Donna Emma si annodò attorno al collo un foulard di Hermes, si infilò la giacca del tailleur e salutò. Era sempre la prima ad arrivare in tribunale. Pochi minuti dopo anche Marco prese la sua borsa e uscì. Silvia rimase da sola, seduta in cucina con la tazza del caffelatte di fronte. Con un dito raccoglieva le briciole dei biscotti sparse sul tavolo e se le portava alla bocca. Ovviamente marito e suocera si erano comportati come se la sera prima non fosse accaduto assolutamente nulla. Il copione era sempre lo stesso. Due ore di depravazione, di follia e poi ognuno rientrava nella sua rispettabilissima facciata come niente fosse. Ma qual era il vero marito e la vera suocera? Il giovane avvocato, l’irreprensibile giudice o i due incestuosi armati di frustino? Luisa si interrogava e si arrovellava disegnando col cucchiaino labili cerchi nel caffelatte. “E io chi sono? La signorina di buona famiglia innamorata di Ridge? O una ninfomane masochista e lesbica?” E già, perchè ora c’era dentro anche lei e senza alibi a cui aggrapparsi. “Ma no, io lo so chi sono. E’ da venti anni che sono io. Cioè è da venti anni che sono una ragazza normalissima, seria e per bene. Non posso essere cambiata di colpo”. Il punto era proprio questo, che aveva sperimentato su sè stessa quante pieghe, quanti angoli inesplorati e avvolti nella penombra possa nascondere l’animo umano. Quanta doppiezza possa esserci in ognuno di noi. Ma non una doppiezza nel senso di una facciata dietro la quale si nasconde la vera e inconfessabile natura di una persona. Ma proprio nel senso di dr Jekhyil e mister Hide. Di come nella stessa persona possano convivere più persone. O meglio di come una persona assomigli a un libro che nasconde tante pagine diverse. Sua suocera, per esempio, probabilmente era davvero un giudice esemplare, ma allo stesso tempo, nell’intimità domestica, era anche un amante di raffinate perversioni. E le due cose, in fondo, convivevano benissimo, nel senso che riusciva a fare bene il giudice e l’amante sadica e l’una attività non danneggiava l’altra. Insomma, di una cosa ormai Silvia si era convinta: che gli uomini (e le donne ovviamente) sono un bel casino, che si può essere onesti, intelligenti e probi e allo stesso tempo, coltivare qualche perversione e che è sempre meglio non trinciare giudizi. In fondo se lei avesse voluto avrebbe potuto rifiutare quella situazione, ma non l’aveva fatto. “E poi, che significa perversione? Tra adulti consenzienti non esistono perversioni – concluse a voce alta Silvia – se uno prova piacere a farsi frustare, perchè non dovrebbe farlo? Chi danneggia? E’ molto più perverso chi non paga le tasse”. “Come dice signorina?” Chiese Antonia, la cameriera, che si era affaciata sulla porta di cucina. “Niente, niente… me la prendevo con gli evasori..” “Chi è evaso?” “Come chi è evaso?… No, fa niente Antonia, ne parliamo un’altra volta”. Silvia mise sul giradischi la Sesta di Ciaikovskj e si sdraiò sul divano a occhi chiusi. Ma le sorprese non erano certo finite. Qualche giorno dopo, erano circa le quattro del pomeriggio, donna Emma dormiva nella sua camera al piano superiore. Quando tornava dal lavoro riposava sempre per un ora e guai a chi faceva rumore o la disturbava. Luisa stava sdraiata sul solito divano e leggeva i racconti di Isabelle Allende, quando sentì la suocera che la chiamava. Salì nella sua camera. Di fronte al letto d’ottone pieno di riccioli e pomelli dorati stava lei, con indosso una vaporosa vestaglia di voile e raso e sotto una camicia da notte violettina, tutta ricamata sul davanti di pizzo di S.Gallo. Luisa fu molto sorpresa nel trovarsi di fronte la suocera così desabillèe, quasi discinta. In oltre un anno di convivenza non le era mai capitato; anche in casa girava sempre chiusa nei suoi vestitini da esercito della salvezza. Sentì il cuore batterle più forte. Donna Emma aveva alle spalle la finestra e la luce