Sono le sei del mattino e la sveglia mi da il tormento. E’ gia suonata tre volte. E’ ora di alzarmi. Stamattina è il gran giorno, un ultimo esame e sarò presto laureato. Si è l’ultimo esame dopo quattro anni di inferno all’Università di Milano. Quattro anni di alzatacce all’alba, di treni presi al volo tra la nebbia e di cornetti rancidi nel bar della stazione.Finalmente mia madre sarà contenta. Avrà un erede a cui lasciare il mestiere e la farmacia più grande del paese.Certo Milano in chilometri non è lontana ma come mentalità rispetto al paese dista anni luce.Qui è come se fossimo rimasti agli anni ’50. La gente si accontenta dell’abito buono alla domenica, dei dolci dopo pranzo, della passeggiata in centro.Ma ovviamente è tutta apparenza. Qui la cosa che conta e sembrare “perbene”.Questa parola mi ha trafitto il cervello da sempre. Perbene. Essere perbene…quella si che una persona perbene…oh che persona perbene che il sig….e così via. Tutto questo per 24 lunghi anni.Le preoccupazioni di mia madre sono state la mia laurea in farmacia e il mio essere/apparire perbene. Come se le due cose potessero poi essere davvero collegate.Ma io non mi sono mai sentito perbene. Tutt’altro. Forse per reazione al finto perbenismo del paese meschino e gretto che mi ha visto purtroppo nascere, ho sviluppato un sentimento rancoroso nei confronti di tutti. Specie delle finte bigotte del paese. Ho sempre sospettato, già dai 15 anni, che era tutta apparenza.Più che lo studio, l’attività in cui mi sono maggiormente impegnato è stato elaborare ed attuare il mio progetto “demoniaco” come ebbe a dire qualche tempo dopo la perpetua del paese.Il mio progetto era quello di scardinare l’apparenza di cui si facevano scudo tutte le donne perbene, mirando ad attentare il loro pudore, la loro castità, la loro fedeltà.Cominciai da mia madre.Marta, anzi la dott.ssa Marta Fornari della premiata farmacia Fornari. Mia madre era forse la persona più rispettata del paese, considerata colta e presa a modello di moralità da tutti. Oltre ad essere la più perbene, ovviamente.A 50 suonati era ancora molto attraente, nonostante non facesse nulla per darlo a vedere. Alta quasi 1,80 era sempre stata molto magra nonostante avesse un seno da far impallidire le playmate di playboy. Non a caso i suoi reggiseni, quinta misura coppa D, sembravano dei trofei di caccia.Avevo dato vita al mio progetto all’eta di 18 anni, quando mi lasciò perplesso il fatto che nonostante i tanti discorsi moralistici di Marta, era sua abitudine non indossare altro sotto il camice che collant e reggiseno. Vedevo in questo vezzo, che lei imputava alla comodità, una perversione inconsapevole ed una volontà di imporre a se stessa la sua femminilità.Come regalo per il mio diciottesimo compleanno chiesi a mia madre di farmi fare “pratica” nel negozio. Con la scusa che se voleva che diventassi farmacista, avrei dovuto conoscere bene il lavoro. Dopo varie reticenze accettò.L’unico mio scopo era quello di sedurla pian piano e di farla svelare per quello che credevo fosse o potesse diventare: una troia.Gia dal mio primo giorno di lavoro iniziai a tessere la mia tela di intenti. Non perdevo occasione per scrutare ogni suo movimento o smorfia che potesse tradire la sua vera natura.La seguivo ovunque, la guardavo, la provocavo. Iniziai a farle rendere conto della mia fisicità di uomo. Le imponevo la mia virilità con jeans e shirt attillate. I tre anni di nuoto mi erano serviti per farmi crescere le spalle e forse anche il mio membro.Le stavo attaccato, non perdevo occasione per sfiorarle il sedere quando passavo da un lato all’altro del bancone.Pensarla con i collant neri senza gonna sotto il camice, mi procurava delle erezioni violente che sfogavo nei preservativi che rubavo dagli scatoli nel retrobottega.Iniziai a spostare negli scaffali in alto le cose che si vendevano più facilmente. Vederla salire sulla scala, sentire il dolce sfregamento del nylon, vedere il bordo più scuro dei collant neri, era un incanto per i miei sensi. Con la scusa di mantenerla la scala mi godevo lo spettacolo riservato solo ai miei occhi. Scoprire che sotto i collant non portava neanche le mutandine fu la conferma della mia tesi. Intravedevo la sue labbra rosse e grandi nascoste tra la folta peluria. La visione delle sue caviglie sottili e dei sui piedi avvolti nelle scarpe nere a punta con tanto di tacco non era da meno.Non perdevo mai occasione, quando scendeva, per toccarla e farle sentire sul culo il mio cazzo gonfio di piacere. Glielo appoggiavo e