Troppo alto per me. Troppo giovane per me. Eppure così giusto per me. Andatura molle, sbilanciata su quelle gambe lunghe. Occhi grandi, color castagna. Due generazioni ci dividono. Potrei essere sua madre, ma non lo sono. Potrei essere sua zia, ma non lo sono. Neanche sua amica, sono. Due amanti segreti non sono amici. Sono due clandestini calati in qualche barca della vita. Nel fondo di quella barca si incontrano, fanno sesso, forse si amano. Nel fondo di quella barca cercano la loro verità sulla differenza fra due popoli . Il popolo degli uomini, il popolo delle donne. Ci vediamo regolarmente, durante la settimana. Nella nostra carretta del mare segreta, che poi è casa mia. Lui vive ancora con i genitori, anche se lavora , è già adulto da un pezzo. Ci vediamo invece tutti i giorni in ufficio. Già, siamo colleghi. Non proprio seguendo la stessa carriera, lui fa parte del personale docente, io di quello tecnico. La prima volta che le nostre diverse altezze si sono scontrate è stato proprio durante un piccolo ricevimento in ufficio, per un gruppo di laureati . Lui era appena arrivato, nessuno me lo aveva presentato. Lavora in un altro team di ricerca. Ci dividono due piani, quattro porte anti-incendio , due capi . Ero andata a portare carte nel suo recinto lavorativo. Incappo nella confusione di quel piccolo party, lui svettava sopra tutti quanti, e così l’ ho visto. Curiosa come sono, chiedo a qualcuno chi è. Un nuovo giovane prof., mi si risponde. Strano essere, penso. Guardava ognuno di noi con aria trasognata, divertita. Pareva leggermente a disagio per non conoscere ancora tutti, se ne stava defilato a mangiare un arancino. Ogni tanto gironzolava prendendo un bicchiere con del vino e dall’alto della sua cima osservava noi poverini laggiù, confinati fra le altezze normali. Me lo trovo davanti, in realtà mi trovo davanti il suo maglione passando dal tavolo dei salati a quello dei dolci. Alzo tutta la testa per guardarlo in faccia, non portavo neanche i tacchi. Dovrebbe essere come fra pigmei e watussi , gli dico. S’illumina in un sorriso aperto, cordiale. Ma non dice una parola. Come non la dice la sera stessa, mentre esploro il suo torace grande, villoso. Ci siamo ritrovati così, con poche parole, ad essere amanti, o meglio a viaggiare sui nostri corpi con curiosità sempre più appassionata. Erano bastate due battute da parte mia, la richiesta di un passaggio da parte sua, non aveva la macchina quel giorno. Mentre andavamo via dall’ufficio, io trovavo il modo di raccontare di me qualche essenziale informazione. Alla domanda : vuoi un caffè da me? – domanda senza secondi fini, un altro sorriso aperto, simpatico. Perché no? Dice. Entriamo, si siede al tavolo della mia cucina. Mentre preparo il caffè, chiedo di lui, di come si trova nel nostro Dipartimento. Risponde in maniera diretta, sincera. Ma è cauto nel parlare del suo capo, o dei suoi colleghi. Tutto il contrario di me, che vado sempre avanti a testa bassa, come un toro, e spiffero quello che penso senza tanti complimenti. Mi siedo di fronte a lui per prendere il caffè. Buono, dice, lo fai leggero come piace a me. Ci guardiamo un attimo in silenzio, non so perché mi sento in imbarazzo. Mi alzo e dico: se fai tardi, ti riaccompagno subito. Esordisce con “che ne dici se rimango a cena qui, visto che sei sola?” Ardito- penso. Inaspettato- penso. Che vuole? – penso anche. Telefona ai genitori per avvertire che rientra dopo cena. Figlio unico, ma non sembra viziato. “Cosa mangiamo? – gli domando – io preparo piatti esotici, insalate molto miste, roba così. Lui mi guarda in tralice “cucino io , se vuoi. Se c’è in casa pasta corta, pomodori ed odori, uova ed insalata, bene. Altrimenti vado a comprarli.” Sono eccitata all’idea di un uomo che si offre di cucinare per me, e la prima volta che ci incontriamo. Rispondo con entusiasmo che sono molto contenta dell’idea. Combinazione, in casa c’è tutto quello che ha chiesto. “E il vino? Ne hai?” mi fa. Sì, rosso o bianco? “Rosso, direi”. Si mette addosso il mio grembiule fiorato, che su di lui appare piccolissimo. Mi avvicino per allacciarglielo dietro, le nostre mani si incontrano. E’ stato come uno scoppio di fulmine in un cielo già predisposto. Stringevo io le sue mani o era lui a farlo con le mie? Che importanza ha stabilire il primato dell’inizio. Si gira a guardarmi sempre tenendomi le mani, sembra una danza dove si fa la giravolta. Mi abbraccia strettissima senza darmi il tempo di ribellarmi o decidere di farlo io. “Voglio fare sesso con te” le uniche parole che mi dice nell’orecchio chinandosi un poco. Mi sento lusingata o arrabbiata? Chi si crede di essere questo giovane prof. , perché si immagina che anche io lo desideri? Perché è vero, io lo desidero. Me ne accorgo adesso che mi stringe, mi lascio andare completamente nel suo abbraccio grande, forte. Non riusciamo a dividerci. Gli sussurro che forse è prematuro , troppo frettoloso, non ci conosciamo. Mi guarda divertito, sempre quello sguardo sorridente come al party in ufficio. “Quale modo migliore per conoscersi?” Aggiunge. Con le sue mani lunghe e – scopro adesso – sapienti, mi accarezza la schiena in su e in giù, non trasmette sensualità accentuata, ma c’è questo suo catturarmi con un qualche strano potere. Provo a smontarlo con una frase in cui non credo “sono tanto più vecchia di te, però”; allenta l’abbraccio, si fa serio, risponde “non sarai una tradizionalista, vero? Non lo sembri, e non mi pare tu abbia complessi di alcun genere ” E mi stringe di nuovo, affonda la testa sulla mia spalla, poi si stacca dicendo “adesso devo cucinare, tu vai a farti bella per la cena”. Ecco, ha una strana autorità nella voce, una tenera, affabile autorità. Mi dirigo alla stanza da letto, sembra in ordine, mi metto addosso uno dei miei caffettani arabi, ghirigori gialli su fondo beige. Fermo i capelli con un paio di mollette, alti sulla testa. Mi profumo leggermente, non so bene cosa aspettarmi, ormai ho dato una sorta di approvazione alla serata. Certo potrei tirarmi indietro con qualche scusa, ma farlo significherebbe rinunciare ad una fetta di sole in una giornata altrimenti uguale alle altre. Sono sola, senza programmi se non il lavoro e i figli grandi fuori città, perché rifiutare una promessa di …già, di cosa? Potrebbe rivelarsi un fallimento, dopo tutto. La solitudine può creare allucinazioni di benessere, solo perché un qualcuno qualunque ti guarda e ti tocca. Mi sento come quei cani vagabondi nelle strade della città: se li si guarda con amicizia ti seguono per chilometri, tanto importante è la loro necessità di essere considerati. Arriva dalla cucina un odore gradevole, il prof. è all’opera. E cosa succede se mi vergogno poi di farmi vedere nuda? Insomma, ad un mio coetaneo certe imperfezioni dell’età possono sembrare naturali, ma ad un giovane uomo, così ancora integro nel fisico? Potrebbe amare un corpo femminile maturo, accade . Me lo dico forse per rincuorarmi. L’oggetto del desiderio è diverso per ognuno di noi. Che ne so io come è lui, nudo.Sembra molleggiato, non troppo palestrato, può darsi che non abbia un corpo dalle proporzioni gradevoli . Vuoi vedere che è lui ad avere complessi? Chissà il suo pene com’è. Sarà il famoso detto “la montagna che partorisce un topolino? Mi metto a ridere da sola, a voce alta. Decido che è ora di tornare di là. Sono stupefatta, la tavola è apparecchiata, lui sta indaffarato con uova e insalata. Apro la bottiglia di vino rosso, un buon Cirò. Lo verso in due bicchieri, gliene porgo uno. Lui lo accosta al mio, in una sorta di cin cin silenzioso. Ci guardiamo mentre sorseggiamo il vino. Posa il bicchiere, molla la frusta con cui stava mescolando uova e non so cosa, mi abbraccia di nuovo stavolta da dietro, allacciando le sue mani sul mio grembo. Si abbassa e morde con delicatezza un mio orecchio, passa sul collo e sento la sua lingua che lo assapora facendomi venire un brivido per tutta la schiena. “Sei invitante” mi dice. Mi appoggio tutta a lui, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla strana atmosfera che si è creata qui, in casa mia. Sento il tramonto di fronte a me, che dalla finestra della cucina invia una luce calda , avvolgente. Se fosse per me, farei sesso subito, ora, con lui. Ha scatenato in me un desiderio che sta salendo dal basso del mio ventre fino su, alla testa, dove mi prende una voglia irrefrenabile di baciarlo. Ma come lasciare questa posizione tanto piacevole, lui di spalle che mi tiene legata con le sue mani e mi bacia il collo e l’orecchio con studiata maestria, e lo sento incollato dietro di me e subito immagino un rapporto anale intenso, prolungato, coperta completamente da questo suo lungo, misterioso ancora, corpo? Ora il suo bacio si fa insistente su un punto del mio collo, proprio in quella parte dell’incavo che porta sul davanti. Proprio dove sono più sensibile. Le sue labbra sono carnose e morbide, ma diventano forti e sadiche nell’imprimere segni sulla mia pelle chiara, e più insistono succhiando e mordendo, più il mio ventre lancia segnali