Mi chiamo Pasquale, Pasquale Criscuòlo, soprannominato Squalo a motivo che quando ero nu uaglionciello di 6 o 7 anni, andando in motorino con mio fratello pigliammo una bruttissima caduta, io cadetti di faccia e mi rompietti la mascella, e m’avettero a tirare tutti i denti, sopra e sotto. L’osso si aggiustò e i denti ricrescettero, però tutti storti, ognuno per i cazzi suoi, e m’avettero a mettere una machinetta comme a quella oggi che portano tanti uagliuni, ma la mia era assai più massiccia, parìa che tenevo i denti di acciaio, se facevo un sorriso e ci stava ‘o sole era a rischio che qualcuno si cecava. Col tempo le cose si appararono, si aggiustarono, però il soprannome rimanette, come fanno quasi tutti i soprannomi, anche perché crescendo avevo pigliato a comportarmi propio comme a uno squalo: ‘n coppa ‘a spiaggia (ma non solo là, poteva capitare in qualsiasi posto) facevo strage di femmine, abbastava che vedevo un culo o una zizza che mi attirava l’occhio e mi buttavo a corpo morto, le puntavo e non mollavo la presa fino a che non me le gnotticavo. Poi -si sa- le cose cambiano: uno cresce, mette la capa a posto, si sposa… Io trovatti a faticare all’Alfa Romeo, e lì canoscetti a Michela, quella che poi diventò mia moglie. Michela era una vera bellezza, un gioiello. Risaltava miezz’ alle altre comme a un diamante int’ a ‘na maniata di carbone, non sono mai riuscito a spiegarmi comme ci fosse finita all’Alfa Romeo. È vero che con la disoccupazione che ci sta da noi bisogna accontentarsi, ma lei poteva puntare a livelli molto più alti. Comunque ci stava, e io appena la vedetti facetti comme al solito mio, comme a lo squalo: la puntai a testa vascia, l’abbrancolai e la tenetti ‘nserrata fino a che non capitolò (cosa che avvenne abbastanza presto, devo dire). Eravamo innammorati, ci volevamo bene assai, e in capo a manco due anni ci sposammo. E eravamo felici. Niente di straordinario, comme a noi ce ne stavano n’ate e centomila e di più, ma a noi ci abbastava quello che tenevamo (che non era assai, ma ce lo facevamo abbastare) e di quel periodo non m’arricordo una volta che se a uno o all’altra veniva la voglia di fare all’amore l’altro non ci stava. Spesso non aspettavamo manco di andare a letto, putìa succedere che lo facevamo sul divano, o sul tappeto, mentre guardavamo la televisione; o sul tavolo in cucina, o al’erta al’erta se la tavola era apparecchiata; o in gabinetto sotto la doccia, o sulla lavatrice se Michela si trovava a fare il bucato. E sotto la doccia. E tante volte anche fora di casa, che so, poteva capitare che stavamo andando da qualche parte, veniva lo schiribizzo e ci infrattavamo, fuori vista se possibile, se no pure int’ a le piazzole di sosta, coi camionisti che menavano botte di clacson mentre ci passavano affianco. Insomma, l’allenamento che tenevo fatto mi faceva rispondere sempre ‘pronto’ all’appello, e! di anticiparla spesso e volentieri: era una specie di gara a chi prima si faceva venire la voglia, e a trovare sempre nuovi posti dove togliersela. Una volta l’abbiamo fatto nei cessi di un centro commerciale: al momento di tràsere in quello delle donne ci stava gente, e io non ci potevo mica tràsere, allora andammo in quello degli ommini che in quel momento era vuoto, solo che quanno finèttimo, ascenno dallo sgabuzzino, c’erano tre che stavano pisciando, cacciarono tanto di occhi, a rischio di farsela sulle scarpe se poco poco non si stavano attenti. (Io e Michela ci mesimo a ridere come pazzi). N’ata vota jettimo allo spedale, a trovare un amico nostro che si doveva operare per via di certi calcoli alla cisti. Mentre acchianavamo le scale tenevo il culo e le cosce di mia moglie giusto davanti