Non classificato come autoreSI autorizzo la pubblicazione dei mie dati personali come autore del testo inviato.IP: 213.21.163.82 SI, dichiaro, sotto la mia personale responsabilità, di essere MAGGIORENNE e che il racconto si riferisce ad: storia immaginariaVoti: Forma= 1 Contenuto=2 Lunghezza=3 Originalità=2Categoria: Etero Magnetismosohosohowe@yahoo.it Capitolo 1 La stagione quell’anno era stata pessima a Parigi e la primavera non sembrava intenzionata ad arrivare nonostante il calendario. Le strade lucide di pioggia riflettevano le luci delle auto incolonnate nelle solite file della mattina lungo i boulevard mentre dal cielo grigio veniva giù una pioggia sottile e insistente. L’aria, appesantita dallo smog e dall’umidità, era pesante e nebbiosa. Valèrie Chardon accese il riscaldamento e dopo pochi minuti si sentì meglio mentre seguiva a dieci all’ora la grossa vettura tedesca dietro cui stava da ormai un quarto d’ora nel tentativo di uscire dagli Champ Elysèes per raggiungere la sede dell’Istituto Nazionale di Ricerca Oceanografica. Si liberò uno spazio sulla destra e vi si infilò in fretta, provocando un colpo di clacson da parte della vettura che la seguiva, lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore e alzò la mano in segno di scusa, poi riportò lo sguardo avanti, in direzione della traversa che forse le avrebbe fatto risparmiare tempo. Erano le otto meno venti e se era stata contenta quando con Jean, suo marito, e i piccoli si erano trasferiti fuori Parigi, in un delizioso villino di fine ottocento, c’erano delle mattine, come quella, che rimpiangeva il loro vecchio appartamento in città. Impaziente picchiettò nervosamente con le unghie corte, laccate di rosa chiaro, sul volante, la fila si mosse, superò la berlina tedesca e un’altra auto e riuscì a trovare lo spazio per imboccare la traversa, salendo con una ruota sul marciapiede. La strada era trafficata, ma senza semafori il fluire lento delle vetture era però costante sicché riuscì a varcare i cancelli dell’Istituto alle otto precise e infilò la piccola Peugeot nello spazio a lei riservato, accanto alla Volvo metallizzata del Direttore dei Programmi Speciali, di cui era la prima assistente. Prese la borsetta, si diede un’occhiata nello specchietto retrovisore e scese in fretta, incrociando lo sguardo di un ricercatore sulle sue cosce lasciate scoperte dalla gonna corta e stretta. Le sorrise e lei rispose al sorriso con meno entusiasmo, dirigendosi verso l’edificio a passo veloce. Quella mattina dovevano arrivare i primi dati del nuovo satellite e doveva essere presente. Raggiunse il proprio ufficio, lasciò borsetta e giacca del tailleur e si infilò il camice. Non aveva neanche il tempo per il solito caffè e si diresse verso la sala trasmissioni, poco distante. Marcel Sarrè, direttore dei Programmi Speciali dell’istituto era in piedi davanti alla grande consolle, alle spalle dei tecnici. Al rumore della porta che si apriva si voltò e le sorrise, poi le fece cenno di avvicinarsi. “Traffico?“ le chiese a bassa voce riportando lo sguardo sui grandi monitor. Era un uomo sulla cinquantina, poco più alto della media con lunghi capelli grigi e con un bel viso dallo sguardo aperto e una mente ancora più aperta. Quella mattina, come tutte le volte che doveva lavorare sul serio e non erano previste riunioni, indossava jeans e camicia sportiva sotto il camice che non gli aveva mai visto abbottonato in tutti quegli anni. “Come al solito quando piove, quanto manca?“ “Stanno sistemando gli scanner, tra poco avremo le prime immagini.“ le rispose. Il Satellite PASFEO-4, Primary Artificial’s Satellite For Earth Observation era il quarto della serie ed era situato a 700 chilometri di quota su un’orbita polare sincrona rispetto al Sole in modo che le condizioni di illuminazione fossero le stesse per tutte le riprese alla stessa latitudine in un dato periodo. A differenza dei precedenti, oltre ai normali sensori visuali ad alta risoluzione, era dotato di un sensore magnetico e uno a infrarossi. “Ecco le prime immagini.“ mormorò Marcel osservando i monitor su cui apparve la superficie della Terra nei tre modi ottenibili dall’uso dei sensori del satellite che si trovava sopra il Polo Nord. I dati cominciarono ad affluire al server dell’Istituto e Marcel andò al piccolo frigo in un angolo della sala tornando con una bottiglia di champagne e una dozzina di bicchieri. Brindarono tutti, poi i dati che affluivano al computer centrale vennero smistati: i dati del sensore magnetico nell’ufficio di Marcel, quelli dell’infrarosso in quello di Valèrie e quelli dei sensori visuali nella stessa sala, alle postazioni laterali. “Buon lavoro!“ – disse Marcel, poi fece cenno a Valèrie – “Andiamo…“ Alle due fece una breve pausa per un panino al bar e ne approfittò per una passeggiata nel piccolo parco dietro l’edificio che ospitava l’Istituto, una palazzina al centro di Parigi che era stata fino a pochi mesi prima la sede dell’ambasciata di un governo asiatico, trasferitasi in un edificio più grande. Aveva smesso di piovere e il sole faceva capolino attraverso le nuvole. Non si pentì di essere rimasta con il camice, con la giacca del tailleur avrebbe avuto caldo. Il sole era quello di giugno, piuttosto caldo e già i collant cominciavano a darle fastidio, d’altronde la mattina e la sera faceva freddo. Fumò in fretta una sigaretta sottilissima seduta su una panchina di pietra, poi rientrò in ufficio. Marcel era seduto su un angolo della sua scrivania e stava osservando dei fogli. “Dove sei stata? Ci sono novità.