allarmanti, sta per esplodere di desiderio. Ora mi lascia “devo finire di cucinare, se ci riesco” mormora. Vado a mettere su un po’ di musica, non conosco i suoi gusti, scelgo una sinfonia di Mozart che appaga chiunque ami ascoltare una melodia. Torno in cucina, lui fa “Mozart, eh?, brava” stupendomi . Caspita che orecchio, penso. Siamo a tavola, mangiamo una pasta buonissima preparata non so come, un’insalata e uova combinate in un pasticcio con odori e pomodori, ci guardiamo sempre e lui sempre sorride. E’ riuscito a non farmi parlare molto. Sembra un miracolo. Esperienza del tutto nuova, il mangiare e guardarsi e bere e guardarsi, scambiare poche, essenziali parole, e simpaticamente sorridersi, cercando di immaginare cosa l’altro stia pensando di te. Aleggia fra noi un’atmosfera carica di magica elettricità. Abbiamo finito la bottiglia di vino. Lui si alza, mi prende una mano, mi tira su dalla sedia e mi prende in braccio. Sto per dire qualcosa, ma cosa? Si dirige così, con me in braccio, senza parlare, in stanza da letto. Mi deposita sul letto e ci si deposita anche lui, tutto sopra di me . Sempre in silenzio prende a carezzarmi i capelli che ha sciolto gettando le mollette in aria, a mordermi le labbra, un modo tutto suo di cominciare un rapporto a due. Dai piccoli morsi è passato a brevi e ripetuti passaggi di lingua per tutto il contorno della mia bocca. Come fa a sapere che sentirmi toccare la testa mi fa abbandonare ogni resistenza? Lo sto guardando mentre così a lungo mi bagna le labbra con la sua saliva, la lingua che insiste sul contorno della mia bocca. Vorrei ricambiare il suo strano bacio, ma sento che devo essere passiva, adesso. Fino a che la sua lingua non entra nella mia bocca, allora rispondo con crescente eccitazione. Non ha fretta, entra ed esce dalle labbra che gli porgo e poi sono io a salirgli sopra ed assaporare la bocca di lui ricambiando il suo modo di baciare, sempre le sue mani fra i miei capelli. Mi sento così piccola su questo corpo lungo, grande, accogliente. Si è sfilato il maglioncino blu , sotto non porta nulla. Scopro il suo torace pieno di peluria nera, liscia, pare pettinata. Mi attrae da morire poggiarci le labbra, strofinandole con delicatezza e lasciare che la mia saliva imprima piccole scie di bagnato in lungo e in largo. Lui mi guarda, dirige la mia testa che tiene sempre fra le mani più su o più giù lungo il suo petto. Poi con decisione la ferma sui suoi capezzoli, sento che gli piace questo mio solleticare e baciare e mordicchiargliene prima uno, poi l’altro. Di nuovo ci ribaltiamo, è sopra di me, mi sfila il caffettano con grazia. Anche io sono nuda sotto. Lui si ferma a guardarmi, mormora – sei più bella nuda che vestita – rassicurandomi sul timore che avevo di mostrarmi così. Prende a baciarmi i seni, segue tutta la loro linea rotonda con la bocca, li sfiora con le dita, leggermente. Poi si accanisce sui capezzoli, prima con dolcezza, poi con sempre maggiore insistenza, con le mani, con la bocca. Infine li succhia quasi a nutrirsi, come un bimbo al seno. Lo fa con dolcezza, ma il movimento che imprime scatena dei riflessi in me in tutte le direzioni del mio corpo. Metto un braccio intorno alla sua testa, come per meglio accoglierlo in questa posa di finta maternità. Il mio desiderio di lui aumenta ogni secondo, vorrei prenderlo subito dentro di me, ma sono combattuta tra questa voglia e quella di continuare all’infinito questo aperitivo di sesso tanto eccitante, e dolce allo stesso tempo. Ancora non ho scoperto tutto il suo corpo, sono ferma al torace. Le braccia non muscolose ma sode, le mani lunghe che percorrono la mia schiena ora si intrufolano nei miei capelli, poi curiose scendono di nuovo dietro e prendono le natiche e le percorrono in tutta la loro larghezza e risalendo stringono la vita, e di lato alla schiena arrivando alle ascelle, che saggiano in profondità solleticandomi e facendomi eccitare ancora di più. Mentre così scorre il mio corpo col tatto, mi guarda sempre negli occhi , ora la sua espressione sorridente ha una velatura diversa, il piacere della scoperta attraversa il suo sguardo, mi attira a sé e stavolta mi bacia con trasporto, con passione, a lungo. Non finiamo di entrare l’uno nella bocca dell’altro, le lingue si accavallano e si cercano e si scambiano umori , mi fa impazzire questo suo modo di baciarmi come se già fossimo amanti da tanto, senza pudori e con tanta intimità. Non vi sono regole, certo, nel primo approccio amoroso ma questa sensazione di essere a mio agio, di conoscerlo bene anche se non è vero, e che lui conosce me, è inspiegabile. Sono immersa in un microcosmo fatto dei nostri due corpi, che come in una danza orientale si muovono sicuri ma cadenzati, al ralenti. C’è assoluto silenzio fra noi, solo i nostri respiri e qualche leggero sorriso accompagnato da brevi “uhm” della voce, ora mia, ora sua. Eppure non sembra controllato, lui. Appare galleggiante come me in un’atmosfera rarefatta, ecco, senza attrito. Ma adesso che gli sfilo i pantaloni piano piano, baciandolo e guardandolo vicinissimo negli occhi, e con le mani sfioro i suoi fianchi e facendo una specie di massaggio dolce calco la linea che porta giù al suo sesso, ma non lo tocco ancora, carezzo debolmente solo la peluria intorno, voglio aspettare, adesso lui emette uno strano lamento, appena sussurrato. Sono parole, le ripete avvicinando la bocca al mio orecchio “le tue labbra, per prime le tue labbra” . Allungo le braccia e lo prendo per le spalle, calandomi giù per questo suo corpo da watussi, poi le mani scendono sul suo petto ed arrivo al suo pene con il viso, bello, penso, grande ma armonioso, cordiale come il suo sorriso. Turgido e rosato, con una piccola goccia di liquido che sporge dalla fessura in cima. Non alzo gli occhi verso i suoi, so già che mi sta guardando. Infatti mi prende i capelli ricaduti tutt’intorno alla mia testa e li tiene con la mano, per osservare come ora poggerò le labbra su questa parte di lui, ed io imprimo una serie di piccoli baci lungo tutto il suo sesso, poi mi soffermo in basso, assaporo i testicoli e risalgo e lo percorro tutto inumidendolo con la lingua, la goccia del suo liquido mi ha bagnato le labbra e subito un’altra viene fuori. Mi piego e lo sento dentro la bocca, più che posso. Ci siamo di nuovo ribaltati, lui è sotto di me. Il suo sapore è gradevole, ora mi inginocchio fra le sue gambe e lo pongo fra i miei seni, come cullandolo. Lui non emette suoni, il suo silenzio mentre fa sesso è sconcertante. Ma crea come una musica alternativa, e lo seguo in questo assordante non-rumore dove solo i nostri corpi producono gemiti , sfregandosi e ribaltandosi nella danza misteriosa che ci vede insieme. Di nuovo prendo in bocca il suo pene, voglio che lui provi un piacere intenso, voglio essere sicura che non ha mai goduto così prima d’ora, voglio usare tutta la mia esperienza. Non mi stanco di baciarlo e lui non si stanca di farsi baciare. Potremmo andare avanti per ore, ma impercettibilmente lui mi prende di nuovo per i capelli e poi per la schiena e si stacca da me. Impercettibilmente mi rovescia bocconi sul letto, viene sopra di me. Mi copre tutta con il suo grande corpo e con estrema dolcezza inizia a farsi strada nello stretto canale che porta dietro, là dove avevo immaginato prima che volesse prendermi. E mi prende, con lentezza incredibile ma movimenti decisi e non timidi, mi prende in un rapporto anale che mi trova eccitata, accogliente, provocante. Rispondo con movimenti pieni di stupefatto godimento, la nostra danza orientale va avanti a lungo così, le sue braccia si allungano verso le mie e stringono le mie mani, la sua bocca ricade vicino al mio orecchio e adesso sento, che il suo silenzio non è più assoluto. Ora lui mi dice qualcosa, ma così piano e sussurrando che non riesco a capirlo. Ripete e ripete, come una cantilena. Il suono si fa più distinto, ascolto ora la sua voce dirmi “sei leggera e calda”, non mi aspettavo parole da lui, poi queste parole, eppure non sembrano ridicole, adesso. In realtà sono suoni, una musica cadenzata come i suoi movimenti. Raggiunge il piacere completo con questi sussurrii nel mio orecchio, “calda,calda” e continua la sua danza per un po’ anche dopo. Il suo torace sulla mia schiena, i suoi peli che mi accarezzano morbidi, lui tutto sopra di me e dentro di me ancora. Io provo una strana forma di piacere fisico. Non è orgasmo, ma sento questa parte di lui che mi stimola lanciando sensazioni in tutto il mio ventre, non provo alcun fastidio eppure le sue dimensioni sono notevoli. E’ un orgasmo mentale ma con un forte piacere di contatto. E’ un orgasmo che ne prepara un altro.Non è nuovo per me il rapporto anale, ma è nuova la dimensione di come lo vivo con lui. Mi dà morbidi baci leggeri sul collo, sulla nuca, poi bisbiglia “continuiamo a ballare il nostro sensuale tango d’amore , vuoi? E mi rigira scostandosi solo un poco, faccia a lui. E di nuovo mi ricopre di lui, e azzarda una battuta ora facciamo i bravi bambini cattolici” e mi penetra nel modo più classico