all’occhi, a me ci serve molto meno per farmi scarmazzare il sangue alla testa, accussì arrivati al piano accumenzammo a aprire porte fino a che trovattimo una specie di sgabuzzino pieno di cose per le pulizie, e là dentro facettimo quello che dovevamo fare. Solo che là, nello spedale, non c’erano gli altoparlanti che facevano ammuìna come al centro commerciale, la gente che passava sentiva i rumori che succedevano e le lamentìe di mia moglie… quanno ascèttimo, trovàttimo che s’era accòvita una morra di gente dietro la porta. Uno scuorno… Meno male che mia moglie trovò un poco di presenza di spirito, dicette a alta voce “Embè? Mi sono sentita poco bene e mio marito mi ha aiutato a ripigliarmi” poi aisò la faccia e tagliò in mezzo alla folla comme a Mosè colle acque del Mar R! osso. Pure economicamente non ci potevamo lamentare: tutti e due tenevamo fatica, a me il mio lavoro mi piaceva, da operaio ero addiventato presto prima operaio specializzato, poi capo squadra e stava quasi per quagliare la promozione a capo reparto quanno l’Alfa Romeo ci facette a tutti quanti il bello scherzo e ci mettette in cassa integrazione. E qua si può dire che c’è stata la svirgola, il momento che la nostra vita è cambiata. E si, perché a stare tutti e due in cassa integrazione non tenevamo che cazzo fare, i primi tempi ce la pigliammo con commodo, a riposare, a divertirci (però senza scialare troppo, i due stipendi erano addiventati un poco più di uno e le spese c’erano) e a fare l’amore a ogni cinque minuti; però doppo un paio di mesi ci era venuto a stuffo, non di fare l’amore perché di quello tenevamo sempre voglia, ma a trovarsi ogni momento per avanti uno coll’altro tutto il santo giorno (Che cosa curiosa: quanno tenevamo che fare non vedevamo l’ora di stare 5 minuti da soli… mo’ invece…). Quanno tenevamo il lavoro avevamo pigliato l’abitudine di fare la spesa una volta alla settimana, e accussì avevamo continuato a fare, perciò fernùto di fare i servizi della casa Michela s’assettava avanti alla televisione e là stava, se la guardava una continuazione, a rischio che certe volte sciarravamo per i programmi da guardare, e accominciàttimo a sciarrare sempre più spesso, accussì per evita! re il nervoso pigliai l’abitudine di uscire, ritornavo giusto per mezzogiorno e poi uscivo ancora, fino alla sera. Solo che così mi scassavo la uàllera, a stare in giro tutto ‘o juorno senza fare niente mi abbottavano i coglioni. Al bar non ci potevo stare sempre senza consumare, e i soldi erano quelli che erano… accuminciai a cercare qualche cosa da fare, lavoretti così, un po’ per abbuscare qualche soldo, ma se la persona mi stava a genio certe volte pure aggratìs, soprattutto per far passare il tempo. ‘Na matina stavo per l’appunto montando la parabbolica a uno che stava al secondo piano del condominio di fronte al mio. Per pura combinazione mi trovavo sul balcone, quanno sentietti a uno che stava dicendo a alta voce “Pronto? Michela?” Pigliato dalla curiosità mi affacciai, a tempo per vedere due uagliunastri di una trentina di anni, tirati a lucido co’ giacca e cravatta, uno dei quali stava parlando al citofono del mio condominio. Dove avevamo pigliato casa i condomini non sono grossi assai, massimo 15 o 16 famiglie per uno; io nel mio canoscevo il nome di tutti quanti, e l’unica che si chiamava Michela era mia moglie. La cosa mi puzzava assai, anche perché quello stava dicendo “Ci sta pure Rafèle… putimme acchianà?” E che cazzo dovevano acchianare a fare in casa mia? Quei due non li canoscevo, facce mai viste prima… fino a due mesi avanti gli amici che tenevamo io e mia moglie erano amici in comune, cioè gli amici suoi erano pure i miei, non tenevamo giri