faceva trasparire, attraverso le stoffe leggere, il profilo del suo corpo. Era massiccio, ma allo stesso tempo flessuoso ed energico. Su tutto dominava il petto imponente e un sedere sontuoso, anche perchè il resto era coperto da una specie di guepiere scura. Luisa pensò che sarebbe piaciuta ancora a molti uomini. E rimase colpita dal modo quasi impudico col quale si offriva ai suoi occhi. E anche da quella insolita biancheria che indossava. Emanava una forte sensualità che scaturiva dal contrasto tra la personalità di quella donna e l’intimità che le concedeva. Era inutile nasconderlo, quella donna, con la sua doppia natura, l’aveva in qualche modo stregata. Forse era la paura che le incuteva, forse la stessa assurdità della situazione, ma a Silvia sudavano le mani e il respiro le si spezzava come al primo incontro con l’innamorato. La suocera le chiese di aiutarla perchè voleva riporre nei ripiani alti dell’armadio dei vestiti. “Tu sali sulla scala e io ti allungo la roba”. Uscì nel corridoio e prese la scala. Ma nel girarsi urtò il lampadario e ruppe una specie di palla di vetro. Si voltò verso Luisa, si guardarono come interrogandosi a vicenda. L’aveva fatto apposta? Luisa non ebbe il tempo per rispondere, perchè fu come folgorata. Non pensò neppure a quello che stava per fare. Agì come guidata da un impulso irresistibile. “Guardi cos’ha combinato – sbottò alzando la voce – un bel disastro davvero… .Non si potrà neanche riparare… .Dovrebbe stare più attenta… non è mica che, perchè questa è casa sua, lei possa rompere quello che le pare… E’ facile sgridare gli altri… ma poi… “. Si fermò ed ebbe paura di quel che aveva fatto, ma la suocera non reagì, stava zitta e a capo chino. Rimase qualche frazione di secondo senza sapere cosa fare. No, non era possibile quello che stava pensando, eppure quel silenzio era più chiaro di cento parole. Smise di pensare, in una situazione come quella pensare non serve proprio a nulla. La suocera rimaneva lì, la guardava come se stesse aspettando qualcosa. Luisa si decise: “Io credo che abbia bisogno anche lei di una bella lezione”. Si guardò intorno e vide su una sedia una cintura di corda e anelle di metallo. Era lì per caso? Non c’era tempo per chiederselo. L’afferrò. “Si giri” le disse con un tono imperioso che non aveva mai usato in vita sua. Donna Emma sfarfugliò qualcosa del tipo: “Ma cosa vuoi far… è stato un banale incid… ma come ti permetti… stai scherzando… potrei essere tua madre… “. E mentre parlava si girò, si piegò in avanti e si appoggiò con le mani sul letto. Luisa ebbe l’ultimo attimo d’indecisione, poi le sollevò vestaglia e camicia da notte. Era senza mutande. Ancora per caso? Ma che senso aveva farsi tutte quelle domande. L’unica cosa certa era che aveva di fronte la terribile suocera con il culo nudo per aria e la vendetta stretta forte in pugno. Era un sedere sconfinato, una mongolfiera di ciccia pallida, ma era ancora discretamente sodo. Le parve un magnifico sedere, ma ebbe il sospetto di essere ormai obnubilata da quella donna. Assestò il primo colpo, ma aveva troppo timore e, più che una frustata, sembrò un buffetto. Del resto era proprio alle prime armi. Prese più coraggio e assestò il secondo, un po’ meglio ma ne uscì un rumore fiappo, che non le diede alcuna soddisfazione. La suocera protendeva il suo culone implorante verso di lei. Capì che doveva fare di più. Chiuse gli occhi e ce la mise tutta. Prese a picchiare con forza. Ora la cintura emetteva un suono pieno e vibrante, accompagnato dai mugolii della suocera. Da come si mise a dimenare il culo e a sussultare tutta, capì che stava prendendoci la mano. Ogni colpo lasciava su quelle due montagne lattee un’impronta vermiglia. E ad ogni frustata donna Emma smaniava sempre più. Muggiva, rantolava, emetteva urletti soffocati. “Più forte… più forte… non avere paura”. Luisa picchiò con tutta la forza che aveva. Ogni timore