Mi chiamo Marie, sono nata in Bretagna e sono venuta in Inghilterra qualche anno fa, quando Lady L., la madre del signorino Gerald, mi ha assunta al suo servizio. Gerald era allora un ragazzetto, sottile, con i capelli biondi e lisci, gli occhi azzurri e lo sguardo sempre trasognato. Era attaccatissimo alla madre. Stavano sempre assieme, e lui, quando Lady L. si vestiva , stava a guardarla a lungo, seguendo ogni suo movimento, dandole dei consigli, pettinandola, aggiustandole le pieghe della camicetta, scegliendo per lei scarpe, guanti, cinture, gioielli. Sono ancora giovane, piena di desideri, e devo dire che non mi sarebbe affatto dispiaciuto se quel ragazzo di straordinaria bellezza, che si era affezionato molto anche a me, fosse stato un po’ più intraprendente. Ma pareva che le donne non gli interessassero affatto – tranne, beninteso, la mamma. Quando le sue cugine venivano alla villa, chiacchierava con loro del più e del meno, ma in maniera distaccata, distratta: parlava di vestiti, di mode, degli spettacoli che si davano a Londra, della noia della vita, redenta solo dai ricevimenti che sua madre, rimasta vedova già da molti anni, dava per i vicini di casa, dei tè pomeridiani ai quali partecipava immancabilmente il sindaco del vicino villaggio. Dal canto suo, pareva che Lady L. non avesse amanti, che dedicasse interamente la propria esistenza al figlio, quel figlio dagli occhi da cerbiatta, sempre abbigliato di tutto punto e che imitava la madre truccandosi come lei gli occhi, imbellettandosi le guance, passandosi il rossetto sulle labbra. Era l’estate del 196… Una lunga estate calda, piena del ronzio di api e di mosche, con il profumo delle rose che penetrava dal giardino attraverso le finestre spalancate, invadendo tutta la villa. Un profumo languido, che rendeva l’atmosfera più sonnolenta ancora. E quante voglie, quanti desideri mi passavano per la mente. Ma non c’era niente da fare. In quella villa sepolta nella campagna inglese ero costretta alla castità, e l’unico mio sollievo erano le lunghe masturbazioni alle quali mi dedicavo soprattutto di pomeriggio, quando non avevo niente da fare e, sola nella mia camera, mi sdraiavo sul letto, tiravo su la gonna e lentamente cominciavo ad accarezzarmi pensando a lui, quel ragazzo che tanto desideravo ma con il quale sapevo che non c’era proprio niente da fare. Sì, sembrava davvero che avesse occhi solo per la madre, quella bella donna alta, austera, regale, dall’aria così inavvicinabile, tanto rigida e severa con i domestici e che, se avesse intuito quali erano i miei sentimenti per suo figlio, mi avrebbe immediatamente cacciata. E io non avevo nessuna intenzione di tornare al mio villaggio di pescatori bretoni, sempre battuto dal vento dell’oceano, invaso dall’odore del pesce e dove la vita era tanto dura. Preferivo la noia della campagna inglese e pensavo, di lì a qualche anno, raccolto un bel gruzzoletto, di partire per il continente dove avrei trovato senz’altro qualcosa di meglio da fare. Fu ai primi di agosto, quando la noia di quell’estate inglese era giunta al culmine, che alla villa giunse un cugino di Gerald, un ragazzo della sua stessa età, con i capelli bruni e ricciuti. Era figlio di un fratello della madre che aveva sposato una donna italiana, e Anthony, tale il suo nome, aveva preso molto dalla madre: grandi occhi scuri, lunghe ciglia arcuate come quelle di una donna, una larga bocca sprezzante, il volto pallido, la pelle ambrata. Era alto quanto Gerald, ma non altrettanto sottile, anche se aveva membra snelle e mani lunghe e affusolate. I due non si erano mai visti prima e strinsero subito amicizia. Andavano molto d’accordo, e stavano molto spesso assieme, a parlottare fitto. Notavo tuttavia che Lady L. appariva un poco preoccupata di quella loro eccessiva intimità: li seguiva con lo sguardo quando uscivano insieme nel parco, mi chiedeva spesso dove fossero, cosa stessero facendo, e quando rispondevo che erano andati a fare il bagno nel laghetto, la vedevo tamburellare nervosamente con le dita sul bracciolo della poltrona. Possibile, mi chiedevo, che fosse