separati; e doppo mi risultava che Michela asciva poco quanto niente: se era da andare a qualche parte tutti e due, bene; se aveva a ascire da sola trovava sempre qualche scusa per rimanere a casa, tanto che mi ero cominciato a pigliare pensiero, stava sempre impiccicata alla televisione… Inzomma, Michela gli aveva aperto il portone, e i due trasettero dentro senza manco votarsi a guardarsi attorno. Da quel momento non arriscietti a pigliare requie, sempre col pensiero di quei due che erano trasuti in casa mia. Che cazzo volevano? Soldi? E a che titolo? E se non volevano soldi, chi potevano essere? Mala gente, pupi della camorra? E che ci venivano a fare a casa mia? E poi… se erano mala gente, Michela non li faceva mica trasire. A meno che… forse stava sotto minaccia, che ne so… magari robba di ricatti… ma noi non tenevamo niente da tenere nascosto… O si? Mi era pigliata la smania di sapere, di andare a vedere. Mia moglie poteva tenere bisogno di me! Trovai la scusa che mi ero scordato un attrezzo a casa, facevo un momento un salto a pigliarlo e tornavo. Non erano passati manco 10 minuti da quanno i due erano trasuti nel portone che io facevo la stessa cosa, acchiananno gli scalini a tre alla volta. Sul mio pianerottolo ripigliai fiato un momento, poi mettetti l’orecchio sulla porta per vedere se si sentivano voci o rumori, ma non si sentiva niente. Provatti a aprire la porta ma era ‘nzerrata, dovetti usare le chiavi mie e cercare di non fare rumori. Trasetti quateloso quateloso, e in quel momento sentetti voci, quella di Michela che si stava lamentando e gli altri due che parevano incazzati. Pensatti che ci avevo azzeccato: quei due stronzi erano mala gente che cercava qualcosa da Michela. Che cosa, lo scoprivo più tardi mo’ era necessario tirare fuori Michela da quella situazione sana e salva, possibilmente senza rimetterci io le penne. Avevo fatto bene a venire! Nell’ingresso non c’era niente che potevo usare come armi… il portombrelli e l’attaccapanni erano troppo ingombranti per poterli maneggiare bene. In quel momento sarrìa stata utile una pistola, ma non ne avevo mai tenute, a che cazzo mi potevano servire? Però in cucina tenevo 4 o 5 cortelli grossi, forse uno di quelli poteva abbassare… Jetti a vedere che non stavano proprio lì dentro, ma le voci (mo’ le sentivo abbastanza bene, anche se non arriscivo a capire che dicevano) venivano dalla camera da letto, aprietti il tiraturo, pigliatti i due cortelli più lunghi e mi mettetti dietro la porta della camera da letto, che era chiusa. Provatti a spiare dalla serratura ma non si vedeva niente, il letto era troppo spostato di lato. Michela si lamentiava quasi continuamente, chissà che le stavano a fare, poveretta… non volevo perdere tempo, però dovevo pure stare attento, se mi pigliavano pure a me non ci stavano più santi. Provatti a aprire la porta che per fortuna non era chiusa a chiave (non tenevo le chiavi), quateloso quateloso arriscietti a aprire uno spiffero per farmi un quadro della situazione prima di scaraventarmi dentro. E… Quello che vedetti tutto era meno che quello che mi aspettavo di vedere. Michela si lamentiava, questo si, ma per motivi tutti diversi da quello che avevo pensato io. Dalla porta la potevo vedere bene, stava messa a pecora sopra al letto (sopra al nostro letto) senza cammisòla, le zinne che sbattevano avanti e dietro, la gonna tirata sopra e uno da dietro a lei, tutto nudo, vottàva comme a un dannato, manco se stava a spertusare di forza un muro di cemento, e l’altro davanti, pure lui tutto nudo, strizzava le zinne tale e quale comme se stava a mungere una vacca, e ogni tanto si pigliava il cazzo e lo sbatteva sulla faccia di Michela, e Michela che