(La giornata si presentava difficile)La giornata si presentava difficile. Uno di quei giorni d’aprile a Milano, quando l’aria è calda ed il cielo non ha ancora il colore grigio della foschia estiva, io ero stata convocata a scuola .Avevo già visto la maestra di mia figlia all’inizio dell’anno scolastico: primi di settembre. Lei intorno ai 25, bionda, capelli corti, piuttosto alta, un metro e settantacinque forse, più di me dunque. L’avevo squadrata bene: seni fermi, non grandissimi, i glutei lunghi e sodi che si staccavano nettamente dalle cosce, lunghe e tornite. Più di tutto mi colpirono le spalle larghe e robuste che concludevano degnamente il trapezio massiccio della schiena. Alla riunione mi catturò lo sguardo il suo atteggiamento spavaldo: come quando posi gli occhi su di un bel ragazzone che incroci sul marciapiede o c’è una nudità imprevista in piscina o un incidente sull’autostrada, la testa si volta da sé, e rischi di farti male. Si era seduta sopra la cattedra accavallando le gambe tenendo i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Eravamo tutte donne e lei non si curava del fatto che, seduta a quel modo, il suo abito corto saliva lungo le gambe e apriva un triangolo, come l’ingresso di una tenda del deserto, attraverso il quale io scorgevo il punto in cui la coscia perde il dovere d’essere gamba e diventa vulva, occhieggiante dagli slip per un cuscinetto rosa.Protendeva verso il suo auditorio il torace ampio e il viso e ci parlava dei programmi che intendeva attuare. Il volto squadrato, la bocca larga e sottile piegata in una smorfia sbruffona, la fronte alta, forgiata come uno scudo, sgombra dai capelli. Una regina cattiva da fumetto. Mentre agitava le braccia disegnando cerchi che la aiutavano a dare un valore alle parole noiose, io osservavo i globi del seno che si alzavano seguendo la spinta dei fasci muscolari del petto, ora protendendo il seno destro ora il sinistro. " ..e lei signora Erini, cosa ne pensa.." Disse con un tono chiaramente provocatorio: -porcamadonna!- Ce l’aveva con me, che non avevo ascoltato nemmeno una parola. Lo stomaco andò in acqua e le gambe cominciarono a tremare. "Beh, credo che comunque faccia, lei farà bene…..ecco…. "- mi aveva beccata mentre le guardavo le gambe? – pensai."Sono contenta.. anche se mi sembra che sia più interessata ad altro che a questa riunione.." rispose scagliando un’occhiata verde gelida. Già i suoi occhi, lunghi e ben disegnati dal make-up, verdi e penetranti; belli come quelli che poteva avere una guerriera antica. Pronti alla sfida.La riunione finì e ci congedammo; lei salutò tutti e mentre le porgevo la mano, stringendomela, mi guardò senza parlare con gli stessi occhi sbruffoni di un adolescente di borgata, che stringe la mano ad un coetaneo prima di prenderlo a sberle. Sul cortile della scuola mi fermai a parlare con un’altra madre, la Rocchi, 27 anni, moglie di un meccanico di due anni più giovane, un figlio, il cui marito mi aveva scopata nel garage due settimane prima: "sarà una buona maestra","penso di si"- fu tutto quello che riuscii a dire, – vattene in culo cornuta – fu quello che pensai, ancora scossa dalla figura da scema che avevo fatto.Così quel sabato mattina d’aprile andai a colloquio con la maestra Giulia: come la chiamava mia figlia. Posteggiai all’ombra la macchinona di rappresentanza di mio marito e suonai al citofono. Scuole sperimentali, sabato tutti a casa.Rispose lei aprendomi il cancello. Entrai nell’atrio dove era lì ad aspettarmi. Non era per nulla diversa da come la ricordavo. Vestiva un abito da primavera semplice alto fino a metà delle cosce senza maniche. Io, dal canto mio, gonna al ginocchio, calze e giarrettiere, come sempre, una camicia ampia ed una giacca leggera. La borsetta su una spalla."prego". Mi fece strada verso un’aula. I tacchi alti delle mie scarpe di vernice lucida riempivano tutto quell’edificio basso e spoglio con il loro