glielo sfregavo di continuo.Mia madre iniziò a insospettirsi delle mie intenzioni quando si accorse anche degli sguardi che riservavo alla sua scollatura quando si abbassava sul bancone.Ovviamente non ebbe il coraggio di dirmi niente ma era lampante il suo turbamento.Arrivata quasi in cima alla scala mi accorsi che non indossava i soliti collant ma delle autoreggenti con un merletto alto e ricamato.Ero sicuro. Non mi occorrevano altre prove. Come nulla fosse iniziò ad elencarmi i nomi e il numero delle scatole, ma io non capivo niente, pensavo sola alla voglia di infilarle la mani sotto il camice ed accarezzarle quelle gambe lisce ed eccitanti. Volevo arrivare a toccarle il culo, a stringerlo e leccarlo.Il suo era chiaramente un invito ed io non mi feci certo pregare. Iniziai a carezzarle le caviglie con la scusa di mantenerla, pian piano risalivo fino al polpaccio e poi al ginocchio. “cosa stai facendo…mi fai cadere”. Ero deciso a continuare nel mio progetto nonostante fossi assalito dai sensi di colpa e dalla paura di essermi sbagliato. Non potevo più tornare indietro.Approfittando del giorno di chiusura del negozio Marta, decise di fare l’inventario del magazzino ed ovviamente avrei dovuto aiutarla.”Iniziamo dai piani alti” mi disse. Il solo sentire queste parole mi rese il cazzo di fuoco. “Aiutami a salire e mantienimi la scala che oggi avrai molto da imparare”. Cosa volevano dire queste parole? Avevo forse ragione? Mentre mi facevo queste domande mia madre si inizio a salire lentamente sulla scala. “un bravo farmacista deve sapere sempre quanti e quali medicinali ci sono in magazzino e quali sono in scadenza”. Io avevo la testa piena di strane idee e l’unica cosa che mi interessava era scoprire le meraviglie del sesso con quella che immaginavo fosse la più porca di tutte le donne: mia madre.Ruppi gli indugi. con la scusa che stesse cadendo uno degli scatoli la raggiunsi in alto alla scala attaccandomi al suo corpo. Con una mossa fintamente maldestra le strinsi un seno. Mi bastò questo per arrivare quasi ad un orgasmo che rimandavo ancora. “Cosa fai, sei impazzito? Mi hai fatto male, fammi scendere” Pensando di avere davanti a se ancora il suo bambino si aprì il camice mostrandomi il paradiso. Due tette spaventosamente grandi e sode fasciate da un reggiseno viola di pizzo. “Guarda qui cosa mi hai fatto? Ho il seno tutto rosso. Adesso dovrò metterci un po’ di crema. Tu cosa mi consigli?” Avrei voluto risponderle “un po’ del mio sperma, mamma”. Presi un tubo di lasonil e prima che dicesse altro inizia a massaggiarle il seno dolorante. Molto lentamente disegnavo con la pomata cerchi sempre più larghi. Osai fino al capezzolo. Lei mi lasciava fare. Continuai per diversi minuti mentre sentivo un languore nel suo respiro ed il capezzolo diventare di marmo. “ora basta, va bene così. Consiglierò i tuoi massaggi alla moglie del sindaco che soffre di reumatismi. Hai delle mani di fata, amore mio” No mamma aspetta che finisca, la crema non si è ancora assorbita. Continuai senza fermarmi allargando il mio campo d’azione. “che intenzioni hai Filippo? Non mi sembra che sia il caso di continuare, lasciami stare” le sue parole erano dettate solo dal dovere ma il respiro affannoso con cui le diceva tradiva il piacere erotico che le stavo procurando. “fermati, figlio mio non andare oltre”. Con un gesto rapido le afferrai anche l’altro seno e iniziai a stringerli insieme facendoli scontrare. Le aureole ed i capezzoli sembravano esplodere. “ho detto di fermarti, sei impazzito, cosa fai? Non ti vergogni? Queste cose falle con quelle putttane delle tue amiche milanesi. Sei un porco. Lasciami stare. Io sono una donna perbene” Non potevo tornare indietro. Le lasciai le tette per afferrarle con le due mani tutto il suo bel culo. La forzai contro di me stringendola forte e succhiandole quei seni ormai vogliosi. La sua continuata reticenza a cedere mi convinse che mi ero sbagliato fino a quando le misi una mano tra le gambe. Era fradicia. I collant erano zuppi del suo sesso. Iniziò a “miagolare” come una gatta in calore. “Non fermarti più, continua fino a quando vuoi, non lasciarmi così. Sono dieci anni che non ho un orgasmo”. “ti prego, ancora sii ancora”.No non così mamma. Come dico io. Ormai era mia. Mi sfilai i jeans e gli slip restando nudo davanti a lei. Mi guardava con una voglia indescrivibile. “ora tocca a te Marta. Inginocchiati””perché? Cosa vuoi che faccia?””Inizia a leccarmelo, voglio da te un pompino degno delle milanesi””ma sei impazzito. Io non so nemmeno cos’è