cercava di ammoccaresèllo, di pigliarselo in bocca. Cose ‘e pazzi, da rimanerci scimuniti! Io non arriscivo a pensare manco “uà!”, rimanetti scristianuto comme a un mammalucco a guardare, senza arrièscere a credere a quello che vedevo. E mentre stavo a guardare, i due masculi si cambiano di posto, quello che stava davanti a Michela passa dietro e si mette pure lui a vottàre alla cecàta, quello che stava dietro si mette davanti, piglia la testa di Michela da dietro il cuzzetto e gli mette pari pari il cazzo in bocca, tutto quanto, col naso di Michela che gli affonnava nella panza. Quella non era mia moglie… non era la Michela che sapevo io. E non tanto per quello che stava facendo, soprattutto per come lo stava facendo! Sul momento mi ero fatta l’idea che ci era stata costretta, poteva essere quello il pagamento del ricatto… ma non era per niente così, lo vedeva pure uno cecato che ci provava gusto. E che gusto! Quello che non mi facevo capace era proprio questo, il fatto che era essa a portare avanti il gioco, e che ci provava un piacere che certi momenti parìa che stava per scoppiare. Non eravamo mica santarellini, io e mia moglie… certe cose ci piacevano farle, e ci eravamo levàti parecchi sfizi, come ho detto avevamo fatto l’amore in un sacco di modi e di posti, ci piaceva a tutti e due farlo sempre in maniera diversa, ma così non l’avevo mai vista. E a me non l’aveva mai pigliato in bocca. E nemmeno mi aveva dato il culo. Io non glielo avevo mai chiesto, questo è vero, ma perché non pensavo che a lei poteva fare piacere (io pure non è che ne ascivo pazzo), mo’ invece parìa ‘na zoccola che due cazzi non pareva che gli abbastavano. E io… Io non sapevo che fare. Se me l’avesse contato un altro, un fatto comme a questo, gli avrei detto che io sarrìa trasuto nella camera comme ‘nu pazzo e l’avessi accisi tutti e tre, là comme stavano, nudi e crudi. Invece, stavo a guardare da dietro la porta a mia moglie che fotteva co’ due ommini che manco si sapeva chi erano, si pigliava un piacere da pazzi, e… a starla a guardare mi era venuto ‘na mazza dura comme a ‘nu puntello, quei chiovi grossi che usano gli scultori per fare le statue. Forse stavo ascenno pazzo, ma mi stavo veramente arrapando. Michela stava sempre a pecora, la tenevo davanti quasi di profilo, dalla mia posizione non potevo vedere se quello che mi parìa che si chiamava Rafèle glielo stava mettendo nel culo o se se la stava chiavando, vedevo solo che ci metteva tutto il sentimento; e lo stesso sentimento ci metteva Michela a pigliarsi in bocca la mazza di quell’altro, Carlo: se l’aveva agguantato con una mano e se lo sorchiava allo stesso modo di uno che sta morendo di sete si sorchia una bottiglia fresca di cantina. E giusto a quel momento s’aggirò panza all’aria, le cosce tutte aperte che potevo vedere pure io da dove stavo il pelo della fica, Rafèle si mettette a leccargliela e Carlo invece se lo tirava a mano, però da sotto si faceva leccare i coglioni e ogni tanto allungava una mano sulle zizze di Michela e gliele tirava forte, da fare male. No, quella non era una femmina sforzata a fare cose che non voleva fare… quella era una femmina che voleva fare proprio quello, senza mezzi termini. E io non avevo che fare… Potevo arrisolvere la questione solo in tre modi: andarmene comme se non ero mai stato là, comme se non avevo visto niente, ma quella non era cosa mia, io tengo un carattere schietto, quello che penso dico e quello che dico faccio… non sarrìa resistito 5 minuti a fare finta che non era successo niente; oppure fare comme ho detto prima, trasìre nella camera e menare mazzate alla cecata, cercanno di pigliarli tutti e tre, avrìa passato ‘nu guaio ma a quel