e imbarazzo era ormai scomparso. Ad ogni colpo che assestava si sentiva palpitare tra le gambe. Le stava piacendo incredibilmente frustare quel sedere. Vedere sua suocera godere senza ritegno sottoposta a quel supplizio. Da in mezzo alle gambe della suocera spuntò una mano, che prese a frugarsi furiosamente nella figa. “Più forte… più forte… continua… ” ripeteva Donna Emma masturbandosi. Una voce, alle loro spalle, le bloccò. “Ma brave… Proprio una bella scenetta. Non ho mai visto suocera e nuora andare più d’accordo. Ma vi sembrano cose da fare? Non vi vergognate?” Sull’uscio, ancora con l’impermeabile addosso e la borsa in mano, c’era lui, il figlio e marito Marco. Tutti e tre si fissavano. La suocera non si era nemmeno rialzata, aveva solo girato la testa e se ne stava lì con il sedere flagellato in esposizione. Luisa avrebbe voluto fuggire. Ma Marco, stranamente imperioso ed energico, continuò: “E questo sarebbe il magistrato tutto d’un pezzo e quest’altra la fanciulla pura come un giglio? Siete solo delle depravate che meritano una bella e sacrosanta lezione”. La commedia non era finita, ora cominciava il secondo atto. “Avanti spogliatevi”. Luisa guardò la suocera: “No, no. Qui si sta esagerando, il gioco ora deve finire”. Avrebbe voluto dirlo a quei due, ma le parole le si seccarono in gola. “Marco non essere troppo severo. Sono pur sempre tua madre”. E mentre diceva così donna Emma si slacciava la camicia. Rimase nuda con la sua guepiere nera. Luisa non ne aveva mai viste di fatte così. Non copriva il seno, ma lo sosteneva solo. Era come se quelle due tettone fossero offerte su due vassoi e così sorrette sembravano ancor più grosse e … … … .Le venne in mente il regalo che le aveva fatto per l’anniversario di nozze. Dunque quella roba se la comprava anche per lei. Chi l’avrebbe mai pensato che sotto quei vestiti impeccabili e serissimi… “E tu cosa aspetti” le intimò il marito. La suocera l’accarezzò con uno sguardo d’incoraggiamento. Si spogliò. Donna Emma finalmente poteva vederla completamente nuda, risplendere in tutta la sua bellezza. Sentì quegli occhi frugarla dappertutto, sbavavano di voglia. Ma ancora una volta la voce del marito le interruppe. “Mettetevi sul letto… ecco così a quattro zampe… più vicine… più vicine, in modo che i vostri sederi si tocchino”. Sentì la pelle bollente della suocera contro la sua. E poi sentì il morso della frusta. Luisa cacciò un urlo che rimbombò nella stanza, inarcò la schiena, ma non accennò ad alzarsi. Filippo, ancora con l’impermeabile, iniziò a traffiggerle con frustate secche, distribuendo equamente i colpi. Uno al culone della madre e uno al culetto della moglie. Si stringevano uno all’altro come per proteggersi. Ma appena Marco preso dalla foga dava due frustate dalla stessa parte, l’altro si protendeva per avere la sua razione. Luisa guardò la suocera, carponi come un animale, che emetteva gridolini di piacere. Vide i suoi seni che, sotto i colpi, sussultavano e dondolavano come grandi onde. Non avrebbe mai creduto che le tette di una donna potessero piacerle tanto. “Fai come me, masturbati, sentirai meno male” le sussurò la suocera con voce alterata. Come un automa le obbedì. “Cosa state facendo – gridò Marco – ricominciate con le porcherie? Adesso vi sistemo io” e cominciò a colpirle in mezzo alle gambe. Ma loro non smisero affatto di torturarsi la figa. Mentre il frustino si aggiungeva alle loro dita nel martirizzare quei poveri clitoridi, non si capiva se più gonfi per il piacere o per le frustate. Luisa chiuse gli occhi e si morsicò le labbra. Sentì un fiato caldo sulla sua bocca. Aprì gli occhi. Sua suocera le leccò le labbra. Che fare? Socchiuse la bocca. La suocera le spinse dentro la lingua. Che fare? Luisa spinse la sua dentro la bocca della suocera. Stava baciando un’altra donna, ma quale altra donna.. .stava baciando sua suocera. E che bacio… Richiuse gli occhi e non