un grande specchio, con una preziosa cornice dorata, rifletteva alla debole luce di una candela un’immagine che congelò nel mezzo il movimento della mia mano, costringendo insieme tutti i miei recettori sensoriali a rimettersi precipitosamente in moto. Nella penombra della stanza, appena discosto da sguardi furtivi, si distingueva il corpo nudo di una donna. Era in piedi, con le braccia completamente distese verso l’alto, le mani dolcemente appoggiate sulla parete a sostenere con un tocco live, insieme alle gambe divaricate e ben piantate sul pavimento di cotto vermiglio, tutto il peso del corpo Il suo viso leggermente piegato verso il basso mi nascondeva i suoi lineamenti più intimi, ma anche così avevo la percezione di una visione straordinariamente stupefacente che nessun poeta avrebbe saputo descrivere meglio in quell’attimo di così sconvolgente femminilità. Ero incantato, incapace di qualsiasi movimento e benché tutto il mio corpo inviasse pressanti richieste d’aiuto la mia mente, ormai inebriata da quell’aroma struggente di gelsomino, non riusciva più a staccarsi da quell’immagine. Mi sentivo trasportato dentro una dimensione eterea, come se il mio spirito fosse capace di proiettarsi al di fuori della materia alla ricerca della memoria di un sogno perduto. Il calore della notte avvolgeva il corpo della donna donando alla sua pelle ambrata una luminescente lucentezza, sembrava quasi che anche la natura volesse delicatamente godere di quella sua splendida creatura sfiorandola con una leggera carezza. Tutto il mio essere si stava aprendo ad un nuovo modo di vedere la vera l’essenza delle cose, era come se quella pallida luce potesse arrivare a colpire direttamente il profondo della mia anima donandole immaginifici occhi. Dietro di lei un uomo respirava lentamente, aspirando avidamente l’aria salmastra ed umida della notte, dilatava con tale sforzo i suoi polmoni che la perfetta muscolatura del torace faceva risaltare nella penombra della stanza le piccole gocce di sudore che brillavano sulla sua pelle candida. Le stava massaggiando con delicatezza la base del collo esercitando con i pollici delle due mani uniti una leggera pressione dal basso verso l’alto, mentre con le altre dita percorreva incessante l’incavo interno delle sue spalle. La testa della donna protesa in avanti ondeggiava lentamente assecondando il movimento sapiente delle mani, mentre i suoi fluenti capelli corvini scendevano scomposti ad accarezzarle il viso e le spalle. Tutto il suo essere era rapito da un profondo senso di quiete, mentre sentiva che la gravità del suo corpo stava scivolando sempre di più verso il basso fino a percepire, attraverso il contatto dei piedi nudi sul pavimento, un senso di leggerezza mai provato prima. Un attimo dopo l’uomo aprì le sue mani e delicatamente, sfiorandole il corpo con un tocco appena percettibile, risalì lungo le sue braccia fino a che le loro dita cercandosi avidamente s’incrociarono sopra le loro teste, poi, sempre con estrema lentezza, staccandosi da quel abbraccio momentaneo iniziò a scendere accarezzandole i fianchi. Seguiva con un gesto morbido la perfetta linea delle sue anche protese all’indietro risalendo poi infine lungo il torace e le spalle. La donna era scossa da piccoli fremiti di piacere, mentre sulla sua pelle ambrata le dita dell’uomo tracciavano un immaginario percorso, disegnando con le sue unghie affilate una piccola scia di righe bianche. In un tempo che non sembrava avere mai fine, l’uomo continuò ad accarezzare così la donna, come se il suo corpo fosse uno strumento su cui ricercare la perfezione di un’armonia, l’aria conclusiva di un’estasi sublime a cui donare l’immortalità. I loro corpi erano allacciati in quel gioco sottile, attratti indissolubilmente l’uno verso l’altro, in quella notte senza stelle alla luce tremolante di una candela, dentro un sogno in cui ogni magia poteva esser vera. E così quasi per incanto, come in un fantastico gioco di prestigio, sospinto da un leggero soffio di vento un piccolo fazzoletto di