rumore; il rumore delle sue, a tacco basso, era piccolo e più sordo. Percorrendo il corridoio, lei davanti io dietro, ebbi il tempo di posare i miei occhi sul suo sedere: più quadrato che tondeggiante, importante e forte ma decisamente bello. Notai i fianchi dritti, da uomo, che non la lasciavano sculettare. Molto diversa da me era Giulia, io, con la mia quinta di seno e il sedere pieno e rotondo, i capelli lunghi castani, che non avevo rinunciato al mio trucco deciso nemmeno quella mattina. Ore 11:00, scuola elementare, a colloquio con una maestra. L’aula dove entrammo era abbastanza fresca tanto che quel leggero sbalzo di temperatura inumidì le ascelle di goccioline fredde. Sentii il sudore fermarsi sul ferretto del reggiseno e dall’inguine, luogo umido per eccellenza, correre giù. Tolsi gli occhiali da sole ."lei sa perché l’ho convocata?", esordì."veramente no""sua figlia Clelia ha qualche problema, se n’è accorta? ""è mio marito che la segue e non ha moltissimo tempo con il lavoro che fa.""ah! E lei non ha tempo?""non molto, comunque abbiamo deciso che sia lui a seguirla""lei, signora, che lavoro fa?""no, io non lavoro"Mi stavo alterando. Non ero arrabbiata quanto imbarazzata: mio marito pensava a tutto e io facevo quello che mi pareva. Una mezza casalinga con un sacco di tempo, che non sprecavo di certo per una bambina di nove anni, che mi consentiva di tenermi tutto quello che il matrimonio con un benestante mi dava. Lei mi guardava e la tensione nervosa inumidì le ascelle. Ci fu un attimo di silenzio. In quell’istante compresi che per non guardarle gli occhi, i miei si erano abbassati sul suo vestito all’altezza del petto. Nonostante l’aria fresca non aveva i capezzoli duri: attraverso il vestito bianco lo avrei notato. Di colpo Giulia si voltò e afferrò una blusa che stava appoggiata su una sedia e con aria seccata la infilò velocemente incrociando con uno scatto le braccia, serrandola sui seni. Con un sorriso: "fa un po’ freddo, no?".Non lo sapevo. Avevo le mani fredde e sudate; ero appiccicaticcia, sotto le ascelle, sul seno, tra le gambe, mentre le mie unghie martoriavano la borsetta, e perdevano pezzettini di smalto rosso. "forse avrebbe fatto meglio a venire suo marito"- riprese, con un tono serio di chi vuole chiudere una conversazione e congedare i conversatori. "non poteva, può dire a me. Riferirò"- risposi con un tono affettato e dolce che mi stupì. "senta, se non le interessa sua figlia vada pure, non so, a fare un po’ di compere risolverò la faccenda da sola".D’improvviso mi sentii colpita e risposi: "non ho bisogno che una maestrina stronza mi dica come mi devo comportare con mia figlia"- oh si che n’avevo bisogno !- mi girai dirigendomi verso la porta. "Non faccia la scema". Mi voltai. Aveva fatto un passo verso di me. Non aveva più la blusa. Gli occhi prepotenti, come quelli dei ragazzini del mio quartiere, quando ero adolescente. Ancora una volta i miei occhi caddero dai suoi sul torace gonfiato dal respiro nervoso. Vidi la curva decisa del muscolo pettorale, che dal seno, appena sotto l’ascella si fondeva con il braccio, tendersi Il seno appiattirsi leggermente e poi gonfiarsi velocemente. Un bruciore secco sulla mia guancia sinistra, la vista si confuse, la faccia fece mezzo giro a destra. Mi aveva mollato una sberla, strappando qualche capello che le rimase impigliato tra dita. Restai a guardarla un attimo, con gli occhi spalancati e la bocca aperta a cuore, attonita. Vidi i suoi occhi e mi scagliai verso di loro con le unghie. Lei alzò le braccia e deviò le mie in alto. Cercai di afferrarle i capelli. Si divincolò e fui lei a prendermi per i capelli, che offrivano una presa di certo più facile dei suoi. Io urlavo quasi sottovoce, più un mugolio che altro, mentre mi scuoteva la testa. La mia giacca si era abbassata a destra dove il peso della borsetta, che ora pendeva dall’avambraccio, l’aveva trascinata. Serrai le