ma con studiata gradualità, delicatamente facendosi strada fra le mie gambe che lo avvolgono sulle sue, sente che non sono stanca, che anzi aspetto di accoglierlo anche qui, anche così. E si scatena la mia voglia di lui completa, perché la mia maggiore sensibilità è tutta in questi centimetri di me che diventano elastici e si contraggono in spasmi incredibili, e lo trascinano dentro tutto, in un ingorgo di desiderio e di voglia di essere posseduta, ma possedendo anche io, trattenendo questo lui che mi piace sempre più in fondo a me. Mi guarda ora con espressione nuova, quasi incredula. Si chiede forse come faccio a prenderlo così fino in fondo, date le sue dimensioni, come faccio a provare piacere pochi minuti dopo averlo già provato, e continua a guardarmi con smarrito stupore ma di certo felice di trovarmi tanto giovane, nel raggiungerlo e nel superarlo nel piacere più e più volte, mentre lui mi accompagna nel tango d’amore che stiamo ballando. Anche lui come me era colmo di attesa e di desiderio, le sue riprese di potenza fisica sono veloci. L’attrazione che si è scatenata fra noi era imprevedibile, il suo modo di fare sesso con me non mi ha veramente sorpreso, mi ha ammaliato. I suoi lunghi, danzanti movimenti, e silenziosi, appagano la mia sete di vita e di dolcezza. Il suo modo di guardarmi mi fa sentire felice di essere donna, il suo modo di toccarmi fa nascere in me la speranza di un amore ancora giovane, senza complicazioni. Impossibile dire quanto tempo passa, impossibile ricordare se ci siamo addormentati o solo rimasti in un dormiveglia languido, soddisfatto, fuori dal mondo. So soltanto che guardando verso la finestra, ho visto un quarto di luna e qualche stella, ho pensato “forse è tardi per lui”, passandogli un dito sulla bocca ho mormorato “forse è tardi per te”. Siamo rimasti allacciati di fianco, io tutta contro il suo corpo lungo, il mio viso affondato sul suo petto, le sue braccia intorno a me, ha un modo protettivo e caldo di circondarmi di lui. Ha aperto gli occhi color castagna, lentamente. Mi ha baciato, lentamente. Lentamente si è girato per vedere l’ora al suo orologio sul comodino. Mi dice “perché le danze più belle devono finire?”. Lentamente se ne è andato a casa sua. Non mi ha detto nulla del tipo convenzionale “ci vediamo domani, oppure quando ci si vede, ti telefono, eccetera.” Mi è piaciuto questo modo di fare. Non ho chiesto nulla, l’ho accompagnato alla porta nuda come ero, mi ha passato una mano fra i capelli, solo dicendo “bellissimi capelli, i tuoi. Sensuali, come tutta te.” E’ iniziato così il nostro naufragio segreto. Nella carretta del mare che è casa mia, viene a fare sesso con me diverse volte durante la settimana. Lui non ha mai dato una definizione del nostro incontrarci, io nemmeno.Non è squallida, però, la nostra danza. Sappiamo che sarebbe difficile vivere una relazione ufficiale, in questa cittadina arcaica di mentalità, dove tutti hanno tutto di moderno, tranne il modo di vivere la vita. Potremmo decidere ugualmente di farlo, di andare al cinema e a ballare e a cena fuori, con amici e non. Ma il bello del nostro stare insieme sta probabilmente in questo rifugiarsi in una dimensione solo nostra, dove gli altri non entrano neanche per sbaglio. E guardarci con comica complicità in ufficio, sapendo cosa stiamo pensando mentre gli altri lo ignorano. A lungo andare però, io potrei tradirmi. Perché quando lo vedo sento che il mio sguardo cambia, lo immagino subito nudo con me e dentro di me, sopra di me e di fianco a me, lo vedo seduto nella mia cucina mentre ceniamo o sentiamo la musica accovacciati sul divanetto giallo, o mentre beviamo del vino prima e dopo il tango d’amore, come chiamiamo il nostro fare sesso. Non mi ha detto, finora, cosa prova per me. Io lo so che gli piaccio, è scontato. Come lui a me. Ma i sentimenti, quelle cose complicate che prima o dopo vengono a disturbarti, il senso di possesso per esempio, la gelosia, la tenerezza, la voglia di fare programmi, dove sono per noi? Sere fa lo incontro per caso al cinema. Era uscito quel film interessante sulla storia vera di uno scienziato americano. Io avevo telefonato ad una collega, siamo andate insieme, spettacolo di prima serata. Non mi aspettavo di vederlo. Ovviamente non era solo, era in un gruppo di ragazzi e ragazze, più o meno suoi coetanei, alcuni che lavorano nel nostro Dipartimento. Ci salutiamo tutti con simpatia, lui mi guarda sereno, come al solito. Gli presento la mia collega. Decidiamo di sederci tutti vicini, il suo gruppo io e la collega. Occupiamo una fila intera di poltrone. Quando prendiamo i posti, finisce che me lo trovo di fianco, dall’altra parte la collega. Io non avevo cercato di stare vicina a lui, dunque è stata una sua iniziativa. Scambiamo qualche battuta sul film, prima che inizi. Calano le luci, io tengo la borsa sulle gambe con le mani appoggiate sopra. Sento che mi prende una mano, la stringe dolcemente, non la lascia più. E per tutto il film rimane con la sua mano nella mia. Tranne quando si accendono le luci per l’intervallo, allora la lascia. O sono io che lascio per prima? Questo modo di fare non mi turba. Io non voglio ufficializzazioni di sorta, sono stanca di storie che finiscono. Mi va bene così, quanto dura dura. Poi è talmente più giovane di me, cosa desiderare più di un presente che mi gratifica?Eppure un leggero turbamento mi prende, quando ce ne andiamo. Lui con i suoi amici, io con la collega. Rientro a casa dopo avere fatto una passeggiata solitaria, me lo trovo davanti al portone. “Vieni a cena con me” chiede. Spiegazioni non ne da, io non ne chiedo. Evidentemente ha deciso già il dove, il come. Lo seguo nella sua macchina. Ci dirigiamo nella città vecchia, la serata è bella, senza luna. Passa nell’aria un vago profumo di mimosa. Mi porta in una pizzeria tipicamente frequentata da bande di giovanissimi. Mi prenderanno per sua madre- penso. Chi se ne frega, penso subito dopo. Lo osservo mentre guida la macchina e mi parla del film che abbiamo visto. Il suo atteggiamento è molto naturale, come se fossimo usciti insieme tante altre volte. Invece non è mai accaduto, prima d’ora. Le sue lunghe mani, che conosco fin qui solo per come mi accarezzano, per come mi porgono il vino o per come – sensazione adorabile – si infilano fra i miei capelli mentre seduta di lui gli massaggio il petto e glielo bacio, le sue mani ora tengono il volante con sicurezza, si muovono meccanicamente sul cambio, ogni tanto mi sfiorano una gamba. Rifletto su come siamo diversi, noi esseri umani, diversi da noi stessi in situazioni che cambiano. Forse gli altri animali che popolano il pianeta sono più coerenti col proprio corpo in tutte le occasioni; noi no, usiamo le mani per esempio, in modi tanto disuguali . Esse sono tenere su un corpo che ci attrae, dure sul volante, decise sulla tastiera del computer, indifferenti mentre tengono la cornetta del telefono, drammatiche quando ci asciughiamo le lacrime. Ironiche se scherziamo a gesti, offensive se diamo un ceffone. Per un istinto che ancora non so spiegarmi, mi piego verso il volante e bacio la mano destra di Lorenzo che lo impugna, la cospargo di piccoli ripetuti baci niente affatto rispettosi, o deferenti, solo pieni di capriccio, di desiderio. E gli chiedo “perché mi hai preso la mano nel cinema, potevano vederci” “perché l’ hai tenuta?” fa lui di rimando. “Mi faceva piacere il contatto con te, lo sai ” “Vale anche per me” risponde. Siamo nella pizzeria, caos di adolescenti rumorosi che devono birra e mangiano crocchette. Ci guardiamo intorno cercando un tavolo libero; qualcuno chiama Lorenzo. Lui si dirige verso amici a me sconosciuti che gli fanno cenno dall’angolo in fondo a destra. Non sapendo bene come comportarmi, rimango dov’ero in attesa. Lorenzo si gira e mi fa segno di seguirlo. Lo raggiungo e incontro lo sguardo di una docente del suo gruppo, con lei altre persone che non conosco. Sento Lorenzo che ringrazia e dice che no, preferiamo stare da soli ad un altro tavolo. Poi ne troviamo uno libero nel saloncino di fianco, ci sediamo. Aleggia un odore forte di cipolla e pomodoro, come sempre nelle pizzerie. Sono sicura che la docente e gli altri stanno sparlando di noi, o fantasticando su di noi. Glielo dico, lui fa spallucce e soggiunge “era ora che uscissimo allo scoperto, non possiamo continuare a restare reclusi in casa tua quando stiamo insieme” Non ribatto nulla, non so se quello che ha detto mi fa piacere oppure no. Ordiniamo due pizze, osservo che è la prima volta che mangiamo pizza insieme. Lorenzo replica “viva le prime volte” e mi bacia la mano con tenerezza guardandomi da sotto in su. Un’onda di coinvolgente calore mi prende tutta, mi sento coccolata e protetta, le parti sono rovesciate, qui dovrei essere io il personaggio anziano. E lui, invece, ha questo modo tutto suo di farmi sentire bene, tranquilla. Magari è l’ incoscienza della gioventù, penso. Ricordo in un veloce flash-back quando stavo a Parigi con Cesare; lì ero io il personaggio giovane, e lui mi coccolava e mi faceva