Fabiana era tesa. Erano strascorse ormai, due settimane da quando aveva risposto all’annuncio… “Cosa sto cercando? Cosa stai cercando? Se la risposta è LA DISCIPLINA DI UNA SCULACCIATA, a te si rivolge questo messaggio. Lascia la tua richiesta,rispettosamente formulata a maxdominus@virgilio.it”. A quella prima risposta era seguita un’intensa corrispondenza, sempre preceduta dalla curiosità e dalla’ansia di leggere le mail che l’attendevano, riposte nell’hard disk di qualche server, pronte a sorprenderla con incipit adesso severi, adesso comprensivi, quasi dolci. Sempre di più il pensiero di quell’appuntamento elettronico conquistava spazio nella sua giornata,fino a diventare imprescindibile, irrinunciabile. Fabiana aveva, un po’ alla volta, imparato a conoscere quell’uomo, e, un po’ alla volta si era presentata a lui, descrivendo la sua giornata, i suoi pensieri e i suoi timori, oltre chele aspettative di un incontro, la cui attesa avrebbero dovuto entrambi gustare in ogni sua sfumatura. Ora era diverso, lui stava arrivando, e con lui la prima sculacciata, un ritardo nell’inviare una delle ultime mail non era stato digerito bene, oltre che alcune piccole altre questioni rimaste insolute nei dialoghi emersi dalla corrispondenza. Del suo aspetto fisico conosceva solo il volto, inviato in forma di foto digitale, mentre di li a poco avrebbe conosciuto anche lo spessore delle sue mani e l’energia con cui sarebbe stata sculacciata. Per non incorre in altre misure disciplinari si era vestita nella maniera che il suo corrispondente gradiva di più: pantaloni neri e camicia bianca, oltreché una biancheria casta e coprente. Drinn… eccoci al dunque, con un doveroso groppo alla gola apre Fabiana apre la porta. I convenevoli sono cordiali ma formali, lei a testa china con il volto in fiamme cerca di rubarne i tratti somatici, lui, dalla sicurezza della sua posizione la studia con attenzione. “Bene piccola Fabiana, ti ho dato modo di temporeggiare, ora sai cosa ti aspetta, quindi tantovale iniziare, spero che tutto ciò ti serva ad assumere un rigore maggiore nel tuo comportamento”. Si siede con calma compassata su una sedia in atrio, le volge lo sguarso… “Dimmi se alla tua età devo arrivare a tanto per insegnarti alcune regole di comportamento fondamentali”. “Signorina, ti dispiacerebbe abbassarti i pantaloni e gli slip?”. Quel “signorina” bruciava molto di più di quello che l’aspettava. Lei, che non si sentiva a suo agio nemmeno in spiaggia con il costume a due pezzi, ora doveva scoprire il sedere difronte a un quasi sconosciuto, per essere, oltretutto punita come una bimba, e magari dopo, anche ringraziarlo per la lezione impartitale. Uno sconosciuto che, a differenza sua, rimaneva completamente vestito, ben abbotonato nel suo abito, uno sconosciuto che, a differenza sua, teneva il capo ben eretto e la fissava, I pantaloni si trovarono ben presto alle ginocchia, mentre le dita indugiavano sul bordo degli slip, rigorosamente bianchi. Rappresentavano l’ultimo baluardo a difesa della sua nudità più intima prima di offrire le natiche al castigo. “Muoviti Fabiana, almeno in questo cerca di essere celere”. Era realmente indifesa, con le mani corpiva il pube mentre attendeva le prescrizioni per l’inevitabile pena. Un gesto di lui le indicò le sue ginocchia e in breve il bacino di Fabiana si trovò appoggiato sulle sue gambe. La ragazza, imbarazzata al parossismo si scoprì a respirare in maniera superficiale e veloce, quasi intimorita che il movimento del ventre causasse un contatto troppo intimo con le sue gambe. Le braccia, ormai divenute scomode penzolavano oltre le ginocchia del suo educatore e le gambe distese, erano serrate, quasi a difendere, ingenuamente, l’ultimo spiraglio d’intimità. I primi colpi suscitarono in lei stupore poiché poco dolorosi ma forieri di un fragoroso phaff… i primi colpi… . … Erano ormai trascorsi alcuni minuti, quanti non riusciva a ipotizzarlo, che Fabiana, col ventre appoggiata sulle ginocchia del suo educatore, offriva il sedere scoperto ai colpi di un palmo severo. Se i primi suoi pensieri andavano allo stupore del rumore, goffo e quasi ridicolo che provocava la sculacciata, al timore che tale rumore fosse udito e identificato dai vicini, quelli successivi erano di tutt’altra natura. Stupore e timore avevano lasciato il passo a più immediate e brucinati sensazioni; il caldo che si stava