mani sui suoi fianchi cercando di affondare le unghie, ma le mani scivolarono e non potei far altro che afferrarle il vestito. Diedi una spinta mettendola seduta sulla cattedra, il vestito salì scoprendole le cosce. Fu allora che la maestra di mia figlia, senza più il rischio di cadere, mi tirò con forza verso di sé, sollevandomi, e mi strattonò verso sinistra. Mi sfuggì il pavimento sotto le scarpe. Caddi in avanti.Eravamo sull’angolo della cattedra dalla parte del lato corto: io prona, in equilibrio sulla sua gamba sinistra, tutto il tronco sospeso, le braccia che si dimenavano in avanti per impedirmi di cadere del tutto. Aveva anche lei, fidando del piano della cattedra, sollevato le gambe da terra. Con la destra cinse le mie all’altezza del ginocchio bloccandomi completamente. Mentre cadevo su di lei la borsetta finì in terra rovesciando il contenuto e la mia giacca chiara, sul lato destro, si sfilò del tutto. Il petto strusciò sulla gamba della maestrina, la camicia si tese, i bottoni saltarono e caddero tintinnando sul pavimento. Durante la caduta il reggiseno si abbassò e il seno destro scivolò fuori.Ero praticamente in braccio a lei, immobilizzata in basso dalle sue gambe che cingevano le mie con forza, in alto dal suo braccio sinistro che aveva portato sopra la mia schiena. Avevo un seno nudo che penzolava la sua quinta misura in basso, toccando il bordo della cattedra; l’altro schiacciato contro il suo addome. Potevo vedere la coscia sinistra a pochi centimetri dal mio naso: lo slancio le aveva alzato il vestito, denudandole i glutei."lasciami!" urlai con voce isterica.Tentai invano qualche mossa per scivolare via dalla sua presa.D’un tratto sentii la sua mano libera, la destra, scendere verso il basso lungo le gambe: un fruscio di raso. Era la mia gonna che si alzava! "che cazzo fai!"- urlai.Diede un paio di strattoni e mise all’aria il mio sedere. Una manata risuonò sui miei glutei."ahhhhh! Puttanavergine!"- urlai ancora. Da quel momento fu un fuoco di sberle, una decina, date con forza e rabbia. Strillavo e mi contorcevo per cercare di uscire dalla presa delle sue gambe. Invano: bloccata come ero potevo solo alzare ed abbassare il culo, a scatti brevi e veloci. Non ero né disperata né furibonda, ero solo piena di vergogna; del resto ero in braccio ad una donna di dieci anni più giovane di me, con uno dei seni che rimbalzava, nudo, con il culo all’aria che tremolava sotto le sue mani. Tutte le mie forme piene, da femmina, fatte tremare da una donna che sembrava una ginnasta. La raffica di sberle continuava ed io avevo trasformato i mie strilli in rantoli che mischiavano dei "no,…basta" a dei mugolii di dolore e frustrazione."puttanamadonna, la smettaaaa!". In quel momento capii che non mi stava colpendo sul culo nudo: avevo ancora indosso le mutandine. Non potevano fare molto ma in quel momento, mi sentii fortunata nel credere che quel piccolo triangolo di cotone potesse offrirmi un po’ di protezione.Assurdamente rinfrancata da questa considerazione abbassai il collo, che se ne stava teso verso l’alto, partecipe della tensione di tutti gli altri muscoli, nel tentativo di liberarmi. Lo abbassai guardando quello che adesso era il segno evidente della mia vergogna: il mio seno destro. Il reggiseno era completamente rimboccato. Il ferretto di sostegno martoriava l’attaccatura bassa. Ad ogni manata la tetta era percorsa da un onda che scaturiva dalla stessa sostanza da cui prendeva forma: faceva uno scatto quasi per cercare di fuggire in avanti finché il suo peso non la riportava a penzolare. Durante questo movimento riuscivo a scorgere il capezzolo rosa scuro che occhieggiava ad ogni scossa. Persa nella contemplazione della mia tetta alla deriva, sentii le natiche andare in fiamme. Aveva infilato le mutandine nel solco dei glutei per avere la benedizione della loro nudità .Ora il dolore era forte quanto la frustrazione; mentre mi dimenavo