volle neppure pensarci. Anzi no, una cosa la pensò: “Baciano meglio le donne”. Ad un certo punto donna Emma fu colta da convulsioni. Ansimava, rantolava e ansimava: “Oddio..oddio… così… così, muoio… oddio vengo aaahhh… .uuuhhh… è stupendo… più forte… odddiooo.. picchia… straziami… .ooohhooho… dio mio… dio mio… picchia… più forte … sulla figa… scopami con quella frusta… squartami… .aaahhh… aaahhh… ooooooohhhhhhhhhh”. E si accasciò. Luisa non aveva mai visto un orgasmo di simile. E, a essere proprio sinceri, provò un po’ d’invidia. Passarono un paio di minuti, che servirono a tutti e tre per riprendere fiato, poi la suocera si alzò e diede inizio al terzo atto della commedia. “Ma come ti sei permesso di picchiare tua madre”. La recita, a Luisa cominciava ad apparire un po’ ridicola. Ma i due la interpretavano in modo così serio e convinto, che era costretta a stare al gioco. “In tribunale applico la legge dello stato, ma a casa mia vale la legge del taglione. Ora spogliati”. Marco, evidentemente era abituato a tutta la messa in scena, perchè passò dal ruolo del torturatore a quello della vittima con grande disinvoltura. Ben presto rimase in piedi nudo. Donna Emma prese da un cassetto due frustini. Uno lo diede a Silvia dicendole: “Avanti diamogli una bella lezione”. Marco si era tolto impermeabile, pantaloni e mutande. Ed era rimasto lì in piedi, con scarpe e calzini neri fino al ginocchio, con cravatta e giacca da cui spuntavano due natiche biancastre e pelose. Sembrava un paziente in attesa che il medico lo visitasse. A Luisa parve assolutamente goffo e vagamente comico, con quell’aria da bancario a culo nudo, se non fosse che l’aggettivo mal si inseriva nel contesto. Le considerazioni estetiche di Luisa furono comunque troncate dall’aspro sibilo della prima staffilata, che la suocera e dolce-mammina rifilò sulle chiappe del reprobo. Quella donna era davvero assatanata e insaziabile. “Avanti, diamogli quel che si merita… … facciamolo pentire di quel che ha fatto..non si frustano due donne indifese”. Incitava la suocera che, ogni volta che brandiva una frusta o qualunque cosa le assomigliasse, si trasfigurava. Marco con le mani si teneva appoggiato al bordo del cassettone e incassava in silenzio e ad occhi chiusi i colpi. “Avanti che fai, hai paura del tuo maritino? … ..Guarda che a lui piace farsi punire”. Nel reticolo di neuroni cerebrali di Luisa continuavano a giungere impulsi raziocinanti, che cercavano faticosamente di farle ricollocare nella loro corretta dimensione e significato il quadro di avvenimenti in cui si trovava coinvolta. Ma che cosa è razionale? La norma o l’istinto? Non ebbe nè il tempo, nè la necessità di rispondersi. Perchè senza accorgersene il suo frustino stava già accarezzando il sedere del marito. Una da una parte e l’altra dall’altra, guardandosi in faccia con un sorriso complice e compiaciuto presero a colpire, la moglie la natica di sinistra e la madre quella di destra. Ad ogni colpo che assestava Silvia si sentiva palpitare tra le gambe. Marco rispondeva con un lamento sordo e cupo, stringendo le due mani con forza attorno ai bordi del mobile, che aveva un ripiano di vetro, su cui le dita sudate lasciavano piccoli aloni appannati. Ogni colpo sul sedere era come se azionasse una specie di elevatore alla base del inguine. Dopo pochi secondi, Luisa, con la coda dell’occhio, vide ergersi tra i lembi della camicia il cazzo del marito in tutta la sua prorompente vitalità. Probabilmente era solo un’illusione ottica dovuta alla circostanza, il trovarsi lì, nuda, a frustare il culo del marito, di fronte alla suocera (l’illustrissimo giudice) in guepiere nera con le tettone che sobbalzavano libere, che faceva altrettanto. Ma il membro coniugale, che le era sempre parso assolutamente il linea con tutto l’insieme del suo uomo, cioè rientrante nella più banale normalità, le apparve di dimensioni stupendamente