Milone Picolomini dei duchi di Pienza si trovava in campagna da una settimana. Si annoiava senza misericordia. Era una specie di tortura, per lui, essere lontano dalla banda degli amici perditempo, dal giro delle ragazze, dai tavoli di gioco, dal club: quello era il suo mondo, frenetico ma vivace, sempre imprevedibile. Un mondo notturno, fatto di lampi, di soddisfazioni, di zone buie e disperanti, di riprese-sprint con le vincite alla roulette, e a nuovi amori. Adesso si trovava in mezzo ai campi di granturco e girasoli e alle ranocchie, in un rustico villone sperduto tra i filari. La sua famiglia dimorava in quella casa ogni tanto, quando al pari di tutte le nobili famiglie, era un dovere trascorrere un periodo dell’anno in campagna. E poi, la compagnia con cui il duca Milone si trovava, come isolato dal mondo vero, non brillava di certo. Non c’era pericolo che lui si eccitasse per troppa mondanità. In casa oltre i genitori, c’erano sua sorella Luisa con una loro lontana cugina, un’insipida ragazza di nome Eugenia, figlia di un lontano cugino della madre. Per ammazzare il tempo, aveva cominciato a fare il filo a una ragazza dei dintorni, erede di uno sconosciuto marchese; ma anche quella distrazione era scomparsa presto. Ormai era lì, e gli conveniva restarci, tutto sommato. Aveva accettato quei venti giorni di noia snervante perchè sperava di riposarsi. Era giovane e forte come una tigre; ma l’amore eccessivo con Cecilia, e la tensione delle lunghe notti al tavolo verde a Venezia, l’avevano proprio ridotto con i nervi sfilacciati. Intanto, faceva tutti gli sforzi possibili per dimenticare la sua vita normale. Ma non poteva proprio rinunciare ad avere successo. Il giorno, con la sorella Luisa ed Eugenia, facevano passeggiate e soste al fiume; oppure passavano interi pomeriggi in giochi idioti. Ma alla sera, nel giardino buio, Milone pensava involontariamente alle ore passate a letto con Cecilia. Il vento portava l’odore della campagna, e anche il caldo della prima estate non era estraneo a quella nostalgia venata di rabbia. La bocca di Cecilia: sinuosa, rossa, da mordere senza riguardo; quella ragazza, ma non soltanto a causa della bocca, l’aveva proprio intrappolato, almeno dal punto di vista sessuale. Come faceva l’amore Cecilia, così intenso e feroce, non lo faceva nessun’altra. Come gli sembrava lontana quella ragazza magra, nevrastenica, malata di sesso quanto lui. Eppure, qualche volta,. gli pareva di sentirne il respiro ansimante; ricordava il sapore delle sue labbra: avevano proprio un sapore particolare, quelle labbra, di fresco e nello stesso tempo di malato. Milone, ad occhi aperti, sognava il corpo nudo della ragazza, steso sulla coperta del letto, mentre lui lo tormentava, lo accarezzava, lo premeva… Una ragazza forte, Cecilia: accettava anche la violenza. Meglio cercare di distrarsi. Suo padre, all’ultima partenza, gli aveva ripetuto la predica: “Quando torni a casa, cambi vita, vero? Ti cerchi un impiego qualsiasi come i comuni mortali, magari te lo trovo io, e così smetterai di sperperare il patrimonio. Basta con questa bella vita, correre dietro alle donne, giocare, bere, ballare, spendere. Ci siamo capiti?”. Il tono di suo padre non ammetteva repliche. Meglio tacere, con la coda fra le gambe. Milone docilmente, aveva annuito. Se aveva accettato quei venti giorni di noia era proprio per potersi riposare, per rimettersi in forma. E al prossimo ritorno si sarebbe visto. Peccato che in casa non ci fosse anche l’altra sorella, Gaia: era la più allegra, la più spregiudicata. Una bambina, considerato che era la sorella minore, ma se non altro, con lei poteva scherzare, parlare di tutto con naturalezza. Ora era all’estero, ma sarebbe tornata forse prima che lui se ne fosse andato dalla campagna. Anche Eugenia, dolce e placida, sembrava pensasse solo a riposare. Era una ragazza semplice, un po’ larga di fianchi, con due mammelle tonde ed esuberanti, che premevano contro la blusa. Parlava poco e rideva molto. Da un po’ di tempo guardava Milone con occhi troppo dolci, come se le fosse spuntata dentro una passione molto romantica. Romantica e ridicola, secondo Milone. Guardava l’amico e cugino con insistenza. Di solito appariva imbambolata, ma quando lo fissava sembrava svegliarsi. Attorno a lui, del resto, c’era quell’aura di donnaiolo, di ragazzo che ci sa fare, che interessa sempre le ragazze. Soprattutto le ragazze senza esperienze d’amore. “Milone, vieni con noi al fiume a fare il bagno?” gli chiesero una mattina col cielo che pareva di seta tanto era limpido.Anche Luisa ed Eugenia, inevitabilmente, avevano sentito parlare di quella Cecilia. La famosa Cecilia: un nome che Luisa pronunciava sussurato e quasi con gelosia, anche con Eugenia, ogniqualvolta esse vagheggiavano di cosa potesse esser successo tra il fratello-cugino e la svergognata. “Una ballerina, figurati. Senz’altro una facile” sentenziava Luisa e, nella sua voce si coglieva un misto di repulsione ma anche d’invidia e gelosia per le attenzioni che il fratello certamente ella immaginava potesse aver dedicato alla ragazza. Per loro, Milone, amante di un tipo tutto sesso come doveva essere Cecilia, possedeva qualcosa di magico: una specie di fascino perverso che eccitava la loro curiosità di verginelle inesperte e stuzzicava i loro bassi istinti. Milone non le vedeva neanche. Aveva capito, e non da quel momento, che loro subivano il suo fascino ma non nutriva per loro particolare interesse. Ma, si sa, quando incombe la siccità, anche la grandine può servire. Per questo, quel giorno al fiume, sdraiato sul suo asciugamano, facendo finta di prendere il sole e tenendo gli occhi fintamente chiusi, le sbirciava uscire dall’acqua con i loro costumi fradici che parevano una seconda pelle, lasciando intravedere i corpi della sorella e della cugina come fossero nudi: erano entrambe ben dotate di petto, con dei capezzoli che si intravedevano scuri, in trasparenza, ed erti per il freddo dell’acqua; le loro pudende erano piene ed in risalto coperte da un folto vello scuro che contrastava e si notava con gli slip chiari dei costumi. Quel suo agire fintamente menefreghista, induceva le ragazze a fare di tutto per richiamare la sua attenzione: sedute una alla sua destra e una a sinistra lo stuzzicavano con motteggi e casuali toccamenti che si facevano sempre più audaci quanto maggiore sembrava il suo disinteresse alle loro facezie. Lui le lasciava fare: in fin dei conti gli piaceva, era motivo per far trascorrere il tempo in letizia. Il calore del sole e la prolungata astinenza gli facevano pulsare il sangue alle tempie e nel sesso che, al pari di una serpe, mostrava di contorcersi ed ergersi sotto il costume. Le ragazze, avvedutesi della cosa, improvvisamente si fecero più silenziose e attente. Anche a loro il sole faceva degli scherzi: con i bikini ormai perfettamente asciutti, Milone notava che le mutandine fra le cosce restavano, all’altezza delle loro vagine, permanentemente umide e gioiva di ciò: il suo smisurato ego era felice e appagato dal fatto che Luisa ed Eugenia si fossero eccitate ma, mancando la sua attiva partecipazione, non sazio. Credendolo addormentato esse si parlavano sussurrando: “Guarda , mormorava Luisa rivolta alla cugina, che bozzo gli è venuto e come pulsa!” e, credendo che dormisse lo sfioravano con delicatezza estrema per paura di svegliarlo, provocandogli così un’erezione ancor più vistosa .La vista delle ragazze, i loro armeggi, gli avevano prodotto la fuoriuscita di umore dal meato, provocandogli una visibile macchia sulla stoffa a lato del costume. Il sole, le cicale, il silenzio e la visione di un uomo tutto per loro in quelle condizioni, contribuirono a rendere audaci le ragazze oltre ogni limite. Milone ebbe la