andai a sbattere un paio di volte con il naso contro la sua natica sinistra che stava a pochi centimetri. Allungai allora un poco il collo finché non sentii in bocca la sua carne dura, e morsicai. I denti affondarono e al gusto acre ma dolce di signorina si sostituì quello ferroso del sangue. La maestra strillò e con una scrollata si liberò di me saltando giù dalla cattedra: con le mani sul fianco sinistro, leggermente spostate verso la natica, dove c’era la ferita: gli occhi chiusi e la bocca piegata in una smorfia di dolore. Feci mezzo giro su me stessa; con il braccio sinistro trovai la parete vicina alla cattedra e riuscii a mantenermi in piedi sui tacchi. Lei aveva già tolto le mani dal fianco e mi guardava con qualche capello appiccicato sulla fronte sudata e il vestito solo leggermente stropicciato. Stavo di fronte a lei, lontana circa due metri. La giacca era rimasta attaccata al mio polso. Pendeva strusciando terra. La camicia completamente sbottonata mostrava il seno che aveva completamente ricoperto il reggipetto. Le mie tette, così grandi, sembravano guardarla e i capezzoli, divenuti più rossi del solito, due occhi spalancati ed attoniti di fronte a lei. Riuscivo forse a causa della tensione a sostenerle lo sguardo; la guardavo fissa negli occhi. Stavo respirando forte alzando e abbassando il torace. Forse capì che i suoi occhi non sarebbero bastati. All’improvviso, la vidi afferrare il suo abito, chiuso davanti da una serie di bottoni che giungevano fino all’orlo, e con uno scatto delle braccia aprirlo mostrandomi il seno. Teneva i due lembi aperti lasciandomi vedere tutto il torace e le spalle. Spalancai gli occhi, catturata dall’arcata nervosa del torace che si ammorbidiva per formare le due mammelle dello stesso colore ambrato di tutta la sua persona. Non grandi ma larghe alla base, risolte da un capezzolo "biondo" di un pimento madreperlato. Diversi, anche in quel momento dai miei, che larghi e rossastri si tenevano ritirati all’interno. Mi aveva mostrato di colpo le tette consapevole che mi sarei rapita a squadrarle le spalle forti e il seno teso, che avrei spalancato gli occhi e arricciato la bocca in un "ohh" non pronunciato. Bastò quello perché mi sentissi tirata per i capelli verso di lei, che aveva fatto in tempo a coprire i due metri che ci separavano durante il mio imbambolamento. Non potei opporre resistenza, mi sbatté la faccia contro al cattedra appoggiandomi con la pancia sul bordo, e spingendomi con il gomito la nuca, m’immobilizzò. Ero piegata a novanta gradi, il seno compresso su quella formica fredda e le braccia ancora impotenti che cercavano di sferrarle qualche colpo, ma che solo mulinavano l’aria. Così ero ancora a culo all’aria, anche se la gonna era tornata per modo di dire a posto. Lei aveva ancora la mano destra libera ed io la sentii armeggiare rudemente attorno alla chiusura della gonna La lampo scese facilmente lasciando cadere la gonna che s’intrappolò sotto le mie ginocchia divaricate. Raggiunse l’elastico delle mutandine che abbassò a metà cosce. A gambe nude le mostravano il culo arrossato. Poteva sicuramente vederne il buco, cinto da una soffice peluria castana da cui spuntava qualche ricciolo ribelle visibile anche a gambe chiuse, poteva scorgere anche le labbra della vagina, asciutte e serrate. "lasciami, stronza! Lasciami, lasciami!" urlai.Mentre urlavo continuavo a dimenarmi agitando il culo che vibrava velocemente. Ricominciò a vergarmi il sedere. Dopo qualche manata assestata sui globi dei glutei prese a colpirmi a mano aperta al centro del culo, nel solco. Le natiche vibravano ogni colpo, quasi in sincrono con i miei disperati tentativi di riscossa. Il palmo della sua mano raggiungeva la zona attorno al mio orifizio anale, mentre le dita frustavano la mia femminilità’ esposta. Ogni colpo era per me un urlo di dolore e uno spasmo che contraeva di riflesso i glutei. La vulva colpita restituiva