Avevo trentasei anni. Ero sposato da quasi cinque con Paola, sette anni più giovane di me, ma ci conoscevamo praticamente da quando non eravamo che bambini. Nessun figlio, ma le nostre giornate erano ugualmente piene di impegni, tra lavoro, amici ed una intensa attività di volontariato sociale. Non c’era spazio per la noia… Al sesso, mio malgrado, non dedicavamo molto del nostro tempo. Paola e’ una specie di puritana, che sembra non avere per il sesso (e tutta la sua magnifica cornice) la stessa attrazione che provo io. Certo, io credo di soddisfarla ampiamente, e forse è proprio qui che risiede il problema: praticamente potrebbe avere tutto, basterebbe chiedere. Ma lei non chiede; mai. In particolare Paola è sempre stata molto gelosa del suo “giardino segreto”, come chiamò il regno dei sogni erotici femminili Nancy Friday, la prima scrittrice a rivelarne i contenuti negli ormai lontani anni Settanta. Sono addirittura arrivato a domandarmi: ma Paola ce lo avrà veramente questo fantomatico “giardino segreto”? O magari – come penso – è priva di qualunque fantasia erotica? L’unica cosa che davvero sembrava farla impazzire, fino a farla urlare dal piacere, era il farlo in modo normale, direi classico, ma con impeto : maggiore il mio vigore, maggiore il suo godimento.Quel giorno, tornavamo dalla nostra nuova piccola casa in montagna, dove, con un furgone a noleggio, avevamo trasportato alcuni vecchi mobili, per cercare di arredarla in preparazione dell’inverno. Mentre ero alla guida parlammo del più e del meno, di programmi futuri, del lavoro, della nostra attività di volontariato. Quella volta mi riuscì (e – badate – non è cosa scontata) di portare il discorso su argomenti relativi alle mie ed alle sue fantasie sessuali. Paola si mise subito, e come al solito, sulla difensiva, ma io mi divertivo ugualmente a stuzzicarla, nel vano tentativo di esplorare il suo misteriosissimo “giardino segreto”. Sapevo bene che non avrei ottenuto alcuna informazione significativa, da aggiungere alle mie limitate conoscenze dei sui desideri e delle sue fantasie. Tuttavia avevo imparato, col tempo, che questi miei piccoli interrogatori si rivelavano, sia per me che per lei, molto eccitanti. Il più delle volte, a casa, erano seguiti da grandi, memorabili, scopate. Al solito, toccai tutti gli argomenti che rappresentavano le mie fantasie sessuali, sempre attento a presentarli nel dovuto modo, con circonlocuzioni e giri di parole, indispensabili per evitare di urtare la sua suscettibilità. Così parlammo del valore dei preliminari, dell’uso della biancheria sexy, del riprendere i nostri rapporti con la video camera… “Voi uomini non vi rendete conto di quanto siano scomode le calze” mi diceva sempre. “Poi d’inverno fa freddo! Non si può mica portare sempre la gonna come vorresti tu.” Oppure “Mi ci vedresti, tu, a fare certi lavori in comunità , con i tacchi alti?” Ed a proposito della video camera: “E se poi la cassetta finisce in mani sbagliate? Metti caso che in un incidente moriamo, e i miei o i tuoi la scoprono: è forse questo il ricordo che vuoi lasciare di te?” e così via… Al mio accenno al rapporto orale, che Paola si ostinava a rifiutare, mi sorprese con una nuova argomentazione: “Negli Stati Uniti, introno agli inizi degli anni Sessanta, un tale Donn Cadwell, fu condannato a 10 anni di carcere “per un crimine contro natura”, avendo fatto sesso orale con una ragazza. Non dico che meritasse la galera, ma non mi dire che non è vero che il sesso orale è contro natura. Come del resto quello anale…” Rimasi colpito dalla risposta, segno evidente che si era documentata, e fui ancor di più colpito dal fatto che aveva introdotto un nuovo argomento (il rapporto anale) che fino ad allora era sempre stato tabù; ne fui così stupito che finii per cambiare discorso. E riprendemmo a parlare del soliti programmi futuri, lavoro, attività di volontariato e compagnia cantando. Guidai per un altro paio d’ore, scarse. Ero stanco. Tenevo a stento gli occhi aperti. Sentivo nelle braccia, pesanti, la lentezza dei miei riflessi. Sebbene mancassero poche decine di chilometri a casa, non era prudente continuare. Comprensibilmente Paola, dal canto suo, non se la sentiva di sostituirmi alla guida del furgone, così decidemmo di fermarci al primo bar, per prenderci un caffè.Dopo poco apparve, come un miraggio, la scritta luminosa e lampeggiante, di una specie di