sentire a mio agio. Con ragione, poiché decideva lui , organizzava lui, mi trascinava con lui per ogni dettaglio del nostro stare insieme. Ma ero stata io, la giovane, a troncare il rapporto con incosciente crudeltà. Sarà ora lui, Lorenzo, a mettere fine al nostro tango d’amore con la stessa, mutatis mutandis, incosciente crudeltà? Una vendetta della storia, si direbbe. “Sei mai stato a Parigi?” gli domando, volendo esorcizzare il pensiero di una ritorsione del fato contro di me. Mi guarda stupito mentre tiene in mano una fetta di pizza; sembra riflettere sulla risposta da dare. “No, ci andrei volentieri con te, però” soggiunge. “Che bello – mi scappa detto – un viaggio insieme, non ci avevo pensato” “Tu ci sei stata di sicuro, mi hai detto che hai viaggiato parecchio….” Non so se citare Cesare, comunque mi metto a raccontare la mia prima volta lì, più che altro tento di trasferire a Lorenzo le sensazioni, i colori, la grandeur della città francese. Ad un certo punto mi ferma “se mi racconti tutto adesso, quando ci andiamo non avrò più sorprese” Noto che è stato coerente con il personaggio che ha interpretato fin qui con me: niente domande troppo personali, nessuna inquisizione su passati amori, nessuna definizione di noi, e nemmeno qualche tentativo di frasi trite tipo “provo per te qualcosa di eccezionale, oppure mi piaci da morire, o anche – mi fai impazzire a letto, eccetera” La sua stringatezza espressiva, che altri chiamerebbero povertà espressiva, mi intriga. Stile asciutto, direbbe un mio amico giornalista. Inizia a programmare il viaggio a Parigi, parlando di date, fine settimana a cavallo di qualche festività, e quante ferie hai tu, e quando riprendono i corsi per me. Lo ascolto e non lo ascolto, più che altro mi sto divertendo ad osservarlo. E’ a suo agio, non si guarda intorno per captare qualche sguardo di conoscenti, ha proprio l’aria di chi sta molto seriamente pianificando non soltanto un viaggio con me, ma una vita con me. Finora non mi sono chiesta nulla su di noi. Ho vissuto e basta. Ho goduto e basta. Essendo convinta nel profondo di me che poteva durare qualche mese, al più. Lo osservo e mi stuzzica l’idea che forse più tardi o domani o dopodomani lo avrò nudo nel mio letto. Lo guarderò in tutta la sua lunghezza e permetterò che le sue mani , la sua bocca, il suo pene mi tocchino, mi prendano, mi portino in quella dimensione onirica e danzante che ha caratterizzato il nostro incontrarci. Lo osservo e mi domando cosa provo per lui. Simpatia, certamente. Può un amante rimanere antipatico? Penso di sì. Ma non è il suo caso. Provo simpatia e attrazione totale, qualcosa nella sua personalità mi intriga tantissimo. E’ entrato nelle mie giornate serenamente, senza scossoni. Sono emozionata quando lo vedo, ma non soffro. Non c’è pathos. Non ho fin qui riflettuto a cosa succederebbe se mettessi la parola fine al nostro vederci. O se “fine” lo dicesse lui. Mi mancherebbe cosa, di lui? Il tango d’amore, e non solo. Il suo sorriso dolce, ma non compiacente. La sua strana autorità, la sua certezza nell’andare dritto allo scopo, qualunque esso sia. Giorni fa parlavamo di una ricerca iniziata dal suo gruppo. Lorenzo affrontava la sfida con placida fermezza. Aveva individuato gli obiettivi da raggiungere, le possibili strade da percorrere, i testi da consultare. Aveva valutato i rischi e i lati positivi di quella ricerca. Ne parlava deciso ma non dandosi importanza. Ne discuteva con me ed io ammiravo la sua sicurezza , pur essendo lui ancora giovane, anzi l’ultimo arrivato nel suo team. In realtà, ogni volta che mi dice qualcosa, anche seria, io lo guardo e intanto lo sento. Lo sento in me, è diventato quasi una mia molecola, e sono talmente tranquilla nel possederlo mentalmente che non c’è spazio per insicurezze, timori, paura di perderlo. Anche perché io non ho mai pensato di averlo. Ma lui, Lorenzo, cosa si aspetta da me? Non chiede, non definisce, non cataloga nulla del nostro incontro. Adesso ha finito di preparare a parole il viaggio a Parigi. Ed io ho deciso che adesso, e non fra un minuto o domani, devo fargli una domanda, probabilmente non la gradirà. “Lorenzo, non te l’ ho chiesto fin qui, ma sento che voglio farlo ora. Cosa ti aspetti da me?” “Lo sguardo usualmente sorridente, si fa ancora più sorridente. Anzi, tutto lui si allarga in un sorriso aperto, mentre mi sfiora la mano con la sua. “Io non mi aspetto nulla, oppure quello che ti aspetti tu da me” “Potevi fare il diplomatico” gli rispondo. Sarebbe pericoloso aggiungere altre domande che mi frullano per la testa, una volta aperta la diga dei perché, essi scorrono liberi. Decido però di sfruttare questo momento “Io non mi sono interrogata. Ora che ti conosco un pochino, direi che spero , più che aspettarmi, che il nostro incontro vada avanti ancora, magari potessi dire “ad libitum”, ma non sarebbe intelligente. Finché siamo ambedue in sintonia, o finché tu non incontri una donna tua coetanea che prenda il sopravvento”. Dico questo guardandolo dritto negli occhi, senza incertezze e senza emozione. E’ proprio quello che penso. Lorenzo rimane taciturno, il viso abbassato ora verso il tavolo. Intanto paghiamo il conto, quindi ci alziamo, facciamo per uscire quando qualcuno lo chiama. Un tavolo con tre ragazze, quella al centro molto carina, bionda, graziosa. Lui si dirige verso quel tavolo portandomi per mano. “Buonasera signora” esordisce la ragazza bionda, e prima che possa dire qualcos’altro Lorenzo mi presenta come “lei è Bianca, la mia compagna” Vorrei sprofondare. Chi glielo ha detto che mi può presentare in questo modo? Che ne sa lui se voglio essere sua compagna? Quale promessa ci siamo fatti? Nessuna. Quando mai si è parlato di come definirci reciprocamente? Abbozzo un sorriso di circostanza, dico ciao a tutte le tre ragazze, spero non infieriscano su di me appena ce ne andiamo. Lorenzo scambia qualche informazione con loro su aerei e treni per la Germania, ancora non capisco perché. Usciamo, io silenziosa e turbata, anzi incavolata. Appena fuori, lui mi fa “scusa, ti ho preso in contropiede, capisco che la tua indipendenza abbia subito un duro colpo, ma sono stufo di prenderti come un ladro. Certo, tu hai le tue esigenze, la tua vita. Io, la mia. Ma non credi che dovremmo smettere di fingere? Di fingere che stare insieme è un incidente di percorso, un capriccio degli dei, non senti quanto ti porto dentro, quanto sono attratto da te? Così parlando, mi abbraccia dondolandomi, mi prende il viso con le mani e mi bacia la fronte, i capelli. Non rispondo con parole, ma mi sento disorientata, senza bussola. Entriamo in macchina, poi entriamo in casa mia, poi entriamo nel letto. Il tango d’amore stanotte sarà particolare, perché lui mi bacerà a lungo tutto il corpo, ma non entrerà in me. Mi farà raggiungere orgasmi ripetuti solo baciandomi e carezzandomi, poi mi chiederà di baciarlo tutto leccando il suo sperma alla fine. Ha deciso che stanotte danziamo così. Poi vorrà addormentarsi abbracciato a me , ed alla mia domanda “non devi tornare a casa tua?” risponderà senza parole, baciandomi sul naso e facendo “ssh” come dire silenzio, poi cingendomi con le braccia da dietro, e cadendo in un sonno profondissimo. A metà nottata vengo scossa da Lorenzo con forza, e con molta fatica esco da uno dei miei abituali incubi. Con la voce impastata di sonno, cerco di capire cosa c’è. Lorenzo sembra preoccupato , mi abbraccia con tenerezza dicendo che mi lamentavo in modo straziante, che sembravo soffrire così tanto che non ha resistito ed ha pensato che era meglio svegliarmi. Il suo atteggiamento tanto protettivo mi intenerisce. Mi lascio abbracciare mentre lo rassicuro “ho spesso degli incubi, è probabile che io mi lamenti di frequente, non ti preoccupare, se puoi, dormi “. All’improvviso mi rendo conto che è la prima volta che dorme con me. Mi piace questa esperienza, ma potrebbe portare abitudini pericolose. Per il momento la vivo stanotte, con una qualche felicità. La mattina ci sveglia presto, dalla serranda semi abbassata penetra molta luce. Guardo l’orologio, sono ancora le cinque. Lorenzo mi bacia su una spalla, mette in moto dentro di me un desiderio intenso di amarlo. Lo ha anche lui, perché mi prende senza preliminari ma con la solita dolcezza , per poi farsi possedere e possedermi con forza . E’ una prima volta su tante cose, sembra. Lui infatti grida, un grido incredibile nel silenzio dell’alba, quando raggiungiamo il massimo del piacere. Ed io pure, trascinata da questo suo grido primitivo, che sembra giungere dalla caverna di un animale preistorico, grido con lui. Mi chiederò più tardi se il buon amministratore del condominio, che abita proprio sotto di me, avrà udito queste grida arcaiche. Dato come mi ha salutato all’uscita , stamane, credo di sì. Aveva uno sguardo ironico e leggermente malandrino, come d’intesa. La mia fama all’interno del condominio è già saldamente sul trasgressivo spinto. Immagino ora come la moglie dell’amministratore, alle riunioni settimanali delle signore condomine dove non sono