“ le disse agitando i fogli. Valèrie girò attorno alla scrivania e sedette, guardandolo. Accavallò le gambe, mostrandogli le cosce affusolate messe in risalto dalle calze e gli sorrise. “Dimmi, sono tutta orecchie.“ Marcel le mise i fogli davanti e picchiettò con l’indice sul primo. “Qui. Che te ne pare?“ Valèrie socchiuse le palpebre, si trattava di una stampa dal computer e rappresentava le linee del campo magnetico terrestre in una zona ristretta dell’Oceano Pacifico, nei pressi di un piccolo arcipelago al largo della costa messicana, a sud della California. Una nota a penna sul lato del foglio lo identificava come Islas Tres Marias. “Che diavolo è?“ disse fissando le alterazioni delle linee. “Hai qualche idea?“ chiese lui guardandole il seno. Portava il reggiseno, ma i capezzoli formavano due piccoli, eccitanti, rigonfiamenti sotto la camicetta di seta. “Il relitto di una corazzata? “ “Mi deludi, mia cara. A parte il fatto che nessuna corazzata mi risulta sia mai affondata da quelle parti, fai un rapido calcolo della massa che occorrerebbe per ottenere quelle deviazioni…“ Valèrie si dette della stupida mentre si accingeva a fare qualche rapido calcolo. “Circa un milione di tonnellate. Novecentonovantottomila, per la precisione. – disse alzando la testa – Ma non è mai stata costruita una nave così grande.“ Marcel annuì sorridendo “Infatti. Allora, altre idee?“ Valèrie tornò a fissare la carta, poi scosse la testa appoggiandosi alla spalliera della poltrona. La gonna salì, scoprendole le cosce e lo sguardo di Marcel vi si soffermò un istante prima che lei riabbassasse l’orlo. “No, temo di no.“ disse scuotendo la testa. “Nemmeno io, sarà meglio andare ad informare il nostro Direttore.“ le sorrise e alzandosi le tese la mano. Capitolo 2 Erano le sei passate quando Valèrie salutò Marcel nel parcheggio, si tolse la giacca e salì in macchina, fece rapidamente retromarcia e si gettò nel traffico caotico della sera. Al primo di un’infinita serie di semafori prese il cellulare e avvertì Jean che avrebbe tardato vista l’elevata mole di automobili che a quell’ora si riversava sulle strade, ma lui le disse di non preoccuparsi, visto che sua madre si era portata i bambini al cinema. Le sembrava impossibile che già alla prima ora di funzionamento il PASFEO-4 avesse trovato qualcosa di importante. Era stato Marcel a insistere con il direttore affinché il satellite fosse affittato dall’Istituto per qualche mese motivando la richiesta con il fatto che stavano studiando cause e effetti del Niño e avevano bisogno della mappatura magnetica e all’infrarosso del Pacifico, da Nord a Sud in prossimità delle coste americane. L’incredibile coincidenza era che da circa tre mesi il direttore stava cercando in tutti i modi di convincere Marcel a recarsi proprio in quella zona alla ricerca di un galeone spagnolo che era naufragato nei pressi delle Islas Tres Marias. Le dispiaceva solo di non aver potuto vedere la sua faccia quando sullo schermo era apparsa quell’anomalia proprio lì, ma in compenso avrebbe veduto la faccia di Jean quando gli avrebbe detto che aveva già in tasca le loro prenotazioni per il volo Parigi – Città del Messico. Le occorsero quasi due ore per arrivare a casa, era distrutta dalla stanchezza ed il giorno dopo l’aspettava un’altra giornata campale, infatti dovevano imballare tutta una serie di strumenti e spedirli via aerea a Tecoman, sulla costa occidentale messicana. Spento il motore scese e respirò a pieni polmoni l’aria fresca e profumata della campagna. La casa era immersa nel verde, un piccolo grazioso edificio di due piani stanze restaurato completamente negli anni cinquanta. Aprì la porta in quercia, lasciò la borsa nell’ingresso e girò a sinistra verso il soggiorno. Lo studio di Jean, giornalista part-time e scrittore a tempo pieno era oltre il soggiorno e lo trovò dietro il computer con le dita che volavano sulla rumorosa tastiera. “Ciao.“ gli disse lasciandosi cadere nella poltrona di fronte alla scrivania e allungando le gambe dopo aver scalciato via le scarpe. Lui le fece un cenno veloce con la mano e continuò a pestare sulla tastiera ancora alcuni secondi, poi si rilassò contro lo schienale della sedia e si accese una sigaretta. “Giornata pesante? “ le chiese guardandola attraverso il fumo. Jean Leroy aveva quarantatré anni, due anni più di lei, ma sembrava più giovane, specie quando si tagliava i capelcapelli e si faceva la barba, due cose che avrebbe dovuto fare già da qualche giorno. In compenso in casa non vestiva mai in modo trasandato, in genere pantaloni sportivi, camicia o polo e mocassini scamosciati, come quella sera. “Puoi dirlo forte. Che c’è per cena?“ “Quello che vuoi, aspettavo te per decidere. Comunque andiamo, la tavola è pronta.“ le rispose guardandole le gambe allungate. La gonna era risalita parecchio e i collant autoreggenti facevano risaltare gli slip di pizzo. Lei sorrise e scosse la testa, alzandosi in piedi. “Prima devo fare una doccia. Ho una fame nera. – gli disse chinandosi per raccogliere le scarpe – Ti tiro fuori qualcosa, così puoi cominciare a preparare.