diffondendo sulle natiche intervallato dai morsi pungenti dei colpi, non le lasciavano più spazio per riflessioni di sorta. Chi se ne frega se i vicini sentono quei ridicoli paff prodotti dalle sculacciate, chi se ne frega se intuiscono qualcosa e chi se ne frega se il suo sedere e nudo difronte ad uno sconosciuto… lei ora vuole solo un attimo di solievo. Fabiana reprime l’impellete desiderio di muoversi, la voglia irrefrenabile si sottrassi, almeno parzialmente hai colpi. Ma quello è il suo castigo, sà che lo merita e sà che postarsi non le porterebbe nulla di buono quindi imbocca l’unica via che le è concessa, rassegnarsi e guardare al momento in cui sarà finita. Il pensiero della fine sembra magico poiché dopo un po’ i colpi s’interrompono, e segue il silenzio. Un silenzio foriero d’imbarazzo, di ulteriore imbarazzo, ma anche di lenimento, le natiche ora sono calde e bruciano ma almeno non sono attinte dai colpi della sua mano, di una mano ampia e pesante. Il respiro, pian piano torna regolare, ma incorniacia l’imbarazzo del del silezio poiché è l’unico rumore nella stanza, fatta eccezione per quello del traffico che propvieve dalla strada sottostante. La sua pancia è adagiata sulle ginocchia del suo educatore, e parzialmente anche il suo ventre, lei non osa parlare, né muoversi, lui tace e basta. Fabiana pensa alla vista che gli sta offrendo, il suo sedere, per quanto ne sa lei, rosso, è rivolto verso l’alto, inerme e indifeso alle decisioni di lui, poiché Fabiana ha ormai delegato a quello sconosciuto la sua disciplina e il suo orgoglio. La sensazioni degli slip e dei pataloni raggrumati poco sopra le ginocchia accentuano e firmano questa sensazione, questo momento. Un pensiero fugace la trapassa, vibrante ma non doloroso… “cosa direbbere i suoi amici, i suoi colleghi se la vedessero così? Se soltanto la sapessero così?”… un pensiero sensa risposta perchè la voce maschile si rifà sentire, tranquilla, un po’ dolce. “Bene Fabiana, ora farò una sosta. Vai a prepararmi un caffè”. “E’ finita”, pensa Fabiana, “ho ricevuto il mio castigo è ora sono in pari, si riparte da zero”, e quindi con entusiasmo fanciullesco scatta in piedi e accenna a rialzarsi gli slip per ricomporsi, sempre cercando di coprisi il pube con una mano. “Cosa fai?” Come “cosa faì?”. Ho sbagliato di nuovo? Gli slip… si non devo toccarli, non posso… no… ora mi punirà… ricomincerà…non ora, non subito… questi i rapidi pensieri, queste i lampanti timori. Riabbassa subito gli slip, e toglie la mano che le copriva il pube, “si, se mi vede così è più umiliante, e forse perdona la mia inesperienza, la mia ingenuità”. E infatti… “brava, ora sbrigati”. Il caffè è sorbito in traquillità, mentre l’uomo la guarda stare in piedi con il groviglio d’indumenti alle ginocchia e le mani rigorosamente lungo i fianchi. Il bruciore stava lentamente attenuandosi mentre… “Spero ti sarai riposata. Togli i pantaloni e gli slip e sdraiati di schiena sul tavolo. Non dimenticare di sollevare le gambe”. Ormai Fabiana aveva rinunciato alla sua dignità e si trovava nella posizione prescrittale, sapeva bene che la visuale che offriva era tutt’altro che pudica, ma sapeva altrettanto bene, ormai, quello che avrebbe provato al pesante contatto con la spazzola che lui teneva in mano. Come una promessa i colpi arrivarono e come una promessa furono rumorosi. Un tempo indefinito portò nuovamente le parole del suo tutore… “E’ finita Fabiana, vai a quell’angolo per mezz’ora e medita sugli errori che non farai più”. Solo quando si trovò con la faccia che fissava lo spoglio angolo e le mani dietro la schiena, senti la sua carezza che le lisciava i capelli dalla testa al collo… “Sei perdonata, spero avrai capito il tenore del comportamento che d’ora in poi devi adottare”. Mentre meditava se fosse il caso di proferire verbo, se ringraziare o cosa, il tonfo pacato della dell’uscio che si chiudeva le fece capire di essere sola. Stramente si accorse che poche volte si era sentità così sola, nei primi istanti si aggrappò al ricordo della carezza, poi, subito dopo, anche al tepore dolente che provava alle natiche e a quel senso d’imbarazzo che ancora la permeava nel ricordo del castigo. Non osò muoversi per la mezz’ora rimante, se lei era li allora vuol dire che era ancora in castigo, e allora è come se lui fosse ancora li. …
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