mai andata, commenterà la mia dissoluta vita. Un amante urlante in casa! Finora Lorenzo non è stato visto o forse solo di sfuggita. Per essere una che non si preoccupa del giudizio altrui, mi pongo troppe domande. Sono uscita da casa mia dopo Lorenzo. Ho fatto tardi in ufficio, ma sembrava non me ne importasse molto. Non sono andata a prendere il solito caffè con le colleghe; volevo meditare nel chiuso del mio loculo- come chiamo gli uffici, vi rimaniamo sepolti varie ore al giorno – meditare su cosa era successo. Sono arrivata ad un bivio, mi dicevo. Pare che lui voglia uscire allo scoperto, per lui è facile, ha tanto tempo davanti, non pensa al dopodomani, solo al domani. Eppure è strano che un uomo giovane si voglia, diciamo, compromettere in questo ambiente difficile, pettegolo. D’altronde con me non rischia certo il matrimonio, o figli inattesi. Strano, mi metto a pensare come sarebbe un figlio tra me e lui, tra un watussi e un pigmeo. Non che io sia bassa, ma vicino a lui mi ci sento. Allora, mi dico, un ragazzino lungo lungo, con i miei occhi chiari e le sue mani grandi, va’ a capire perché riesco ad immaginare solo un figlio maschio. Come lo chiamerei? Mi rispondo – forse Riccardo, o Valerio, magari Cesare. In memoriam. Che cavolo di fantasie adolescenziali, mi rimprovero. Devo invece prepararmi a questa svolta, mi sento indifesa di fronte ad un evento che altre donne considererebbero una fortuna. Avere un compagno tanto più giovane che vuole coccolarti, fare viaggi con te, e chissà cos’altro. In definitiva, io cosa voglio? Viaggi sì, coccole anche, impegno a lungo termine? No, non posso. Sarebbe come mettersi una cintura con esplosivo e aspettare il momento dell’esplosione. Mi accorgo che ho sottovalutato tutta la storia, giacché ora di storia si tratta. Lorenzo si sente coinvolto, non è più solo sesso o gioco, lo si capisce. Continuo a ritenerla una follia. Se Cesare fosse vivo, io forse starei con lui. E lui avrebbe ora ottanta anni. Se ciò potrebbe esistere, perché non il suo contrario? Perché, mi dico, gli uomini sono diversi. Poi un giorno Lorenzo vorrebbe figli suoi. Insomma non funzionerebbe a lungo. Bene, a lungo no, ma potrebbe durare comunque un bel po’ di tempo. Infine spero che anche per me giunga la stagione della pace dei sensi, il poter guardare un bell’uomo pensando solo alla sua cravatta. Ma sì, lasciamoci andare a questa, forse ultima, bella storia che mi coinvolge. Un dubbio mi arrovella; e se, tornando al primo detto, lui avesse qualche calcolo in mente? E cosa mai potrebbe volere? Feudi che non possiedo, eredità che non aspetto. Aiuti per la carriera che non posso dargli. Come si diventa diffidenti, nella vita. Come l’età adulta ci porta maggiore cinismo, anziché disponibilità massima per altri esseri umani. Come le sconfitte, le disillusioni, non ci insegnano nulla. Infine, che tristezza confrontarsi con le abitudini degli altri, di tutta quella massa di gente diversa da noi. Altri che fanno calcoli, che si misurano con la loro vita come fosse eterna, che non si danno senza un obiettivo. Altri che ti portano a difenderti persino dalle tue idee più illuminate. Basta, non voglio farmi contagiare dal virus dell’ “homo homini lupus”. Ancora una scommessa dunque, stavolta molto rischiosa. Con me e le mie sensazioni. Io sento che Lorenzo non ha un interesse preciso nel frequentarmi, se non quello di conoscermi e condividere un tratto di strada. Voglio crederci. E’ davvero il tempo tanto nemico di una donna? Non mi preoccupano le rughe, ma la perdita di gioia di vivere. La diminuita capacità di scommettere su di me. Il sapere di non attrarre gli altri come una volta. E all’ultimo, la temuta perdita di autosufficienza. Ma qui siamo proprio alla fine, all’età super anziana, mi dico, non devo farmi condizionare da pensieri angoscianti. Abbiamo organizzato un bel viaggio. A Parigi. Come avevamo programmato quella sera nella pizzeria. Ci siamo presi una settimana e via da tutti. Mi ha divertito guidare Lorenzo nei ristorantini, fra i pittori, alle mostre, lungo gli infiniti percorsi del Louvre. Sono stata anche brava nel trovare un alberghetto nella zona del Marais; un vecchio edificio che risale al seicento, una stanza che sembra un piccolo bijoux , con le travi a vista, una tappezzeria a fiorellini azzurri che fa bomboniera, un’atmosfera accogliente. La sera poi, gruppi di studenti nei caffè, abbiamo fatto amicizia con alcuni fra loro. Io stessa ho riscoperto la città, ed ho trovato il coraggio di parlare a Lorenzo di Cesare. Non si è stupito, ma si è commosso quando gli ho detto che è morto. Anzi, più che commosso mi è parso incupito, si è fatto taciturno e pareva ruminare qualcosa nei suoi pensieri. Non mi ha fatto domande , come al suo solito, ha lasciato che fossi io a raccontare ciò che volevo. La nostra danza di sesso ha trovato a Parigi una sua naturale evoluzione. Ci siamo lasciati andare a nuove sperimentazioni. La prima sera, appena arrivati, e dopo avere fatto una breve incursione in un caffè vicino per mangiare e bere qualcosa, siamo rientrati nella nostra stanza ed abbiamo appena fatto in tempo a chiudere la porta. Ci era presa una sorta di smania di intimità, come dovessimo subito dare corso ai nostri desideri. Lorenzo mi ha spinto contro uno dei muri e mentre mi spogliava mi baciava frenetico dappertutto. Poi ha voluto che fossi io a spogliarlo e baciarlo, sempre così, in piedi contro il muro. Mi ha sollevata e mi ha penetrato abbracciandomi e lasciando che le mie gambe lo circondassero. Quindi ci siamo buttati per terra, e per fortuna la moquette azzurra si è rilevata morbida. Su quella moquette ci siamo rotolati e ci siamo presi con un’ansia d’amore, quasi a voler fare tacere un senso di paura, quasi a non voler lasciare spazi vuoti fra noi.Dopo un tempo indefinibile ci siamo come risvegliati e messi sul letto. Lì Lorenzo ha preso una delle posizioni che più gli piacciono, lui che mi abbraccia da dietro, io tutta contro di lui, rintanata nel suo grande corpo. Di solito ci addormentiamo in quella posa, quella sera invece lui ha avuto voglia di parlarmi nell’orecchio. Ma in quel modo io non posso guardarlo negli occhi. Credo adesso che Lorenzo lo abbia fatto apposta, a mettersi così , senza mostrare l’espressione del suo viso. Esordisce con “è da un po’ di tempo che devo rivelarti qualcosa di me che non sai. No, non ti preoccupare, non c’è nessuna mia coetanea fra noi, se vai a pensare questo. Vedi, è difficile dirlo guardandoti negli occhi, posso immaginare la tua reazione e non mi piacerebbe. Per ora sappi che non si tratta di altre persone fra me e te, né di segreti che ti ho nascosto. Ti chiedo solo di vivere con me questi giorni a Parigi al massimo della tua capacità di gioia, di spensieratezza, di fingere che siamo soli sulla terra e nessun obbligo o altro ci attende al ritorno. Te lo chiedo come un regalo che vorrei da te, senza farmi altre domande. Poi, quando il momento sarà giusto, prima di ripartire, ti racconterò quello che devo. Ce la fai, tu così curiosa, ad aspettare di sapere ? Non te lo rivelo ora, perché desidero che questo viaggio segni il cambiamento fra noi, ma solo quando siamo arrivati alla sua fine. Ma devi promettermi di non preoccuparti, io ti voglio come sempre e non è sul terreno dei sentimenti che qualcosa cambierà. Né sul nostro stare insieme. Te la senti, compagna?” Non capisco se “compagna” rappresenti una lieve canzonatura alla mia passata appartenenza politica, o sia invece un volermi chiamare senza usare le solite espressioni “amore, tesoro, cara, eccetera”. Ho avvertito un leggero tonfo nella zona del mio cuore, un’accelerata improvvisa, come quando si ha paura. Il restare all’oscuro di quello che Lorenzo deve rivelarmi non mi piace, come può pensare che riuscirò a vivere questi giorni spensierata, eppure me lo ha chiesto. Deve essere qualcosa che riguarda i suoi genitori, oppure progetti di lavoro che lo porteranno lontano. Ecco, sì, questa ipotesi calza a pennello. Non riguarda i sentimenti, non cambia il nostro stare insieme, o forse in qualche dettaglio, comunque non trasforma né cancella il desiderio di vedersi. Dopo micro secondi di elucubrazione, rispondo “va bene, compagno, tutto quello che vuoi. Adesso stringimi , fammi addormentare dentro questo tuo corpo grande, protettivo” . Non c’è bisogno di dirlo, a Lorenzo. Da quando ha dormito con me la prima volta, è stato un crescendo di tenerezze, di piccoli dolci gesti come passare il suo indice lungo la linea di un mio orecchio, carezze morbide, frasi sussurrate fatte di parole a volte senza senso, emozioni più che altro. Continuo a pensare che sia un incontro strano, questo fra noi. Certamente eccezionale per me. Decido che è meglio seguire la richiesta di Lorenzo. Non cercherò di sapere cosa ha da dirmi, fino a quando non sarà lui stesso a farlo.Questo viaggio segna anche una maggiore e più approfondita conoscenza fra noi. Finora ci siamo scambiati sesso, affetto e desideri, senza troppe parole, con una sinteticità di colloquio che per me ha