seta, giallo come i fiori del gelsomino che riempivano la stanza del loro intenso profumo, si posò leggiadro ad incorniciare il viso della donna, come se la mano di un pittore rapito dalla sua estasi creativa avesse voluto aggiungere l’ultimo tocco di colore. Tenendolo tra le sue mani l’uomo inizio ad usarlo allora come un delicato strumento di piacere, giocava con il suo corpo lasciando che il morbido contatto della seta sulla pelle le regalasse dei brividi sensuali di piacere intenso. Le accarezzò il collo scendendo a lambirle i piccoli seni, mentre sotto la seta sentiva i suoi capezzoli rosei farsi sempre più turgidi, disperatamente protesi verso l’alto. Attraversò la linea morbida e appena pronunciata del ventre fino a posarsi con leggerezza sul pube, ora la seta fluiva tra le sue mani sfiorando l’interno delle gambe con un tocco fresco e vellutato. La donna era ormai scossa da violenti sussulti, quel delirante contatto la faceva fremere alla ricerca di uno spasimo di godimento infinito, mentre ogni più piccola piega del suo corpo cercava di aderire a quell’intimo bacio che le scavava dentro un oceano di fuoco. Prima che potesse giungere l’attimo dell’estasi suprema la seta scivolo via e mentre cadeva sul pavimento un soffio di vento la allontanò per sempre portandola via con se. L’ansimo della donna parve calmarsi per un attimo, mentre il calore che le bruciava dentro andava via via scemando, la sua folle corsa si era arrestata in un attimo, prima che potesse spiccare il volo verso l’infinito di quell’abbraccio senza fine, incatenando cosi la sua voglia ad un granello di sabbia. I corpi dei due amanti si sfioravano ora tremanti, mentre sulla loro pelle brillavano piccoli rivoli lucenti che il calore della notte e l’ansia di quell’amplesso giocoso si divertivano a disegnare. Le mani dell’uomo tornarono a sfiorare delicatamente il suo corpo risalendo vogliose lungo la morbida schiena, con piccoli massaggi le distendeva i muscoli contratti preparandola a nuove ondate di sottile piacere, mentre con un lento movimento del suo petto cercava di aderire sempre di più al suo corpo, circondandola cosi in un caldo abbraccio carico di tutto il suo ardore. All’improvviso apparve qualcosa di lucido, un riflesso opaco che trasmetteva una debole luce squarciò l’oscurità di quella notte. Ora le mani dell’uomo, illuminate come per magia, scivolavano nuovamente lungo la schiena della donna lasciando dietro di se una piccola scia luccicante. Un brivido freddo percorse la sua pelle fremente, costringendola ad inarcare tutto il corpo verso la parete, mentre sottili aghi d’intenso piacere si conficcavano piano all’interno della sua mente. Per un attimo l’uomo fermò la sua mano e con un movimento sinuoso della bocca iniziò a seguire la lucida scia disegnata dal ghiaccio, suggendo con le labbra appena dischiuse il sapore aspro del suo corpo. Quel contatto caldo sulla pelle che rabbrividiva amplificò le sensazioni che la donna stava provando, mentre per un lungo attimo le sue gambe si avvicinarono l’una all’altra sfiorando delicatamente una coscia contro l’altra. L’uomo si staccò dal suo corpo e rimase per un lungo istante ad ammirarla nella penombra, mentre una sua mano lasciando l’appoggio della parete cercava verso di lui un contatto più diretto. Delicatamente, ma con forza, le afferrò il polso riportando la mano ad incontrare la parete. Un sibilo uscì dalle sue labbra “Nooo…, sei in mio potere, voglio farti godere senza che tu possa toccarmi…”, e mentre le parlava continuava a giocare con il ghiaccio scivolando sempre più in basso sul suo corpo, mentre lei scossa da sussulti sempre più violenti stava ormai precipitando verso un tunnel senza ritorno. Le dita umide dell’uomo si aprirono facilmente la strada attraverso il perfetto solco che modellava la fine della sua schiena, costringendola a contrarre rabbiosamente le natiche in un movimento verso l’alto. Ora la mano era nell’incavo delle sue gambe e prima di sfiorarle il pube deviò delicatamente di lato lambendole con il ghiaccio