interessanti. Evidentemente le frustate avevano un potere maieutico eccezionale su quell’uomo. La vista di quell’ammiccante turgore illuminò il viso della madre-suocera. Col frustino vibrò un leggero colpo sul membro. “Cosa fai porco, ti ecciti anche… quando ti puniamo… ..allora dovremo rincarare la dose”. E prese ad assestare colpi sul cazzo del figlio. Marco urlò sommessamente, quasi temesse di far arrabbiare di più la madre. “No vi prego, lì no” . Ma essendo che non si spostò neppure di un millimetro per evitare i colpi, la sua era chiaramente una preghiera che auspicava a non essere esaudita. Così fustigato quel cazzo, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, pareva ergersi e ingrossarsi ancor di più. Vampate di sangue e adrenalina pompavano dentro le sue vene. Silvia strabuzzava gli occhi e la bocca le si riempiva di saliva. Inutile negarlo era eccitatissima, aveva smesso di frustare e si godeva attonita lo spettacolo di quella specie di sabba domestico. Marco dolorante e in preda a un delirante arrapamento. La suocera che con fredda determinazione, continuava ad assestare colpi, su quel povero cazzo ormai color porpora. Fu scossa dalla voce della suocera, che continuava a dirigere le operazione con sapiente e consumata regia. “Avanti, non vedi come soffre, sei o non sei sua moglie.. ..fai qualcosa per alleviare le sue pene”. Luisa non sapeva bene cosa fare. Prese ad accarezzare con qualche titubanza quel membro ormai paonazzo e solcato da vene contorte e gonfie come radici. “Avanti, un po’ più di dedizione” le disse donna Emma con voce mielosamente bavosa. La scostò leggermente. “Si fa così… ti debbo proprio insegnare tutto”. Si chinò col viso all’altezza del pube di Marco. Dischiuse le labbra, estrasse la lingua in tutta la sua lunghezza, vi depositò sopra il cazzo rovente del figlio. Quasi lo avvolse con la lingua, come in un pietoso sudario, poi lo fece scivolare lentamente all’interno della bocca, stringendolo con le labbra bagnate. “No, questo è troppo” pensò Luisa. “L’incesto no. La madre, anzi l’illustrissimo giudice che succhia il cazzo a suo figlio, anzi a mio marito. Questo è troppo, qui siamo diventati tutti pazzi. questo è un sogno”. Avrebbe voluto dire queste cose ad alta voce. Ma la bocca le si era talmente inondata di saliva, che come la aprì un filino di bava le scese dal labbro inferiore, proprio come ai lattanti. Capì che l’inferno l’aveva ormai inghiottita e che poteva lasciare ogni speranza, non ne sarebbe più uscita. “Avanti, fai tu ora”. Le disse con un sorriso luciferino la suocera. Con una mano sulle spalle, la fece piegare in avanti. Con l’altra le porse il cazzo del figlio-marito. Luisa aprì incredula le labbra e lei le spinse dentro quell’enorme membro. Vibrava come la canna di un organo e pulsava che sentiva il rimbombo nella gola, fin giù nel petto. Quel cazzo scuro, nodoso, quasi ferino creava uno stupefacente contrasto con il viso delicato e pallido di Silvia. Quanto il suo incarnato opalescente pareva quasi angelico, tanto quel pezzo di carne che vi si piantava dentro aveva un che di animalesco. Un contrasto stupendo e incredibilmente eccitante pensò donna Emma. “Brava… vedi che sei proprio brava… .su ora un po’ più di trasporto”. E per incitarla le affibbiò una frustata sul sedere. Poi si spostò e ne rifilò una a Marco. Così, come se stesse incitando due cavalli a correre, prese di nuovo a infliggere colpi, ora alla nuora, ora al figlio. Luisa, che si era sempre cimentata con una certa timidezza nel sesso orale, a sentire il morso della frusta sulla sua carne, a sentire gli incitamenti osceni della suocera, fu travolta da una foga sconosciuta. Prese a leccare, a succhiare e a divorare quel cazzo ansimando e sbavando. Lo estraeva completamente dalla bocca accarezzandolo con le labbra. Poi glielo rituffava dentro, emettendo gemiti di soddisfazione. Poi lo riestraeva e lo leccava con tutta