rappresentato un capovolgimento dell’idea di rapporto con un uomo. Nella mia iconografia di relazione con un’altra persona, le parole intese come scambio di idee, di progetti di vita, sono state al primo posto. Lorenzo mi ha guidata verso un modo di vivere “l’altro ” senza dire molto. Cercando di capire qualcuno dal di dentro, da come respira o sospira, da come ti guarda e ti tocca, se ti sorride oppure no, una maniera come dire istintiva di captare un diverso da te. Ma anche un tentativo di comunicare con i sensi, quelli spesso dimenticati dall’ homo sapiens, preziosi per guidarci attraverso il nostro corpo. Qui a Parigi, viceversa, lo vedo tutto proteso a parlarmi di sé, dei sogni che aveva da bambino, dei progetti che preparava per la sua vita da adulto. Trova ogni momento per gettarsi in discussioni di politica, di sindacato, mi chiede tanto di me, seppure con la sua consueta forma di discrezione. Scopro così che lui crede nella possibilità di un rapporto amoroso lungo, che sconfigge il tempo e le sue trappole. Vengo a sapere che non ci tiene ad avere figli, se non in un remotissimo futuro che per ora non intravede. Perché? “Non sento desiderio di paternità. Mi incuriosiscono i bambini, ma la responsabilità di crearne uno mi atterrisce. Mi sentirei zio, sì, come zio sarei a mio agio. Uno zio può portare i nipoti a giocare, può parlare con loro, può stabilire una profondità di sentimenti, creare un affetto sincero, disinteressato. Ma non ha il dovere di forgiare il carattere o di educare. Io questo proprio non mi sentirei di farlo.” “Non ti stuzzica l’idea di vedere una vita che prende forma e sapere che in quella forma, in quel mistero, c’è una parte di te?” gli domando. Rimane un attimo incerto, non sa cosa rispondere. Siamo a Montmartre, seduti ad un minuscolo tavolino di una minuscola stradina. Proprio in fondo ad essa c’è la famosa piazzetta, piena di pittori. Gli ho appena regalato un quadro in stile naif, una scena di un matrimonio di campagna. Un quadretto piccolo, graziosissimo. Non ci entusiasma sempre lo stile naif nella pittura, ma questo dipinto ci ha attratto per i suoi colori e per la simpatia del pittore. Un anziano parigino con berretto in testa, capelli bianchi lunghi e disordinati, vagamente sbronzo già di prima mattina. Due occhi azzurrissimi dall’espressione vaga, ma ridente. Ci ha raccontato una parte di vita e di Parigi prima che comprassimo il suo quadro. Ci ha affascinato immaginare la sua esistenza fra colori, bevute, donne di passaggio, mancanza di denaro. Non sembrava infelice, né insoddisfatto. Ha fatto la guerra, è stato prigioniero dei tedeschi. Ha passato parte della prigionia cercando di disegnare con una matita consumata quello che vedeva. Ma tornato a Parigi, ha gettato via tutti i disegni dei quel periodo.”Peccato – dico – forse erano interessanti” “Il n’y avait la couleur de la vie, seulement blanc et noir, et pour moi, madame, la vie, c’est de la couleur”. Poi ci ha strizzato l’occhio, e mentre guardavamo i suoi quadri, tutti esplosione di colore, ci ha indicato quello piccolo, il matrimonio di campagna. Non ho resistito, ho voluto regalarlo a Lorenzo. Lui ha commentato “E’ un augurio, un presagio oppure una minaccia?” “E’ una minaccia ovviamente” di rimando io. Ed ora siamo a questo tavolinetto ingombro di café au lait et brioches, e parliamo di figli. Lui indaga con delicatezza il rapporto che ho con i miei. Ne ho tre, tutti che vivono lontani, studiano, lavorano. Li ho avuti che ero abbastanza giovane, Lorenzo sostiene che sono giovane anche adesso, nel fisico ma soprattutto nella verve e nella fantasia. “Tu cosa hai provato, quando sono nati i tuoi figli?” mi fa. “Puoi descrivermelo?” “Sono stati periodi di avventura, ma diversi fra loro.Voglio dire la gravidanza, soprattutto la prima, è un po’ vivere nell’attesa dell’ignoto. E’ uno studiarsi ogni giorno il corpo e la mente, scoprire se hai o no paura, il primo movimento del bambino dentro di te ti coglie impreparata. Quando realizzi cosa è stato quello strano, lievissimo tremore, pensi è vero, porto un qualcuno qui dentro. Avverti sconcerto, vedi le persone intorno a te che ti trattano in modo differente da prima. Poi cominci a sentirti pesante, eppure leggera nella mente, dato che sai di essere un piccolo frammento di eternità e comprendi in un lampo quanto poco importante sia tutto il resto. E ti incuriosisce vedere questo tuo corpo diventare goffo, ma dolce. Il petto appare come siliconato. La tua voglia di sesso, se possibile, aumenta. Ma la tua agilità diminuisce. Io ho sentito gli odori più forti, visto i colori più accesi, fatto sogni e incubi inenarrabili, come se fossi un vulcano con un enorme bacino lavico, e potessi contenere un magma in movimento ma sotto controllo. Ecco, se ti va l’espressione, ricordo le gravidanze come interminabili contraddizioni. Come intensi desideri di tutto. Infine, la nascita. La prima volta, ma anche le altre, in fondo, ti chiedi se il bimbo nascerà sano, te lo chiedi anche se hai fatto tutti i controlli che esistono. Perché senti l’incontrollabilità della natura contro di te. Ma per quanto tu sia preparata, tu abbia fatto ginnastica e imparato la respirazione giusta da praticare, tu abbia letto tanto sull’argomento e persino ti sia cimentata in una sorta di auto-training a casa, per quanto tu sia rilassata e desideri alla fine incontrarti con il tuo ragnetto rosa e piangente, ebbene quel momento ti coglie d’improvviso. Come in un terremoto, quando le tue cognizioni razionali ti fanno sì mettere sotto il muro portante, ma ti si può aprire il terreno sotto i piedi. Il parto ti consente sì di guidare il tuo corpo, ma senti che tutto avviene al di fuori di te, forse contro di te. Io mi sono lasciata andare, ho fatto tutte le cose giuste ma ho messo d parte la mia individualità. Ho immaginato di essere una macchina, il cui motore doveva tirare fuori il suo ragnetto. Come dire, ho detto al fato “sono a disposizione” . Sai Lorenzo, ho avuto dei parti splendidi. Non so cosa sia il dolore; ma so cosa sono le contrazioni. Pugni che dai a te stessa all’interno, proprio lo senti che servono ad espellere il bimbo. Cosa ho provato quando ho visto il ragnetto fuori di me? A parole è difficile descriverlo. Un senso di appartenere alla storia, un sollievo fatto di disperazione perché – non è più solo tuo – una stanchezza di atleta che ha vinto una gara, uno squilibrio emozionale che quasi ti fa rifiutare l’idea che ora sì, sei legata per la vita a qualcuno. Nel tempo le infinite sfumature di quei momenti diventano parte di te, dei racconti che fai ai figli, e a tratti ti coglie un’immagine passata nella memoria, che ritorna vivida. Ti rivedi davanti agli occhi quel piccolo viso grinzoso, buffo, rosso, che spalanca la bocca in un pianto simile ad un miagolìo. Ti rivedi che lo appoggi sul tuo corpo, e il piccolo viso grinzoso si acqueta, sente il battito del tuo cuore. Pensi sia inverosimile, ma è così, lui o lei riconosce il tuo battito fra mille. Lo ha sentito per mesi vicinissimo, solo quel ritmo scandito e regolare gli ha fatto compagnia, oltre ai tuoi sogni, al mistero della comunicazione senza parole che hai tenuto con lui, o lei. Forse riconosce anche il tuo odore, di certo la tua voce. Ecco Lorenzo, solo questo posso dirti. Un enorme mistero, un affascinante mistero.” Per tutta risposta, lui esclama “vorrei essere partorito da te, in ogni caso anche io riconosco il battito del tuo cuore e il tuo odore, mammina” Passa quindi a parlare di sé, di cosa ricorda dell’infanzia. Si definisce un nostalgico, nel senso che rimpiange i pezzi di vita archiviati , le esperienze concluse. Mi domanda se io lo considero romantico. “no – rispondo – certamente non un romantico decadente. Direi che sei una persona equilibrata, che sa essere affettuosa ma non perde la propria strada per nessuno. Sei un ragazzo interessante, Lorenzo. Intorno ai quarant’anni sarai al massimo del tuo fascino. ” “Ragazzo? Tu mi vedi ragazzo? Allora mi giudichi davvero immaturo, o è un complimento? Dimmi” “Anche io sono ragazza, intendo freschezza di sentimenti, l’essere giovani nel sentire. Poi , tu hai talmente tanti anni meno di me che ti vedo per forza come un ragazzo” “Invece io non riesco a immaginarti dell’età che hai” e mi prende la testa fra le mani appoggiandola sul suo petto. Oggi indossa un maglione stile nordico, disegnato a stelle di neve, multicolore. I pantaloni che porta evidenziano le cosce robuste, sono aderenti, di colore grigio. Ci guardiamo negli occhi e scatta subito la voglia di prenderci reciprocamente. Non sono ancora riuscita a decrittare questo geroglifico della nostra attrazione. Basta un nulla, uno sguardo, una mano che si posa sulla spalla, una battuta o una musica che ci piace, e come per un sortilegio ci sintonizziamo sul desiderio l’uno dell’altra, se non avessimo remore sociali o paura di essere arrestati, sono certa faremmo sesso ovunque. Nella metropolitana, qui a Montmartre, in una toilette o in aereo. Anche perché non lo viviamo solo come sesso. E’ piuttosto