la parte interna della coscia. Faceva compiere al cubetto dei piccoli movimenti rotatori cosi che gli spigoli aguzzi premendo sulla carne morbida aumentavano il piacere con sottili fitte di dolore, mentre con le dite aperte le accarezzava la sua parte più nascosta aprendo con delicatezza le grandi labbra. Un brivido ghiacciato si conficcò come una sottile lama dentro il corpo della donna, costringendola a mordersi il labbro inferiore per calmare un’ondata di piacere più forte. Poco dopo l’uomo riprese a far scivolare il ghiaccio continuando a seguire tutta la linea della gamba fin sulla punta delle dita indugiando in un leggero massaggio, il tempo di permettere ad una delirante fitta di desiderio di scavarsi una strada lungo i tortuosi sentieri nervosi fino ad esplodere con inaudita violenza nella sua testa. In quel momento, rialzatosi per un attimo, l’uomo si accostò al suo viso baciandole con passione il collo e inebriandosi al contempo dell’intenso profumo di gelsomino che suoi capelli emanavano. Tutto il corpo della donna iniziava ad essere scosso da tremiti ininterrotti, voluttuosamente abbandonato come in un’estasi mistica senza fine. Lentamente l’uomo riprese il suo viaggio lasciando che il ghiaccio seguisse con un movimento circolare la morbida linea del suo ventre. La donna emise un gemito di piacere contraendo il corpo con singulti regolari fino a rilassarsi poi in un profondo respiro, sentiva che tutto il suo essere era ormai pronto ad accogliere il culmine della sua eccitazione, desiderava quel momento con tutte le sue forze, lo sentiva crescere dentro di se quasi fino a squarciarle le carni, ma l’uomo non pareva avere fretta e continuava a disegnarle sul suo corpo una piccola scia luccicante. Le sue dita risalirono agili lasciando che il ghiaccio le sfiorasse dolcemente il petto attraverso la linea dei piccoli seni, mentre con l’altra mano le cingeva la vita con rinnovato vigore fondendo il calore del suo corpo con quello di lei. Giunto sulla bocca segui il contorno delle labbre appena dischiuse, indugiando in un gelido bacio, poi con estrema lentezza passò a massaggiarle delicatamente le mammelle. Ogni volta che il ghiaccio le lambiva i capezzoli, la donna tratteneva il respiro in un mormorio di piacere che non sembrava avere mai fine. Poi la mano dell’uomo si scostò per scivolare nuovamente verso il basso, accarezzando con un leggero movimento circolare tutto il suo caldo ventre e arrivando poi, senza altri indugi, all’interno dell’incavo segreto delle sue gambe. Il ghiaccio incontrò cosi il calore interno del corpo della donna, facendole tremare le labbra e costringendo tutto il suo volto a piegarsi in una smorfia d’estasi sublime. L’uomo continuò cosi, con un lento movimento, a massaggiarle delicatamente il pube percorrendo leggero ogni sua più intima piega, accarezzando di tanto in tanto con il ghiaccio, il clitoride disperatamente proteso. La donna era ormai in preda ad un uragano di piacere che non riusciva più a trattenere, la cadenza del suo respiro si era fatta sempre più affannosa, mentre il fiato si stringeva in gola alla disperata ricerca di una via d’uscita. Tutto il suo corpo era inarcato, teso alla ricerca dell’attimo supremo e fu in quel momento, mentre lei spiccava il volo verso l’infinito di quell’abbraccio senza fine, che l’uomo lasciò che il ghiaccio trovasse la sua strada donandole un’estasi mai provata. Il suo corpo era finalmente libero di librarsi leggero in un orizzonte senza confini tra cielo e mare e dopo aver danzato di piacere si abbandonò esausto e appagato tra le sue braccia, mentre un ultimo tremito le attraversava rabbioso le gambe che ormai non avevano più la forza di sorreggerla. Solo allora l’uomo la giro delicatamente attirandola a sé, le passò delicatamente una mano tra i capelli madidi di sudore e sostenendo la sua testa abbandonata guidò la sua bocca verso quella di lei per prendersi finalmente il suo piacere, un lunghissimo bacio. Fu in quell’istante che un alito di vento più sostenuto richiuse piano la