soddisfazione di vederle spostare di lato gli slip e titillarsi i rispettivi clitoridi con movimenti circolari sempre più veloci e gli occhi fissi sul suo arnese, pur celato agli occhi ma non all’immaginazione, fino al loro totale appagamento sottolineato da un leggero ansimare. Volendo anch’egli la sua parte di godimento, modificò la sua posizione apparentemente in modo casuale, così da far uscire il suo sesso con tutti i testicoli dal costume, continuando a fingere di dormire profondamente. Come il topo resta ipnotizzato davanti alla serpe che sta per ghermirlo, così le cugine, senza fiato, guardavano strabuzzando gli occhi quell’enorme affare con il glande tutto di fuori, con la pelle lucida e sericea, di color viola intenso, paonazzo, alla cui estremità colava un miele limpidissimo in quantità. Erano affascinate e soggiogate da tal cosa mai vista nella realtà, anche se immaginata tane e tante volte durante le loro notti insonni con i corpi frementi per l’aria ricca di profumi che l’estate pareva facesse apposta a mandare dalle finestre spalancate per tenerle in costante eccitazione. A Milone era congeniale l’essere esibizionista: lo faceva sentire il centro di quel loro piccolo microcosmo e più aveva il sentore dello stupore delle ragazze, più la sua eccitazione montava e il pensiero andava inevitabilmente a lei, Cecilia. A lei era rivolta tutta la bellezza imponente di quel sesso smisurato, come era successo tante volte. Sentire una mano che con dolcezza infinita gli sollevava i testicoli che il caldo aveva reso pendenti e molli come fichi maturi, e un’altra che gli sfiorava il meato cogliendo le preziose gocce che ne uscivano, gli faceva immaginare Cecilia quando si apprestava a farlo godere leccandogli contemporaneamente l’ano. Le gambe di Cecilia, il suo seno prepotente, la malizia delle mani, i giochi della bocca… Non riusciva a dimenticarla. Fu proprio tale pensiero ossessivo che diede ad Milone una sensazione strana. Il caldo saliva dai campi, soffocante, il cervello cominciava a bruciare come su una graticola; ad ogni minuto che passava aumentava in lui la voglia dirompente. Vedeva il corpo scattante di Cecilia, sopra di lui, eretto, nudo, audace……. senza pudori. Ella e la sua carica sessuale non si appagava nemmeno con i giochi più stravaganti. Aveva sempre voglia di fare l’amore. Di ridere e di fare l’amore. Milone sentì un formicolio insolito nel cervello, e una sensazione di caldo in tutto il corpo; Cecilia era peggio della droga. Così, senza violenza eruttiva iniziò ad emettere sperma con piacere intensissimo che sentiva colare lentamente sulle mani delle ragazze che con degli “….Ohhh …” di ammirazione, cercavano di raccogliere a coppa per odorarlo e saggiarlo non avendo mai assistito a una simile scena. Finito ch’ebbe di eiaculare, si sentì improvvisamente spossato e svuotato: questa volta si addormentò per davvero. Al risveglio sembrava essere tornato tutto normale: evidentemente la sorella aiutata dalla cugina lo avevano pulito e sistemato così che tutto sembrasse solo un sogno. “Da quanto mi sono addormentato?” celiò Milone alle ragazze che composte e sussiegose leggevano e sfogliavano delle riviste. “Da quando siamo entrate in acqua per il bagno” mentirono spudoratamente all’unisono. “Strano, replicò lui, credo di aver sognato cose stupende delle quali però ho la sensazione come fosse stato vissuto realmente”. “Il sole può fare strani scherzi” sentenziò Luisa “Comunque speriamo che, vero o mendace, il sogno ti sia piaciuto” aggiunse Eugenia con falsa innocenza. “Tanto piaciuto che una di queste notti verrò a trovarvi: fatevi trovare insieme, così potrò accertarmi quanto di vero e quanto di onirico c’è stato” rispose di rimando Milone lasciando di sasso le ragazze. Luisa ed Eugenia gli sorrisero con occhi dolcissimi e non risposero.
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