un’appropriazione l’uno dell’altra, un’osmosi di due pianeti. Per placare questa voglia di lui che mi prende subitanea, gli do un lieve bacio nel breve lembo di pelle che esce dal maglione, sotto il collo. Lui mi sfiora le labbra con la mano, dice “ti voglio appena rientriamo in albergo” . Abbiamo sperimentato anche la vasca dell’ hotel, oltre la moquette, i muri, e il vano guardaroba. Una di queste notti parigine ci siamo fatti il bagno insieme, risvegliandoci a metà nottata. In alcuni momenti di questa vacanza mi è sembrato di cogliere in Lorenzo una fretta di vivere, elemento inconsueto in lui, la fretta. C’è un folletto che mi suggerisce di stare all’erta, come dicesse – preparati, sta per succedere. Ma che cosa? A volte ho proprio dei brividi improvvisi, un freddo che non so di dove arrivi. Una mia amica di tanti anni fa, vivace e piena di vita, fu colta anche lei un certo giorno da una ansia di fare tutto, subito. Venne fuori che aveva poco da vivere, almeno in questa tornata, come dico io. Ritengo banale il susseguirsi di vite umane se non vi fosse un “continua alla prossima puntata”. La storiella però del Paradiso e dell’Inferno non la bevo. Io sono di virtù laica. Insomma quella amica non c’è, avrebbe la mia età. Il paragone con Lorenzo non mi piace, eppure l’ ho pensato proprio io. Arriva il giovedì. Giorno settimanale della mia nascita, il giorno di Giove, secondo gli antichi. Cioè quello della saggezza, della decisione. Il venerdì dobbiamo ripartire da Parigi; abbiamo programmato per stasera uno spettacolo all’Opera, un balletto classico, Lo Schiaccianoci. Lorenzo non lo ha mai visto, io ricordo di averne visto una splendida edizione a Londra, tanti anni fa. Sono emozionata come una ragazzina. Mi vesto con un tailleur nero ricamato in oro, un tantino eccentrico ma mi si adatta bene. Lui che in genere mette un maglione e un paio di jeans, stasera si veste elegante, per l’occasione.E’ attraente con questo vestito blu, una cravatta molto colorata che gli ho regalato io, una camicia di seta azzurra che illumina il suo viso. Ha un’espressione insolita, a metà fra l’eccitazione e il turbamento. Guardiamo il balletto tenendoci per mano, io sento che prima di domattina succederà qualcosa di importante, ma non saprei dire cosa. Dopo teatro andiamo nel caffè vicino al nostro hotel, che rimane aperto fino a tardi. Dentro c’è un’animazione particolare, qualcuno suona la fisarmonica, gruppi di giovani bevono e fumano. Un altro gruppo si mette a cantare seguendo le melodie della fisarmonica, tutte canzoni francesi. Mi sento ridicola vestita così qui dentro, ma Lorenzo come al solito non si formalizza in nessuna circostanza, si diverte a seguire lo spettacolo di questa gioventù non solo parigina che passa la notte divertendosi, discutendo, vivendo la sua epoca. Quando usciamo, dice distrattamente che vuole fare due passi prima di rientrare in albergo, visto che la mattina seguente avremo giusto il tempo di arrivare in aeroporto. In realtà i due passi gli servono per parlarmi. Esordisce chiedendomi di fargli conoscere i miei figli che vivono in altre città. Sostiene che se io non voglio far sapere loro quale è il nostro rapporto, posso benissimo presentarlo come collega. Insomma, si aspetta che io crei l’occasione per farli incontrare. Prima che io possa solo pensare di dire “perché” aggiunge – “sento che adesso voglio vederli, prima che sia tardi” . Ma, tardi rispetto a che? Senza tanti giri di parole, Lorenzo mi invita a sedermi su una panchina e guardandomi dritto negli occhi, sorridendo “sono ammalato, leucemia, pare. Speranze poche, paura molta, voglia di stare con te fino alla fine, immensa” confessa tutto in un soffio. Io resto incredula, l’istinto vorrebbe abbracciarlo e cullarlo e rassicurarlo, ma la ragione si rifiuta di immaginarlo in questa condizione. Eppure devo rispondergli e, facendo un certo sforzo per tenere sotto controllo il cuore che mi sta dando colpi all’impazzata, lo bacio con dolcezza, senza parole. Ripeto meccanicamente le sue parole “voglia di stare con te fino alla fine, immensa” e aggiungo “sono qui, sono qui, resto con te fino a che non sarai tu a dirmi – vai via” . Non mi sento di rifilargli le solite espressioni rassicuranti “vedrai, supererai tutto , sarà in forma lieve, sei giovane, hai tanto tempo, eccetera” . Sono stata abituata a guardare in faccia le malattie senza pudore, a non mentire a chi è malato, a non cullarmi in speranze quando non ce ne sono. E non so ancora nulla di quello che affligge Lorenzo. Mi chiedo quando l’ ha scoperto, come, se ha dei sintomi. A me non ha mai rivelato nessun disturbo particolare. Mi viene fatto di pensare che il viaggio a Parigi lo abbia organizzato apposta, come per voler godere di alcuni giorni di vacanza prima di affrontare il problema. Doveva dirmi questo. Gli suggerisco di non avere timori nel coinvolgermi completamente, sia per l’aspetto pratico che, e soprattutto, per quello non pratico. Immagino si aspetti il mio supporto, o magari chissà, si fa degli scrupoli per la mia vita. “Dimmi come pensi di procedere al ritorno” gli domando. Sorride, appare intimidito “mi chiedevo se per caso non potessi venire a vivere con te, per ora”. Vengo colta da un senso di smarrimento e di squilibrio; quello che intanto dico non corrisponde a ciò che sto provando, ma non desidero aggravare il suo turbamento. Lo rassicuro, verrà a stare da me, telefonerò ai miei ragazzi e ci incontreremo a Roma con loro tre, glieli farò conoscere e sono certa staranno bene insieme. Gli chiedo come mai vuole conoscerli. Risponde che è curioso di vedere cosa in loro trova di me, e poi vorrebbe sentirli amici, visto che frequenta la loro madre. Non indago per il momento sullo stato della sua malattia, se ha o no dei sintomi, come lo ha scoperto, insomma tutte quelle informazioni che usualmente chi ti sta vicino vuole conoscere. Non mi va di parlare molto, stasera. Torniamo in albergo, cerco di farmi vedere come al solito, mi sto chiedendo invece come cambierà la mia quotidianità da domani. Non pensavo di amarlo come le altre sere, non so come comportarmi. Lui è identico a se stesso, al Lorenzo di ieri, dell’altro ieri. Appena entriamo in camera, mi abbraccia in silenzio e prende a spogliarmi con lentezza, baciando ogni punto del corpo che viene spogliando.Non è triste, quasi comincio a credere di avere sognato il momento con lui che, seduto sulla panchina, mi rivela di essere molto ammalato. Ora siamo nudi, uno di fronte all’altra. Ci guardiamo, studiando i nostri corpi con calma. Disegniamo mentalmente la mappa di noi toccandoci vicendevolmente con levità, appena passando le mani sul corpo dell’altro , poi cingendoci e carezzandoci le schiene, i glutei, le cosce, abbracciandoci più e più volte come ad imprimere nella memoria la sensazione tattile di noi. Lorenzo mi prende in braccio, come aveva fatto la prima sera a casa mia, mi poggia sul letto. Si adagia di fianco a me, mi fa promettere che non tornerò a Parigi con un altro – che vai a pensare, intervengo – la sua richiesta non suona lugubre, suona sentimentale, sa di gelosia. Mi rivela, sempre carezzandomi in su e in giù, che non si sarebbe aspettato di affezionarsi tanto a me, ha paura di dirlo, ma alla fine lo dice “scusa se uso parole scontate, ma io credo di amarti”. E’ tanto indifeso adesso, in questo suo atteggiamento sicuro, volutamente distante dal problema. “Io sto bene con te, c’è sintonia fra noi, armonia. E’ preziosa l’armonia, Lorenzo. Per me è amore, ma preferisco dire armonia” aggiungo io. Non ho voglia di piangere, non ho voglia di sentirmi infelice. Gli sorrido serena, se una cosa posso dargli, è la certezza del mio carattere allegro, disponibile. Stavolta ci prendiamo senza avidità, con estrema dolcezza. Lorenzo entra dentro di me dopo una serie infinita di baci, lui a me, io a lui, baci ora più dolci ora più marcati, ho voluto percorrere le sue lunghe gambe con la bocca, ovunque. Lui si è impregnato le labbra con il mio liquido , è entrato con la lingua fin dove poteva nella mia vagina , poi mi ha penetrata con il suo grande pene, è rimasto a lungo così, un po’ fermo, un po’ movendosi, facendomi eccitare tantissimo. Non vuole finire, sussurra “sto bene a casa tua, non voglio andare via” eppure fa uno sforzo a trattenersi, a non dondolare su e giù per raggiungere l’orgasmo. Fra un bacio e l’altro che intanto mi da sulla bocca, sugli occhi, sui capelli, chiede – aspettami, aspettami – io senza dirglielo ho già provato due orgasmi , capisco il suo desiderio di essere all’unisono, come sempre, ma particolarmente stanotte. Non può più aspettare, mi bisbiglia “con me, adesso” lo lascio montare nel raggiungere il piacere e lo incontro al suo culmine, posso comandare il mio corpo e così ci troviamo insieme a rantolare di gioia e disperazione, anzi Lorenzo piange, singhiozza diviso a metà fra l’orgasmo e la paura, mi stringe tanto forte che provo un dolore acuto alla schiena, ma il dolore in questo momento acuisce la sensazione dell’orgasmo che si prolunga, sembra non finire per