all’interno, nell’utero una scossa elettrica di mille spilli fitti. Le natiche, le ascelle ed il seno stillavano perle di sudore freddo. Non si fermava. A mano aperta continuava a colpirmi il perineo e la vagina. Avevo le natiche in fiamme e mugolavo di frustrazione ed impotenza: una maestra elementare a tette nude mi malmenava. D’un tratto la sua mano si fermò sulla natica sinistra, le dita entrarono nel solco, i polpastrelli si serrarono proprio vicino al buco e si chiusero mordendo la carne soffice. Urlai più a lungo aprendo la bocca a cuore ed emettendo un uggiolio. Diede due strattoni a sinistra, come per aprirmi. La mano lasciò poi la natica, che si afflosciò un poco rimanendo leggermente aperta attorno all’ano, divaricata come un’albicocca dischiusa. Prese un ciuffo di peli e li strattonò strappandone alcuni. Lanciai un altro urlo strozzato.La maestra allora si alzò liberando la mia testa dall’oppressione del suo gomito, e si mise in piedi di fianco alla cattedra, aspettando.Io rimasi forse un secondo ancora piegata concentrata solo sul dolore delle mie zone basse. Mi sollevai sulle braccia e guardai la macchia di sudore che il mio corpo aveva disegnato sulla cattedra. Distinsi le orme grandi dei globi del seno sporgere ai lati e, più dense, le macchie di sudore delle ascelle e sbavi rossi di rossetto. Girai la testa a sinistra, la vidi, e mi sollevai in piedi del tutto. Dall’apertura del vestito scorsi le masse tenere di seni appoggiati uno all’altro. La gonna era scesa alle caviglie e le mutande ferme alle ginocchia. La camicia si era strappata e non nascondeva più un centimetro di seno che prorompeva nudo e sudato. Una spallina del reggipetto rotta. Con la figa al vento davanti alla maestra di mia figlia, che se ne stava leggermente piegata in avanti, respirando regolarmente con le gambe divaricate e le tette nude. Alzai ancora lo sguardo sui suoi occhi ed ebbi un accesso di stupido pudore: mi coprii con una mano il pelo della vagina e con l’altra le tette, schiacciandole con l’avambraccio. "Puttana! Lasciami andare o urlo".Fece un passo avanti ed io ebbi solo il tempo di lanciare un urletto prima che mi desse una spinta facendomi volare all’indietro. I tacchi scivolarono e caddi pesantemente sul culo, proprio dove si era rovesciata la borsetta. Atterrai con un tonfo. Un dolore tagliente, e mi girai subito sul fianco sinistro portando d’istinto le mani sulla natica destra. La sentii ruvida; diedi un’occhiata a terra e vidi lo specchio del trucco frantumato. Ero finita sopra spaccandolo. "cristosanto!" urlai, in preda ad un’angoscia sorda.Mi prese per un braccio e mi trascinò facendomi scivolare sul culo per mezzo metro; si mise dietro di me e sollevandomi per le ascelle mi rigirò di nuovo a pancia in sotto sul marmo del pavimento.Si sedette sulla mia faccia. Scalciai goffamente, bloccata dalla gonna e dalle mutande. Le sfilò rapidamente entrambe lasciandomi a gambe nude. Avevo le sue natiche attorno alla testa ma non potevo raggiungerle coi denti. Con le due mani libere mi divaricò i glutei. Si fece largo e raggiunse l’ano con i polpastrelli. Cercai di coprirlo con la mano destra "no!…no!" strillai.Assestò le dita attorno all’anello dell’ano che era freddo e secco Fece scivolare dentro un dito. L’indice destro, poi il medio ed infine gli stessi due della sinistra. Sentendomi riempita dalle sue quattro dita strinsi il muscolo anale di riflesso. Lei avvertì la resistenza che opponevo e penetrò ancora di una falange. D’un tratto diede uno strappo con i muscoli pettorali divaricandomi; poi un altro e un altro ancora.Provai un dolore lancinante ma non riuscii a urlare soffocata dal peso dei suoi glutei. Ogni strappo era una sensazione di freddo in mezzo alle natiche. Lo aprì così tanto che avvertii un refolo di aria fredda entrare. Smise di strattonarlo e, sbilanciandosi indietro, si limitò a tenerlo aperto. Il mio ano doveva essere largo