“ replicò poi uscendo dalla stanza. Passò in cucina, scelse i precotti poi salì in camera da letto e si tolse con un sospiro di sollievo le calze e la biancheria facendo una smorfia nel vedere i segni che le aveva lasciato sulla pelle il reggiseno. S’infilò nel box doccia e ne uscì dopo dieci minuti che si sentiva un’altra persona. Dopo essersi asciugata si legò i capelli corti dietro la nuca, indossò un abitino corto e ampio con una lampo che andava dal colletto all’ombelico, senza nulla sotto e scese. La cucina era un ambiente grande e caldo che lei considerava il cuore della casa e per il quale aveva accuratamente scelto ogni pezzo, dai mobili alle stoviglie e ai tegami. Ma la parte della casa che più le piaceva era il balcone chiuso, parte in muratura e parte in legno e vetro, che usciva dal corpo dell’edificio, esposto! a sud e dal quale si poteva vedere tanto l’alba che il tramonto, il quale era occupato da un tavolo con otto sedie, da un mobile parte a giorno, dove riponevano stoviglie, tovaglie e qualche bottiglia di vino nonché da alcune piante. Sedette al tavolo e si versò un bicchiere di vino fresco. Jean arrivò subito dopo. “Ecco qui. – le disse sedendosi e sorridendole. – Com’è andata?” “Abbiamo ricevuto le prime immagini del PASFEO-4. Con una segnatura. “Lui la guardò, interessato, ne sapeva abbastanza di rilevamenti per sapere cos’era una segnatura. “Dove?“ “Islas Tres Marias, davanti alle coste messicane a sud della California. – rispose giocherellando con la zip della lampo – Si tratta di un’anomalia magnetica piuttosto forte.“ “Quanto forte?“ le chiese alzandosi per togliere i vassoi con la cena dal microonde. “Molto, al punto che stanno trasferendo l’Olympia da San Diego. E dobbiamo raggiungerlo fra tre giorni a Tecoman.“ “Dobbiamo?“ “Io, te, Marcel e Denise.“ gli rispose finendo il vino e sedendosi meglio per mangiare. “Questa è nuova… come mai?“ “Il direttore vuole tenere la spedizione segreta. Ti avevo detto che l’istituto è sulle tracce di un galeone spagnolo affondato da quelle parti. Ufficialmente è una vacanza, ma in realtà dovremo cercare il galeone e scoprire la natura della segnatura.“ “Quale delle due cose è più importante?“ “Per il direttore il galeone… le casse dell’Istituto sono quasi a secco.“ Jean si strinse nelle spalle e le riempì il bicchiere. “C’è il finanziamento pubblico, di cosa si preoccupa?“ “Di avere soldi non politici e di finire sulle prime pagine. Ho già i biglietti per il Messico. Tu che ne dici? Ti va l’idea?“ “Se mi va? Sistemiamo i bambini e partiamo.“ le rispose sorridendo. L’Olympia era un lussuoso yacht di trenta metri completamente automatico di proprietà dell’Istituto attrezzato per le ricerche marine anche se ufficialmente serviva per i dirigenti e per crociere di studio. La cosa aveva suscitato l’invidia di molti altri enti, ma la sua spesa era stata autorizzata al massimo livello politico poiché lo yacht era in grado di effettuare rilevamenti geologici che spesso era bene tenere segreti. Il giorno dopo lavorò all’Istituto solo mezza giornata, le apparecchiature erano state spedite e rimanevano da essere messe a punto le ultime cose. Marcel la invitò a cena per discutere su tutti gli aspetti del viaggio: cosa portare, cosa comperare sul luogo, compiti a bordo, ma era soprattutto un’occasione per festeggiare la crociera che sarebbe stata una specie di vacanza. Dopo cena si trasferirono nel soggiorno. Denise avvicinò il carrello dei liquori. Era una bruna dai capelli lunghi e dal corpo snello e flessuoso, al contrario di Valèrie, che era più formosa e aveva i capelli più chiari e corti. Jean la osservò mentre portava il ghiaccio, era di poco più giovane di loro e parecchio rispetto a Marcel oltretutto dimostrava anche qualche anno di meno. Insegnava educazione fisica in una scuola di Parigi. Indossava un vestito corto, a fiori, con le spalline sottili che metteva in evidenza le gambe snelle e abbronzate. “Probabilmente usa una lampada“ pensò Jean spostando gli occhi su Valèrie la quale aveva indossato un abito nero corto. Quella sera non aveva messo le calze per poter indossare i nuovi sandali da sera con il tacco alto che aveva comperato qualche giorno prima. Erano molto belli e oltre a slanciare le sue caviglie sottili e i polpacci affusolati lasciavano quasi del tutto nudi i piedi. Parlarono a lungo della spedizione, poi i discorsi presero una piega diversa, colloquiale e Valèrie ne approfittò per andare in bagno. Alzandosi dal divano, piuttosto basso, perdette per un attimo l’equilibrio e nel movimento aprì le gambe. Vide Marcel fare una faccia strana. Dalla sua posizione doveva averle visto le cosce e forse anche di più infatti quella sera, dato che si aspettava una conclusione piacevole quando fossero tornati a casa, aveva messo un paio mutandine nere, trasparenti, molto sexy. Erano le più esigue che possedesse, prive del tassello di cotone e le velavano a malapena i peli pubici ed erano il meno che si potesse portare prima di essere completamente nude. Si chiese fino a che punto avesse visto e considerato come la stava guardando, doveva proprio aver visto tutto. La cosa non le diede poi tanto fastidio, si conoscevano da anni e non era certo la prima volta che le guardava le cosce, visto che con lui si era sempre sentita