gelosa del figlio e dell’amicizia che Io legava ad Anthony? Un giorno, passando lungo il corridoio davanti alla camera di Gerald, udii dei sussurri, delle mezze parole e, mi parve, anche il rumore di un bacio. Mi fermai interdetta e, cosa che non ho l’abitudine di fare, accostai l’orecchio alla porta. Sì, Gerald e Antony stavano evidentemente facendo qualcosa di strano. “Ma mi vuoi bene?” Questa era la voce di Gerald. “Te ne voglio sì, ma tu devi smettere di essere troppo insistente,” rispondeva Anthony. “Sei troppo geloso, Gerald.” “Ma tu non puoi guardare a quel modo i giardinieri e le cameriere,” replicava Gerald. “Non me la farei mai con un domestico,” ribatteva Anthony. “Ti conosco, puttanella!” strillò a questo punto Gerald. “Come se non ti avessi visto, al villaggio, fartela con quel ragazzo!” A questo punto, vinta dalla curiosità, mi accoccolai e avvicinai l’occhio al buco della serratura. Li vedevo molto bene. Stavano in piedi accanto alla finestra, uno di fronte all’altro, guardandosi fissi negli occhi. E vidi la mano di Gerald scendere ad afferrare Anthony sopra i calzoni. “Ne hai voglia?” chiese Anthony. “Ho sempre voglia di te,” disse Gerald. “Spogliati, allora,” fece l’altro. Lentamente, continuando a fissarlo, con un sorriso beato sulle labbra, Gerald cominciò a togliersi gli indumenti. Cominciò dalla camicia. Rimase a torso nudo, il petto magro – che tanto volentieri avrei accarezzato io – esposto allo sguardo del cugino. E il cugino allungò una mano, gli toccò delicatamente i capezzoli, gli passò le unghie sulle costole. Gerald stava fermo, adesso, con gli occhi chiusi, la testa leggermente rovesciata all’indietro, le narici dilatate, ad accogliere le carezze di Anthony. Fu questi a slacciargli la cintura dei pantaloni che caddero rivelando il ventre piatto, le anche ossute, il pube coperto da una nuvola di peli biondi, e un lungo membro roseo, bellissimo. Il membro si drizzò piano sotto gli occhi di Anthony che continuava a sfiorare il petto del cugino, guardando quel meraviglioso serpente che cresceva, allungandosi verso di lui, spinto dal desiderio. Ero eccitatissima. Infilai la mano sotto la gonna, mi toccai il sesso. Ero tutta bagnata, con le labbra spalancate. Oh, come avrei desiderato che quel meraviglioso uccello mi penetrasse! Continuavo a guardare, con l’occhio incollato al buco della serratura, mentre il mi dito indice si agitava freneticamente sul clitoride. A questo punto, Gerald si mosse, si scosse dal suo stato di trasognatezza. Senza aprire gli occhi, allungò le mani verso il cugino, gli sbottonò la camicia, gliela tolse, gli slacciò la cintura dei pantaloni, glieli fece cadere, percorse con le dita il ventre e il pube del cugino, gli carezzò il membro che era già duro, più corto di quello di Gerald ma più grosso, immerso in una foresta di peli neri. Il corpo di Anthony era meno magro di quello di Gerald e non glabro come il suo. Il petto era coperto d peli, e peli salivano dal pube all’ombelico, si infittivano sulle cosce. Gerald scappucciò il pene del cugino con una mano, con l’altra accarezzandogli i testicoli. Adesso aveva aperto gli occhi, guardava affascinato l’organo che coccolava, trastullava, vezzeggiava, mentre il cugino, le mani lungo i fianchi, lo lasciava fare. Poi Gerald si inginocchiò, prese in bocca il cazzo di Anthony. Lo succhiò a lungo. Quindi se lo sfilò di bocca, alzò occhi imploranti al cugino che lo guardava dall’alto in basso, il volto immobile, fermo. “Perché non mi inculi?” gli chiese. “E va bene,” accondiscese Anthony. “A patto che poi tu mi inculi a tua volta.” “Ma sai che non mi piace,” replicò il cugino. “Devi smettere con questa tua passività,” disse Anthony. “Ma io mi sento femmina,” ribatté Gerald. “Una femmina con un palmo di cazzo,” rise Anthony. “Oh, come sei volgare! E come sei ingiusto!” piagnucolò Gerald. “E tu sei un illuso,” ribatté Anthony. “Non sei una donna, mio caro, sei un maschio, mettitelo bene in testa. E non è detto che un maschio non debba metterlo o prenderlo nel culo. E piacevole, ecco tutto. Ognuno ha diritto di godere come gli pare e