me e per lui. Cado in un sonno profondissimo, sogno un bimbo piccolo sconosciuto, una casa dalla quale devo andare via ma non so dove andare, i miei figli quando erano neonati e Lorenzo, che in questo pot-pourri di immagini se ne sta tranquillo a leggere un libro. Tutte le notizie e le sensazioni del giorno appena trascorso sono dunque ora nella mia mente e si mescolano creando un nuovo gioco, nuovi equilibri. La partenza da Parigi è stata, con grande sforzo da parte mia, serena. Ho voluto a tutti i costi chiudere bene un’esperienza perfetta, giorni densi di scoperte, di momenti di intimità totale fra me e lui. Dalla mattina alla notte non abbiamo fatto altro che conoscerci nei dettagli, discutendo di grandi teorie e scherzando come due bambini, tutto di questo viaggio deve rimanere avvolto in una monade di perfezione. Potrebbe essere l’unico medaglione di bellezza rimasto per noi. Lorenzo ha ripreso la sua aria di sempre, sorridente, sereno, un tantino distante ed enigmatico. In aereo, mentre lui legge il quotidiano, mi turba un pensiero , o piuttosto una domanda: dovrei ora fargli più da mamma che da amante? La sua, di madre, è ancora viva, ma chissà se lui le dirà subito cosa ha, chissà se sarà ella capace di aiutarlo davvero, o se invece crollerà ad una notizia di quel genere. Vuole venire a vivere a casa mia ; per godere di un altro po’ di tempo insieme o per farsi aiutare da me? Come voglio comportarmi? Mi sento impreparata, mi lascerò guidare dall’istinto, cercherò di dargli la maggiore armonia possibile, armonia di vita con me. Arrivati di fronte alla nostra carretta del mare, Lorenzo si assenta giusto il tempo di andare a casa dei suoi a prendere qualche vestito ed a salutarli. Ha deciso che dirà loro da stasera dove vivrà, ma non rivelerà per il momento quello che ha. Vuole prima approfondire , e con il mio aiuto, capire cosa deve fare, dove deve andare a curarsi, o ad operarsi, o a morire? Il pensiero della morte non mi ha mai turbato, siamo tutti a termine. L’idea dello stare male, invece, dell’agonia, di rimanere invalidi o menomati, questo mi turba. L’idea che sia toccato proprio a lui, giovane, di confrontarsi con l’ipotesi di doversene andare presto, è un’idea che trovo inaccettabile, ma che devo accettare. Mi chiedo se il suo non desiderare figli neanche in un possibile futuro non sia un riflesso, se pure inconscio, del suo male. Mentre aspetto che ritorni, qui da sola a casa mia, mi sento priva di forze, di qualunque energia. Non ho voglia di disfare la valigia, di prepararmi per la notte, di pensare all’indomani in ufficio. Non ho neanche voglia di piangere. E’ come se avessi perso la bussola, come se mi fossi perduta in un luogo che non riconosco, il posto della mia vita che ora mi appare assurdo, tragi-comico. Credevo di avere imboccato una strada temporanea, bella e piena di momenti magici. Non mi ponevo il quesito “come finirà” tanto sapevo che sarebbe finita, prima o poi. La mia storia con Lorenzo, e anche la seconda gioventù che con lui avevo creato. Quella strada dai paesaggi incantati ora giunge ad un bivio. Io non so dove girare. Non era questa la fine della storia che immaginavo. Anche il viaggio a Roma a conoscere i miei ragazzi, si è rivelato un piccolo medaglione di bellezza. Loro tre sono rimasti entusiasti di Lorenzo, hanno girato insieme per discoteche e musei e con me ad un concerto a Santa Cecilia, si sono scambiati esperienze e idee, si sono coalizzati contro di me con quella solidarietà tipica dei fratelli, come fossero tutti e quattro, appunto, dei fratelli . L’ultima sera a Roma siamo andati tutti a cena a Trastevere. Lorenzo ha tirato fuori tre regalini per loro, tre libri interessanti che ha scelto sulla base dei loro gusti. Ne aveva parlato con me, i miei tre figli sono stati contenti e sorpresi. Durante il secondo piatto, mentre divoravo un carciofo alla giudìa sfogando nel cibo la dolorosa sensazione di sconfitta che mi opprimeva, Lorenzo se ne esce con “giovanotti, devo rivelarvi una notizia importante. Forse la prenderete male, vostra madre non è molto d’accordo nel dirvelo, credo, ma io voglio essere sincero con voi. ” Lo interrompe il maggiore dei tre “abbiamo capito tutto, Lorenzo. Voi state insieme, si vede benissimo. Credi che non conosciamo mamma? Non ci avrebbe chiamato a raccolta se non fosse stata una cosa importante, solo per presentarci un collega. Io personalmente sono contento, poi l’importante è che stiate bene voi due, certo tu sei un po’ giovane per lei, la vecchiarda…eh eh!” Si mettono tutti a ridere, Lorenzo commenta osservando che in realtà la più giovane lì in mezzo sono io, nella testa e nello spirito. Ci beviamo sopra un bicchiere di vino rosso Chianti e brindiamo ….i nostri occhi si incontrano, appena velati quelli di Lorenzo. Ci baciamo leggermente incrociando i bicchieri, gli sussurro nell’orecchio “finirà bene, vedrai” . Non ha voluto dire di più, ai miei figli. Solo presentarsi, quasi un lasciare una testimonianza di essere nella mia vita, di volerci restare a lungo. Eppure loro tre, i ragazzi, quando ci siamo salutati al treno, mi hanno bisbigliato nell’orecchio che aleggiava fra noi due, me e Lorenzo, un’ombra di tristezza remota, come un banco di nebbia improvvisa in un paesaggio pieno di luce. Non ho spiegato, non potevo. Lorenzo non mi aveva autorizzata a raccontarlo, o meglio, non ne aveva accennato ed io avevo raccolto questo come un suo desiderio di non introdurre con loro tre, in quel primo incontro, l’argomento malattia. Sono nella mia carretta del mare, il naufragio è terminato. Guardo una luce rossastra venire dalla finestra della cucina, “è l’ora che volge al disìo, e ai naviganti intenerisce il core” diceva il poeta. Mi stringo le braccia intorno al petto, mi appoggio allo stipite della porta-finestra, ascolto il rumore delle macchine di passaggio, lontane, nella strada . Il profilo delle colline si fa netto, compare Venere nel cielo. Non so dire a me stessa se sono disperata, triste, o soltanto inesistente, in questo momento. Mi sento annullata, dopo mesi di amore per Lorenzo, amore che è cresciuto col crescere della sua malattia. Una forma acuta e rapida, la sua. Come nei giovani, tutto si riproduce in fretta. Persino le cellule cattive. E’ come se ora, dopo tanta dedizione a qualcuno, non avessi forza neanche per guardare il tramonto e sentirne la bellezza, recepirne il calore. In questi centimetri quadrati di cucina, in questa stessa ora , tempo fa, è iniziata per me quella che consideravo una bella avventura dei sensi, una scommessa sulla mia capacità seduttiva, sull’esperienza che vince la giovinezza. Ho vinto, allora. Ho sedotto, l’esperienza ha avuto la meglio sulla giovinezza, quella di Lorenzo. O è lui ad avere sedotto me? Sì, subito dopo. Con la sua enigmaticità, il suo modo lento e silenzioso, il suo apprendere da me ed insegnare a me, contemporaneamente. Uno scambio profondo di sensazioni che è maturato in uno scambio di tutto, un vivere senza averlo progettato, insieme. I miei ragazzi sono partiti da qui due ore fa. Si sono visti con Lorenzo molte altre volte, specie quando sembrava che lui stesse per sconfiggere il nemico insidioso che gli circolava dentro. Mi sono stati vicini, hanno voluto portare Lorenzo a spalla fino alla sua destinazione finale. Gli hanno scritto un piccolo messaggio che hanno infilato fra le sue mani. Hanno pianto salutandolo, versando lacrime anche per me che me ne stavo, invece, impietrita, vicino a lui. Ma in realtà lontanissima da quel lui, non lo riconoscevo, immobile e inespressivo. Ero vicina al lui che avevo imparato a frequentare, e che forse in quel momento mi aleggiava intorno invisibile agli altri. Mi sono vestita di lilla, il colore che preferisco. Una gradazione del viola, colore della meditazione, come dice Lorenzo. I suoi genitori non lo sanno, che lui è ancora qui, da me. Segretamente mi ha chiesto di farlo diventare cenere, e se avessi voluto, tenerlo con me. Come gli antichi romani- ha detto scherzando con un filo di voce – le ceneri degli antenati , come fossi uno dei penati, in casa. Ti proteggerò, compagna, dal piccolo vaso dove mi troverò, magari non lo fare di stile tanto barocco, sai che non mi piace. Ha voluto testimoniarmi il suo affetto anche così, ben sapendo che non ho timori verso i morti, soprattutto quelli che ho amato. Abbiamo avuto un ultimo tango d’amore prima che Lorenzo tornasse a fare terapia, una settimana fa. Non era tanto in forze,ma ha voluto comunque incontrare il mio corpo e prendermi con una dolcezza straziante. Può essere lunga, una settimana. Un giorno per amarsi, il secondo per tornare a fare terapia, il terzo per andarsene. Il quarto e quinto e sesto per organizzare i riti dell’addio, il settimo eccomi qui. Esisto ancora, ma non “mi” sento. Ho preso una settimana di ferie, in ufficio. Domani parto per Parigi. Porto con me uno strano vaso, una piccola anfora dove i miei sensi, la mia seconda gioventù, rimangono racchiusi ma vivi. Non ricordi, emozioni.
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