tranquilla. Mai una parola od ! un gesto fuori posto. Si ricordò di quella volta che aveva bucato ed aveva dovuto cambiare la ruota della vettura sotto la pioggia. Appena arrivata in ufficio non aveva potuto far altro che levarsi il tailleur per metterlo ad asciugare e indossare il camice sulla biancheria intima. Marcel era entrato nell’attimo in cui stava per infilarlo e inevitabilmente l’aveva vista con addosso solo reggiseno e mutandine. Le aveva chiesto scusa e aveva richiuso la porta all’istante. Dopo non solo non aveva fatto cenno a quanto era accaduto, se non per scusarsi, ma da quella volta non era più entrato nel suo ufficio senza prima bussare. Marcel la osservò uscire dal salone, ma quella sera per la prima volta lo aveva shockato, non avrebbe mai pensato che la dottoressa Valèrie potesse indossare un indumento intimo talmente trasparente da mostrare praticamente tutto. Era stata un’immagine rapida, ma non tanto poi, e provò un brivido di eccitazione, lo stesso che aveva provato per qualche settimana i primi tempi che lavoravano insieme. Marcel era fedele alla moglie e non aveva mai mescolato sesso e lavoro, anche prima di sposarsi, cosa che aveva fatto piuttosto tardi, ciò nondimeno lavorare con Valèrie era piacevole. Lei era una bella donna e le sue gambe erano famose in tutto l’Istituto e quando lavoravano da soli non si preoccupava se la gonna saliva. Sin dall’inizio, però, aveva capito che tipo era e non si era mai spinto oltre il lecito, anche se lo aveva desiderato. Comunque insieme formavano una coppia di lavoro molto affiatata, non avevano mai litigato, neanche quando le loro opinioni erano nettamente in contrasto. Nella peggiore delle ipotesi ci scommettevano sopra e chi perdeva offriva un pranzo allo staff nella piccola trattoria familiare a poca distanza dall’Istituto. L’incidente non sembrò creare problemi a Valèrie, semmai li aveva creati a Marcel che si dovette sforzare per non tenerle troppo gli occhi addosso. Capitolo 3 Il volo da Città del Messico a Tecoman con un Piper a nolo durò un’ora e mezza. L’Olympia li aspettava al porto turistico e il pilota che lo aveva portato fin lì diede a Jean, che aveva la patente nautica, alcune brevi istruzioni. Tirarono a sorte le cabine matrimoniali, una a prua a l’altra a poppa, e vinse Marcel che scelse la seconda, vicino ai motori, ma leggermente più grande. Dopo aver sistemato i bagagli, ispezionarono la barca. Era semplicemente stupenda, il salone di soggiorno era arredato lussuosamente, con tanto di televisore e antenna satellitare, a poppa vi era un angolo pranzo riparato dal prolungamento della plancia e a prua una zona attrezzata per prendere il sole. Valèrie, eccitata, precedette con un sorrido Marcel alla scaletta che a poppa portava alla plancia e solo mentre saliva di slancio davanti a lui pensò che così facendo gli stava facendo vedere tutto o quasi. Infatti indossava una gonna bianca di cotone lunga fin quasi al ginocchio che però era parecchio ampia e sotto indossava solamente un paio di mutandine tipo tanga. Tenendo le gambe strette raggiunse la plancia senza curarsene troppo, tanto il giorno dopo Marcel avrebbe visto al sole quello che poco prima aveva intravisto sotto la gonna. Erano le due del pomeriggio, Jean chiuse tutti gli oblò, le porte scorrevoli del ponte e accese il climatizzatore, poi avviò i motori. L’Olympia era dotata di motori molto potenti e appena furono in mare aperto raggiunse senza sforzo i venti nodi mentre puntavano a nord, in direzione di Cabo Corrientes e della Bahia de Banderas. La mattina dopo lo yacht navigava lentamente dolcemente cullato dall’oceano che era una liscia tavola blu splendente sotto il sole caldo di giugno. Jean salì sul ponte inferiore, Marcel stava ancora dormendo mentre sicuramente le loro mogli erano già sul ponte superiore a prendere il sole. Entrò nel salone di soggiorno per chiudere le tendine e accendere il climatizzatore ed attraverso la finestra rettangolare vide le donne, sdraiate una accanto alla altra su due materassini di spugna, i corpi lucenti di lozione offerti al primo, ma non per questo meno caldo, sole. Salì sul ponte superiore e diede un’occhiata alle complesse apparecchiature di guida. L’Olympia navigava con il pilota automatico, controllata da un dal computer collegato alla rete GPS, lo stesso Jean non avrebbe potuto guidarla meglio. Erano quasi arrivati nel tratto di mare circostante le Islas Tres Marias e si erano ormai lasciati alle spalle Puerto Vallarta. Si appoggiò al parabrezza e accese una sigaretta guardando in basso. Lanciò una breve occhiata alla moglie e fissò Denise. Si conoscevano da un paio di anni e non l’aveva mai vista in bikini. Entrambe si erano tolte la parte superiore del costume, i seni di Denise erano piccoli e rotondi e li osservò interessato notando come le aureole dei bruni capezzoli si sollevassero dalla curva eccitante del seno. Lasciò vagare lo sguardo sul corpo rilassato, soffermandosi su quello che i microscopici slip nascondevano appena. La stoffa rossa era tesa attorno alla pelle delicata, delineando la forma eccitante del pube. Denise si sollevò a sedere e prese il flacone di lozione, Jean fece per ritrarsi ma si fermò quando la vide curvarsi su Valèrie e cominciare a passarle l’olio abbronzante sul petto e sulle spalle con tutte e