bar-trattoria. Accostai. Nel grande piazzale antistante il locale, riposavano immobili alcuni giganteschi TIR, sagome impressionanti nel buio della notte. Nell’aria un aroma di “frittume”, misto ad odore di gasolio. Si udiva, ovattato, il suono di una musica provenire dall’interno del bar. Entrammo. Il locale era insolito, per le nostre parti. Un unico, grande, ambiente, immerso in una calda penombra. Da una parte qualche tavolo rustico ed al centro un grande bancone, circondato da sgabelli di legno, quasi tutti occupati da gente intenta a bere e a parlare. Nell’insieme ricordava piuttosto un locale country americano, ma la musica non era la stessa. Trovammo due posti al bancone, ci sedemmo ed ordinammo due caffè. Mentre il barista era intento a trafficare con la macchina dell’espresso, Paola, con l’agilità di un felino, salì in piedi sul bancone. Da quella posizione elevata, iniziò ad ancheggiare lentamente, a tempo con la musica. I presenti ammutolirono, tutti incuriositi da quella insolita scena. Paola, incurante della reazione, continuava a seguire la musica, occhi appena socchiusi. Era un incanto! Per quanto i sui movimenti fossero aggraziati, era evidente che non si trattava di una professionista. Questo forse, li attraeva ancor di più. Non sapevo come reagire: mi aveva colto di sorpresa. Deglutii. Provavo un misto di eccitazione ed imbarazzo per ciò a cui stavo assistendo. Certo non era la prima volta che notavo altri uomini guardare mia moglie: era giovane e ben fatta, ma stavolta era diverso. Le gambe, snelle e ben tornite, si muovevano sapientemente su quella passerella improvvisata. Senza avvedermi, deliberatamente, dei potenziali effetti pericolosi che un tale atteggiamento di mia moglie potesse comportare, decisi di godermi la scena, come ipnotizzato dalla ritmica contrazione dei suoi muscoli e da quelle sue ginocchia, mobili, splendidamente spigolose. Senza fermarsi, Paola, inarcò leggermente il petto in fuori, portando le mani dietro la schiena, all’altezza delle scapole, in un movimento di cui era facile intuire l’intenzione. Ed infatti, in un attimo, si slacciò il reggiseno e lo sfilò da sotto la camicetta. I sui movimenti non erano certo fluidi come quelli di una spogliarellista, ma poco importa. Dalla camicetta, bianca, sottile, trasparivano appena i capezzoli, rigidi, puntati su quel tessuto leggero. Che fosse eccitata o fosse solo effetto del freddo, non so dirlo. A voi la scelta. Sempre accennando il ballo, Paola si avvicinò verso di me. Si piegò sulle gambe, accovacciandosi graziosamente. Mi afferrò per la cravatta e mi tirò a sé: “Volevi scoprire il mio giardino segreto, è…?” chiese sottovoce “Ebbene, eccoti servito”. Quasi mi baciò, sfiorandomi le labbra. Ebbi appena il tempo di intravedere le sue mutandine di microfibra bianca, che lei si era già rialzata ed aveva ripreso il suo ballo. Il cazzo mi scoppiava nei pantaloni. Solo allora realizzai che portava delle velatissime calze color panna, e non i soliti collant super-coprenti. Come potevo non essermene accorto prima ! La mia eccitazione aumentava, ma iniziava a montare anche la rabbia verso mia moglie. Anche il tizio a me vicino era eccitatissimo. Lo si poteva capire da come guardava stregato mia moglie e dal notevole gonfiore sul davanti dei sui pantaloni di pelle nera. Volevo farla smettere, ma lei mi sorprese di nuovo. Si chinò leggermente in avanti, infilò entrambe le mani sotto la gonna e con un rapido movimento verso il basso, si sfilò anche le mutandine, aiutandole a scivolare lungo le gambe, sbattute rapidamente. Paola scavalcò quel mucchietto ti stoffa bianca e si riavvicinò, ma questa volta rimase dritta in piedi, tra me ed il mio vicino. “Ne vuoi sapere un’altra?” chiese con atteggiamento alquanto strafottente, in maniera che tutti nei paraggi potessero sentire “A me piacciono i tipi con il “pacco” grosso” indicando col mento il gonfiore nei pantaloni di pelle del tizio che anch’io avevo notato. Così dicendo gli tese la mano e si fece aiutare da lui a scendere dal bancone. Appena a terra, gli afferrò la vita e lo strinse a sé, in modo che il gonfiore di lui premesse forte sulla sua gonna, all’altezza della fica, che tutti sapevamo essere ormai scoperta, ed accennò, appena appena, a strusciarlo, muovendo le anche. Sentivo il cuore pompare, il sangue mi riempiva la testa. Ero eccitato, ma la rabbia e la gelosia finalmente