piace. E va bene, adesso mettiti sul letto.” Gerald si tolse i calzoni che gli erano rimasti attorcigliati alle caviglie, si sfilò calze e scarpe, si mise sul letto a quattro gambe. Adesso, dalla mia posizione al di qua dell’uscio, vedevo soltanto il culo proteso all’insù; il resto del corpo era nascosto. Vedevo invece interamente la figura di Anthony, che gli si accostò; la mano di Gerald si protese all’indietro, afferrò il membro del cugino, lo guidò verso il proprio ano. La verga affondò di colpo, il culo di Gerald ebbe un sussulto, il corpo evidentemente si inarcò, e udii un grido di dolore e di piacere, mentre la mia mano letteralmente impazziva come se fosse una cosa a sé, distaccata sul mio corpo, accanendosi sul clitoride. Ero caduta in ginocchio, e anch’io gemevo piano, mordendomi le labbra perché dalla mia bocca non uscissero suoni capaci di tradirmi. Il ritmo di Anthony andava accelerando. Il suo uccello entrava e usciva, sempre più veloce, con furia, dal corpo del cugino, il quale adesso si era lasciato cadere bocconi sul letto, e Anthony gli fu sopra, schiacciandolo con tutto il suo peso, allargandogli le gambe con le ginocchia, premendole in giù, e intanto ruggendo, vomitando ingiurie: “Troia, puttana, bambino viziato sempre attaccato alle gonne di quella vecchia vacca di sua madre! Povero stronzo che si crede una donna e invece è un maschio come tutti, illuso, cretino, deficiente, idiota che vorrebbe giocare con le bambole!” “Oh, oh, oh, ancora, ancora,” strillava Gerald. “Mettimelo più a fondo, fammi male, dimmi che sono una troia, offendimi, frustami, fammi sanguinare!” E Anthony glielo sfilò dal culo, si alzò in piedi, prese là cinghia dei propri pantaloni e cominciò a colpire furiosamente le natiche del cugino. Le vedevo torcersi, arrossarsi sotto i colpi implacabili di Anthony, vidi il sangue che cominciava ad apparire, e a questo punto urlai godendo come mai avevo goduto in vita mia. Adesso non guardavo più dal buco della serratura. Abbandonata sul pavimento, singhiozzavo istericamente, a occhi chiusi. E quando li riaprii, vidi davanti a me due piedi nudi. Una mano mi afferrò per i capelli, fui trascinata nella stanza, gettata sul letto accanto al corpo nudo di Gerald. Questi non si mosse, non mi guardò. Rimase immobile, come perduto in un sogno. E Anthony mi alzò le gonne, mi palpò il culo, alzò la mano ancora armata della cinghia, e cominciò a farmi piovere sulle chiappe una tempesta di colpi, urlando: “Brutta troia, ci stavi spiando, eh? Hai voglia di cazzi, eh?” Mi rovesciò sul dorso, mi allargò le cosce, mi infilò un dito nella vagina. “Sei tutta bagnata. Ti masturbavi, eh, brutta porca’? Gerald, chiavala!” “No, no, no,” piagnucolò Gerald. “Chiavala, t’ho detto, o io non ti inculerò mai più. Piangendo, Gerald mi strisciò sopra, mi infilò il membro nella fica, mentre Anthony continuava a colpirlo spietatamente con la cinghia sulle natiche. “Chiavala, chiavala più forte, così ti renderai conto di essere un uomo!” urlava. Ero travolta, mio malgrado, dal piacere. Mi rendevo conto di essere in una situazione dìfficilissima. Quasi impossibile che Gerald me la perdonasse. E, anche se non poteva certo andare a spifferare tutto a Lady L., avrebbe fatto in modo di mettermi in cattiva luce ai suoi occhi, e io sarei tornata al mio borgo selvaggio sulle coste della Bretagna battute dai venti del nord, percosse dall’onda incessante dell’Atlantico. A meno che….. ….“Che cosa sei, dunque, un uomo o una donna?” urlava adesso Anthony, continuando implacabilmente a frustare il cugino. “Più forte, più forte, chiavala più forte, sborrale nella fica, maiale! Deciditi a venire, altrimenti non te lo metterò mai più nel culo.” La frusta, si sa, opera miracoli. Gerald, che aveva scoperto di essere, come tutti noi, fondamentalmente bisessuale, mi inondò la vagina del suo umore vischioso, e io godetti con lui, immemore, senza ormai preoccupazioni di sorta. Perché adesso sapevo che nulla mi sarebbe accaduto, e che nella villa di Lady L. le estati non sarebbero più state noiose.
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