due le mani aperte. Per via del vento le voci gli arrivavano nitide. “Quanto me ne spalmi?” “Più ne metti, prima ti abbronzi.” rispose Denise muovendo le mani verso il suo seno che prese a massaggiare con un lento e insistente movimento circolare, dando l’impressione di godersela. Valèrie la lasciò fare, apparentemente indifferente sebbene i capezzoli sporgessero incredibilmente turgidi. Jean sentì il pene gonfiarsi nel costume e rimase con gli occhi fissi sulle due donne. Denise si spostò in basso lungo il corpo della donna e quando giunse al bordo del minuscolo triangolo del bikini le sue dita vi si insinuarono sotto, seppure di poco. Neppure stavolta Valèrie disse nulla e continuò a tenere gli occhi chiusi. Solo quando le abbassò il costume fino alla frangia iniziale dei peli del pube sollevò la testa per guardare. “Ma che fai? Smettila.“ “Non voglio ungerti il costume.“ mormorò e mentre Valèrie si ricopriva riprese a muovere le mani verso l’alto, sul ventre e sullo stomaco e per caso guardò verso il ponte superiore. Jean sapeva di essere perfettamente visibile ma non si spostò indietro. Senza alcun mutamento di espressione Denise tornò a girarsi e le sue dita indugiarono sui capezzoli, strofinandoli piano con i polpastrelli che ormai erano completamente turgidi. “Credo che basti.“ sussurrò Valèrie senza aprire gli occhi. “Ti dà fastidio?“ “Al contrario, ma non mi sembra proprio il caso.“ Denise sollevò gli occhi verso Jean sorridendo con aria complice e continuando a guardarlo le prese delicatamente i capezzoli tra il pollice e l’indice e li tirò piano verso l’alto. Valèrie sussultò e si tese, parve godersi per qualche istante la carezza, ma spostò quasi subito con un braccio le mani di Denise coprendosi il petto. “Basta!“ disse. “Perché?“ replicò Denise spingendo via il braccio e riprendendo a stuzzicarle piano le punte dei seni. Valèrie tornò a coprirsi di nuovo, stavolta con entrambe le mani. “Sei matta da legare.“ le disse ridendo. “Davvero? – rise anche Denise mentre spostando la mano verso il basso insinuò le dita sotto lo slip, toccandole la vulva. – E di questo cosa ne dici?“ “Ma la vuoi smettere!“ esclamò Valèrie stringendo le gambe e sollevandosi a sedere. Jean, con il pene rigido come un pezzo di legno, si ritrasse e si passò una mano sul viso. Voltando le spalle alle donne scese sottocoperta. Avevano ormeggiato al centro di una piccola baia le cui scogliere erano ricche di ostriche. Gli altri si tuffarono subito entusiasti armati di reti, solo Jean preferì restare a bordo e rimase nel salone a leggere. Quando una mezz’ora dopo andò in cucina per bere e vi trovò Denise che stava pulendo le ostriche. “Dove sono?“ le chiese guardandole la schiena. Indossava ancora il bikini rosso che le lasciava completamente scoperti i glutei rotondi, quasi come se fosse stata nuda. “Sono andati a vedere se riescono a prendere anche qualche pesce. – gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla e domandò: – Ti è piaciuto stamani?“ Jean arrossì, prese tempo aprendo il frigo e tirando fuori una lattina di birra. Bevve un sorso e tornò a guardarla, impossibile non desiderarla, i suoi capelli erano di un castano lucente con qualche sfumatura più chiara, gli occhi grigioverdi, il volto ovale un po’ allungato. I fianchi erano perfetti e le spalle atletiche, le braccia e le gambe erano lunghe e affusolate e i glutei alti e sodi. “Siete diventate amanti?“ chiese con finta indifferenza rendendosi conto immediatamente di aver detto una stupidata. Denise sorrise e scosse la testa. “Non sono domande da fare.“ gli rispose tornando a occuparsi delle ostriche. “E quelle che hai fatto erano cose da fare?“ “Quali cose? Le ho solo messo dell’olio…“ era chiaro che lo stava prendendo in giro. Jean esitò, poi improvvisamente si accostò e l’abbracciò da dietro, premendosi contro di lei. Circondandola con le braccia le prese i seni nelle mani, erano più piccoli di quelli di Valèrie, ma più sodi. Li serrò piano tra le dita, massaggiandoli dolcemente. “Smettila, che vuoi fare?“ gli chiese Denise “Tu che ne dici?“ le sussurrò posando le labbra contro la sua spalla. La pelle liscia sapeva di salsedine. La baciò e la leccò con desiderio arrivando fino alla nuca, strappandole un sospiro. “Vorresti portarmi a letto? Scordatelo!“ “Allora perché mi hai eccitato? Lo sapevi che vi stavo guardando.“ le disse serrando piano tra le dita i capezzoli duri. Sentì il membro inturgidirsi, ma non si staccò da lei, voleva che sentisse la sua eccitazione. “Così… avevi una tale espressione…“ “Sei bisessuale?“ le chiese, un po’ bruscamente. Lei sospirò e spinse indietro i fianchi, appoggiandosi con entrambe le mani al lavello d’acciaio. “Sono affari miei, non credi?“ “Marcel lo sa?“ “Cosa c’entra Marcel adesso? Non vorrai ricattarmi?“ gli chiese girando il viso. “No, no, voglio solo sapere se lo sa che ti piacciono anche le donne.“ “E se anche fosse? Cambia qualcosa?“ “No, la mia è solo curiosità.“ le rispose facendo scivolare le dita di una mano sotto il costume e sfiorandole il capezzolo con il medio poi le appoggiò il pene completamente eretto tra i glutei muovendosi piano contro di lei. “Calmati, per favore. Possono tornare da un momento all’altro.