momento non ci stavo con la testa e non me ne sfotteva niente; facietti quello che non avrìa mai pensato di fare, la cosa che non mi era stata suggerita da un ragionamento ma che tutto il mio corpo e principalmente il cazzo mi diceva di fare: jettai i cortelli e trasetti nella camera. Dapprincipio nessuno se n’accorgette, forse erano troppo occupati. Tempo due secondi e mia moglie mi vedette… però non vedette a suo marito che magari poteva essere incazzato perché la trovava a cosce aperte davanti a due stranei; no, vedette invece un altro mascolo, uno che si stava tirando fuori il cazzo e che si stava avvicinando perché voleva pure lui la parte sua. Michela non mi facette favoritismi per via che ero il marito, e io non mi pigliai troppi riguardi per via che era mia moglie, io a quel momento non tenevo capa, non arragionavo col cervello ma col cazzo, e con quello mi volevo levare tutti gli sfizi. Gli altri due non mi canoscevano, non sapevano che ero il marito di Michela, per come mi comportavo penso che si facettero persuasi che ero un altro amante suo e non facettero problemi. Anzi mentre mi toglievo i pantaloni Carlo si mettette a pazziàre, a dire “Arrivano i rinforzi! Mo’ ti sistemiamo noi…” e glielo metteva in bocca e glielo levava, Rafèle invece togliette la lingua dalla sorca di Michela e ci mettette il cazzo, come a dire “qua, mo’ ci sto io” ma a me a quel momento non mi interessava, mi avvicinatti e sentiteti la mano di Michela che mi massaggiava i coglioni e mi pigliava il cazzo, glielo mettetti sotto al naso e quella se lo ammoccò comme se non aspettava altro, me lo sucava con tutto l’aggietto, con tutto il ! sentimento, io me lo sentivo come se doveva scoppiare da un momento all’altro. Carlo si mettette a pazziàre con le zizze, le tìrziava, le ciucciava, le ‘nzerrava in mezzo ai denti, le tirava che pensavo che Michela si sarrìa mesa a vucchiare, a gridare per via che dovevano farle male, invece si vedeva che a quella ci piaceva da pazzi! E questo fatto mi faceva scarmazzare il sangue ancora di più, stavo arrapato che non capivo più niente, però non volevo ancora venire, non accussì presto, allora lasciatti il posto a Carlo e dicetti a Rafèle “mo’ tocca un poco a me”, quello si levò e mi mettetti io, il cazzo trasette con una facilità incredibile, la sorca era bagnata comme se l’aveva appena lavata, la sentivo cocente che se ci mettevo un ovo a rischio che quello diventava sodo. Mi mettetti a pompare con calma, non tenevo nessuna pressa di arrivare, piuttosto cercavo di vottàre più in fonno che potevo, sentire a Michela che si lamentiava quanno affonnavo mi faceva ascire di capa ancora di più, mi mettetti a sfruguliare il punto più sensibbile di Michela e sentetti che si bagnava ancora, non la finiva più, sentetti che stringeva i muscoli intorno al cazzo e non arresistetti più manco io, venetti senza manco tirare il cazzo fora. Allora Michela s’aggirò, si mettette nuovamente a pecora però col culo verso gli altri due, mi guardò seria seria, dritto negli occhi, e si ammoccò il mio cazzo senza manco aiutarsi con le mani, direttamente con la lingua e la bocca. A me un poco perché non si era smosciato tanto, un poco a sentire come me lo sucava, un poco a vedere Carlo che dall’altra parte aveva ripigliato a vottàre di lena, mi venette duro comme se non era successo niente, comme se non ero mai venuto. Michela al mio cazzo se lo sorchiava con tutti i crìsimi, parìa che non aveva fatto niente altro in vita sua. Quanno sentette che me lo aveva fatto addiventare comme di ferro, aisò la testa, mi facette un sorriso bellissimo comme non ne avevo mai visti e mi dicette dentro una recchia, con la voce vascia vascia, quasi un sospirio “Oggi mi hai fatto un regalo bellissimo, e perciò te ne voglio fare uno pure io”, mi dacette un bacio lèggio lèggio sopra la bocca, poi mi dicette un’altra cosa, sempre dentro la recchia e sempre colla voce vascia, una cosa che mi facette venire i brividi e mi facette emozionare comme a una crìatura. Mi dicette “Ti amo”. Poi facette mettere a Carlo steso sopra al letto, gli acchianò sopra e si facette trasìre il suo cazzo dentro, lo facette scivolare piano piano, doce doce, pigliandosi gusto a farlo trasìre un centimmetro alla volta. Quanno se lo sentette tutto dentro si facette mettere Rafèle di fronte, strignette una mano sul suo cazzo e se lo ammoccò, pure quello un poco alla volta, prima la capocchia e piano piano tutto il resto. Alla fine, con tutte e due le mani si pigliò le chiappe e se le tirò, e a quel momento capietti: voleva che glielo mettevo nel culo, voleva il servizio completo. E capietti pure che da là non aveva mai fatto passare a nisciuno, che io ero il primo a cui essa dava il culo. L’ho già detto, a me fare il culo non è una cosa che mi fa ascire pazzo…qualche volta nel passato l’ho fatto, quanno qualche figliòla per esempio teneva paura di rimanere incinta e non tenevo il preservativo appresso, oppure a qualche signora sposata che si voleva togliere quello sfizio… ma mi ha sempre dato l’idea di una cosa fredda, senza cuore… senza passione. Stavolta invece non era accussì, stavolta era una cosa speciale, un regalo che non mi potevo arrifiutare. E non tenevo minimamente intenzione di arrifiutarlo, figuriammoci! Accussì mi piegatti, a Michela gli volevo leccare il buco per bagnarlo, non gli volevo fare male. Tenevo davanti agli occhi il cazzo di Carlo inzerrato nella fica, a rischio che ci scappava una leccata pure là ma non me ne fotteva niente, a quel momento non pensavo a niente, solo a leccare e a lubbrificare per bene, provatti colla punta del dito, parìa che ci entrava senza troppo sforzo e allora ci provatti col cazzo, vottàvo piano, anzi non vottàvo proprio, aspettavo che trasiva dentro per il risucchio stesso dei muscoli del culo. Michela stava immobbile, e accussì pure gli altri, l’unico di tutti e quattro che si muoveva (ma poco) ero io. Piano piano arriscietti a trasìre quasi tutto: era una sensazione strana, mi parìa quasi di sentire il mio cazzo che si strusciava con quello di Carlo, Michela a un certo punto si lamentiò un poco e quello fu una specie di segnale: Rafèle pigliò a pompare nella bocca di Michela, Carlo da sotto cercava di vottàre in qualche modo, ma appena mi cominciatti a muovere pure io Michela non si mantenne più, vociàva e si scalmanava comme a una pazza, a primo momento pigliai scanto, pensatti che era troppo e si faceva male, mi volevo levare… doppo capietti che invece quella se la stava godendo, vociàva che lo voleva sentire di più, che dovevo vottare più forte… doppo poco mi sentietti bagnare la coscia, era essa, e continuava a dire che non mi dovevo fermare, che mi voleva sentire… Era tardi assai, quasi passata l’ora di mangiare, quanno gli altri due si vestettero e se ne jettero. Io e Michela invece rimanettimo sul letto, abbrazzàti uno coll’altro, essa chiaramente sfinita e io pure mi sentivo comme se avevo fatto una faticata smazzante. Non tenettimo manco voglia di preparare, non tenevamo appetito, solo voglia di rimanere accusì, abbrazzàti nudi stretti stretti. Scivolai nel sonno felice comme a una Pasqua. “NB: La realtà a volte tende a superare qualunque parto della fantasia, pertanto ritengo opportuno precisare che i nomi fatti in questo racconto sono una mia invenzione, e che qualsiasi riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale”.
Aggiungi ai Preferiti