un pompino, non l’ho mai fatto a nessuno prima””te lo insegno io. Inizia a leccarmi i ciglioni, poi risali lungo il cazzo, leccalo tutto, prendilo tutto in bocca e poi succhialo come un gelato. Io ti guiderò nei movimenti””non ti riconosco Filippo. Non possiamo. Io sono tua madre. Mi dispiace mi sono lasciata andare non dovevo. Ma non è tardi per tornare indietro””non si torna più indietro. Se non farai come ti dico ti sputtanerò per tutto il paese. Dirò a tutti che ti scopi tuo figlio. Dirò a tutti che mi ai costretto a farlo””Sei un bastardo, un figlio di puttana””appunto puttana, inizia a succhiarmeloQuesta volta senza farselo ripetere Marta iniziò a leccarmelo dolcemente, come una principiante vera. Non potevo crederci mia madre mi stava leccando la cappella ed era la priva volta: per me e per lei. Dopo interminabili minuti di tentennamenti, forzandole la testa, avvicinò le sue labbra carnose rese ancora più spesse dal rossetto rosso, alla punta del mio cazzo. Quasi scoppiavo. Stringendola per i capelli neri dietro la nuca la spinsi con decisione. Mi ritrovavo all’improvviso con tutta l’asta in bocca a mia madre. Iniziai a dettarle con la mano i movimenti giusti. Prima piano piano poi sempre più veloce prima di rallentare ancora. Ero in piena estasi. Potevo anche morire dopo questo sogno. Man mano che andavamo avanti il suo succhiare faceva migliorare il mio primo pompino. Non avevo ancora deciso se arrivarle in bocca o farle fare altre cose. Ero quasi allo spasimo. Ebbi giusto quel minimo di lucidità per staccarla dal cazzo ormai viola e tumefatto.”basta così””finalmente non ne potevo più””non ho detto che abbiamo finito. Siamo appena all’inizio troia””non chiamarmi così Filippo””non dirmi che non ti è piaciuto TROIA? “si anzi no…non lo so, non so più niente. Ti prego falla finita e dimenticherò tutto, come nulla fosse successo””ormai è tardi, ti ripeto, non abbiamo finito. Voltati e appoggiati al bancone”come una schiava davanti al suo padrone, mia madre si voltò senza aggiungere una parola. Le alzai lentamente il camice bianco. Man mano che salivo scoprivo i polpacci, poi le gambe ed infine il suo culo statuario. Era meraviglioso, sodo e perfetto come un uovo. La cucitura dei collant neri le separava quella scultura in due forme eccitanti e clamorose mostrandone alla fine dei fianchi degni di Giunone. La sentivo fremere mentre con le mani le disegnavo i contorni sinuosi delle gambe, lentamente fino alla fica. Un cascata di voglie veniva giù dal suo sesso gonfio. Con una velocità inaudita ora potevo strapparle i collant e ficcarle dentro tutto il mio cazzo, il cazzo di suo figlio ritornava da dove era uscito. Le stringevo i fianchi tirandola a me come un dannato. Una, due, re, quattro volte e ancora e ancora fino a quando finalmente sento mia madre urlare e ripetere”si ora si, dai dai non ti fermare, pompami Filippo…da quanto tempo… ancora …lo voglio …lo voglio” Queste parole ebbero su di me un effetto eccitante che nessuna visione o sogno e desideri o altro avrebbe potuto provocarmi. Sbarrai tutto me stesso tra la sue gambe, nella sua fica, sui collant zuppi e strappati. Ormai non poteva più mentire: non era una donna perbene…anzi era una gran troia che si era sfottere ed aveva spompinato suo figlio. Dal quel giorno i nostri rapporti cambiarono. Diventò la mia schiava e la mia complice.Non perdevo occasione per metterle le mani sotto il camice, per palparle il culo e ciucciarle i seni. Era diventata l’oggetto del mio desiderio. Raggiungemmo il massimo della trasgressione quando la costrinsi a nascondersi sotto il bancone e mentre io servivo i rispettabili clienti, le ficcavo di nascosto il cazzo in bocca e lei me lo succhiava. Il fatto che qualcuno potesse scoprirci mi eccitava ed eccitava anche lei.La troia non perdeva occasione ormai per sfoggiare sotto il camice collant di tutti i generi: con la riga dietro, a rete, aperti all’altezza della fica mentre non mise mai più il reggiseno in modo che in qualsiasi momento potesse tirare fuori le sue tette fuori e farmele leccare.Durante la giornata non aspettavo altro che arrivasse la sera per scoparmela nel suo letto.Vederla impalata sul mio arnese duro andare su e giù e vederla godere come una puttana e vedere i suoi enormi seni sballottare era la cosa più orgasmica del mondo. Mi eccitava vederla ed accarezzarle le gambe inguainate in collant lucidi e sexy.Avevo costretto mia madre ad essere la mia troia. Ma il progetto era solo all’inizio …
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