“ gli mormorò., Schiacciata tra lui e il lavello non poteva sottrarsi. A quel punto Jean infilò anche l’altra mano sotto il costume stringendole entrambi i seni tra le mani. Lei emise un gemito, ma quando le denudò il petto gli strinse i polsi con le mani costringendolo a lasciarla. “Ti prego, non possiamo.“ gli disse cercando poi di spostarsi, ottenne, però, solo di strofinarsi di più contro di lui, sentendone il calore attraverso la stoffa. Cercò di divincolarsi più decisamente facendo ritornare Jean in sé. Si era reso conto di essersi lasciato trasportare troppo, oltretutto se li avessero trovati così, lei con il seno nudo tra le sue mani, lui con il membro eccitato premuto contro le sue natiche ne sarebbe nato un casino incredibile. Si staccò a malincuore e riprese la lattina di birra, finendola d’un fiato. Cercò il suo sguardo, lei sorrise, si asciugò le mani e si coprì il seno. “Ti piace giocare con i sentimenti, vero?“ le chiese prendendo una sigaretta. Denise gli si avvicinò e gli prese una sigaretta dal pacchetto, l’accese e lo guardò diritto negli occhi. “E’ la prima volta che lo sento chiamare così.“ “Cosa vuoi dire?“ “Non confondere il tuo cazzo con i sentimenti! – esclamò accennando a quello che il costume celava a stento. – Sono due cose nettamente separate. O vuoi dirmi che mi ami alla follia?“ “Mi piaci, Denise e…“ “E vorresti scoparmi, lo so, ma dov’è l’amore?“ “Adesso sei cinica, che diavolo, io ho soltanto… “ lei alzò una mano per interromperlo. “Hai ragione, scusa, anche Marcel me lo dice. Non ti chiedo cosa posso fare per farmi perdonare, perché immagino già la risposta… – gli disse con un bel sorriso allungandosi per baciarlo all’angolo della bocca – Piuttosto mi aiuti con queste dannate ostriche? Sono durissime.“ Capitolo 4 Nel pomeriggio andarono con il tender a pescare su una secca. Fu una battuta abbastanza fortunata che fruttò loro più di una mezza dozzina di prede e un’aragosta enorme. Marcel si occupò dei pesci, le due donne dell’aragosta e venne fuori una cena squisita. Jean si sentiva in colpa nei confronti della moglie anche se lei per tutta la serata, forse anche grazie o per colpa del buon vino, flirtò con Marcel. Comunque, a onor del vero, anche lui era attratto da Denise la quale indossava un abito nero di seta sorretto da esili spalline ed il seno, appena coperto dalla sottile stoffa, vibrava a ogni movimento in maniera eccitante. Finita la cena, Denise portò via il carrello con i piatti e Jean la seguì dopo pochi istanti per prendere il ghiaccio e i liquori. Mentre apriva il frigo e prendeva i cubetti la donna, messe le stoviglie nella lavatrice, gli si avvicinò. “Dovresti stare più attento. “ sussurrò sorridendo. “A cosa?“ “Gesù, hai passato quasi tutta le cena con gli occhi nella mia scollatura e mi fai questa domanda? Per fortuna Valèrie non se ne è accorta. Almeno credo. “ “Scusa, ma è stato più forte di me. E poi non mi sono accorto di averti guardato tanto.“ “ Io sì… – gli rispose. Lanciò un’occhiata alla porta, poi si abbassò una spallina, scoprendosi il seno destro. – Così va meglio, no? “ Jean fissò il morbido capezzolo bruno, eccitante. “ Ricominci? “ le chiese. “Se vuoi puoi toccarlo. “ Jean avrebbe preferito non farlo, ma la tentazione era troppo forte. Tese la mano e lo accarezzò piano, poi strinse appena tra il pollice e l’indice l’aureola assaporandone il lieve turgore e il capezzolo si inturgidì, come il suo membro. “Posso baciarlo? “ domandò con voce tremolante. Denise sorrise. “Si, ma sbrigati, non possiamo stare qui in eterno. “ mormorò eccitata guardando la porta. Jean si curvò sul seno e, sostenendolo nel cavo della mano, sfiorò la bruna punta con la bocca. Non riuscì a dominarsi e lo prese tra le labbra, succhiandolo e mordendolo con impeto. “Ehi, fai piano… “ sospirò Denise poggiandogli una mano sulla nuca e accarezzandola. Jean la sentì fremere e abbassò la mano per rialzarle la gonna, le accarezzò le cosce affusolate e compatte, salendo fino agli slip. Quando cercò di spostarli per toccarla lei fece subito un passo indietro, sottraendosi. “Gesù, come corri. E’ meglio smetterla qui.“ ridacchiò rialzandosi le spalline. Prese i cubetti di ghiaccio e li versò in una vaschetta. “Torno di sopra. Vai tu a prendere tu i liquori, mi sa che ti serve qualche minuto…“ disse con un sorriso ironico guardandogli intenzionalmente il davanti dei pantaloni. Dopo cena Marcel e Valèrie scesero nella prima cabina di dritta dove era stata sistemata la complessa apparecchiatura di rilevamento; erano quasi sulla zona delle loro ricerche e la mattina dopo avrebbero iniziato a esplorare il fondo marino. La missione dell’Olympia era, ufficialmente, quella di analizzare la strana anomalia del campo magnetico terrestre rilevata dal nuovo satellite ma in realtà dovevano ricercare il relitto del galeone spagnolo naufragato in quella zona. La messa punto degli strumenti collegati al satellite era una procedura lenta e complessa. Lo yacht era dotato nella chiglia di un apparato di rilevamento radar/sonar accoppiati che veniva guidato dal satellite. Jean, che con Denise formava la metà non scientifica dell’equipaggio, rimase a guardare una partita di calcio via satellite, poi il notiziario della CNN. Doveva essere all’incirca mezzanotte quando Denise entrò in salone. “Pensavo che stessi già dormendo.