la lingua, partendo dalla base, su su fino al glande lucido. Poi se lo riaffondava in bocca, spingendolo fin quasi in gola, nel tentativo di farcelo stare tutto. La saliva le colava agli angoli della bocca. Con gli occhi seguiva la suocera nella sua danza torturatrice. Guardava infoiata il suo culone e avrebbe voluto morderlo, percuoterlo a sangue. E forse anche lei lo avrebbe voluto. Poi donna Emma le girò dietro e sparì alla sua vista. Smise anche di frustarla. Senti il calore del suo corpo avvicinarsi al suo. Sentì le sue mani farsi improvvisamente delicate sul suo morbido culetto paffuto. La accarezzava con un tocco lieve quasi materno. Con una leggera pressione le fece aprire di più le gambe. Sentì le dita che le dischiudevano la carne. Sentì qualcosa che premeva. Non ebbe il tempo per capire cosa fosse, che si sentì aprire, penetrare e riempire da qualcosa di grosso e duro. Essendo che l’unico membro maschile a disposizione in quel momento stava comodamente alloggiato nella sua bocca ed essendo che un dito di quella donna per quando alta e massiccia non poteva avere quelle dimensioni, cosa poteva essere che cominciava nella mano della suocera e terminava ormai in fondo alla sua vagina? Guardandosi attorno, lo sguardo cadde sul manico del suo frustino, rimasto a terra. Prima non vi aveva fatto caso, ma aveva una forma significativamente fallica. E capì. In bocca aveva il cazzo del marito, nella figa un aggeggio di gomma nera che la suocera faceva entrare e uscire con mano esperta, accompagnando l’operazione con considerazioni del tipo: “Che carne tenera hai… . E che fighettina stretta e rosa… … … però sei bella bagnata. Ti piace farti scopare dalla tua suocerina eh? Piccola troietta mia”. La situazione era decisamente difficile da definire. Che dire?!?! E’ bello vedere una famiglia così unita. Donna Emma si alzò, lasciando il frustino appeso tra le cosce della nuora e disse: “Mica vorrai goderti tutto tu”. Tirò per un braccio il figlio, lo fece alzare dal letto, raccattò da terra l’altra frusta e prese il suo posto. Senza quasi accorgersene Silvia si trovò sotto il naso, al posto della virilità maritale, un irsuto vello scuro, con propaggini ricciute che risalivano lungo le pieghe dell’inguine e su fino all’ombelico; e scendevano verso il basso nel solco del sedere. Quant’era pelosa. Davanti agli occhi di Luisa comparve una di quelle immagini del diavolo rappresentato dalla vita in giù come caprone. Ricordò gli insegnamenti delle suore: state attente il diavolo si nasconde sotto molte sembianze, a volte le più insospettabili. Guardò istintivamente dentro le scarpe della suocera per vedere se scorgeva qualcosa che assomigliasse a uno zoccolo. No, non c’era. Sentì armeggiare nelle sue parti intime. Dal variare della temperatura capì che il posto del manico era stato preso dal marito. Il manico dell’altro frustino invece le fu posto in mano dalla suocera. “Avanti sù, ti ho fatto vedere come si usa”. La prima cosa che venne in mente a Silvia fu: “Come farò a trovare l’entrata in mezzo a questa selva… una selva oscura che la diritta via era smarrita”. Dante. In quella situazione a lei era venuto in mente Dante. Era assolutamente assurdo, ridicolo. … .. E di nuovo l’inferno. Un altro segno. E se una coincidenza è una coincidenza, due cominciano ad essere un indizio. Sembrava che la suocera leggesse nel suo pensiero. Perchè affondò le dite delle due mani tra i peli e si aprì la figa. Avanti dunque.. Ancora con qualche incertezza appoggiò quel coso di gomma nera al centro di quella carnosità madida e pulsante. E premette. Scivolò dentro senza nessuno sforzo. L’incertezza fu presto messa da parte. E il suo posto fu preso da movimenti decisi. Poi da una vera e propria foga. Quasi rabbia… . o entusiasmo. Vendetta… . o liberazione. Sul volto di donna Emma si intagliò un sorriso sulfureo.
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