prevalsero. Agguantai Paola per una spalla e la rivolsi a me. “Ma che stai facendo? Sei impazzita? Questo finisce che ti prende sul serio!” Lei, con un gesto di noncuranza, si scrollò dalla mia presa, afferrò la mano del mio vicino e si avviò, ad ampi passi, verso l’uscita del locale. Uscendo, sorridente, tese ancora la mano facendo cenno di alzarsi ad un altro tipo, che seduto in disparte si era goduto la scena da lontano. Così, in breve, l’allegro trio, mia moglie al centro, scomparve alla mia vista. Mi risvegliai di soprassalto, sul divano di casa, con il cazzo in tiro. La televisione, silenziosa, proiettava l’immagine fissa del monoscopio di una TV locale. Sospirai sollevato : era stato solo un brutto sogno. Eccitante, sì, ma senza dubbio brutto. Decisi di andare a letto, piuttosto che continuare a dormire davanti alla TV. Mi diressi verso la nostra stanza : in fondo al corridoio, buio, vedevo la luce del comodino di Paola filtrare attraverso la porta, stranamente accostata: capii che era ancora sveglia e stava senz’altro leggendo. Camminando al buio quasi inciampai nella sua gonna, abbandonata sul pavimento. Più in là notai anche la camicetta e, orrore … quei pantaloni di pelle nera ! Col cuore in gola mi precipitai sull’uscio, ma non osai entrare per paura di vedere ciò che effettivamente vidi. Paola era supina sul letto, a seno scoperto, ma portava ancora le calze velate panna che avevo intravisto al bar. Aveva la testa leggermente riversa all’indietro, sostenuta dal suo braccio piegato sotto la nuca. Gli occhi chiusi, la bocca semiaperta, il respiro cadenzato e affannoso lasciavano capire lo stato di estasi nel quale si trovava. Con la mano si premeva il basso ventre, poco al di sopra del pube, in un lento, voluttuoso massaggio. Le gambe, semiaperte, pendevano in parte dal bordo del letto e stretta tra le sue cosce, la testa del tizio del bar. Le labbra e la lingua di questo, ingorde, facevano razzia sulla fica di mia moglie, senza farsi scappare una goccia dei sui vergognosi umori.Credo di aver perso i sensi. Quando mi ripresi, pazzo di gelosia, ma inchiodato dall’eccitazione, sbirciai di nuovo. Ora lui le era sopra, e la stava pompando con foga, proprio come – io sapevo – la faceva impazzire. Che provasse piacere era chiaro da come contraeva i muscoli e stringeva tra le sue splendide gambe il busto nudo di quell’energumeno. Incantevole. Ma perché non urlava, come di solito faceva con me ? Fu un lampo : vidi che anche volendo urlare, non avrebbe potuto. Infatti, nella bocca della mia Paola, l’altro uomo del bar aveva affondato il suo pene gigantesco, e la scopava lì, come se fosse la vagina. Paola assecondava i movimenti di quel membro sconosciuto, le guance incavate, succhiandolo avidamente ; finché un rivolo di sperma le fuoriuscì dalla bocca. Allontanò allora con grazia l’uomo, si appoggiò l’indice di traverso sul mento, e con movimento continuo, recuperò col dito il prezioso liquido che le era sfuggito e lo risucchiò, per poi ingoiarlo. Pensavo fosse finita, invece no. Paola scansò garbatamente i due uomini che le stavano addosso. Poi, con studiata lentezza, si rigirò, prima su un fianco, poi prona. Ripiegò le ginocchia sotto il ventre, puntò gomiti e mani sul materasso ed infine sollevò la schiena, mettendosi a quattro zampe sul letto. Quindi, premurosamente, divaricò le gambe e protese in alto il culo, il suo splendido, ancora intatto culo, in trepidante attesa di essere profanata da uno qualunque dei due. Basta ! Avevo visto troppo. Non provavo più alcuna eccitazione, e nemmeno rabbia. Mi sentivo soltanto vuoto, stordito come un cane bastonato. Non ero nient’altro che un vigliacco, un cornuto vigliacco. Annichilito presi il giaccone e me ne andai a passeggiare lungo il canale, abbandonandoli ai loro giochi. Volevo sparire, volevo solo sparire nella nebbia. Epilogo Così imparai che non bisogna mai provocare una donna, specie se tua moglie. In seguito abbiamo ripreso la nostra routine quotidiana come se niente fosse accaduto. Adesso abbiamo anche tre figli, e – posso dirlo – siamo felici.Non credo che lei mi abbia mai più tradito, ma non so dirlo con certezza. Finora non ho ancora avuto il coraggio di chiederle niente di ciò che accadde quella notte, così come non le ho mai più chiesto di svelarmi i segreti del suo giardino. Chissà, forse un giorno…
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