“ le disse. Lei scosse la testa fermandosi al mobile bar per versarsi un bicchiere di cognac. Indossava una corta vestaglia bianca di seta che lasciava intravedere il colore bruno dei capezzoli e le forme del suo corpo. “Stanno ancora lavorando?“ domandò andando a sedersi di fronte alla poltrona di lui tenendo le gambe distese alla sua sinistra sul divano. “Sai come sono, quando lavorano…“ le rispose spegnendo l’audio del televisore. “Si. E da quando Marcel si è gettato in questo progetto è anche peggio.“ “Anche Valèrie, nelle ultime settimane ha trascorso più tempo all’Istituto che a casa.“ Denise sorrise e sorseggiò il cognac. “E se fossero amanti?“ gli chiese. Jean la guardò. “Devo dire che sono più preoccupato quando sta con te.“ ribatté sorridendo. Lei rise e si sporse verso il tavolino per prendergli le sigarette e l’accendino. “Quanto conosci Marcel?“ gli domandò soffiando fuori il fumo verso il basso soffitto. “Abbastanza, penso. Dici che dovrei preoccuparmi?“ “Sinceramente non lo so. Siamo sposati da anni e non mi ha mai dato modo di avere dubbi sul suo comportamento, ma del resto se ne sta dalle nove alle diciassette all’Istituto e di tempo ne avrebbe e anche di occasioni. Comunque a letto è… abbastanza tiepido.“ “Che vuol dire abbastanza tiepido”?“ “Una volta a settimana nei periodi migliori e poca fantasia, credo.“ “ Mi sa di confessione di donna insoddisfatta.“ “ Il sesso non è tutto. Stiamo bene insieme. E tu come vai, con Valèrie?“ “Bene, ma anche noi siamo tiepidini…” “Cioè?” ”Per usare un eufemismo vuoi sapere quante sigarette fumo tra un rapporto e un altro? Circa sei, sette… stecche… nei periodi migliori.“ sorrisero entrambi e Denise sollevò il bicchiere. “Al matrimonio.“ brindò. Jean sollevò il suo bicchiere di cognac e brindò con lei. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi lei guardò l’ora. “Quasi l’una e ancora non hanno finito.“ “Hai sonno? “ le chiese Jean. “Si, ma sono un po’ tesa.“ “Vuoi dell’altro cognac?“ “Si, grazie, volentieri.“ Jean si alzò per prendere la bottiglia e si accostò al divano, da vicino i capezzoli erano ben visibili e lei si accorse della direzione del suo sguardo. “E’ anche colpa tua, se sono nervosa.“ “Ti riferisci a stamani? – le chiese posando la bottiglia sul tavolino. – Mi dispiace…“ Denise non rispose e bevve il cognac tutto di un fiato invece di assaporarlo lentamente. Aveva uno sguardo intenso. “Ti va di accarezzarmi?“ gli domandò all’improvviso. Jean spalancò gli occhi. “Cosa vuoi dire? “ “Hai capito. Non mi va di farlo da sola.“ “Caspita, Denise, ti rendi conto di quello che… “ “Lo so, non farmi la predica. Non ti ho chiesto di venire a letto con me, solo di toccarmi. Ma se non vuoi, non importa.“ Jean era combattuto, voleva farlo, ma si rendeva conto che stavano scivolando entrambi lungo una china pericolosa. Cominciò a pensare che comunque sarebbero finiti a letto, era solo questione di tempo. Tra loro, ne era certo, esisteva una notevole attrazione. “Va bene. Cosa vuoi che faccia? “. Lei posò il bicchiere vuoto, alzandosi. “Non qui. Prima però ti dispiace andare a vedere se ne hanno ancora per molto? “ Jean annuì e scese le scalette che portavano al breve corridoio dopo la cucina dove si aprivano le porte delle cabine singole e si affacciò sulla soglia della prima. Il letto era stato sostituito con una consolle piena di video e di strumenti tanto che sembrava il posto di guida di un 747. Valèrie e Marcel erano del tutto presi dal loro lavoro, chini ciascuno sulla tastiera dei due computer che gestivano tutti gli apparati di ricerca. La luce era spenta e la cabina era piacevolmente illuminata dal riflesso policromo delle spie e dei video. “Quanto vi manca?“ chiese. Valèrie scosse la testa, concentrata sul grafico. “Almeno un’ora. Stanno riposizionando il satellite.“ rispose Marcel voltando appena la testa. “Okay.“ disse Jean e li lasciò soli. Denise lo aspettava in salone, accanto alla porta che dava sul ponte di poppa. “ Hanno detto un’ora, il che, conoscendoli, vuol dire almeno due ore. “ Denise sorrise e lo prese per mano uscendo sul ponte. L’aria della notte oceanica era fresca ma il leggero venticello che soffiava da est quasi non si avvertiva nel quadrato di poppa. Lei si appoggiò alla parete del salone, riparata dalla luce e lo attirò di fronte a sé. “Sei sicura?“ le chiese. Stava eccitandosi, ma era anche nervoso, la situazione poteva sfuggire al loro controllo facilmente. “Non mi fare queste domande, è dai tempi della scuola che non faccio una cosa simile…“ Gli prese la mano destra mentre con la sinistra si sollevava l’orlo della camicia da notte, scoprendosi fino all’inguine. Jean lasciò che la mano di lei gli guidasse le dita sotto le mutandine, tra le cosce. Scoprì che a parte una sottile striscia di peli aveva il sesso depilato e che era bagnata. Sarebbe stato difficile mantenere il controllo, il membro cominciò a gonfiarsi nei pantaloni. “Come vuoi che faccia?“ le sussurrò. Lei sollevò le mani e gliele appoggiò aperte sul torace.“ Dolcemente, ma non ci mettere troppa passione, per favore… voglio mantenere il controllo.