adesso come una tazza da caffè. Ero in preda ad una frustrazione annebbiante: una maestra mi stava rompendo il culo.Come aveva cominciato smise. Si alzò velocemente, mi sollevò per le ascelle mettendomi alla pecorina. Mi montò sopra coprendomi. Con gli occhi spalancati guardai avanti e smisi di opporre resistenza."sei una mucca e devi essere munta" disse senza affettazione. Non contava che fossimo in una posizione intima, a contatto di pelle, il suo sudore mielato che mi riempiva le narici. Non c’era erotismo, mi stava solo facendo male. I miei seni dondolavano come due mammelle d’animale. Li afferrò da sotto, impalmandomi i capezzoli, strinse tirandoli verso il basso. Soffrivo e urlavo, con i denti stretti ed il respiro convulso. Percorse con le mani tutta la lunghezza delle tette arrivando alla attaccatura sotto le ascelle. Strinse di nuovo ma non con tutta la forza: quanto bastava perché’ le mani potessero liberamente correre su e giù ed iniziò letteralmente a mungermi. Ogni volta che arrivava all’areola strizzava con le dita, cercando di far saltare fuori i capezzoli che nonostante tutto stavano ancora retratti. Il sudore che grondava dalle mie tette rendeva quell’atto scivoloso ed agevole, proseguì per una ventina di ripetizioni, sempre più veloci e dolorose.Io avevo proteso il culo verso l’alto agitandolo per cercare di disarcionarla, ma le sue gambe forti erano intrecciate con i miei polpacci dandole una posizione invincibile. Il culo bruciava al contatto con il sudore del suo addome. Si sfilò il vestito facilmente. Rimase con i soli slip indosso, montata sopra di me, pompandomi velocemente le tette."stronza bastarda, lasciami le tette, lasciami le tette". Gridai a mezza voce. Mi aveva preso a schiaffi, messo a novanta gradi e mi aveva violentato nell’ano, rompendolo.Si era accorta che la guardavo, come guardo sempre tutti, analizzando i tratti del volto e i profili dei corpi, i gonfiori dei vestiti e le eventuali convessità, la lunghezza delle gambe, l’ampiezza della schiena. E proprio lì era entrata, quando mi aveva mostrato le tette. Ma era lei ad avermi spogliata, godendo delle mie tette, grosse, che erano balzate fuori. Ridendo del mio tentativo vergognoso di nasconderle con una mano la vagina."Bastarda, lasciale". Mi prese di nuovo sotto le ascelle e mi tirò a sé alzandosi sulle ginocchia. Le tette fecero un balzo verso l’alto e ricaddero pesanti con un rumore imbarazzante contro il mio plesso solare. Cinse il seno con un braccio dal quale abbassando gli occhi vidi spuntare l’areola del capezzolo sinistro. Tutto il seno era coperto di macchie rosse; il sinistro era scivolato sotto e ne distinguevo solo il biancore che rimbalzava ad ogni strattone. La testa era appoggiata alla sua clavicola. Le gambe ingarbugliate nelle sue. Le natiche, nude, appoggiate mollemente sul suo pube. Fece scivolare il braccio che cingeva i miei seni fino a coprire con la mano il destro; afferrò con l’altra il sinistro. Si alzò in piedi tirandomi con sé. Girai su me stessa finendo in ginocchio. Il reggiseno era adesso attorno alla pancia, mentre la camicia stava abbassata sotto le spalle. Fui in ginocchio davanti a lei che mi teneva per le tette. Fece un passo indietro, veloce (trascinandomi); lasciò la presa. Dovetti appoggiare le mani a terra con le braccia tese per evitare di sbattere il muso sul pavimento. Il seno fece un altro sobbalzo, schiaffeggiò la mia pancia e riprese la sua posizione penzolante. Ero a quattro zampe, alzai il collo e la guardai: era completamente nuda, fatta eccezione per gli slip. Non aveva più le scarpe ai piedi. Vidi le cosce toniche colore del miele e più su il triangolo dell’inguine. Un paio di mutandine sportive, senza ricami, blu scure, coprivano la vulva. Erano ancora composte, l’elastico alto aderiva perfettamente alla pancia. Tradiva la recente zuffa solo il fatto che erano rientrate nel taglio della vagina. Spuntavano dai