porta della stanza, distogliendomi per sempre da quell’incantata visione. All’improvviso riacquistai tutta la sensazione della pesante gravità del mio corpo, la stanchezza che per un attimo era svanita si rimpossessò di me precipitandomi verso un tunnel oscuro. La mia mano si abbassò di scatto sulla maniglia aprendo la porta della stanza ed io mi ritrovai cosi improvvisamente dentro. Trovando a tastoni il letto, ancora scosso dalla visione a cui avevo appena assistito, caddi in un sonno profondo. Il mattino dopo la luce del sole che filtrava dalle imposte si posò sui miei occhi ancora chiusi, mentre il rumore del mare e le voci dei pescatori in lontananza iniziavano a riportarmi lentamente alla vita. Non ricordavo più chiaramente com’ero arrivato li,…avevo seguito una pallida luce dietro una finestra socchiusa… o forse il profumo del gelsomino sulla scogliera. Brandelli indistinti di ricordi si agitavano nella mia mente. Feci una rapida doccia, radunai le mie cose e mi preparai a partire per proseguire il mio viaggio. In fondo al corridoio una porta chiusa attirò la mia attenzione, doveva essere la stanza che dava sulla piccola baia, quella da cui la sera prima avevo intravisto agitarsi strani giochi d’ombre dietro una finestra socchiusa. C’era qualcosa che non riuscivo più ad afferrare, una strana sensazione di dejavu, come di un’immagine familiare che la mente non riesce più a mettere a fuoco. Scossi la testa e mi affrettai a scendere le scale, mentre un’anziana signora, avvertita dai miei preparativi, mi attendeva in fondo con una tazza fumante di caffè in mano. “Buon Giorno, ha riposato bene?”, il suo viso aveva un’espressione familiare lasciando trasparire una bellezza mai completamente sopita, incorniciato com’era da una fluente chioma argentea che una volta dove essere stata di un nero intenso. “Si, grazie, la sua locanda è un posto veramente delizioso” , “Oh…Lei è troppo gentile, era il nostro orgoglio”, “mio e di mio marito intendo ed ora che lui non c’è più sono rimasta sola a mandarla avanti”, aggiunse sistemandosi una ciocca di capelli che le era scivolata scomposta sulle spalle e consentendo così per un attimo alla sua delicata figura di riflettersi in un grande specchio, la cui elegante cornice dorata doveva aver vissuto tempi migliori. “Io passo di qui raramente, ma tornerò a farle visita volentieri, magari la prossima volta potrei avere la fortuna di alloggiare in quella camera in fondo al corridoio, deve avere una splendida vista sulla baia”, “ne dubito mio caro ragazzo”, mi rispose cortesemente con un dolce sorriso “sì la vista è veramente stupenda, ma quella stanza è ormai chiusa da tempo” prosegui guardandomi dritto negli occhi, “era la nostra camera e da quando lui è morto non ho più avuto il coraggio di entravi”, riprese abbassando per un attimo lo sguardo sulle sue mani e giocando nervosamente con le due fedi che portava all’anulare, “ieri era l’anniversario del nostro matrimonio” soggiunse in un flebile sospiro riprendendo dalle mie mani la tazza vuota del caffè, “troppi ricordi,…troppe emozioni, …ora preferisco serbarle qui, chiuse nel mio cuore”. Mi congedai e lei rimase per un attimo ad osservarmi da dietro le tende della finestra del soggiorno. L’aria fresca del mattino mi colpi piacevolmente mentre mi avviavo verso la macchina, prima di ripartire mi affacciai un’ultima volta sulla scogliera ad assaporare il respiro del mare, giù nella baia una coppia di innamorati passeggiava sulla sabbia ancora umida tenendosi teneramente per mano. Un piccolo ramoscello di gelsomino trasportato dal vento si era posato sul vetro della macchina e mi accompagnò per un breve tratto, prima di volare via. Lo seguii per un po’ dallo specchietto retrovisore, sembrava danzare sospeso nel vuoto, proiettato sul profilo di quel piccolo motel che si allontanava sempre di più, finché un soffio di vento più forte lo fece scomparire per sempre dalla mia vista, trasportandolo via forse verso qualche sogno lontano.
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