“ rispose appoggiando la testa alla parete e chiudendo gli occhi. Jean, attento ad eventuali rumori, cercò di toccarla più con curiosità che con eccitazione, limitandosi a sfiorarle con il dito medio la fessura calda e bagnata muovendolo avanti e indietro lentamente e con la massima dolcezza, senza penetrare. Le accarezzò le grandi labbra, poi la toccò di nuovo dentro fino a quando dalla tensione delle sue cosce e del respiro non capì che era pronta. Trovò la clitoride dura e la toccò piano, strofinandola con il polpastrello in senso circolare. Era eccitato adesso, il membro eretto gli pulsava voluttuosamente nei pantaloni e cercò di avvicinarsi per baciarla, ma le mani di lei fecero forza contro il torace, fermandolo. Denise aveva la testa appoggiata alla parete e teneva gli occhi chiusi e le labbra socchiuse. Le gambe erano divaricate con i fianchi spinti in avanti contro la mano in movimento. “Più svelto, adesso.“ ansimò con i seni che si alzavano e si abbassavano nel respiro sempre più affrettato. Dopo pochi istanti si sentì pervasa da una sensazione di piacere incredibile. Serrò con forza le labbra e le palpebre e si irrigidì tutta, poi sussultò chinando la testa in preda a un violento orgasmo. Venne artigliandoli il petto con le dita, respirando forte attraverso le narici dilatate, poi si curvò in avanti poggiandogli la fronte contro la spalla e strinse con forza le cosce una contro l’altra, fermandogli la mano. “Dio…“ bisbigliò respirando affannosamente. Con la mano libera Jean le accarezzò la nuca e le spalle, avvertendo la pelle fresca sotto la stoffa, poi la insinuò tra i loro due corpi per stringerle tra le dita un seno, assaporandone il gonfiore morbido. Infilò la mano sotto e le accarezzò la pelle nuda, tirando e stringendo il capezzolo turgido. Denise sospirò e aprì le cosce, liberandogli la mano, allora Jean tirò fuori dai pantaloni il membro completamente eretto, la prese per le braccia facendola raddrizzare e la spinse contro la parete. Le si premette contro, ma il pene, indirizzato tra le cosce di lei, urtò le mutandine. Il piccolo incidente fece riprendere a Denise il controllo di sé stessa e della situazione. Spinse con le mani contro il petto di Jean, puntando le spalle contro la parete, girò la testa di lato, sottraendosi alla sua bocca che le scivolò lungo una guancia. “Basta, adesso.“ gli sussurrò, ma lui sembrava del tutto partito. Prese a baciarle il collo e il petto e riuscì a prenderle in bocca il capezzolo stringendolo tra i denti per succhiarlo. Denise piegò in avanti e di lato il busto, sfuggendogli e cercando di spingerlo via. Lui però la tenne ferma contro la parete riprendendo in bocca la punta turgida del seno. Denise gli prese la testa tra le mani. “Smettila, per favore… Ti prego, potrebbero salire…“ A quelle parole Jean riacquistò il controllo, si sollevò e fece un passo indietro. “Scusa.“ le disse e sentendosi ridicolo con il pene fuori dei pantaloni e si affrettò a rimetterlo a posto, poi cercò le sigarette nel taschino della camicia e ne accese una, appoggiandosi al parapetto di poppa. Denise si ricoprì il seno e rientrò in salone aggiustandosi con le dita i capelli arruffati. Andò nel piccolo bagno e mentre era sul water si guardò il capezzolo che le aveva morso e succhiato preoccupata che le avesse lasciato il segno, ma non vide nulla. Si pettinò meglio prima di uscire e preparare due cognac. “Tieni.“ gli disse tornando fuori e appoggiandosi anche lei al parapetto. “Grazie.“ le rispose Jean poi tornò a guardare il mare scuro sotto la volta stellata. “Tutto okay?“ gli chiese prendendogli una sigaretta. “Abbastanza. Sei arrabbiata? “ “No, perché dovrei? Hai perso il controllo, ma quello che ti ho chiesto è… un po’ fuori del normale, no?” “Solo un po’? Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano Valèrie e Marcel…“ “Quello che abbiamo fatto non sono corna, mi hai solo toccato la fica. Io non ho fatto nulla.“ “Vogliamo provare a chiederglielo?“ “No, no, credo che ci caverebbero gli occhi…“ rise lei, poi spense la sigaretta fumata a metà, si allungò sulle punte dei piedi e premendogli il seno contro il braccio gli diede un bacio sulla guancia. “ Grazie, comunque, sei stato un tesoro. Buonanotte. “ mormorò allontanandosi. Capitolo 5 L’Olympia procedeva lentamente appena fuori del golfo di California diretta verso la costa messicana, sulla dritta stavano passando le Islas Tres Marias. La rotta seguita dal Santa Isabel, il galeone che stavano cercando, passava proprio rasente all’arcipelago. Marcel e Valèrie erano in cabina, gli occhi fissi sugli schermi, Jean era alla guida sul ponte superiore, gli occhi sul mare e agli strumenti. In realtà era Marcel a guidare lo yacht tramite il computer, ma dato che non poteva vedere la superficie Jean doveva controllare che non accadesse nulla e che non si deviasse dalla rotta prestabilita. Denise era sdraiata sul ponte, davanti a lui, la pelle lucente di olio coperta dal più microscopico tanga che Jean avesse mai veduto. Era sdraiata a pancia in sotto e i glutei alti e compatti erano completamente nudi. La donna alzò la testa e vide che la stava guardando, agitò una mano sorridendogli, poi si sollevò e si girò supina. Jean fissò i seni rotondi e i morbidi capezzoli e l’eccitante vibrare della pelle elastica mentre si muoveva. Valèrie era venuta a letto alle due e praticamente era crollata in pochi minuti ma la mattina, verso le otto, lo aveva svegliato succhiandogli piano il pene. Avevano fatto l’amore ed era venuto con un’intensità tale da meravigliare
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