due lati due cuscinetti morbidi senza l’ombra di pelo, color del miele. Il tronco si alzava forte e finiva con le larghe spalle. Teneva la mani sui fianchi, e i due seni stavano gonfi, all’aria. I capezzoli erano così alti che dalla mia posizione potevo distinguere solo l’orlo inferiore dell’areola. Ero madida di sudore e avevo freddo; grosse gocce colavano a terra dal seno. La pancia bianca e morbida brillava perlata e scivolosa. Coprì con lo sguardo tutta la mia figura, squadrava le mie grosse tette ed il triangolo di pelo castano della vagina. Con le mani liberai la faccia dai capelli appiccicati. Allungò un braccio e mi prese per i capelli facendomi alzare. Mi spostai insicura sui tacchi; sfilò la mia camicia e strappò via il reggiseno; le tette traballarono ridicolmente. Mi sdraiò violentemente con la schiena sulla cattedra. I globi del seno scesero pesanti ai lati del torace. Sollevò entrambe le gambe con il braccio destro e le appoggiò al suo torace. Percepii il calore del suo seno nell’incavo delle ginocchia. Le cinse, mi inclinò leggermente a destra, esponendo i miei due buchi. Alzai la testa e vidi la sua mammella sinistra che si gonfiava, costretta tra il mio polpaccio e la sua spalla leggermente abbassata mentre raggiungeva con la sua mano sinistra la figa. Rovistò con le dita alla ricerca dell’ingresso, liberandolo dai peli raggrumati. Scostò le labbra e mi penetrò con il pollice. Il medio entrò facilmente nel sedere ormai tenero. Serrò le dita e aiutandosi con la presa forte che aveva attorno alle mie gambe cominciò a sbattermi contro la cattedra. Mi sollevava poco e mi riabbatteva giù. Per impedirle di lacerarmi anche la vagina assecondavo con il bacino i suoi movimenti. Le natiche cadevano pesanti con un rumore umidiccio sul piano della cattedra, vibrando ogni volta; mi guardavo i capezzoli che ruotavano sulle tette lucide. Fece scivolare le mie cosce sul suo petto portandosi sul mio fianco sinistro; il braccio sinistro cingeva ora le mie gambe. Durante la torsione che subii le diedi un’unghiata con la mano destra. Colpii un seno, di slancio percorsi la sua pancia con il palmo della mano, alla cieca, incontrai l’elastico dello slip. Ritrasse indietro il bacino con uno scatto. Strattonavo l’elastico istericamente in preda ad una rabbia sorda. Forse cercavo solo di metterla nuda, come me, per vedere i suoi occhi perdere il loro sguardo sicuro e renderli simili ai miei, vergognosi, privi di protezione, come il mio sesso. Ero sdraiata su un fianco, con le gambe in aria ancora chiuse dal suo braccio – Potei abbassare lo slip solo dalla parte destra tirandolo fino a metà della coscia. Vidi il suo fianco dritto e massiccio e poco più in là, si mostrò nuda la curva discendente dell’inguine. Intravidi, attraverso il pallore qui più marcato la striscia bluastra della vena inguinale e ciuffi di pelo biondo scuro, piccoli e ben disegnati. Il mio seno sinistro puntava l’occhio-capezzolo verso la sua figa levigata.Si liberò con un ceffone dalla mia mano. per riassestare lo slip lasciò la presa e si girò mostrandomi il gluteo destro, nudo, separato dall’altro da un taglio netto. Lo slip tornò a posto con uno schiocco. Scesi dalla cattedra malferma sui tacchi, lei liberò una mano e mi mollò uno schiaffo girandomi la faccia dall’altra parte. Scivolai in terra atterrando sulla coscia sinistra. Passarono forse trenta secondi in cui io rimasi sdraiata a terra. Quando rialzai la testa lei era completamente nuda. Aveva il piede destro su di un banco, la gamba piegata, come se volesse scavalcarlo. Il busto torto dalla parte opposta, la testa reclinata in basso. Si stava lisciando la ferita lasciata dal mio morso. Sotto la coscia destra tesa nel piegamento vidi il suo ano e la vagina. L’ano era quasi senza anello solo poche righe del muscolo anale facevano capolino dall’orifizio, la pelle scivolava all’interno, come risucchiata senza cambi di colore. Pensai al mio, scuro quasi viola, estroverso, come un bocciolo di rosa, coronato da peli ricci, chiuso dai glutei soffici e pieni. La vulva sempre vista parzialmente esposta dagli slip, ora era nuda e leggermente divaricata. Si schiudeva un’infiorescenza porpora con un buco stretto ed elastico; alla fine del taglio intravidi i primi peli biondi. Si accarezzò la coscia sinistra . "Guarda che cazzo hai fatto".Tirò giù la gamba fece due passi verso di me. I peli della figa erano depilati in un triangolo discreto. Si limitò a girarsi e ad appoggiare le sue natiche sulla mia faccia, tenendomi per la nuca. I glutei lisci mi avvolsero le guance e coprirono gli occhi. Il suo orifizio fu proprio contro il mio naso. Le labbra sfioravano la sua vulva e ne sentivano il calore morbido: pensai volesse farsi leccare. Schiusi le labbra estraendo la lingua, incontrai la membrana vaginale…. con il rumore di un palloncino che si sgonfia veloce lasciò andare una scorreggia sulla mia faccia. Andò verso il suo vestito, le gambe lunghe incedevano e i glutei massicci quasi non si muovevano. Raccolse lo slip e cominciò a rivestirsi. Mi alzai anch’io raccattando in giro i mie indumenti. Indossai la gonna senza le mutandine per lasciar prendere aria al sedere arrossato. Stavamo in silenzio, lei di spalle a due metri da me. I miei denti le avevano lasciato un livido giallo sulla natica sinistra. Appena ebbe indossato il vestito si girò verso di me appoggiandosi col sedere ad un banco. Con il vestito ancora aperto, mi guardava indifferente aspettando che avessi finito. Mentre mi riassestavo lanciai alcuni sguardi furtivi al suo seno, evitando gli occhi. Infilai il reggiseno rimboccando dentro le tette, accostai i lembi della camicia e presi la giacca. Buttai nella borsetta gli oggetti sparsi sul pavimento e le mutandine; sotto il suo sguardo silenzioso mi chinai a raccogliere i frantumi dello specchio e li gettai nel cestino. Senza guardarla, infilai la porta ed uscii. Percorsi il corridoio in preda all’angoscia, con la ferma intenzione di denunciarla immediatamente ma appena uscita nel giardino già non me ne fregava più niente. Sarebbe stato un inutile casino andare a spiegare quello che era successo a qualche poliziotto rompi-cazzo, ed io non volevo nessun casino.Salii in macchina tenendo il sedere, per quanto potevo, sollevato dal sedile guidai per i cinque minuti necessari ad arrivare a casa e salii di sopra. Entrai in bagno, mi spogliai davanti allo specchio grande. I seni erano pieni di macchie rosse che partivano dal collo e raggiungevano le areole: qui intorno era una sola grande macchia dovuta a quando mi aveva munto. Avevo dei graffi anche sui fianchi; mi girai e diedi un’occhiata al sedere che sfumava dal rosa pallido della schiena al carminio delle natiche. Nella destra c’erano ancora delle piccole scaglie di vetro. Mi adoperai per levarle tutte. Mi sedetti sul tappetino e divaricai le gambe a forbice specchiando la figa e il buco del culo. La prima un po’ irritata, il secondo ancora aperto. Passai una mano accarezzandolo e sentii i piccoli grumi di sangue persi durante la penetrazione. Non ci pensai oltre e mi infilai sotto la doccia.Lunedì sera ero ancora in bagno, nuda, seduta sull’orlo della vasca con la natica sinistra; stavo impomatando il buco del sedere, la crema era fresca e unta. Con la mano sinistra mi accarezzavo una tetta, pizzicando dolcemente il capezzolo. Penetrai all’interno del sedere, prima una falange, poi tutto il dito. Si aprì la porta ed entrò mia figlia. Continuando ad esplorare le chiesi cosa volesse."la maestra Giulia oggi era seduta storta sulla sedia e allora luca gli ha chiesto se sta bene e lei ha detto che aveva un po’ di male al sedere" disse tutto d’un fiato, poi sorrise. Sorrisi a mia volta e pensai – avresti dovuto vedere cosa faceva la tua maestra al buco del culo della mamma -.
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